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Marchi individuali in conflitto con denominazioni di origine e menzioni tradizionali in materia di vini

Marchi individuali in conflitto con denominazioni di origine e menzioni tradizionali in materia di vini
Marchi individuali in conflitto con denominazioni di origine e menzioni tradizionali in materia di vini

Tra la fine del 2017 e la prima metà del 2018 sono state pubblicate due decisioni che hanno importanti implicazioni sul rapporto tra marchio comunitario e denominazioni d’origine in materia di vini.

La prima è di natura giudiziale ed ha interessato la Sezione Impresa del Tribunale di Venezia (sentenza n. 2283/2017). Pronuncia che ha riguardato la contrarietà rispetto alla menzione tradizionale e denominazione d’origine “Amarone della Valpolicella” dell’espressione “Amarone d’Arte” contenuta nella più articolata denominazione sociale e nel marchio nazionale individuale del soggetto terzo (società consortile a responsabilità limitata) registrante.

Il divieto di utilizzare anche parte della denominazione protetta, “Amarone”, ha comportato l’inibitoria all’uso del predetto elemento distintivo nella denominazione sociale della menzionata società consortile(1) oltre alla nullità del relativo marchio in sede nazionale. Il marchio (“Famiglie dell’Amarone d’Arte” con una particolare caratterizzazione grafica della lettera “A”), pur essendo utilizzato da una parte dei componenti della filiera della denominazione d’origine, è stato ritenuto decettivo in quanto contrario al disciplinare di produzione(2).

La normativa nazionale in tema di denominazione di origine e menzioni tradizionali (art. 44 L. 238/2016 e, prima ancora, l’art. 4 D.Lgs. 61/2010), ritenuta non in contrasto con la corrispondente normativa europea (Reg. UE n. 1308/2013) ancorché rispetto ad essa sia più rigorosa ma come tale non censurabile, prevede che per i prodotti vitivinicoli l’uso delle denominazioni di origine e delle indicazioni geografiche protette debba avvenire anche nel rispetto del disciplinare di produzione che, quindi, diventa fonte regolamentare per la valutazione di liceità di un segno distintivo.

La rilevanza del disciplinare di produzione ha ripercussioni anche in ambito concorrenziale «Ciascun produttore nell’ambito di leale attività concorrenziale ben può promuovere i propri marchi “industriali” e/o presentarsi come migliore rispetto ad altri produttori ma non può fare ciò “intaccando” la DOCG […]»(3).

Il marchio nazionale contenente l’espressione “Amarone d’Arte” per il Tribunale di Venezia è stato considerato nullo perché contrario a quanto previsto nel relativo disciplinare di produzione che vieta qualsiasi specificazione diversa da quelle in esso previste, con conseguente inibitoria (gravante sulla società consortile a r.l. e sui soci di quest’ultima) all’uso del citato marchio (assistita dalla previsione di una penale ex art. 124, c. 2, Codice della Proprietà Industriale – C.P.I.) e ordine di rimozione del predetto segno grafico dai rispettivi prodotti destinati alla commercializzazione.

Tuttavia, se a livello nazionale la portata di tale decisione ha efficacia retroattiva ed erga omnes, a livello europeo, l’E.U.I.P.O. (Ufficio dell'Unione europea per la proprietà intellettuale) in sede di opposizione (n. B2369307) ha ritenuto il predetto segno lecito e, dunque, registrabile(4) anche per la classe n. 33 della Classificazione di Nizza (bevande alcoliche).

Escluso che le menzioni tradizionali per i vini costituiscano diritti di proprietà industriale in quanto non presentano alcuna caratteristica di titolarità e, in quanto tale, hanno una natura pubblica, l’indagine si è spostata sui profili riguardanti la sola DOP “Amarone della Valpolicella”.

Il “Regolamento sui vini” (Reg. UE n. 1308/2013) rispetto alle denominazione di origine enfatizza e, dunque, tutela la componente territoriale del marchio collettivo protetto, esattamente come prevedeva il precedente regolamento europeo n. 1234/2007 (sostituito e abrogato da quello in commento). La protezione della DOP “Amarone della Valpolicella” in ambito europeo riguarda, ai fini comparatistici e di identità del segno, la sola componente territoriale protetta, “Valpolicella”, e non l’indicazione del tipo di vino, “Amarone”, per cui non rileva che sia altresì “menzione tradizionale” a cui è assegnato altro ruolo e funzione. I segni, quindi, secondo l’E.U.I.P.O. sono diversi.

