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Profili critici in tema di licenze per lo streaming della musica registrata

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Profili critici in tema di licenze per lo streaming della musica registrata

 

Aree di carenza nel mandato delle collecting dei produttori di fonogrammi

Dinanzi all’ormai pervasivo impiego della musica registrata tramite piattaforme OTT, è stato riscontrato un fenomeno gravemente preclusivo per i produttori di contenuti audiovisivi e i broadcaster.

Sebbene, come noto, l’ordinamento interno affidi l’esercizio del diritto all’equo compenso ex art 73 a ciascuna delle imprese che svolgono attività di intermediazione dei diritti connessi al diritto d’autore, di cui all’articolo 3, comma 2, del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 19 dicembre 2012, alle quali il produttore di fonogrammi e gli artisti interpreti o esecutori hanno conferito per iscritto il rispettivo mandato, in Italia dette imprese dichiarano di non possedere il mandato per concedere licenze d’uso dei repertori stranieri (specie USA e UK) a mezzo social e aggregatori OTT.

 Se quindi per la realizzazione di un servizio informativo o di un programma di intrattenimento destinato alla televisione, la licenza in essere tra broadcaster e collecting rappresentativa dei produttori di fonogrammi, anche stranieri, consente l’impiego della musica di sottofondo o di accompagnamento, nel momento in cui, anche solo un breve frammento di detti programmi fosse caricato sui canali social ufficiali del broadcaster, la piattaforma OTT procede al take down dell’interno contenuto audio-visivo caricato, a fronte di asseriti claims azionati dalle major straniere.

A ben vedere dunque ci si trova dinanzi ad un empasse non indifferente, e per così dire paradossale, laddove la norma legittimando le sole collecting quali intermediari ex lege per la riscossione dei compensi spettanti ai produttori di fonogrammi, preclude a questi ultimi di procedere con una negoziazione diretta con gli utilizzatori, e di riflesso anche il contrario.
 

La forzata frammentazione del diritto di messa a disposizione del pubblico

Va tuttavia precisato come nelle licenze standard tra utilizzatori broadcaster e collecting rappresentative dei produttori di fonogrammi, di norma i diritti licenziati sono i seguenti: il diritto di riproduzione, ai sensi degli artt. 72 lett. a) e 78-ter lett. a) L.d.a., che consente di riprodurre con qualsiasi processo di duplicazione il repertorio della collecting, il diritto di comunicazione al pubblico, ai sensi dell’artt. 73 L.d.a., che consente di comunicare al pubblico via satellite il repertorio inserito nel palinsesto dell’emittente, ed infine, il diritto di messa a disposizione del pubblico, ai sensi degli artt. 72 lett. d) e 78 ter lett. d) L.d.a.

Ed è proprio con riguardo a quest’ultimo diritto che vengono a crearsi delle ingiustificate frammentazioni. La norma è chiara nel definire la portata dell’autorizzazione ricompresa nel diritto, ovvero concedere la possibilità che un pubblico indeterminato possa accedere ai fonogrammi da qualsiasi luogo e in qualsiasi momento. Una definizione che inequivocabilmente assorbe il tratto distintivo dello streaming. Di contro negli anni, le collecting nazionali rappresentative dei produttori di fonogrammi, evidentemente subendo le pressioni dei propri mandanti, specie stranieri, hanno limitato di molto l’inequivocabile portata della norma, andando a distinguere sotto-tipologie di utilizzi all’interno dello stesso diritto di messa a disposizione, tese ad escludere espressamente l’impiego a mezzo social network e piattaforme OTT.
 

La riforma americana: nuove tutele per gli sfruttamenti della musica registrata online

Per comprendere le ragioni che potrebbero essere sottese alla situazione descritta, pare interessante segnalare il diverso approccio assunto dal sistema americano.

Nel 2018, infatti, negli Stati Uniti è stato introdotto il Mechanical Licensing Collective (MLC) nel  Titolo I del Music Modernization Act,  a modifica del par. 115 del Copyright Act. Questa legislazione ha cercato di creare un modo più efficiente ed efficace per i fornitori di servizi digitali (DSP) di acquisire in licenza la musica che rendono disponibile sulle loro piattaforme e garantire i titolari dei diritti con compensi adeguati.  MLC è un'organizzazione senza scopo di lucro designata dall'US Copyright Office; attiva dal gennaio 2021, ha iniziato a gestire licenze fonomeccaniche per servizi di streaming e download, ma solo negli Stati Uniti. MLC riscuote dai DSP le royalties fonomeccaniche di diritto d’autore, non di diritto connesso, dovute in base a tali licenze e paga cantautori, compositori, parolieri ed editori musicali, amministratori e collecting. 

