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L'atto giudiziario ai fini della configurabilità del delitto previsto dall'art. 319-ter cp

La sentenza n. 24349/2012 della Cassazione Penale, Sez. VI, contiene spunti di notevole interesse che inducono ad approfondire tematiche molto attuali ed oggetto di numerose decisioni.

Un’analisi di tale sentenza non può prescindere da un preliminare esame della fattispecie disciplinata dall’art. 319 ter del codice penale.

L’art. 319 ter del c.p. rubricato “corruzione in atti giudiziari” è una figura di reato che ha natura plurisoggettiva a struttura bilaterale, il cui elemento soggettivo è costituito da un fatto di corruzione propria (art. 319 c.p.) o impropria (art. 318 c.p.) commesso “per favorire o danneggiare una parte in un processo civile, penale o amministrativo”.

Per la configurabilità della corruzione giudiziaria, secondo l’attuale formulazione della fattispecie, non occorre il raggiungimento dell’obiettivo ma basta che l’atto corruttivo sia finalizzato a favorire o a danneggiare una parte processuale; cosicché che il favore o il danno della parte si atteggiano a contenuto del dolo specifico del soggetto agente.

Il reato di corruzione in atti giudiziari è un reato proprio: soggetti attivi sono i pubblici ufficiali.

Sembra da escludere che soggetti attivi possano essere anche gli incaricati di pubblico servizio, in quanto l’art. 320 omette di richiamare l’art. 319- ter; questa esclusione d’altra parte può trovare giustificazione considerando che soltanto i pubblici ufficiali rivestono una posizione in grado di influenzare il contenuto delle decisioni giudiziarie (Fiandaca-Musco, Delitti contro la pubblica amministrazione, Diritto penale- parte speciale, Zanichelli Editore, pagg.234 e ss).

Per la nozione di pubblico ufficiale occorre far riferimento all’art. 357 c.p. il quale stabilisce che sono pubblici ufficiali coloro i quali esercitano una pubblica funzione legislativa, giudiziaria o amministrativa.

Ciò che veramente rileva è l’esercizio oggettivo della funzione.

Il secondo comma dell’art. 357 c.p. si preoccupa, altresì, di precisare la nozione di pubblica funziona amministrativa, definendola come quella funzione “disciplinata da norme di diritto pubblico e da atti autoritativi, e caratterizzata dalla formazione e dalla manifestazione della volontà della pubblica amministrazione o dal suo svolgersi per mezzo di poteri autoritativi e certificativi”.

Fatte queste preliminari osservazioni, passiamo all’esame della sentenza oggetto del presente commento.

La sentenza in commento riguarda il caso di un cancelliere il quale, attraverso l’assegnazione irregolare dei processi tramite manipolazione dei criteri automatici di assegnazione, faceva assegnare ai giudici onorari compiacenti le pratiche giudiziarie di alcuni avvocati. Sia in primo grado sia in appello i giudici hanno condannato l’imputato, ritenendo sussistente nel caso de quo la fattispecie di cui all’art. 319-ter.

Avverso la sentenza di appello è stato presentato ricorso per Cassazione basato, in particolare, sui seguenti motivi: insussistenza di atto giudiziario commesso per favorire o danneggiare una parte in un processo; insussistenza di un atto di ufficio riconducibile alla sfera di competenza del pubblico ufficiale corrotto.

Sul ricorso de quo si è pronunciata la VI Sez. della Corte di Cassazione, la quale seguendo e confermando quanto già affermato dalla sentenza n. 44971/2005 Cass., ha puntualizzato che ai fini della sussistenza dell’atto contrario ai doveri d’ufficio, non è necessario che l’atto richiesto al pubblico ufficiale in cambio di un vantaggio indebito debba essere in sé illegittimo (Cass. n. 44971/2005, Rv. 233505, Caristo), giacché ciò che rileva è che esso sia contrario ai doveri dell’ufficio e che risulti confluente in un atto giudiziario destinato ad incidere negativamente sulla sfera giuridica di un terzo.

In sostanza ciò che rileva non è la mera verifica della regolarità formale del provvedimento, ma la contaminazione del libero ed indipendente esercizio della funzione giurisdizionale. Principio quest’ultimo già espresso nelle precedenti sentenze della Cass. n. 44971/2005, n. 23024/2004.

Ha chiarito la Corte che  “L’atto d’ufficio oggetto del patto corruttivo può essere inteso sia come atto formale, sia come attività che costituisce estrinsecazione dei poteri-doveri inerenti l’ufficio ricoperto o la funzione in concreto esercitata, potendosi risolvere anche in un comportamento materiale rispetto al quale sia individuabile un rapporto di congruità con la posizione istituzionale del soggetto agente e di causalità con la retribuzione indebita”.

