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L’utilizzo della PEC nei concorsi pubblici: commento alla Circolare n. 12/2010

1. Il problema sollevato dagli agronomi e la Circolare n. 12/2010

Con Circolare 3 settembre 2010, n. 12 (pubblicata nella Gazzetta ufficiale 28 ottobre 2010, n. 253), il Dipartimento per la digitalizzazione e l’innovazione (DDI) del Ministero per la funzione pubblica ha confermato che la posta elettronica certificata (PEC) può essere utilizzata per la trasmissione di istanze di partecipazione ai concorsi pubblici. Lo strumento c’è, è perfino regolamentato in modo eccessivo (sicuramente migliorabile) e va, quindi, utilizzato senza particolari remore, attesa la sua equiparabilità in ambiente digitale alla tradizionale raccomandata con avviso di ricevimento.

È stata così correttamente risolta una querelle sollevata contro il Ministero della pubblica istruzione dal Consiglio nazionale degli agrotecnici e degli agrotecnici laureati, che si era visto inopinatamente negare dal Dicastero guidato dalla Gelmini l’ipotesi di inviare una domanda di concorso attraverso una PEC.

La vicenda avrebbe potuto trasformarsi in un fatto davvero imbarazzante per un Governo che da un lato spinge fortemente l’acceleratore della riforma digitale e dall’altro tiene il freno a mano tirato fino a sbandare. In ogni caso, la questione è stata risolta nel modo, a nostro avviso, corretto. Ma dobbiamo ora chiederci: sono risultate esaustive le spiegazioni della Circolare n. 12/2010, oppure ci sono alcune ombre che vanno evidenziate con rigore, considerato che la circolare è, per sua natura, uno strumento esplicativo?

2. I “silenzi” della Circolare n. 12/2010

Accanto a una corretta difesa della PEC, scritta però in un ormai datato giuri–burocratese (la cosa non è sottovalutabile, visto che la circolare proviene pur sempre dal Dicastero per la funzione pubblica!), ci sono alcuni silenzi che convincono poco.

Dopo qualche pagina di commenti e di richiami – sostanzialmente avulsi dal contesto normativo direttamente riconducibile al problema che si voleva risolvere, considerato che non trattava di PEC, ma di materia concorsuale – il DDI fa concludere al ministro Brunetta che la domanda di concorso presentata via PEC è equiparabile alla raccomandata a/r. Concordiamo pienamente con questa interpretazione, come già detto, ma si glissa su alcune questioni fondamentali, lasciando un silenzio inopportuno proprio in questa congiuntura così delicata di applicazione di questo strumento.

Ad esempio, nella Circolare n. 12/2010 non si fa alcun riferimento né agli aspetti legati alla tutela dei dati personali che, con la trasmissione e gestione dei documenti digitali nativi, viene assolutamente amplificata, né al problema della gestione, della archiviazione e, quindi, del mantenimento dell’autenticità e dell’inalterabilità degli allegati trasmessi con un messaggio di PEC. Inoltre, le fonti ministeriali evitano accuratamente di nominare la CEC–PAC (Comunicazione Elettronica Certificata Pubblica Amministrazione–Cittadino), che oggi ricorre con la “nuova” veste di Postacertificat@.

Nel primo caso, tra le tante parole spese, non si riscontra alcun riferimento ai problemi di conservazione a norma di un messaggio PEC! Nel secondo caso, anche ammettendo che la CEC–PAC sia un sottoinsieme di PEC, quanto meno stupisce la mancanza di precisi riferimenti ai provvedimenti normativi per la concretizzazione dei quali si sono stanziati diversi milioni di euro.

Ma un terzo e clamoroso silenzio della Circolare n. 12/2010 è ancora una volta l’assenza di chiarezza sull’effettivo utilizzo della PEC, soprattutto quando è la stessa domanda di concorso ad essere veicolata come allegato. È pur vero che è possibile presentare un’istanza attraverso la PEC, ma solo se questa è contenuta nel corpo del messaggio (body message) e non come semplice file allegato. File semplice, in questo caso, significa documento informatico non firmato digitalmente.

