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Legittimità dell’Affidamento Diretto a Società Miste

Natura ed evoluzione dell’istituto
Legittimità dell’Affidamento Diretto a Società Miste
Legittimità dell’Affidamento Diretto a Società Miste

Introdotte dalla Legge 142 del 1990, nonché disciplinate da numerose modifiche ed integrazioni apportate da diversi Governi nel corso degli ultimi 25 anni, le “società miste” sono un particolare modello societario composto da capitale pubblico misto a capitale privato. Se la maggioranza del capitale è pubblico si parla di “società miste a prevalente capitale pubblico”, viceversa, se a detenere la maggioranza delle azioni societarie sono degli imprenditori privati si parla di “società miste con capitale pubblico minoritario”.

Dette società hanno conosciuto il favor del legislatore, poiché dotate di maggiore flessibilità ed adattabilità rispetto ad altre forme di gestione dei servizi pubblici, in quanto in grado di consentire un sistema di co-gestione con il coinvolgimento sia dell’ente locale che di professionalità private.

Le società a capitale pubblico maggioritario, presentando un forte collegamento con i fini istituzionali dell’ente pubblico, rispondono all’esigenza di separare le responsabilità dell’ente da quella connessa alla gestione del servizio, che è reso più snello e dinamico; quelle a partecipazione pubblica minoritaria, invece, sono idonee alla gestione dei servizi, a rilevanza economica, per il cui svolgimento sia necessario disporre di cospicui investimenti finalizzati a costituire od innovare strutture di supporto.

La giurisprudenza amministrativa ha definito le società miste – quanto meno con riguardo a quelle con maggioranza di capitale pubblico – come “moduli organizzativi dell’ente locale a preminente connotazione pubblicistica” (come confermato dal Consiglio di Stato, nell’Adunanza Generale del 16 maggio 1996).

Questa ricostruzione si avvale anche del principio della neutralità della forma societaria rispetto al conseguimento dello scopo pubblicistico (scopo di per sé non in contrasto con il fine societario lucrativo previsto dall’articolo 2247 del Codice Civile), così giustificando, sotto il profilo organizzativo e gestionale, la prassi dell’affidamento diretto del servizio a società a capitale pubblico di maggioranza, senza previa procedura di evidenza pubblica (c.d. affidamento diretto a società miste).

Una disciplina compiuta si è avuta successivamente, nella sentenza della Corte di Giustizia Europea, sezione II, del 17 luglio 2008, nella causa C-371/05, in cui venne sottolineata l’obbligatoria presenza, in maniera assai penetrante, del “controllo analogo” tipico delle “società in house”, soprattutto nelle società a partecipazione pubblica in cui però era presente la peculiare caratteristica della partecipazione azionaria privata.

Nel caso di specie, posto che detta partecipazione era avvenuta successivamente alla procedura di affidamento diretto del servizio, venne sottolineato che “per ragioni di certezza del diritto”, i requisiti (e tra questi anche la partecipazione azionaria) assieme “all’eventuale obbligo per l’amministrazione di procedere ad una gara d’appalto” devono essere valutati al momento dell’attribuzione del servizio “alla luce delle condizioni esistenti alla data dell’aggiudicazione dell’appalto pubblico”. Qualora  invece “risulti che l’apertura del capitale dell’ente interessato a soci privati era prevista sin dall’assegnazione del suddetto appalto”, la condizione che subentri un socio privato “deve essere presa in considerazione” al momento della valutazione della sussistenza dei requisiti per l’affidamento diretto.

Tale disposizione, pur inserendosi all’interno di una ferrea procedura di controllo di legittimità, introdusse ed ammise, per la prima volta, la possibilità per una Pubblica Amministrazione di affidare “in house” un servizio, anche quando l’ente in questione fosse una società mista, segnando una radicale svolta nell’ambito dell’evoluzione normativa del fenomeno dell’affidamento diretto.

Con le sentenze precedentemente segnalate, la Corte di Giustizia Europea ed il Consiglio di Stato hanno tracciato i confini della concreta operatività del meccanismo dell’in house providing in presenza di società miste con socio privato.