Con il MMA è dunque stata creata ex lege una nuova licenza collettiva fonomeccanica, con l’intento di coprire l'uso di tutta la musica che viene resa disponibile dalle piattaforme. MLC amministra dunque in esclusiva la licenza generale e centralizza la gestione di questi diritti prima amministrati per mezzo di una pluralità di agenzie. Prima dell'entrata in vigore del MMA, le opere musicali erano soggette a diversi requisiti di licenza secondo quanto previsto dal par.115 del Copyright Act a seconda che venissero utilizzate o meno, riprodotte/distribuite o eseguite pubblicamente (es. trasmesse in streaming o alla radio).

Secondo l'MMA, l'MLC ha anche dovuto creare e dovrà mantenere sia un database di opere musicali pubblicamente accessibile, sia un portale che i membri MLC utilizzano per registrare, mantenere e aggiornare i propri dati musicali.

Quanto all’effettiva attività di riscossione e riparto delle royalties (fissate dalla Copyright Royalty Board degli Stati Uniti) , è chiarito che i DSP inviano mensilmente i dati sull'utilizzo della registrazione audio e le relative royalties meccaniche a MLC che abbina quindi i dati di utilizzo ai dati delle opere musicali nel database. Una volta che i dati sono stati abbinati, l'MLC paga le royalties meccaniche agli aventi diritto.

L’MMA modifica anche par. 114 del Copyright Act relativo alle compulsory licenses per la “trasmissione audio digitale” di registrazioni fonografiche.

Il par. 114(d)(2) del Copyright Act prevedeva che le fees di licenza obbligatoria per le registrazioni fonografiche non in streaming e non interattive (ex. Pandora) fossero collazionate e distribuite come royalties ai copyright owner da organismi come SoundExchange, organizzazione no profit creata dal Copyright Royalty Board.

Lo streaming interattivo era soggetto a una licenza negoziata ai sensi del § 114(d)(3) del Copyright Act. Ora, in base al MMA, lo streaming interattivo può essere assoggettato ad una licenza generalizzata, mentre lo streaming non interattivo è ancora soggetto allo schema di licenza legale esistente – statutory license.

In base al MMA, SoundExchange può gestire ancora le licenze ai sensi del nuovo §114(d)(2) per lo streaming non interattivo, che consente ai servizi di streaming di diffondere registrazioni sonore di opere musicali con previsione di una tariffa fissa per ogni riproduzione.

In base al MMA, oltre alla nuova licenza globale, è fatta salva anche la possibilità di stipulare una licenza volontaria con editore e/o etichetta discografica ottenendo quindi una autorizzazione ad effettuare e distribuire il download permanente di opere musicali (115(c)(2)(A), (d)(1)(C)).

Alla luce del tratteggiato sistema statunitense si sarà compreso come l’intento ordinamentale pare quello di riscuotere direttamente dalle piattaforme i compensi per lo sfruttamento della musica registrata veicolata sulle stesse. Tuttavia, del tutto poco chiaro risulta il perimetro del mandato di Soundexchange e i profili di reciprocità con le colllecting extra USA rappresentative dei diritti fonografici. Sebbene, infatti Soundexchange indichi una reciprocità per l’Italia con la collecting SCF (lato publisher) e con ITSRIGHT e NIMAIE (lato artisti), non si rinvengono pubblicati nemmeno gli estremi di questi atti.
 

Conclusione

La politica americana volta a rafforzare l’attività di licenza diretta tra piattaforme e major, pare allo stato inapplicabile nell’ordinamento interno in ragione delle citate previsioni di cui all’art. 73, al contempo altrettanto inique paiono le prassi adottate dalle piattaforme, nel procedere alla rimozione di quei contenuti audio-visivi  che non solo sono già stati oggetto di licenza per i diritti di riproduzione, comunicazione al pubblico e messa  a disposizione,  ma inoltre vengono bloccati in assenza di una effettiva ponderazione tra la componente musicale e l’opera audiovisiva vera e propria cui la stessa fa da sottofondo. Gli elementi fattuali delle prassi odierne, portano a constatare come talvolta vengano posti in essere, su claim delle major, take down di contenuti nei quali l’incidenza audio è irrisoria rispetto alla componente video. In tal senso il solo auspicio è che l’Autorità garante delle comunicazioni, sulla falsa riga delle competenze acquisite ex art. 110-ter L.d.a. introdotto dal d.lgs. 177/2021, favorisca forme di negoziazione assistita tese a colmare i gap delle licenze attualmente in essere.