Chi come noi è a contatto con le amministrazioni pubbliche quotidianamente riceve quesiti su cosa accettare e su cosa si possa ritenere effettivamente sottoscritto attraverso la trasmissione di una PEC. Si è persa, in buona sostanza, un’occasione per fare chiarezza sul fatto che, per ritenersi “sottoscritta elettronicamente” (come novella il DPCM 6 maggio 2009, e non “firmata digitalmente”), la domanda dovrebbe essere contenuta nel corpo dell’e–mail certificata e che, di contro, mandare un messaggio PEC con allegati non sottoscritti con firma digitale non rileva ad alcunché!

Oppure, perché non specificare con chiarezza e una volta per tutte che un messaggio di PEC che trasmetta un’istanza in formato immagine, sottoscritta nell’originale scansito e accompagnata da un file (ad esempio un pdf o un tiff), ha lo stesso valore della trasmissione di un telefax? Infatti, in un contesto pubblico, inviare un’istanza allegando un file non sottoscritto digitalmente deve essere equivalente (e non potrebbe essere altrimenti!) all’invio di una raccomandata contenente un foglio di carta non sottoscritto. E ancora: è possibile eventualmente sanare l’istanza mediante una regolarizzazione seriore?

L’equivoco sta ancora nel pluricommentato art. 4, 4° comma, del DPCM 6 maggio 2009, che novella che “l’invio tramite PEC (si noti bene, riferendosi alla sola CEC PAC!) costituisce sottoscrizione elettronica”. Questo, però, vale eventualmente per il messaggio contenuto nella CEC PAC (o PostaCertificat@ o come la si voglia chiamare), non certo per i suoi allegati.

Infine, rimane ancora sul tappeto (e non lo si può spazzare via con un gesto stizzito della scopa nascondendolo sotto il divano!) il buco nero della conservazione di un messaggio PEC e, soprattutto, dei legami tra il messaggio e gli allegati trasmessi.

Ancora nulla viene specificato sui formati idonei alla diffusione e su quelli idonei alla conservazione (eppure l’art. 68, 4° comma del CAD li prevederebbe da tempo in un repertorio che avrebbe dovuto predisporre il CNIPA, oggi DigtPA!), né sulle parti e le componenti del messaggio PEC idonee alla dimostrazione dell’autenticità.

3. La pagina web ministeriale sulle statistiche PEC e i concorsi pubblici: tutto da rifare?

Il 23 settembre 2010 è apparsa sul sito web della Funzione pubblica la pagina seguente, che presenta le statistiche di utilizzo e di utilizzatori della PEC:

http://www.innovazionepa.gov.it/comunicazione/notizie/2010/settembre/23092010–––pec–a–cinque–mesi–da–avvio–la–usano–400000–cittadini–12–milioni–professionisti–mezzo–milione–imprese–11000–pa.aspx

Nel primo paragrafo si trova testualmente scritto: “Come ormai è noto, si tratta di uno strumento che consente ad esempio di richiedere istanze di accesso agli atti, presentare domande di partecipazione a concorsi pubblici (se il bando lo prevede) oppure inviare la documentazione relativa ad accertamenti tributari”.

C’è da sobbalzare sulla sedia per due ragioni: l’italiano incerto (ma una istanza si richiede? L’azione inversa?) e per quell’inciso tra parentesi “se il bando lo prevede”. Ma come “se il bando lo prevede”? Pochi giorni prima si è rischiato un conflitto interministeriale e ora si rimette tutto in discussione disorientando cittadini e amministrazioni pubbliche? Una decina di pagine della Circolare n. 12/2010 per fornire a tutte le amministrazioni l’interpretazione che la PEC è utilizzabile anche se il bando non la prevede e il sito istituzionale dello stesso Ministero che ha emanato quella circolare sembra ritornare sui suoi passi pubblicando una frase così imprecisa e fuorviante?

