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L’impresa tra economia e diritto

Impresa
Impresa

Da qualche tempo si va diffondendo nel nostro paese una teoria giuridica che si fonda su concetti e principi economici denominata law and economics [per meglio inquadrare la materia alleghiamo in appendice alcune considerazioni tratte da B.S. Markesinis - S.F. Deakin Tort law 4ͣ Edizione Clarendon Press Oxford 1999, pagina 23] elaborata nel mondo anglosassone. È un diritto assai lontano dalle tradizioni giuridiche del nostro paese, pervase, oltre che da valori economici, molto da valori sociali e morali, ma anche lontana dalla common law. Tanto che da taluni per designarla si ricorre al termine di “new right”.

Si potrebbe anche configurare come una interpretazione economica del diritto o anche la ricerca dei principi economici sottostanti alle norme di legge e ai pronunciamenti dei tribunali.

A tal proposito abbiamo deciso, al fine di comprendere questa nuova prospettiva, di testarla cercando di confrontare la nozione di impresa nelle due prospettive, quella tradizionale-romanistica e quella, per così dire, nuova.

Nel nostro ordinamento ha dato luogo a dispute anche il rapporto che passa tra l’impresa e l’azienda.

Già definire la nozione di “impresa” nell’ordinamento giuridico tradizionale è di per se stesso di estrema difficoltà. Impresa, azienda, organizzazione sono concetti finitimi, accostabili, sovrapponibili.

La tradizione romanistica nel definire l’azienda (impresa) risulta piuttosto statica, in linea con le caratteristiche proprie dell’economia pre industriale.

Disputata è la natura giuridica dell’azienda: l’opinione tradizionale la considera come una universitas facti. Secondo una recente opinione l’azienda sarebbe una cosa composta funzionale, in cui le singole cose non sono collegate materialmente, ma funzionalmente e, cioè, dal loro impiego, dalla loro destinazione comune. Vi è chi dà rilievo al concetto di organizzazione e chi considera l’azienda come una universitas iuris o iurium. In definitiva per concludere, il codice non dà la definizione dell’impresa, ma quella dell’imprenditore: l’imprenditore, secondo l’articolo 2092 codice civile, è chi esercita professionalmente, e cioè, sistematicamente, un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi.

Più avanzata è la c.d. teoria istituzionalista dell’impresa.

Il concetto di istituzione come elaborato dal massimo rappresentante nel nostro paese di tale corrente, il Santi Romano è un concetto assai ampio. “Per istituzione intendiamo ogni ente o corpo sociale” (v. Santi Romano L’ordinamento giuridico, Sansoni 1977, sul punto pagina 35).

E ancora esprime un concetto che avvicina vieppiù l’istituzione all’impresa/azienda/organizzazione là dove enuncia (op.cit. pagina 40) “C’è una parola, che finora abbiamo di proposito evitata, che potrebbe sembrare necessaria e sufficiente per chiarire la natura dell’istituzione, ed è la parola ‘organizzazione’ . Infatti, non è dubbio che l’istituzione sia un’organizzazione sociale, e abbiamo visto che così si son cercate di definire quelle, fra le istituzioni, che costituiscono delle persone giuridiche, dichiarando che non è possibile analizzare ulteriormente questo concetto semplice ed elementare. Sennonché, a parte la diffidenza, invero giustificata, che suscita un vocabolo di cui si è fatto così grande abuso e che spesso è adoperato per stendere un velo su ciò che non si sa spiegare o chiarire, è da osservare (e questo è per noi essenziale) che il concetto di organizzazione non può servire pel giurista finché non si riduca a concetto giuridico.”.

È noto inoltre che il pensiero “istituzionalista” italiano ha un importante antecedente nell’opera di Maurice Hauriou “La tèhorie de l’institution et de la fondation (ed.it. Maurice Hauriou Teoria dell’istituzione e della fondazione, Giuffrè 1967) che si muove da presupposti diversi, soprattutto vedendo come elemento centrale dell’istituzione l’“idea dell’opera”. Fino ad affermare che “L’elemento più importante di ogni istituzione corporativa consiste nella idea dell’opera da realizzare in un gruppo sociale o a suo vantaggio. Ogni corpo costituito ha da realizzare un’opera o un’impresa. Una società anonima è la messa in opera di un affare, ossia di un’impresa di speculazione” (v. op.cit. pagina15). Soprattutto questa ultima affermazione dà conto degli enormi progressi compiuti rispetto alle dottrine romanistiche e del valore economico in senso dinamico oltre che giuridico del termine “ impresa”.