Sotto questo profilo, uno dei requisiti tradizionalmente richiesti, a partire dalla sentenza Stadt Halle (Corte di Giustizia Europea, sez. I, 11 gennaio 2005, n. C-26/03) e successivamente anche da alcune pronunce del Consiglio di Stato (Adunanza Plenaria 3 marzo 2008, n. 1) è quello dell’evidenza pubblica per la scelta del socio privato.

I giudici di Palazzo Spada, nella sentenza del Consiglio di Stato n. 824 del 13 febbraio 2009, hanno chiarito che “la risposta alla questione se gli appalti pubblici possano essere affidati a società miste in via diretta, o se occorra seguire procedure di evidenza pubblica, deve essere differenziata, occorrendo distinguere l’ipotesi di costituzione di una società mista per una specifica missione, sulla base di una gara che abbia per oggetto sia la scelta del socio (privato) che l’affidamento della specifica missione (c.d. gara a doppio oggetto), e l’ipotesi in cui si intendano affidare ulteriori appalti ad una società mista già costituita”.

In altre parole, la scelta del socio privato mediante evidenza pubblica giustificherebbe un singolo affidamento (o come viene precisato “una singola missione”) e non può costituire la giustificazione per la creazione di una società “aperta o generalista”, in grado di assumere legittimamente la posizione di affidataria diretta per ulteriori contratti.

In questo panorama giuridico, la società mista opererebbe nei limiti dell’affidamento iniziale, senza la possibilità di ottenere ulteriori missioni che non siano già previste nel bando di affidamento originario, rendendosi necessaria una gara ad evidenza pubblica per l’eventuale affidamento di appalti ulteriori e successivi.

Questa impostazione è stata nuovamente affrontata dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 1028 del 15 marzo 2016, a seguito di un ricorso avverso il mancato “affidamento diretto” ad una società mista. Questa società, partecipata dallo stesso ente appaltante, con socio privato scelto attraverso una procedura di evidenza pubblica, creata a suo tempo per la gestione del trattamento e della depurazione dei reflui, pretendeva che anche la gestione dei Rifiuti Solidi Urbani (servizio peraltro non previsto nell’oggetto sociale iniziale) fosse affidata alla stessa società mista, senza il ricorso all’evidenza pubblica.

Investito della questione, rimarcando comunque la legittimità dell’istituto dell’affidamento diretto a società mista con capitale sociale prevalentemente pubblico, ha sottolineato che la scelta del socio privato (a prescindere dall’entità del suo conferimento a capitale sociale e rispettando comunque la regola della pubblica evidenza) debba essere fatta prioritariamente valutando le specifiche caratteristiche tecniche dello stesso, in stretta connessione con il servizio pubblico da svolgere in seno alla società mista affidataria.

Tenendo presente ciò, le specifiche caratteristiche del socio privato erano state tenute in considerazione in virtù dello smaltimento e depurazione dei reflui (primo appalto diretto) e non per la gestione dei rifiuti (secondo appalto, oggetto di contestazione), ritenendo legittima la scelta dell’amministrazione di non procedere ad affidamento diretto, ma di effettuare gara ad evidenza pubblica.

Concludendo, alla luce anche delle considerazioni effettuate di recente dalla citata sentenza del Consiglio di Stato, la disciplina pare essere giunta alla sua definitiva compiutezza, delineandosi così la casistica all’interno della quale è possibile ricorrere alla procedura di affidamento diretto, tipica delle “società in house”, anche per le “società miste”, mitigando l’obbligo per le pubbliche amministrazioni di ricorrere sempre e comunque a procedure di evidenza pubblica.

A tal fine, riunendo le varie pronunce giurisprudenziali sia nazionali che europee, per procedere ad un affidamento diretto ad una società mista sarà necessario che:

  • Il capitale sociale sia prevalentemente pubblico
  • Il servizio da affidare direttamente sia già contemplato nell’oggetto sociale originario della società mista
  • Il socio privato sia scelto con una procedura di pubblica evidenza, privilegiando le sue competenze tecniche in relazione al servizio da svolgere.