Glissiamo sulla questione dell’interpretazione non autorevole – e sottolineiamo non autorevole – dell’art. 65, comma 1, lett. c–bis del CAD, forzata ad arte e fornita con disinvoltura attraverso la Circolare (sulla quale ci soffermeremo più in là), ma non sul fatto che il 2 ottobre 2010 sulla pagina di Postacertificat@ risultavano i dati inerenti alle “richieste di attivazione da portale” (409.137) e al “Numero di caselle Postacertificat@ attivate” (175.074). Da qualche giorno compare solo il primo dato. Che sia un oscurantismo da successo annunciato e scarsamente riuscito?

Una cosa è inequivocabile: il diritto non crea incertezze, semmai, anche in ambito privatistico (quindi, a maggior ragione in ambito pubblicistico) la chiarezza e l’applicabilità delle norme favorisce l’attecchimento delle nuove tecnologie. Per questa ragione, finché avremo una normativa ambigua, involutiva e votata alla caducità avremo sempre un’amministrazione digitale claudicante.

4. L’arbitraria interpretazione dell’art. 65, comma 1, lett. c–bis del CAD

Un’ultima questione sollevata dalla Circolare n. 12/2010 lascia fortemente perplessi, anche perché la sicumera mal si attaglia alle questioni di diritto, che vanno sempre affrontate con un minimo di dubbio interpretativo.

In particolare, la Circolare afferma testualmente che “nel rispetto di quanto previsto dall’articolo 4 del DPR 487/1994, pertanto, l’inoltro tramite posta certificata di cui all’art. 16–bis del d.l. 185/2008 (vedi sopra lettera c–bis) è già sufficiente a rendere valida l’istanza, a considerare identificato l’autore di essa, a ritenere la stessa regolarmente sottoscritta”.

Il c–bis a cui fa riferimento la Circolare è una lettera piuttosto ambigua inserita recentemente nell’art. 65 del CAD dall’art. 17, comma 28, del D.L. 1° luglio 2009, n. 78. (lettera c–bis che, detto pure incidentalmente, nella bozza di modifica del CAD, in via di definitiva approvazione in Parlamento, già si è deciso di modificare!).

In ogni caso, dalla mera analisi testuale la lettera c–bis tutto dice tranne che l’invio con PEC costituisca un’istanza sottoscritta! E che una circolare ministeriale, di natura evidentemente esplicativa, provi a fornire un’interpretazione “autentica” di una fonte primaria del diritto è quanto meno una novità!

Basta leggere sistematicamente e con un minimo di lucidità interpretativa l’intero contenuto dell’attuale art. 65 del CAD per rendersi conto che il legislatore aveva (molto probabilmente) in mente qualcos’altro, di inattuabile forse, ma qualcos’altro. Lasciamo comunque a Voi lettori la semplice analisi dell’intero articolo 65 del CAD, tanto la Vostra interpretazione (di un testo che brilla per poca chiarezza) ha un valore esattamente identico, dal punto di vista delle fonti del diritto, alla opinione (pur prestigiosa) fornita nella Circolare n. 12/2010:

Art. 65. Istanze e dichiarazioni presentate alle pubbliche amministrazioni per via telematica.

1. Le istanze e le dichiarazioni presentate alle pubbliche amministrazioni per via telematica ai sensi dell’articolo 38, commi 1 e 3, del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, sono valide:

a) se sottoscritte mediante la firma digitale, il cui certificato è rilasciato da un certificatore accreditato;

b) ovvero, quando l’autore è identificato dal sistema informatico con l’uso della carta d’identità elettronica o della carta nazionale dei servizi, nei limiti di quanto stabilito da ciascuna amministrazione ai sensi della normativa vigente;

c) ovvero quando l’autore è identificato dal sistema informatico con i diversi strumenti di cui all’articolo 64, comma 2, nei limiti di quanto stabilito da ciascuna amministrazione ai sensi della normativa vigente e fermo restando il disposto dell’articolo 64, comma 3;

c–bis) ovvero quando l’autore è identificato dal sistema informatico attraverso le credenziali di accesso relative all’utenza personale di posta elettronica certificata di cui all’articolo 16–bis del decreto–legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2.

2. Le istanze e le dichiarazioni inviate o compilate sul sito secondo le modalità previste dal comma 1 sono equivalenti alle istanze e alle dichiarazioni sottoscritte con firma autografa apposta in presenza del dipendente addetto al procedimento; resta salva la facoltà della pubblica amministrazione di stabilire i casi in cui è necessaria la sottoscrizione mediante la firma digitale.