Secondo gli ermellini non è necessario neppure che il corrotto abbia una competenza specifica ed esclusiva in relazione all’atto da compiere, essendo sufficiente una competenza generica, che gli derivi dall’appartenenza all’ufficio o dalla funzione di rilievo pubblicistico in concreto esercitata e che gli consenta di interferire o comunque influire sull’emanazione dell’atto.

Tale ragionamento è  in linea con quanto già in precedente affermato dalla Corte di Cassazione, la quale più volte ha affermato che ai fini della configurabilità del delitto di cui all’art. 319-ter cod. pen., deve considerarsi atto giudiziario non soltanto l’atto del giudice, bensì l’atto funzionale ad un procedimento giudiziario, sicché rientra nello stesso anche la deposizione testimoniale resa nell’ambito di un processo penale (Cass. Sez. U, n. 15208/2010) e l’atto del direttore sanitario presso una casa circondariale, anche se non legato dall’Amministrazione Penitenziaria da un rapporto di pubblico impiego (Cass. n. 10443/2012). A tali casistiche la sentenza in esame ne include un’altra stabilendo che rientra nella fattispecie di cui agli art. 319 ter c.p. l’atto del funzionario di cancelleria, collocato nella struttura dell’ufficio giudiziario, che esercita un potere idoneo ad incidere sul suo concreto funzionamento e sull’esito del procedimento giudiziario.

La sentenza in oggetto ha il merito di meglio chiarire i margini di applicabilità dell’art. 319-ter e del ragionamento seguito dai giudici di legittimità nell’individuazione delle casistiche che integrano la fattispecie di corruzione in atti giudiziari.

In particolare, l’affermazione secondo la quale ai fini della configurabilità del delittodisciplinato dall’art. 319-ter è atto giudiziario quello funzionale ad un procedimentogiudiziario si rileva di particolare importanza per stabilire la sussistenza del delitto in esame nei casi concreti.

In sostanza, alla luce della sentenza n. 24349/2012, l’atto giudiziario non è solo l’atto formale, ma qualsiasi  attività che costituisce estrinsecazione dei poteri-doveri inerenti all’ufficio ricoperto o la funzione in concreto esercitata e che sia funzionale ad un procedimento giudiziario. In tale concezione di atto giudiziario vi rientra sicuramente l’atto del funzionario di cancelleria, il quale esercita una funzione idonea ad incidere sul funzionamento dei processi.
La sentenza n. 24349/2012 della Cassazione Penale, Sez. VI, contiene spunti di notevole interesse che inducono ad approfondire tematiche molto attuali ed oggetto di numerose decisioni.

Un’analisi di tale sentenza non può prescindere da un preliminare esame della fattispecie disciplinata dall’art. 319 ter del codice penale.

L’art. 319 ter del c.p. rubricato “corruzione in atti giudiziari” è una figura di reato che ha natura plurisoggettiva a struttura bilaterale, il cui elemento soggettivo è costituito da un fatto di corruzione propria (art. 319 c.p.) o impropria (art. 318 c.p.) commesso “per favorire o danneggiare una parte in un processo civile, penale o amministrativo”.

Per la configurabilità della corruzione giudiziaria, secondo l’attuale formulazione della fattispecie, non occorre il raggiungimento dell’obiettivo ma basta che l’atto corruttivo sia finalizzato a favorire o a danneggiare una parte processuale; cosicché che il favore o il danno della parte si atteggiano a contenuto del dolo specifico del soggetto agente.

Il reato di corruzione in atti giudiziari è un reato proprio: soggetti attivi sono i pubblici ufficiali.

Sembra da escludere che soggetti attivi possano essere anche gli incaricati di pubblico servizio, in quanto l’art. 320 omette di richiamare l’art. 319- ter; questa esclusione d’altra parte può trovare giustificazione considerando che soltanto i pubblici ufficiali rivestono una posizione in grado di influenzare il contenuto delle decisioni giudiziarie (Fiandaca-Musco, Delitti contro la pubblica amministrazione, Diritto penale- parte speciale, Zanichelli Editore, pagg.234 e ss).

Per la nozione di pubblico ufficiale occorre far riferimento all’art. 357 c.p. il quale stabilisce che sono pubblici ufficiali coloro i quali esercitano una pubblica funzione legislativa, giudiziaria o amministrativa.

Ciò che veramente rileva è l’esercizio oggettivo della funzione.

Il secondo comma dell’art. 357 c.p. si preoccupa, altresì, di precisare la nozione di pubblica funziona amministrativa, definendola come quella funzione “disciplinata da norme di diritto pubblico e da atti autoritativi, e caratterizzata dalla formazione e dalla manifestazione della volontà della pubblica amministrazione o dal suo svolgersi per mezzo di poteri autoritativi e certificativi”.

