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L’inconsistenza dell’ordine costituzionale

Dopo la sentenza n. 4182/2012 delle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione, che ha aperto un varco al riconoscimento delle unioni omosessuali, cercando di oltrepassare il limite insito nell’art. 29 della Costituzione e riaffermato dalla Consulta[1], il dibattito si arricchisce alla luce della recente pronuncia n. 601/2013 della I° sez. della Corte di Cassazione.

Se con estrema facilità la discussione era finita ai margini di sterili polemiche politiche si sono subito aperti nuovi spunti di riflessione al cospetto di una pronuncia definita «storica»[2].

In un breve lasso di tempo si è passati quindi dall’ipotizzare il riconoscimento dell’atto di matrimonio contratto all’estero delle coppie omosessuali ad ammettere alle stesse l’affido esclusivo di un minore.

1. La sent. n. 601/2013 e la sua incidenza nell’ordinamento giuridico italiano.

La vicenda giudiziaria ha riguardato un uomo, cittadino musulmano, che opponendosi alla decisione del Tribunale per i Minorenni contestava la concessione dell’affido esclusivo alla ex moglie, in relazione stabile con un’altra donna.

Avverso tale decisione l’uomo adiva la Corte d’Appello di Brescia che però rigettava l’appello con sent. n. 858/2011). La Corte di Brescia motivava «che nell’affidare ai servizi sociali il compito di disciplinare le modalità degli incontri e modalità degli incontri padre e figlio, il Tribunale non aveva affatto abdicato al potere spettantegli ai sensi dell’art. 155 c.c.»[3]; «che la doglianza relativa alla necessità di affido condiviso in considerazione del contesto famigliare in cui viveva la madre, ex tossicodipendente ed in relazione sentimentale con una donna, era inammissibile per genericità, non specificando quali fossero le paventate ripercussioni negative per bambino»[4]; ed infine «che il rifiuto all’affidamento condiviso e l’affidamento esclusivo del figlio erano giustificabili in considerazione dell’interesse del minore, il quale aveva assistito a un episodio di violenza agitata dal padre ai danni della madre»[5].

Sollevando la questione dinanzi alla Suprema Corte di Cassazione, il ricorrente proponeva tre motivi di censura. I primi venivano dichiarati inammissibili dalla Corte attraverso riconduzioni logiche riguardanti aspetti di carattere propriamente argomentativo.

Col terzo motivo di ricorso, il ricorrente denunciava la violazione degli art. 342 e 155 bis c.c., osservando che il Tribunale non aveva approfondito, così come richiesto, il contesto in cui sarebbe stato inserito il minore con l’affido esclusivo alla ex moglie legata affettivamente da relazione omosessuale, come tale inidonea sotto il profilo educativo a garantire l’equilibrato sviluppo del bambino[6].

Questo motivo veniva argomentato con l’esplicito richiamo ai diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio di cui all’art. 29 Cost., alla equiparazione tra figli nati dal matrimonio e figli legittimi di cui all’art. 30 Cost. ed infine con riferimento al diritto del minore ad essere educato secondo principi educativi e religiosi di entrambi i genitori.

La Suprema Corte di Cassazione ritenendo inammissibile anche tale ultimo motivo rilevava  l’assenza di specifiche ripercussioni negative sul piano educativo e della crescita del bambino ritenendo perciò generico e non concludente l’accenno ai principi costituzionali[7].

Inoltre la Corte aggiungeva che alla base delle doglianza del ricorrente non erano state poste certezze scientifiche o dati di esperienza, bensì l’allegazione di un mero pre-giudizio circa per la dannosità per l’equilibrato sviluppo del bambino per il fatto di vivere in una famiglia incentrata su una coppia omosessuale. In tal modo si dà per scontato ciò che invece è da dimostrare, ossia la dannosità di quel contesto familiare per il bambino[8].

2. Il “mero pregiudizio” che aleggia sulla Costituzione.

Gustavo Zagrebelsky ha di recente affermato che «una Costituzione ignorata equivale ad una Costituzione abrogata»[9]. Riflessione ampiamente condivisibile soprattutto in considerazione di una certa “evoluzione giurisprudenziale” che, poco a poco, sta minando alcuni intendimenti costituzionali di valore assoluto.