Più recentemente, più vicino a noi, è stato affermato nel XIII seminario di preparazione per dirigenti sindacali ed aziendali, “L’organizzazione del lavoro nell’impresa e le responsabilità dell’imprenditore” (Giuffrè 1970, Relazione di Mazzoni, pagina 5): “Ho detto che la nozione istituzionale dell’impresa è stata accolta da due punti di vista diversi: da chi ha ritenuto che i rapporti di gerarchia e di collaborazione intercorrenti fra soggetti organizzati e impresa (artt. 2086 e 2094 codice civile) troverebbero il loro fondamento nel perseguimento di uno scopo comune, sia da chi ha ravvisato nell’istituzione-impresa un coordinamento di autorità; un mondo giuridico a sè, un sistema normativo autonomo completo nei suoi fini e nel suo genere. Ora, poiché, secondo questa tesi, l’impresa presuppone una organizzazione di beni e di lavoro umano, una comunità di persone, un ordine interno, l’inserzione dei singoli lavoratori nell’impresa non sarebbe altro che l’ingresso nell’istituzione, in questo particolare ordinamento, mentre il contratto di lavoro non sarebbe che lo strumento giuridico che unisce, nell’ istituzione, il capo dell’impresa a ciascuno dei componenti del personale”.

Da ultimo possiamo ricordare la concezione del Persiani nella sua opera “L’organizzazione del lavoro nell’impresa” (Padova 1966, pagina 43), il quale formula l’ipotesi che “l’ordinamento assegna al contratto di lavoro la funzione caratteristica di determinare l’esistenza dell’organizzazione del lavoro”.

Come abbiamo su accennato, per quanto ci interessa, si è affacciata nel panorama economico una nuova teoria, la c.d. “law and economics”. La svolta “istituzionalista” in economia che fonda la nuova teoria, che avrebbe avuto importanti impatti anche in altri campi, è da attribuirsi a Ronald Coase, insignito del Premio Nobel per l’economia nel 1991.

Ai fini del nostro studio terremo presente la raccolta di saggi intitolata R.H.Coase “Impresa, mercato e diritto” (ed. Il Mulino, 2006).

In uno dei saggi più importanti in essa contenuto “La natura dell’impresa”, Coase così introduce il problema: “L’impresa nella moderna teoria economica è un’organizzazione che trasforma input in output. Perché esistono le imprese, che cosa determina il numero delle imprese, che cosa determina cosa fanno le imprese (gli input che un’impresa compra o l’output che vende) non sono domande interessanti per la maggioranza degli economisti. Nella teoria economica, l’impresa — come ha detto recentemente Hahn — è una ‘figura indistinta’. Questa mancanza di interesse è veramente straordinaria, dato che la maggioranza delle persone negli Stati Uniti, nel Regno Unito, e negli altri paesi occidentali lavorano presso delle imprese, che le imprese forniscono la maggior parte della produzione, e che l’efficienza dell’intero sistema economico dipende per una parte molto rilevante da che cosa accade all’interno di queste molecole economiche. Lo scopo del mio articolo, La natura dell’impresa, fu di fornire un fondamento logico all’impresa e indicare cosa determina il campo di attività che essa intraprende.” (op.cit. pagina 46.).

Non ci è consentito in questo breve saggio dilungarci molto sulla trattazione del tema fatta da Coase. Ci limiteremo a brevi cenni.

Basterà dire che il Coase pone al centro della sua analisi il concetto di "costi delle transazioni di mercato ".