Fatte queste preliminari osservazioni, passiamo all’esame della sentenza oggetto del presente commento.

La sentenza in commento riguarda il caso di un cancelliere il quale, attraverso l’assegnazione irregolare dei processi tramite manipolazione dei criteri automatici di assegnazione, faceva assegnare ai giudici onorari compiacenti le pratiche giudiziarie di alcuni avvocati. Sia in primo grado sia in appello i giudici hanno condannato l’imputato, ritenendo sussistente nel caso de quo la fattispecie di cui all’art. 319-ter.

Avverso la sentenza di appello è stato presentato ricorso per Cassazione basato, in particolare, sui seguenti motivi: insussistenza di atto giudiziario commesso per favorire o danneggiare una parte in un processo; insussistenza di un atto di ufficio riconducibile alla sfera di competenza del pubblico ufficiale corrotto.

Sul ricorso de quo si è pronunciata la VI Sez. della Corte di Cassazione, la quale seguendo e confermando quanto già affermato dalla sentenza n. 44971/2005 Cass., ha puntualizzato che ai fini della sussistenza dell’atto contrario ai doveri d’ufficio, non è necessario che l’atto richiesto al pubblico ufficiale in cambio di un vantaggio indebito debba essere in sé illegittimo (Cass. n. 44971/2005, Rv. 233505, Caristo), giacché ciò che rileva è che esso sia contrario ai doveri dell’ufficio e che risulti confluente in un atto giudiziario destinato ad incidere negativamente sulla sfera giuridica di un terzo.

In sostanza ciò che rileva non è la mera verifica della regolarità formale del provvedimento, ma la contaminazione del libero ed indipendente esercizio della funzione giurisdizionale. Principio quest’ultimo già espresso nelle precedenti sentenze della Cass. n. 44971/2005, n. 23024/2004.

Ha chiarito la Corte che  “L’atto d’ufficio oggetto del patto corruttivo può essere inteso sia come atto formale, sia come attività che costituisce estrinsecazione dei poteri-doveri inerenti l’ufficio ricoperto o la funzione in concreto esercitata, potendosi risolvere anche in un comportamento materiale rispetto al quale sia individuabile un rapporto di congruità con la posizione istituzionale del soggetto agente e di causalità con la retribuzione indebita”.

Secondo gli ermellini non è necessario neppure che il corrotto abbia una competenza specifica ed esclusiva in relazione all’atto da compiere, essendo sufficiente una competenza generica, che gli derivi dall’appartenenza all’ufficio o dalla funzione di rilievo pubblicistico in concreto esercitata e che gli consenta di interferire o comunque influire sull’emanazione dell’atto.

Tale ragionamento è  in linea con quanto già in precedente affermato dalla Corte di Cassazione, la quale più volte ha affermato che ai fini della configurabilità del delitto di cui all’art. 319-ter cod. pen., deve considerarsi atto giudiziario non soltanto l’atto del giudice, bensì l’atto funzionale ad un procedimento giudiziario, sicché rientra nello stesso anche la deposizione testimoniale resa nell’ambito di un processo penale (Cass. Sez. U, n. 15208/2010) e l’atto del direttore sanitario presso una casa circondariale, anche se non legato dall’Amministrazione Penitenziaria da un rapporto di pubblico impiego (Cass. n. 10443/2012). A tali casistiche la sentenza in esame ne include un’altra stabilendo che rientra nella fattispecie di cui agli art. 319 ter c.p. l’atto del funzionario di cancelleria, collocato nella struttura dell’ufficio giudiziario, che esercita un potere idoneo ad incidere sul suo concreto funzionamento e sull’esito del procedimento giudiziario.

La sentenza in oggetto ha il merito di meglio chiarire i margini di applicabilità dell’art. 319-ter e del ragionamento seguito dai giudici di legittimità nell’individuazione delle casistiche che integrano la fattispecie di corruzione in atti giudiziari.

In particolare, l’affermazione secondo la quale ai fini della configurabilità del delittodisciplinato dall’art. 319-ter è atto giudiziario quello funzionale ad un procedimentogiudiziario si rileva di particolare importanza per stabilire la sussistenza del delitto in esame nei casi concreti.

In sostanza, alla luce della sentenza n. 24349/2012, l’atto giudiziario non è solo l’atto formale, ma qualsiasi  attività che costituisce estrinsecazione dei poteri-doveri inerenti all’ufficio ricoperto o la funzione in concreto esercitata e che sia funzionale ad un procedimento giudiziario. In tale concezione di atto giudiziario vi rientra sicuramente l’atto del funzionario di cancelleria, il quale esercita una funzione idonea ad incidere sul funzionamento dei processi.