Nel pregevole opuscolo Come si studia il diritto, Roberto Bin ha spiegato che «il legislatore fatica moltissimo a inseguire il mutamento»[10]. Su questa asserzione, i giuristi nulla possono obiettare specie ove si consideri che un qualsiasi cambiamento nel campo del diritto perviene, quasi sempre, da nuovi fermenti ed esperienze culturali che, evidentemente, precedono nuove acquisizioni giuridiche.

Parimenti, però, è d’importanza fondamentale riflettere su come proporre tale cambiamento.

Un conto è intervenire con riconoscimenti di carattere civilistico, altra cosa è pensare alla modifica di taluni aspetti in grado di modificare l’essenza della Costituzione. 

Le due accennate ipotesi, com’è ovvio, richiedono soluzioni assai differenti.

Nel primo caso basterà che il Parlamento coi tempi e modi previsti per l’approvazione di una legge introduca riconoscimenti, come l’affido o l’adozione, alle coppie (famiglie?) omosessuali, perché è questo il tema caldo della sentenza n. 601/2013. Nella seconda, e ben più delicata questione, occorrerà invece riformulare il concetto di famiglia, riconosciuta (poiché antecedente alla) dalla Costituzione.

In entrambe le ipotesi sarebbe auspicabile che gli organi giurisdizionali si limitassero ad amministrare la giustizia in nome del popolo (art. 100 Cost.) evitando, ove possibile, di concorrere ad alimentare facili aspettative non propriamente sorrette da riferimenti normativi.

La sent. n. 601/2013 ha un chiaro “pregiudizio” di fondo verso la Costituzione, finendo, di fatto, per sminuirla attraverso iter tutt’altro che concordanti.

Che la Repubblica «riconosce i diritti della come società naturale fondata sul matrimonio» (art. 29 Cost., co. I) e che i genitori hanno «dovere e diritto a mantenere, istruire ed educare i figli» (art. 30 Cost.) non rappresentano - così come si legge nella sentenza - «generici e non concludenti accenni ai principi costituzionali». Questi infatti, molto più propriamente, rappresentano delle prerogative assolute contenute nel quadro dei valori costituzionali. Non ammetterle significa manifestare più di un pregiudizio sulla validità della stessa Costituzione. 

3. C’era una volta la Costituzione… Conclusioni di carattere generale.

Infine, prediligendo una riflessione in chiave costituzionale, è indubbio che anche i fenomeni giuridici e i conseguenti istituti di diritto, secondo l’autorevole insegnamento di Costantino Mortati[11], rappresentano su scala sociale la proiezione del fenomeno individuale.

A ben vedere la sentenza n. 601/2013 supera di gran lunga la precedente pronuncia della Cassazione, la nota sent. n. 4184/2012, poiché si spinge al punto da discorrere, riconoscendola quindi già esistente nell’ordinamento giuridico, di una famiglia di persone dello stesso sesso a cui affidare il minore; bollando come «mero pregiudizio» la rottura dell’equilibrio dello stesso per il fatto «di vivere in una famiglia incentrata su una coppia omosessuale».

La sentenza con pindarici voli interpretativi, sempre giustificati da nuovi bisogni sociali, non fa altro che sostituirsi al potere legislativo; estendendo il concetto di famiglia previsto dalla Costituzione in un eterogeneo recipiente in cui stipare un “nuovo modello di famiglia”.

L’affido ad una coppia omosessuale suppone acquisita l’esistenza di famiglie omosessuali. Qui si acuisce un problema d’ordine di logica conseguenza alla sent. n.4182/2012 delle S.U. della Corte di Cassazione. Infatti ad essere in discussione, prima ancora della legittimità dell’affido ad una coppia dello stesso sesso, è la paventata ammissibilità di introdurre nel vigente sistema costituzionale un modello di famiglia alternativo e concorrente a quello riconosciuto dalla Costituzione.