Nel successivo saggio “Il problema del costo sociale”, così li individua: “Per condurre una transazione di mercato è necessario individuare chi è la persona con cui si desidera trattare, informare il pubblico che si desidera trattare e in quali termini, condurre le negoziazioni che portano all’accordo, stendere il contratto, intraprendere le indagini necessarie per essere sicuri che i termini del contratto sono stati rispettati, e così via. Queste operazioni sono spesso estremamente costose; in ogni caso, sufficientemente costose da impedire molte delle transazioni che sarebbero concluse in un mondo in cui il sistema dei prezzi funzionasse senza costi” (op.cit. pagina 218).

Fatte queste premesse entriamo nel vivo della trattazione, op. cit. pagina 77.

Il nostro compito è quello di cercare di scoprire perché mai emerge l’impresa in un’economia basata sullo scambio specializzato…… La ragione principale per cui è vantaggioso costituire una impresa sembrerebbe essere che esiste un costo d’uso del meccanismo dei prezzi. Il costo più ovvio per organizzare la produzione attraverso il meccanismo dei prezzi è quello di scoprire quali sono i prezzi rilevanti. Questo costo può essere ridotto ma non verrà eliminato dall’emergere di specialisti che vendano queste informazioni. Deve inoltre essere preso in considerazione il costo di negoziare e concludere un contratto separato per ogni scambio sul mercato. Ancora, in certi mercati – per esempio le borse merci – viene impiegata una tecnica per minimizzare questi costi contrattuali, ma essi non vengono eliminati. È vero che i contratti non sono eliminati quando si ha una impresa, ma essi sono notevolmente ridotti. Un fattore di produzione (o il suo proprietario) non deve concludere una serie di contratti con i fattori con cui egli sta cooperando all’interno dell’impresa, come invece sarebbe necessario, ovviamente, se questa cooperazione fosse l’effetto diretto del funzionamento del meccanismo dei prezzi. Un solo contratto viene sostituito a un’intera serie di contratti. A questo punto è importante notare la caratteristica del contratto sottoscritto dal proprietario di un fattore impiegato all’interno dell’impresa. Con questo contratto il proprietario del fattore, in cambio di una certa remunerazione (che può essere fissa o variabile), accetta di obbedire agli ordini di un imprenditore entro certi limiti. La sostanza del contratto è che esso stabilisce solamente i limiti dell’autorità dell’imprenditore. All’interno di questi limiti, egli può quindi dirigere gli altri fattori di produzione”.

Aggiunge ancora il Coase: “Ci sono tuttavia altri svantaggi (o costi) nell’usare il meccanismo dei prezzi. Si potrebbe desiderare di concludere un contratto a lungo termine per la fornitura di un certo articolo o servizio. Ciò può essere dovuto al fatto che se viene fatto un contratto per un periodo più lungo invece di parecchi contratti più brevi, vengono evitati alcuni costi connessi alla conclusione di ogni contratto. Oppure, le persone interessate possono preferire un contratto a lungo piuttosto che a breve termine a causa del loro atteggiamento verso il rischio. Ora, a causa del fatto che è difficile fare previsioni, più lungo è il periodo contrattuale di fornitura della merce o del servizio, meno possibile e in verità meno desiderabile è per l’acquirente specificare cosa ci si aspetta dall’altra parte contrattuale. Può ben essere indifferente per la persona che fornisce 1a merce o il servizio quale tra diverse azioni alternative saranno intraprese, ma non per l’acquirente di quel servizio o merce. L’acquirente non sa già al presente quale azione egli vorrà che sia intrapresa in futuro dal fornitore. Quindi il servizio che viene fornito è definito in termini generali, e viene lasciata per una data successiva la specificazione esatta dei dettagli. Tutto ciò che viene fissato nel contratto sono i limiti delle prestazioni del fornitore. I dettagli di cosa deve fare il fornitore non sono definiti nel contratto, bensì decisi in seguito dall’acquirente. Quando la destinazione delle risorse (entro i limiti del contratto) dipende dal compratore ,nel modo descritto, si ottiene quella relazione che io chiamo un’impresa”.