Introdotte dalla Legge 142 del 1990, nonché disciplinate da numerose modifiche ed integrazioni apportate da diversi Governi nel corso degli ultimi 25 anni, le “società miste” sono un particolare modello societario composto da capitale pubblico misto a capitale privato. Se la maggioranza del capitale è pubblico si parla di “società miste a prevalente capitale pubblico”, viceversa, se a detenere la maggioranza delle azioni societarie sono degli imprenditori privati si parla di “società miste con capitale pubblico minoritario”.

Dette società hanno conosciuto il favor del legislatore, poiché dotate di maggiore flessibilità ed adattabilità rispetto ad altre forme di gestione dei servizi pubblici, in quanto in grado di consentire un sistema di co-gestione con il coinvolgimento sia dell’ente locale che di professionalità private.

Le società a capitale pubblico maggioritario, presentando un forte collegamento con i fini istituzionali dell’ente pubblico, rispondono all’esigenza di separare le responsabilità dell’ente da quella connessa alla gestione del servizio, che è reso più snello e dinamico; quelle a partecipazione pubblica minoritaria, invece, sono idonee alla gestione dei servizi, a rilevanza economica, per il cui svolgimento sia necessario disporre di cospicui investimenti finalizzati a costituire od innovare strutture di supporto.

La giurisprudenza amministrativa ha definito le società miste – quanto meno con riguardo a quelle con maggioranza di capitale pubblico – come “moduli organizzativi dell’ente locale a preminente connotazione pubblicistica” (come confermato dal Consiglio di Stato, nell’Adunanza Generale del 16 maggio 1996).

Questa ricostruzione si avvale anche del principio della neutralità della forma societaria rispetto al conseguimento dello scopo pubblicistico (scopo di per sé non in contrasto con il fine societario lucrativo previsto dall’articolo 2247 del Codice Civile), così giustificando, sotto il profilo organizzativo e gestionale, la prassi dell’affidamento diretto del servizio a società a capitale pubblico di maggioranza, senza previa procedura di evidenza pubblica (c.d. affidamento diretto a società miste).

Una disciplina compiuta si è avuta successivamente, nella sentenza della Corte di Giustizia Europea, sezione II, del 17 luglio 2008, nella causa C-371/05, in cui venne sottolineata l’obbligatoria presenza, in maniera assai penetrante, del “controllo analogo” tipico delle “società in house”, soprattutto nelle società a partecipazione pubblica in cui però era presente la peculiare caratteristica della partecipazione azionaria privata.

Nel caso di specie, posto che detta partecipazione era avvenuta successivamente alla procedura di affidamento diretto del servizio, venne sottolineato che “per ragioni di certezza del diritto”, i requisiti (e tra questi anche la partecipazione azionaria) assieme “all’eventuale obbligo per l’amministrazione di procedere ad una gara d’appalto” devono essere valutati al momento dell’attribuzione del servizio “alla luce delle condizioni esistenti alla data dell’aggiudicazione dell’appalto pubblico”. Qualora  invece “risulti che l’apertura del capitale dell’ente interessato a soci privati era prevista sin dall’assegnazione del suddetto appalto”, la condizione che subentri un socio privato “deve essere presa in considerazione” al momento della valutazione della sussistenza dei requisiti per l’affidamento diretto.

Tale disposizione, pur inserendosi all’interno di una ferrea procedura di controllo di legittimità, introdusse ed ammise, per la prima volta, la possibilità per una Pubblica Amministrazione di affidare “in house” un servizio, anche quando l’ente in questione fosse una società mista, segnando una radicale svolta nell’ambito dell’evoluzione normativa del fenomeno dell’affidamento diretto.

Con le sentenze precedentemente segnalate, la Corte di Giustizia Europea ed il Consiglio di Stato hanno tracciato i confini della concreta operatività del meccanismo dell’in house providing in presenza di società miste con socio privato.