Con tale riconoscimento, è stato affermato, si introdurrebbe «un modello tale da vanificare le ragioni poste dal Costituente a fondamento del regime premiale adottato per la famiglia legittima, per via dell’introduzione di condizioni - per così dire - più vantaggiose dal punto di vista dei diritti e meno gravose da quello dei doveri, rispetto a quelle statuite per l’istituto matrimoniale, invece assai più marcate per l’insistenza di ben altri vincoli giuridici»[12].

La consolidata dottrina costituzionalista ammette, ormai da tempo, una Costituzione non immune da modifiche, tant’è che nel pensiero contemporaneo è ormai pacifico ritenere «inscindibili la rigidità delle Costituzioni e il naturale considerare non intoccabili e pietrificate nel tempo le Carte fondamentali»[13].

Ma questo richiederebbe una discussione di diverso tipo sui valori.

C’era una volta la Costituzione Italiana che letta, rispettata ed attuata era la legge fondamentale. Era, appunto. 

 


[1] v. Corte Cost., sent. n. 138/2010.

[2] Così è definita la sentenza n. 601/2013 dal quotidiano «il Messaggero», edizione del 13.01.2013, anno 134, ed. n. 11., p.11.

[3] v. Cass. Civ., sez. I°, n. 601/2013, p. 3

[4] Ivi.

[5] Ivi, p. 4.

[6] cfr. Cass. Civ., sez I°, n. 601, 13.01.2013, punto 3, p. 7.

[7] Ivi, punto 3, p. 7.

[8] Ivi, p. 8.

[9] ZAGREBELSKY G., Si può amare la nostra Costituzione?, in «la Repubblica», 22 dicembre 2012, p.33.

[10] BIN R., Come si studia il diritto, Il Mulino, Bologna 2008, p. 15 e ss.

[11] MORTARI C., Istituzioni di diritto pubblico, Cedam, Padova 1975, p. 3 e ss.

[12] TONDI DELLA MURA V., La dimensione istituzionale dei diritti dei coniugi e la pretesa dei diritti individuali dei conviventi, in Quaderni costituzionali, anno XXVIII, n.1, febbraio 2008.

[13] CUCCUDORO E., Lettera e spirito dei poteri. Idee di organizzazione costituzionale,editoriale scientifica, Napoli 20012, tomo I, p.44.

 

Dopo la sentenza n. 4182/2012 delle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione, che ha aperto un varco al riconoscimento delle unioni omosessuali, cercando di oltrepassare il limite insito nell’art. 29 della Costituzione e riaffermato dalla Consulta[1], il dibattito si arricchisce alla luce della recente pronuncia n. 601/2013 della I° sez. della Corte di Cassazione.

Se con estrema facilità la discussione era finita ai margini di sterili polemiche politiche si sono subito aperti nuovi spunti di riflessione al cospetto di una pronuncia definita «storica»[2].

In un breve lasso di tempo si è passati quindi dall’ipotizzare il riconoscimento dell’atto di matrimonio contratto all’estero delle coppie omosessuali ad ammettere alle stesse l’affido esclusivo di un minore.

1. La sent. n. 601/2013 e la sua incidenza nell’ordinamento giuridico italiano.

La vicenda giudiziaria ha riguardato un uomo, cittadino musulmano, che opponendosi alla decisione del Tribunale per i Minorenni contestava la concessione dell’affido esclusivo alla ex moglie, in relazione stabile con un’altra donna.

Avverso tale decisione l’uomo adiva la Corte d’Appello di Brescia che però rigettava l’appello con sent. n. 858/2011). La Corte di Brescia motivava «che nell’affidare ai servizi sociali il compito di disciplinare le modalità degli incontri e modalità degli incontri padre e figlio, il Tribunale non aveva affatto abdicato al potere spettantegli ai sensi dell’art. 155 c.c.»[3]; «che la doglianza relativa alla necessità di affido condiviso in considerazione del contesto famigliare in cui viveva la madre, ex tossicodipendente ed in relazione sentimentale con una donna, era inammissibile per genericità, non specificando quali fossero le paventate ripercussioni negative per bambino»[4]; ed infine «che il rifiuto all’affidamento condiviso e l’affidamento esclusivo del figlio erano giustificabili in considerazione dell’interesse del minore, il quale aveva assistito a un episodio di violenza agitata dal padre ai danni della madre»[5].