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Lettura consigliata

B.S. Markesinis - S.F. Deakin Tort law 4ͣ Edizione Clarendon Press Oxford 1999, pagina 23

(Traduzione di Massimo Viceconte)

ANALISI ECONOMICA DELLA LEGGE

Osservazioni generali

Negli ultimi anni, le Corti di common law, soprattutto degli Stati uniti, hanno incrementato l’uso delle tecniche di analisi economica nell’emanare sentenze. Queste tecniche derivano dalla c.d. economia del benessere, che considera l’ordinamento giuridico ( il sistema legale) come un mezzo potenziale di accrescimento dell’efficienza dell’allocazione delle risorse della società. Da questo punto di vista, la legge è “una gigantesca macchina che determina i prezzi” in cui ‘la legge agisce come fattore di prezzi e di imposte che contribuisce a stimolare’, in tal modo affiancando il meccanismo di allocazione delle risorse del mercato.

La law of tort, e in modo particolare i “torts of nuisance and negligence” sono stati il focus per molte delle prime penetrazioni nella teoria economica della legge. E hanno continuato a fornire fertile terreno per gli studiosi e dibattito all’interno del mondo della common law. Comunque molto poco di questo sforzo accademico è penetrato dentro le Corti inglesi, sebbene questa situazione avrebbe potuto (….) cominciare a cambiare.

Possono sussistere buone ragioni per questa limitazione nell’accoglimento nelle Corti dei concetti economici. Una grande quantità di trattazione di concetti economici in questa area risulta difficile per i non specialisti da comprendere. Pur avendo detto che, oggi ci sono parecchi testi e articoli che sono scritti con chiarezza e ragionevolmente accessibili a non-specialisti. Una obiezione più consistente è che la linea adottata in particolare dalla scuola di Chicago e i suoi seguaci ha determinato controversie. Il “law and economics movement” è stato in vario modo criticato in quanto applica principi economici in un modo inconsistente e carente.

È stato pure accusato di avere mancato di riconoscere i giudizi di valore che sono inerenti all’analisi economica e di cercare di portare avanti il programma di una politica radicale del New Right a spese di altri punti di vista. Quali mai siano le cose giuste e le cose sbagliate di queste critiche ,date queste circostanze si è ben lungi dal chiarire perché l’approccio economico alla legge dovrebbe essere adottato dai tribunali, che sotto questo aspetto non sono più qualificati di quanto lo siano gli accademici, a scegliere tra i punti di vista in competizione dei singoli protagonisti.

 A seguire questa opinione, comunque, si commetterebbe l’errore di identificare in una sola scuola di pensiero –la Chicago School- come comprendente l’intero campo del “law and economics”. In realtà questo campo è estremamente diversificato e i lavori pioneristici di scrittori quali il Premio Nobel Ronald Coase hanno trovato applicazione in una vasta gamma di contesti. Allo stesso tempo, moltissimi analisti si ripartiscono il comune terreno per rendere l’applicazione delle tecniche economiche una realistica possibilità in certe branche della legge.

Non si deve necessariamente condividere l’opinione spinta del giudice Richard Posner (espressa nella sua veste accademica) che l’analisi economica può essere un solvente universale per i problemi giuridici ed etici, per comprendere che per almeno qualche questione le tecniche economiche possono approntare un utile, aggiuntivo strumento alle Corti. Uno dei critici più forti del giudice Posner ha scritto che “l’analisi economica per sé stessa, libera (non gravata) da scelte di valore, può essere un effettivo soccorso nell’analizzare le questioni presentate nelle dispute legali, chiarendo quando una scelta di valore deve essere fatta, e identificando quali scelte sono valide” (Prof. Barbara Ann White).

La costruzione dottrinaria di Coase si fonda sul noto “Teorema di Coase”.

Il “Teorema di Coase” e il Concetto di Costi della Transazione

Il punto di partenza per l’analisi economica della legge è la proposizione nota come il ‘Teorema di Coase’, che può essere enunciato come segue: l’attribuzione di diritti e responsabilità legali non ha nessuna implicazione circa l’efficienza economica finché le parti implicate in una specifica vertenza possono negoziare senza costo alcuno, vale a dire, con “zero transaction costs” (a costo zero di transazione) per risolvere la disputa. Questo sorprendente risultato – sorprendente almeno per i giuristi – è spiegato da Coase con l’esempio di un allevatore il cui bestiame sconfina nella terra confinante di un agricoltore, danneggiando il suo raccolto.