Si pone quindi un delicato tema sul rapporto tra un marchio comunitario ed una denominazione d’origine che vanta diritti anteriori in base alla normativa nazionale italiana e dell’Unione Europea. Tema molto interessante considerato che il marchio dell’Unione è valido in tutto il territorio dell’Unione europea e coesiste con i marchi nazionali ragion per cui non può esserci un contrasto: un marchio non può essere con riferimento ad uno stesso territorio contemporaneamente lecito e illecito. É dunque logico supporre che laddove le parti non riescano a trovare un accordo, diventerà necessario ricorrere al Tribunale dei marchi dell’Unione europea e, infine, alla Corte di Giustizia europea nel caso in cui il conflitto perduri.

In questo caso potrebbe essere riconfermato l’orientamento già espresso in passato(5) secondo cui il sistema di tutela dell’Unione Europea relativo alla protezione delle indicazioni geografiche per prodotti agricoli e alimentari (tra cui rientrano il vino e le bevande spiritose) riveste natura esauriente e prevalente sulla protezione nazionale accordata a tali prodotti; quindi se a livello europeo è stato scongiurato il rischio di nullità del marchio individuale per contrarietà ad una DOP anche il giudice nazionale sarebbe tenuto ad uniformarsi quale diretta conseguenza del principio appena espresso. Tuttavia il Tribunale di Venezia, nel caso in commento, ha già escluso l’ipotesi di conflitto tra la normativa nazionale, ritenuta più rigorosa, rispetto a quella europea; senza dimenticare che nel caso di specie il conflitto non è tra marchi collettivi ma tra un marchio collettivo e un marchio individuale. 

Sul difficile rapporto tra marchio comunitario collettivo e denominazione di origine si segnala, altresì, la recente decisione ex art. 135 C.P.I. della Commissione dei ricorsi (decisione n. 76/201) che ha rigettato l’opposizione proposta dal Consorzio del Vino Nobile, titolare del marchio comunitario collettivo “Vino Nobile di Montepulciano”, nei confronti della domanda di registrazione in ambito nazionale del marchio collettivo “Montepulciano d’Abruzzo”, depositata il 15 gennaio 2013 dal Consorzio Tutela dei Vini d’Abruzzo.

Montepulciano versus Montepulciano o meglio: territorio contro vitigno.

Il “Nobile” ha ottenuto la DOC nel 1966 mentre il “Montepulciano d’Abruzzo” due anni dopo nel 1968. La Commissione ricorsi ha inteso salvaguardare la coesistenza di entrambi i marchi, ritenendo escluso il rischio di confusione (entrambe denominazioni di origine sia a livello nazione sia comunitario). Principio, quello di salvaguardia delle denominazioni di origine, che trova diretta espressione nel Reg. UE n. 207/2009 in cui è esplicitato che un marchio collettivo «Non può essere opposto a un terzo abilitato a utilizzare una denominazione geografica».

 

Glossario: 

Menzione Tradizionale: è una peculiarità del settore vitivinicolo attraverso la quale si offre protezione a determinate denominazioni tradizionalmente associate a indicazioni geografiche (DOP e IGP) che contengono informazioni sulle caratteristiche e la qualità dei vini. Le Menzioni Tradizionali sono associate ad un numero elevato di denominazioni di origine ma non costituiscono un tutt’uno con le indicazioni geografiche. Esse si limitano ad indicare una caratteristica dei vini e non la loro provenienza pertanto non sono segni tutelati da diritti di proprietà industriale. 

Indicazioni Geografiche (DOP (6)(7) e IGP) costituiscono diritti di proprietà industriale (8) che assegnano ad una determinata categoria di soggetti, produttori locali, un diritto collettivo d’uso esclusivo limitato al nome geografico registrato e non anche agli standard qualitativi contenuti nei disciplinari di produzione che, quindi, non sono oggetto di privativa. I produttori i cui prodotti sono originari della zona geografica individuata e rispetta il disciplinare di produzione hanno titolo per utilizzare le predette indicazioni geografiche.

DOC (denominazioni di origine controllata) e DOCG (denominazioni di origine controllata e garantita). È una classificazione delle DOP prevista dalla normativa nazionale (art. 28 L. 238/2016).