In definitiva, si tratta di una Circolare che inizia bene chiarendo l’uso e l’applicabilità dell’evoluzione tecnologica, ma che poi da un lato si perde in interpretazioni che lasciano più ombre che luci, dall’altro tace su questioni fondamentali per l’applicazione dell’amministrazione digitale in Italia in modo autorevole, affidabile e convincente per cittadini, imprese e amministrazioni pubbliche.

Quindi, che fare? È necessario soprattutto pubblicare sul sito informatico istituzionale la procedura per la presentazione di istanze, indicando i formati accettati e che la validità dell’istanza è subordinata al rispetto di quanto stabilito dal CAD in ordine alla trasmissione di documenti informatici: è una questione molto delicata, sulla quale avremo modo di ritornare.

Ci sia concessa un’ultima nota di carattere diplomatistico. Sulla PEC il Ministero ha scritto in pochi mesi tre circolari: n. 1/2010, n. 2/2010 e n. 12/2010. Nessuna di questa utilizza la medesima carta intestata. Hanno tutte e tre caratteri diversi di scrittura, sigillo diverso e in posizioni diverse, così come diverso è il carattere utilizzato nell’intestazione. Perché non è possibile neanche alla Funzione pubblica ottenere la normalizzazione, quantomeno per i caratteri estrinseci del documento, che risultano una delle fonti più importanti per l’ascrivibilità dell’atto al suo autore? Nell’ottica esclusiva del risultato, tanto caro ai dirigenti che ritengono le regole solo un appesantimento dell’azione amministrativa, si potrebbe pensare a dei vuoti formalismi. Prevale sempre il risultato sulla forma o la forma, pur strumento, è ancora sostanza? La mancanza di un barlume di cultura nella redazione di un documento importante, come la circolare ministeriale, dimostra la scarsa attenzione verso il nodo cruciale della conservazione dei documenti, PEC compresa, che però il sistema Italia non può assolutamente permettersi, specialmente in ambito digitale.

1. Il problema sollevato dagli agronomi e la Circolare n. 12/2010

Con Circolare 3 settembre 2010, n. 12 (pubblicata nella Gazzetta ufficiale 28 ottobre 2010, n. 253), il Dipartimento per la digitalizzazione e l’innovazione (DDI) del Ministero per la funzione pubblica ha confermato che la posta elettronica certificata (PEC) può essere utilizzata per la trasmissione di istanze di partecipazione ai concorsi pubblici. Lo strumento c’è, è perfino regolamentato in modo eccessivo (sicuramente migliorabile) e va, quindi, utilizzato senza particolari remore, attesa la sua equiparabilità in ambiente digitale alla tradizionale raccomandata con avviso di ricevimento.

È stata così correttamente risolta una querelle sollevata contro il Ministero della pubblica istruzione dal Consiglio nazionale degli agrotecnici e degli agrotecnici laureati, che si era visto inopinatamente negare dal Dicastero guidato dalla Gelmini l’ipotesi di inviare una domanda di concorso attraverso una PEC.

La vicenda avrebbe potuto trasformarsi in un fatto davvero imbarazzante per un Governo che da un lato spinge fortemente l’acceleratore della riforma digitale e dall’altro tiene il freno a mano tirato fino a sbandare. In ogni caso, la questione è stata risolta nel modo, a nostro avviso, corretto. Ma dobbiamo ora chiederci: sono risultate esaustive le spiegazioni della Circolare n. 12/2010, oppure ci sono alcune ombre che vanno evidenziate con rigore, considerato che la circolare è, per sua natura, uno strumento esplicativo?

2. I “silenzi” della Circolare n. 12/2010

Accanto a una corretta difesa della PEC, scritta però in un ormai datato giuri–burocratese (la cosa non è sottovalutabile, visto che la circolare proviene pur sempre dal Dicastero per la funzione pubblica!), ci sono alcuni silenzi che convincono poco.