Sotto questo profilo, uno dei requisiti tradizionalmente richiesti, a partire dalla sentenza Stadt Halle (Corte di Giustizia Europea, sez. I, 11 gennaio 2005, n. C-26/03) e successivamente anche da alcune pronunce del Consiglio di Stato (Adunanza Plenaria 3 marzo 2008, n. 1) è quello dell’evidenza pubblica per la scelta del socio privato.

I giudici di Palazzo Spada, nella sentenza del Consiglio di Stato n. 824 del 13 febbraio 2009, hanno chiarito che “la risposta alla questione se gli appalti pubblici possano essere affidati a società miste in via diretta, o se occorra seguire procedure di evidenza pubblica, deve essere differenziata, occorrendo distinguere l’ipotesi di costituzione di una società mista per una specifica missione, sulla base di una gara che abbia per oggetto sia la scelta del socio (privato) che l’affidamento della specifica missione (c.d. gara a doppio oggetto), e l’ipotesi in cui si intendano affidare ulteriori appalti ad una società mista già costituita”.

In altre parole, la scelta del socio privato mediante evidenza pubblica giustificherebbe un singolo affidamento (o come viene precisato “una singola missione”) e non può costituire la giustificazione per la creazione di una società “aperta o generalista”, in grado di assumere legittimamente la posizione di affidataria diretta per ulteriori contratti.

In questo panorama giuridico, la società mista opererebbe nei limiti dell’affidamento iniziale, senza la possibilità di ottenere ulteriori missioni che non siano già previste nel bando di affidamento originario, rendendosi necessaria una gara ad evidenza pubblica per l’eventuale affidamento di appalti ulteriori e successivi.

Questa impostazione è stata nuovamente affrontata dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 1028 del 15 marzo 2016, a seguito di un ricorso avverso il mancato “affidamento diretto” ad una società mista. Questa società, partecipata dallo stesso ente appaltante, con socio privato scelto attraverso una procedura di evidenza pubblica, creata a suo tempo per la gestione del trattamento e della depurazione dei reflui, pretendeva che anche la gestione dei Rifiuti Solidi Urbani (servizio peraltro non previsto nell’oggetto sociale iniziale) fosse affidata alla stessa società mista, senza il ricorso all’evidenza pubblica.

Investito della questione, rimarcando comunque la legittimità dell’istituto dell’affidamento diretto a società mista con capitale sociale prevalentemente pubblico, ha sottolineato che la scelta del socio privato (a prescindere dall’entità del suo conferimento a capitale sociale e rispettando comunque la regola della pubblica evidenza) debba essere fatta prioritariamente valutando le specifiche caratteristiche tecniche dello stesso, in stretta connessione con il servizio pubblico da svolgere in seno alla società mista affidataria.

Tenendo presente ciò, le specifiche caratteristiche del socio privato erano state tenute in considerazione in virtù dello smaltimento e depurazione dei reflui (primo appalto diretto) e non per la gestione dei rifiuti (secondo appalto, oggetto di contestazione), ritenendo legittima la scelta dell’amministrazione di non procedere ad affidamento diretto, ma di effettuare gara ad evidenza pubblica.

Concludendo, alla luce anche delle considerazioni effettuate di recente dalla citata sentenza del Consiglio di Stato, la disciplina pare essere giunta alla sua definitiva compiutezza, delineandosi così la casistica all’interno della quale è possibile ricorrere alla procedura di affidamento diretto, tipica delle “società in house”, anche per le “società miste”, mitigando l’obbligo per le pubbliche amministrazioni di ricorrere sempre e comunque a procedure di evidenza pubblica.

A tal fine, riunendo le varie pronunce giurisprudenziali sia nazionali che europee, per procedere ad un affidamento diretto ad una società mista sarà necessario che:

  • Il capitale sociale sia prevalentemente pubblico
  • Il servizio da affidare direttamente sia già contemplato nell’oggetto sociale originario della società mista
  • Il socio privato sia scelto con una procedura di pubblica evidenza, privilegiando le sue competenze tecniche in relazione al servizio da svolgere.