Sollevando la questione dinanzi alla Suprema Corte di Cassazione, il ricorrente proponeva tre motivi di censura. I primi venivano dichiarati inammissibili dalla Corte attraverso riconduzioni logiche riguardanti aspetti di carattere propriamente argomentativo.

Col terzo motivo di ricorso, il ricorrente denunciava la violazione degli art. 342 e 155 bis c.c., osservando che il Tribunale non aveva approfondito, così come richiesto, il contesto in cui sarebbe stato inserito il minore con l’affido esclusivo alla ex moglie legata affettivamente da relazione omosessuale, come tale inidonea sotto il profilo educativo a garantire l’equilibrato sviluppo del bambino[6].

Questo motivo veniva argomentato con l’esplicito richiamo ai diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio di cui all’art. 29 Cost., alla equiparazione tra figli nati dal matrimonio e figli legittimi di cui all’art. 30 Cost. ed infine con riferimento al diritto del minore ad essere educato secondo principi educativi e religiosi di entrambi i genitori.

La Suprema Corte di Cassazione ritenendo inammissibile anche tale ultimo motivo rilevava  l’assenza di specifiche ripercussioni negative sul piano educativo e della crescita del bambino ritenendo perciò generico e non concludente l’accenno ai principi costituzionali[7].

Inoltre la Corte aggiungeva che alla base delle doglianza del ricorrente non erano state poste certezze scientifiche o dati di esperienza, bensì l’allegazione di un mero pre-giudizio circa per la dannosità per l’equilibrato sviluppo del bambino per il fatto di vivere in una famiglia incentrata su una coppia omosessuale. In tal modo si dà per scontato ciò che invece è da dimostrare, ossia la dannosità di quel contesto familiare per il bambino[8].

2. Il “mero pregiudizio” che aleggia sulla Costituzione.

Gustavo Zagrebelsky ha di recente affermato che «una Costituzione ignorata equivale ad una Costituzione abrogata»[9]. Riflessione ampiamente condivisibile soprattutto in considerazione di una certa “evoluzione giurisprudenziale” che, poco a poco, sta minando alcuni intendimenti costituzionali di valore assoluto.

Nel pregevole opuscolo Come si studia il diritto, Roberto Bin ha spiegato che «il legislatore fatica moltissimo a inseguire il mutamento»[10]. Su questa asserzione, i giuristi nulla possono obiettare specie ove si consideri che un qualsiasi cambiamento nel campo del diritto perviene, quasi sempre, da nuovi fermenti ed esperienze culturali che, evidentemente, precedono nuove acquisizioni giuridiche.

Parimenti, però, è d’importanza fondamentale riflettere su come proporre tale cambiamento.

Un conto è intervenire con riconoscimenti di carattere civilistico, altra cosa è pensare alla modifica di taluni aspetti in grado di modificare l’essenza della Costituzione. 

Le due accennate ipotesi, com’è ovvio, richiedono soluzioni assai differenti.

Nel primo caso basterà che il Parlamento coi tempi e modi previsti per l’approvazione di una legge introduca riconoscimenti, come l’affido o l’adozione, alle coppie (famiglie?) omosessuali, perché è questo il tema caldo della sentenza n. 601/2013. Nella seconda, e ben più delicata questione, occorrerà invece riformulare il concetto di famiglia, riconosciuta (poiché antecedente alla) dalla Costituzione.

In entrambe le ipotesi sarebbe auspicabile che gli organi giurisdizionali si limitassero ad amministrare la giustizia in nome del popolo (art. 100 Cost.) evitando, ove possibile, di concorrere ad alimentare facili aspettative non propriamente sorrette da riferimenti normativi.

La sent. n. 601/2013 ha un chiaro “pregiudizio” di fondo verso la Costituzione, finendo, di fatto, per sminuirla attraverso iter tutt’altro che concordanti.

Che la Repubblica «riconosce i diritti della come società naturale fondata sul matrimonio» (art. 29 Cost., co. I) e che i genitori hanno «dovere e diritto a mantenere, istruire ed educare i figli» (art. 30 Cost.) non rappresentano - così come si legge nella sentenza - «generici e non concludenti accenni ai principi costituzionali». Questi infatti, molto più propriamente, rappresentano delle prerogative assolute contenute nel quadro dei valori costituzionali. Non ammetterle significa manifestare più di un pregiudizio sulla validità della stessa Costituzione. 