Dopo qualche pagina di commenti e di richiami – sostanzialmente avulsi dal contesto normativo direttamente riconducibile al problema che si voleva risolvere, considerato che non trattava di PEC, ma di materia concorsuale – il DDI fa concludere al ministro Brunetta che la domanda di concorso presentata via PEC è equiparabile alla raccomandata a/r. Concordiamo pienamente con questa interpretazione, come già detto, ma si glissa su alcune questioni fondamentali, lasciando un silenzio inopportuno proprio in questa congiuntura così delicata di applicazione di questo strumento.

Ad esempio, nella Circolare n. 12/2010 non si fa alcun riferimento né agli aspetti legati alla tutela dei dati personali che, con la trasmissione e gestione dei documenti digitali nativi, viene assolutamente amplificata, né al problema della gestione, della archiviazione e, quindi, del mantenimento dell’autenticità e dell’inalterabilità degli allegati trasmessi con un messaggio di PEC. Inoltre, le fonti ministeriali evitano accuratamente di nominare la CEC–PAC (Comunicazione Elettronica Certificata Pubblica Amministrazione–Cittadino), che oggi ricorre con la “nuova” veste di Postacertificat@.

Nel primo caso, tra le tante parole spese, non si riscontra alcun riferimento ai problemi di conservazione a norma di un messaggio PEC! Nel secondo caso, anche ammettendo che la CEC–PAC sia un sottoinsieme di PEC, quanto meno stupisce la mancanza di precisi riferimenti ai provvedimenti normativi per la concretizzazione dei quali si sono stanziati diversi milioni di euro.

Ma un terzo e clamoroso silenzio della Circolare n. 12/2010 è ancora una volta l’assenza di chiarezza sull’effettivo utilizzo della PEC, soprattutto quando è la stessa domanda di concorso ad essere veicolata come allegato. È pur vero che è possibile presentare un’istanza attraverso la PEC, ma solo se questa è contenuta nel corpo del messaggio (body message) e non come semplice file allegato. File semplice, in questo caso, significa documento informatico non firmato digitalmente.

Chi come noi è a contatto con le amministrazioni pubbliche quotidianamente riceve quesiti su cosa accettare e su cosa si possa ritenere effettivamente sottoscritto attraverso la trasmissione di una PEC. Si è persa, in buona sostanza, un’occasione per fare chiarezza sul fatto che, per ritenersi “sottoscritta elettronicamente” (come novella il DPCM 6 maggio 2009, e non “firmata digitalmente”), la domanda dovrebbe essere contenuta nel corpo dell’e–mail certificata e che, di contro, mandare un messaggio PEC con allegati non sottoscritti con firma digitale non rileva ad alcunché!

Oppure, perché non specificare con chiarezza e una volta per tutte che un messaggio di PEC che trasmetta un’istanza in formato immagine, sottoscritta nell’originale scansito e accompagnata da un file (ad esempio un pdf o un tiff), ha lo stesso valore della trasmissione di un telefax? Infatti, in un contesto pubblico, inviare un’istanza allegando un file non sottoscritto digitalmente deve essere equivalente (e non potrebbe essere altrimenti!) all’invio di una raccomandata contenente un foglio di carta non sottoscritto. E ancora: è possibile eventualmente sanare l’istanza mediante una regolarizzazione seriore?

L’equivoco sta ancora nel pluricommentato art. 4, 4° comma, del DPCM 6 maggio 2009, che novella che “l’invio tramite PEC (si noti bene, riferendosi alla sola CEC PAC!) costituisce sottoscrizione elettronica”. Questo, però, vale eventualmente per il messaggio contenuto nella CEC PAC (o PostaCertificat@ o come la si voglia chiamare), non certo per i suoi allegati.

Infine, rimane ancora sul tappeto (e non lo si può spazzare via con un gesto stizzito della scopa nascondendolo sotto il divano!) il buco nero della conservazione di un messaggio PEC e, soprattutto, dei legami tra il messaggio e gli allegati trasmessi.

Ancora nulla viene specificato sui formati idonei alla diffusione e su quelli idonei alla conservazione (eppure l’art. 68, 4° comma del CAD li prevederebbe da tempo in un repertorio che avrebbe dovuto predisporre il CNIPA, oggi DigtPA!), né sulle parti e le componenti del messaggio PEC idonee alla dimostrazione dell’autenticità.