(1) Trib. Venezia, Sez. Specializzata Imp., 24 ottobre 2017 [data deposito] n. 2283, p. 19- 20 «[…] la menzione “Amarone della Valpolicella” era già denominazione protetta nel 2009 essendo in sede nazionale stata riconosciuta come d.o.c. sin dal D.P.R. 21.08.1968 (essa è stata poi riconosciuta come d.o.c.g. sin dal D.M. 24.03. 2010 mentre in sede europea la menzione tradizionale “Amarone della Valpolicella” è stata come tale riconosciuta dal Reg. CE n. 607/2009 […]. Il divieto di uso di denominazione protetta non è leggibile nel senso che il divieto riguardi l’uso della denominazione per intero, dovendosi per contro ritenere che sia vietato anche l’uso di parte di essa qualora tale parte sia integrata da elementi caratterizzanti, distintivi della denominazione stessa, idonei come tali a produrre lo stesso effetto dell’uso della denominazione intera, (e cioè l’effetto di indurre in errore il consumatore nella individuazione del soggetto cui sono istituzionalmente attribuite le funzioni di tutela) […] Indubbiamente il termine “Amarone” è elemento distintivo ed esso non può dunque essere utilizzato nella denominazione sociale della società consortile convenuta […] essendo assorbente il rilievo che trattasi di società a responsabilità limitata con personalità distinta dai propri socie, e come tale non certo inserita nel sistema di certificazione e controllo del Disciplinare di produzione della docg; […]».
(2) Il disciplinare di produzione della d.o.c.g. del vino “Amarone della Valpolicella” prevede all’art. 7 , c. 1, che è vietata «qualsiasi specificazione diversa da quelle previste dal presente disciplinare di produzione ivi compresi gli aggettivi “extra”, “fine”, scelto e similari».
(3) Trib. Venezia, Sez. Specializzata Imp., cit., p. 24.
(4) In data 23 marzo 2016 è entrato in vigore il Reg. UE n. 2015/2424 che ha modificato il Reg. UE n. 207/2009 sul marchio dell’Unione Europea e che ha introdotto l’articolo 8, paragrafo 4 bis come motivo di nullità relativa per le indicazioni geografiche (DOP e IGP). Prima dell’entrata in vigore di tale Regolamento, un’indicazione geografica poteva essere invocata alla base di una domanda di nullità ai sensi dell’art. 53, par. 1, lett. c), in combinato disposto con l’art. 8, par. 4 del Reg. UE n. 207/2009 come “un altro segno utilizzato nella normale prassi commerciale”. L’introduzione di questo motivo di nullità specifico comporta che a partire dal 23 marzo 2016 le indicazioni geografiche possono essere invocate esclusivamente ai sensi dell’art. 8, par. 4 bis, RMUE. Tuttavia le opposizioni o le domande di nullità di un marchio depositate prima dell’entrata in vigore dell’art. 8, par. 4 bis, RMUE continueranno a essere valutate secondo i parametri indicati dall’art. 8, par. 4, del Reg. 207/2009.
(5) EU C- 2009/521 (caso “Bud”) e EU C- 56/16 P (caso “Port Cahrlotte”).
(6) Le denominazioni di Origine per i vini sono in ambito europeo sono attualmente disciplinate dal Reg. UE n. 1308/2013 che all’art. 93, parag. 1, lett. a) prevede che per D.O. debba intendersi, il nome di una regione, di un luogo determinato o, in casi eccezionali debitamente giustificati, un paese, che serve a designare un prodotto di cui all’art. 92, parag. 1, conformemente ai seguenti requisiti: i. la sua qualità e le sue caratteristiche sono dovute essenzialmente o esclusivamente ad un particolare ambiente geografico ed ai suoi fattori naturali e umani, ii. le uve da cui è ottenuto provengono esclusivamente da tale zona geografica, iii. la sua produzione avviene in detta zona geografiche e iv. è ottenuto da varietà di viti appartenenti alla specie Vitis vinifera.
(7) Le denominazioni di Origine per i vini in ambito nazionale sono disciplinate dalla Legge 12 dicembre 2016 n. 238 che ha abrogato il D.lgs. 61/2010.
(8) Corte di Giustizia, sent. del 20 maggio 2003 nella causa C-108/01 Consorzio del Prosciutto di Parma, Salumificio S. Rita SpA contro Asda Stores Ltd, Hygrade Foods Ltd «[…] Le denominazioni di origine rientrano nei diritti di proprietà industriale e commerciale. La normativa pertinente tutela i beneficiari contro l'uso illegittimo delle dette denominazioni da parte di terzi che intendano profittare della reputazione da esse acquisita. Tali denominazioni sono dirette a garantire che il prodotto cui sono attribuite provenga da una zona geografica determinata e possieda talune caratteristiche particolari. Esse possono godere di una grande reputazione presso i consumatori e costituire per i produttori che soddisfano le condizioni per usarle un mezzo essenziale per costituirsi una clientela. La reputazione delle denominazioni di origine dipende dall'immagine di cui queste godono presso i consumatori. A sua volta tale immagine dipende, essenzialmente, dalle caratteristiche particolari e, in generale, dalla qualità del prodotto. È quest'ultima, in definitiva, che costituisce il fondamento della reputazione del prodotto (v. sentenza Belgio/Spagna, cit., punti 54-56). Nella percezione del consumatore, il nesso tra la reputazione dei produttori e la qualità dei prodotti dipende inoltre dalla sua convinzione che i prodotti venduti con la denominazione di origine sono autentici […]».