Se il diritto di far pascolare il bestiame vale (costa) per l’allevatore più di quanto il diritto dell’agricoltore di tenere il suo raccolto esente dalle interferenze valga per lui (costi a lui), è irrilevante che una Corte possa dare all’agricoltore il diritto legale di proibire lo sconfinamento del bestiame. In un mondo senza costi di transazione la parte che valuti il diritto al massimo grado preferirà comprarlo da un terzo.

Un tale scambio porterà a un aumento di benessere, dal momento che, per definizione, renderà entrambe le parti più ricche di quanto fossero prima dello scambio. L’imposizione da parte della Corte di obblighi legali presenta implicazioni di natura distributiva ed in tal modo colpisce la relativa ricchezza privata delle due parti, ma non colpisce, date queste premesse, il costo sociale netto dell’attività in uno o altro modo .

Per apprezzare questo punto di vista è necessario tenere a mente che l’analisi economica della legge si focalizza (si incentra) sul costo netto della società tanto di certe attività dannose quanto dell’intervento della legge destinato a controbilanciarle. Il libero scambio, basato sul contratto, è visto come il normale mezzo per aumentare il valore delle risorse economiche. Questo, naturalmente, in base all’(importante) assunto che entrambe le parti ai fini dello scambio agiscano razionalmente per raggiungere lo scopo del loro proprio interesse, e che i loro contratti non siano viziati da violenza o frode.

Quindi, lo scambio necessariamente renderà loro più ricchi di quanto fossero prima. La tort law, al contrario, determina una serie di trasferimenti di reddito da una parte all’altra attraverso norme che richiedono il pagamento del risarcimento. Un trasferimento di reddito, disposto dalla Corte non può essere assunto per creare valore economico aggiunto allo stesso modo che farebbe un contratto. Per meglio dire, a causa dei costi amministrativi dei sistemi di trasferimento del reddito sistemi come la tort-law o la social security, è possibile che possa derivarne un costo netto alla società. Il tort tuttavia si aggiunge al contratto nell’assicurare un efficiente allocazione delle risorse economiche; ma il primato del contratto non necessariamente regge in una situazione in cui lo scambio market-based è sconsigliato dagli alti costi di transazione.

Il Teorema di Coase, poi, ricorda ai giuristi che le decisioni sulla responsabilità legale sono soltanto l’inizio di un processo di allocazione delle risorse, che prosegue per mezzo del mercato. Come asserzione, il teorema di Coase è essenzialmente tautologico, in quanto consegue dal modo in cui Coase appare definire i ‘costi di transazione’ in maniera così larga di includere tutti gli ostacoli allo scambio fra i privati. Del resto è del tutto chiaro che Coase non intendeva proprio riaffermare i principi base del welfare economics. La sua posizione caratterizzata dall’utilizzo di un modello di scambio senza costi mirava a illustrare le funzioni economiche delle norme di legge nelle situazioni della vita reale in cui i costi di transazione sono invece alti.

Così il concetto di costi di transazione è centrale nell’analisi di Coase. Con riguardo in particolare al processo di contrattazione, i costi di transazione possono utilmente essere descritti come tutti i costi per arrivare all’accordo, monitorandoli durante la prestazione e dirigendola, se necessario, a mezzo di sanzioni di natura legale o di natura diversa.

Più in generale, perciò, i costi di transazione comprendono qualunque cosa che impedisce che l’equilibrio competitivo di un mercato sia raggiunto attraverso lo scambio: essi includono costi di rappresentanza, costi di informazione, strategie di comportamento, esclusive, “small numbers bargaining” (contrattazione su piccoli numeri), scelte sbagliate, e tutte le altre cause di non completo o errato scambio previste dalla teoria economica. Il teorema di Coase può considerarsi come una tautologia, ma ciò è irrilevante dal momento che lo scopo del concetto di costi di transazione non è, alla fine, quello di prendere in esame lo stato dell’equilibrio competitivo.

Il suo scopo è, piuttosto, quello di portare l’attenzione ai meccanismi istituzionali che nascono in forza dell’incapacità del libero mercato di arrivare a questo stato di equilibrio senza aiuto alcuno.