3. C’era una volta la Costituzione… Conclusioni di carattere generale.

Infine, prediligendo una riflessione in chiave costituzionale, è indubbio che anche i fenomeni giuridici e i conseguenti istituti di diritto, secondo l’autorevole insegnamento di Costantino Mortati[11], rappresentano su scala sociale la proiezione del fenomeno individuale.

A ben vedere la sentenza n. 601/2013 supera di gran lunga la precedente pronuncia della Cassazione, la nota sent. n. 4184/2012, poiché si spinge al punto da discorrere, riconoscendola quindi già esistente nell’ordinamento giuridico, di una famiglia di persone dello stesso sesso a cui affidare il minore; bollando come «mero pregiudizio» la rottura dell’equilibrio dello stesso per il fatto «di vivere in una famiglia incentrata su una coppia omosessuale».

La sentenza con pindarici voli interpretativi, sempre giustificati da nuovi bisogni sociali, non fa altro che sostituirsi al potere legislativo; estendendo il concetto di famiglia previsto dalla Costituzione in un eterogeneo recipiente in cui stipare un “nuovo modello di famiglia”.

L’affido ad una coppia omosessuale suppone acquisita l’esistenza di famiglie omosessuali. Qui si acuisce un problema d’ordine di logica conseguenza alla sent. n.4182/2012 delle S.U. della Corte di Cassazione. Infatti ad essere in discussione, prima ancora della legittimità dell’affido ad una coppia dello stesso sesso, è la paventata ammissibilità di introdurre nel vigente sistema costituzionale un modello di famiglia alternativo e concorrente a quello riconosciuto dalla Costituzione.

Con tale riconoscimento, è stato affermato, si introdurrebbe «un modello tale da vanificare le ragioni poste dal Costituente a fondamento del regime premiale adottato per la famiglia legittima, per via dell’introduzione di condizioni - per così dire - più vantaggiose dal punto di vista dei diritti e meno gravose da quello dei doveri, rispetto a quelle statuite per l’istituto matrimoniale, invece assai più marcate per l’insistenza di ben altri vincoli giuridici»[12].

La consolidata dottrina costituzionalista ammette, ormai da tempo, una Costituzione non immune da modifiche, tant’è che nel pensiero contemporaneo è ormai pacifico ritenere «inscindibili la rigidità delle Costituzioni e il naturale considerare non intoccabili e pietrificate nel tempo le Carte fondamentali»[13].

Ma questo richiederebbe una discussione di diverso tipo sui valori.

C’era una volta la Costituzione Italiana che letta, rispettata ed attuata era la legge fondamentale. Era, appunto. 

 


[1] v. Corte Cost., sent. n. 138/2010.

[2] Così è definita la sentenza n. 601/2013 dal quotidiano «il Messaggero», edizione del 13.01.2013, anno 134, ed. n. 11., p.11.

[3] v. Cass. Civ., sez. I°, n. 601/2013, p. 3

[4] Ivi.

[5] Ivi, p. 4.

[6] cfr. Cass. Civ., sez I°, n. 601, 13.01.2013, punto 3, p. 7.

[7] Ivi, punto 3, p. 7.

[8] Ivi, p. 8.

[9] ZAGREBELSKY G., Si può amare la nostra Costituzione?, in «la Repubblica», 22 dicembre 2012, p.33.

[10] BIN R., Come si studia il diritto, Il Mulino, Bologna 2008, p. 15 e ss.

[11] MORTARI C., Istituzioni di diritto pubblico, Cedam, Padova 1975, p. 3 e ss.

[12] TONDI DELLA MURA V., La dimensione istituzionale dei diritti dei coniugi e la pretesa dei diritti individuali dei conviventi, in Quaderni costituzionali, anno XXVIII, n.1, febbraio 2008.

[13] CUCCUDORO E., Lettera e spirito dei poteri. Idee di organizzazione costituzionale,editoriale scientifica, Napoli 20012, tomo I, p.44.