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Mattarella bis: quando l’eccezione diventa la regola

Il “nodo” cruciale della non rieleggibilità del Presidente della Repubblica

Sergio Mattarella
Sergio Mattarella

L’elezione presidenziale del 2022 sarà ricordata non solo per la sua estenuante durata, ma anche per le palesi difficoltà incontrate dai partiti politici nel giungere ad un’intesa lucida e coerente. All’ottavo scrutinio, Sergio Mattarella è stato riconfermato Capo dello Stato, conquistando ben 759 voti e precedendo soltanto Sandro Pertini (823 voti) nella classifica delle preferenze.

Senza entrare nel merito della decisione politica, si ritiene opportuno – in tale sede – compiere talune considerazioni in ordine alla rieleggibilità presidenziale.

È necessario marcare come la rieleggibilità (anche immediata) della stessa figura non sia esclusa da alcuna disposizione costituzionale; pertanto, il titolare uscente potrebbe essere confermato nella carica per un secondo settennato e ancora per altri mandati conseguenti.

Come noto, Antonio Segni si avvalse, per la prima volta nell’esperienza repubblicana, del potere di messaggio libero alle Camere, reputando doveroso intervenire su due eventuali modifiche costituzionali: la prima riguardava i giudici costituzionali; la seconda, invece, la carica presidenziale.

Per quanto concerne la seconda, il Presidente volle sottolineare al Parlamento l’importanza di consacrare esplicitamente il principio della non rieleggibilità del Capo dello Stato. È evidente – a parere di chi scrive – la difficoltà di considerare tale momento come espressione di un potere di indirizzo politico-costituzionale.

Tralasciando tale elemento, il messaggio di Segni lasciava il seguente insegnamento: la consacrazione della non rieleggibilità presidenziale si traduceva nel netto distacco del Capo dello Stato dai “giochi” della politica.

In particolare, una modifica costituzionale diretta ad escludere la rieleggibilità contribuirebbe a preservare l’indipendenza e l’imparzialità di tale figura, suscettibili di essere compromesse nell’ultimo periodo del settennato ove, per guadagnare il consenso di un arco maggioritario di forze politiche, egli attuasse atti e comportamenti non conformi al suo ruolo super partes.

Fino al 2013, in mancanza di espresse indicazioni, sussiste una radicata prassi costituzionale in virtù della quale la rinnovazione del mandato, pur non vietata, deve ritenersi inappropriata. A favore di tale concezione si pone l’articolo 85 Costituzione, nel punto in cui invoca il “nuovo” Presidente della Repubblica, escludendo in modo implicito una potenziale rieleggibilità, anche in relazione ai requisiti d’età per l’elettorato passivo (articolo 84, comma 1, Costituzione) e alla durata del mandato (articolo 85, comma 1, Costituzione), che eccede la durata in carica delle Camere.

In senso contrario, vi è chi potrebbe fare leva sul fatto che la Costituzione, in altre circostanze (si veda, ad esempio, i giudici costituzionali, articolo 135, comma 3, Costituzione), esclude espressamente la possibilità di una rielezione.

Si tratta – a giudizio di chi scrive – di un confronto poco costruttivo, in ragione del diverso “peso” assunto dal Presidente della Repubblica e della divergente “natura” degli organi in esame. (Cfr. pp. 100-101 L.LONGHI, Cincinnato e la discesa dal Colle. Osservazioni in tema di rieleggibilità del Presidente della Repubblica, in Diritto pubblico europeo, 2022.)

Si osserva, però, come il silenzio costituzionale abbia condotto le personalità succedutesi al Colle ad interpretare differentemente il “nodo” della rieleggibilità, anche (e soprattutto) in relazione al quadro storico e politico di riferimento.

L’indirizzo stilato da Segni è stato condiviso poi da Carlo Azeglio Ciampi, per il quale il rinnovo del mandato presidenziale mal si conformava alle caratteristiche stesse della forma repubblica; al contrario, risultava favorevole ad una rielezione Luigi Einaudi, apprezzato da alcuni rinomati esponenti della Democrazia Cristiana.

In concreto, tale prassi è stata seguita senza “intoppi” per un lungo periodo, per poi essere improvvisamente “ribaltata” nel 2013 con la risalita al Quirinale di Giorgio Napolitano, a causa dello stato di paralisi e incapacità delle Camere di svolgere una delle sue più significative funzioni, quella di scegliere un “nuovo” Capo dello Stato.

Il Presidente Napolitano è stato rieletto con una larga maggioranza (738 voti); tuttavia, la breve durata del secondo mandato è segno dell’eccezionalità del caso. Nel giorno del suo giuramento, egli ha posto in luce “quella lunga serie di omissioni e di guasti, di chiusure e di irresponsabilità” che avevano portato il Parlamento e il sistema politico nazionale ad un arresto senza precedenti nei settantacinque anni di storia repubblicana.

In particolare, le omissioni denunciate consistevano nella mancata riforma della incostituzionale legge elettorale del 2005 ed “il nulla di fatto in materia di sia pur limitate e mirate riforme della seconda parte della Costituzione […], faticosamente concordate e poi affossate (a causa) del tabù del bicameralismo paritario”.

La rielezione di Napolitano, indubbiamente legittima, deve essere inquadrata come una soluzione inevitabile in presenza di una profonda crisi del sistema parlamentare e politico, ma del tutto eccezionale, senza costituire un precedente o dar vita ad una nuova prassi costituzionale. Tale episodio – ad avviso di chi scrive – avrebbe dovuto spingere i partiti a pervenire ad un accordo, non compromettendo così gli equilibri sottesi al tessuto costituzionale (Cfr. p. 109 L.LONGHI, Cincinnato e la discesa dal Colle. Osservazioni in tema di rieleggibilità del Presidente della Repubblica, in Diritto pubblico europeo, 2022).

È opportuno differenziare il precedente Napolitano dalla recente rielezione presidenziale: nel 2013, l’eccezionalità è stata giustificata alla luce delle critiche e delicate condizioni economiche in cui versava il Paese; l’incapacità delle Camere di addivenire ad un compromesso è sintomo del fallimento della politica italiana. La riproposizione di tale schema, altresì, potrebbe indurre a una torsione in senso presidenzialista della forma di governo parlamentare, nonché “sminuire” le intenzioni dei Costituenti (Cfr. p. 109 L.LONGHI, Cincinnato e la discesa dal Colle. Osservazioni in tema di rieleggibilità del Presidente della Repubblica, in Diritto pubblico europeo, 2022).

Il recente disegno di legge costituzionale n. 2468, comunicato alla Presidenza del Senato il 2 dicembre 2021, contempla l’inserimento della non rieleggibilità del Capo dello Stato nell’articolo 85 Costituzione e l’abolizione dell’istituto del semestre bianco, quale logica conseguenza della prima disposizione, tramite l’abrogazione dell’articolo 88, comma 2, Costituzione. (Cfr. p. 99 L.LONGHI, Cincinnato e la discesa dal Colle. Osservazioni in tema di rieleggibilità del Presidente della Repubblica, in Diritto pubblico europeo, 2022.)

Esso, dunque, potrebbe rappresentare un ottimo punto di partenza per mettere fine a tale questione, evitando così di “travolgere” nuovamente la Costituzione.

L.LONGHI, Cincinnato e la discesa dal Colle. Osservazioni in tema di rieleggibilità del Presidente della Repubblica, in Diritto pubblico europeo, 2022.