3. La pagina web ministeriale sulle statistiche PEC e i concorsi pubblici: tutto da rifare?

Il 23 settembre 2010 è apparsa sul sito web della Funzione pubblica la pagina seguente, che presenta le statistiche di utilizzo e di utilizzatori della PEC:

http://www.innovazionepa.gov.it/comunicazione/notizie/2010/settembre/23092010–––pec–a–cinque–mesi–da–avvio–la–usano–400000–cittadini–12–milioni–professionisti–mezzo–milione–imprese–11000–pa.aspx

Nel primo paragrafo si trova testualmente scritto: “Come ormai è noto, si tratta di uno strumento che consente ad esempio di richiedere istanze di accesso agli atti, presentare domande di partecipazione a concorsi pubblici (se il bando lo prevede) oppure inviare la documentazione relativa ad accertamenti tributari”.

C’è da sobbalzare sulla sedia per due ragioni: l’italiano incerto (ma una istanza si richiede? L’azione inversa?) e per quell’inciso tra parentesi “se il bando lo prevede”. Ma come “se il bando lo prevede”? Pochi giorni prima si è rischiato un conflitto interministeriale e ora si rimette tutto in discussione disorientando cittadini e amministrazioni pubbliche? Una decina di pagine della Circolare n. 12/2010 per fornire a tutte le amministrazioni l’interpretazione che la PEC è utilizzabile anche se il bando non la prevede e il sito istituzionale dello stesso Ministero che ha emanato quella circolare sembra ritornare sui suoi passi pubblicando una frase così imprecisa e fuorviante?

Glissiamo sulla questione dell’interpretazione non autorevole – e sottolineiamo non autorevole – dell’art. 65, comma 1, lett. c–bis del CAD, forzata ad arte e fornita con disinvoltura attraverso la Circolare (sulla quale ci soffermeremo più in là), ma non sul fatto che il 2 ottobre 2010 sulla pagina di Postacertificat@ risultavano i dati inerenti alle “richieste di attivazione da portale” (409.137) e al “Numero di caselle Postacertificat@ attivate” (175.074). Da qualche giorno compare solo il primo dato. Che sia un oscurantismo da successo annunciato e scarsamente riuscito?

Una cosa è inequivocabile: il diritto non crea incertezze, semmai, anche in ambito privatistico (quindi, a maggior ragione in ambito pubblicistico) la chiarezza e l’applicabilità delle norme favorisce l’attecchimento delle nuove tecnologie. Per questa ragione, finché avremo una normativa ambigua, involutiva e votata alla caducità avremo sempre un’amministrazione digitale claudicante.

4. L’arbitraria interpretazione dell’art. 65, comma 1, lett. c–bis del CAD

Un’ultima questione sollevata dalla Circolare n. 12/2010 lascia fortemente perplessi, anche perché la sicumera mal si attaglia alle questioni di diritto, che vanno sempre affrontate con un minimo di dubbio interpretativo.

In particolare, la Circolare afferma testualmente che “nel rispetto di quanto previsto dall’articolo 4 del DPR 487/1994, pertanto, l’inoltro tramite posta certificata di cui all’art. 16–bis del d.l. 185/2008 (vedi sopra lettera c–bis) è già sufficiente a rendere valida l’istanza, a considerare identificato l’autore di essa, a ritenere la stessa regolarmente sottoscritta”.

Il c–bis a cui fa riferimento la Circolare è una lettera piuttosto ambigua inserita recentemente nell’art. 65 del CAD dall’art. 17, comma 28, del D.L. 1° luglio 2009, n. 78. (lettera c–bis che, detto pure incidentalmente, nella bozza di modifica del CAD, in via di definitiva approvazione in Parlamento, già si è deciso di modificare!).

In ogni caso, dalla mera analisi testuale la lettera c–bis tutto dice tranne che l’invio con PEC costituisca un’istanza sottoscritta! E che una circolare ministeriale, di natura evidentemente esplicativa, provi a fornire un’interpretazione “autentica” di una fonte primaria del diritto è quanto meno una novità!

Basta leggere sistematicamente e con un minimo di lucidità interpretativa l’intero contenuto dell’attuale art. 65 del CAD per rendersi conto che il legislatore aveva (molto probabilmente) in mente qualcos’altro, di inattuabile forse, ma qualcos’altro. Lasciamo comunque a Voi lettori la semplice analisi dell’intero articolo 65 del CAD, tanto la Vostra interpretazione (di un testo che brilla per poca chiarezza) ha un valore esattamente identico, dal punto di vista delle fonti del diritto, alla opinione (pur prestigiosa) fornita nella Circolare n. 12/2010:

Art. 65. Istanze e dichiarazioni presentate alle pubbliche amministrazioni per via telematica.

1. Le istanze e le dichiarazioni presentate alle pubbliche amministrazioni per via telematica ai sensi dell’articolo 38, commi 1 e 3, del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, sono valide:

a) se sottoscritte mediante la firma digitale, il cui certificato è rilasciato da un certificatore accreditato;

b) ovvero, quando l’autore è identificato dal sistema informatico con l’uso della carta d’identità elettronica o della carta nazionale dei servizi, nei limiti di quanto stabilito da ciascuna amministrazione ai sensi della normativa vigente;

c) ovvero quando l’autore è identificato dal sistema informatico con i diversi strumenti di cui all’articolo 64, comma 2, nei limiti di quanto stabilito da ciascuna amministrazione ai sensi della normativa vigente e fermo restando il disposto dell’articolo 64, comma 3;

c–bis) ovvero quando l’autore è identificato dal sistema informatico attraverso le credenziali di accesso relative all’utenza personale di posta elettronica certificata di cui all’articolo 16–bis del decreto–legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2.

2. Le istanze e le dichiarazioni inviate o compilate sul sito secondo le modalità previste dal comma 1 sono equivalenti alle istanze e alle dichiarazioni sottoscritte con firma autografa apposta in presenza del dipendente addetto al procedimento; resta salva la facoltà della pubblica amministrazione di stabilire i casi in cui è necessaria la sottoscrizione mediante la firma digitale.

In definitiva, si tratta di una Circolare che inizia bene chiarendo l’uso e l’applicabilità dell’evoluzione tecnologica, ma che poi da un lato si perde in interpretazioni che lasciano più ombre che luci, dall’altro tace su questioni fondamentali per l’applicazione dell’amministrazione digitale in Italia in modo autorevole, affidabile e convincente per cittadini, imprese e amministrazioni pubbliche.

Quindi, che fare? È necessario soprattutto pubblicare sul sito informatico istituzionale la procedura per la presentazione di istanze, indicando i formati accettati e che la validità dell’istanza è subordinata al rispetto di quanto stabilito dal CAD in ordine alla trasmissione di documenti informatici: è una questione molto delicata, sulla quale avremo modo di ritornare.

Ci sia concessa un’ultima nota di carattere diplomatistico. Sulla PEC il Ministero ha scritto in pochi mesi tre circolari: n. 1/2010, n. 2/2010 e n. 12/2010. Nessuna di questa utilizza la medesima carta intestata. Hanno tutte e tre caratteri diversi di scrittura, sigillo diverso e in posizioni diverse, così come diverso è il carattere utilizzato nell’intestazione. Perché non è possibile neanche alla Funzione pubblica ottenere la normalizzazione, quantomeno per i caratteri estrinseci del documento, che risultano una delle fonti più importanti per l’ascrivibilità dell’atto al suo autore? Nell’ottica esclusiva del risultato, tanto caro ai dirigenti che ritengono le regole solo un appesantimento dell’azione amministrativa, si potrebbe pensare a dei vuoti formalismi. Prevale sempre il risultato sulla forma o la forma, pur strumento, è ancora sostanza? La mancanza di un barlume di cultura nella redazione di un documento importante, come la circolare ministeriale, dimostra la scarsa attenzione verso il nodo cruciale della conservazione dei documenti, PEC compresa, che però il sistema Italia non può assolutamente permettersi, specialmente in ambito digitale.