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Natura giuridica del provvedimento di conferimento dell’incarico dirigenziale

La disciplina della dirigenza pubblica è stata profondamente ridisegnata dal decreto legislativo n. 29 del 1993, comportando il superamento del rapporto gerarchico tra ministro e dirigente. Tale normativa ha, infatti, proceduto alla distinzione delle funzioni tra gli organi politici di vertice ed i dirigenti, in base alla quale agli organi di governo sono riservate le funzioni di indirizzo e controllo ed in particolare l’individuazione degli obiettivi generali da raggiungere e dei programmi da attuare, mentre alla dirigenza viene attribuita in via esclusiva la funzione di espletamento dell’attività amministrativa.

Con il decreto legislativo n. 80 del 1998 si è, inoltre, proceduto alla privatizzazione del rapporto di lavoro anche dei dirigenti generali, rimasti, invero, nella precedente disciplina assoggettati ad un regime pubblicistico e, quindi, anche alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.

Il decreto legislativo n. 165 del 2001, come modificato dalla legge n. 145 del 2002, ha introdotto importanti novità in teme di dirigenza pubblica, le quali ineriscono principalmente l’accesso al ruolo, il quale avviene tramite concorso o corso-concorso; la decadenza automatica dagli incarichi dirigenziali più elevati al subentro di un nuovo esecutivo, c.d. spoils system, ed, infine, la responsabilità dirigenziale.

Per quanto concerne il conferimento degli incarichi dirigenziali, occorre avere riguardo all’art. 19 del decreto legislativo n. 165 del 2001, il quale prevede che il conferimento stesso avvenga tramite provvedimento al quale accede il contratto individuale di lavoro. Il nuovo testo dell’art. 19 prevede, inoltre, a differenza della precedente disciplina, che l’oggetto dell’incarico e gli obiettivi da conseguire vengano individuati non nel contratto bensì nel provvedimento di conferimento, mentre al contratto viene demandata la sola definizione del trattamento economico. nella nuova disciplina, pertanto, il provvedimento di conferimento dell’incarico dirigenziale assume un ruolo preminente rispetto al contratto individuale, il quale viene configurato come meramente accessivo ed ausiliario.

E’ proprio la natura giuridica di tale tipo di provvedimento ad essere stata oggetto di acceso dibattito sia in dottrina che in giurisprudenza. A tal proposito, si sono registrati diversi orientamenti dottrinali e giurisprudenziali, che possono, sostanzialmente, ricondursi a due.

Secondo un primo orientamento, maggioritario in dottrina, il provvedimento di conferimento degli incarichi dirigenziali avrebbe natura pubblicistica. Si tratterebbe, infatti, di un provvedimento amministrativo adottato dalla Pubblica Amministrazione, a conclusione di un apposito procedimento, nell’esercizio del suo potere autoritativo. Tale orientamento ritiene, in particolare, che il provvedimento di conferimento sarebbe un atto di alta amministrazione, con il quale la P. A. procede alla gestione ed organizzazione degli uffici. Conseguenza di una simile ricostruzione è che l’eventuale modifica o revoca del provvedimento medesimo potrebbe essere effettuata da parte della pubblica amministrazione con l’osservanza delle disposizioni relative al procedimento amministrativo, contenute nella legge n. 241 del 1990 e succ. mod.( ad es. quelle inerenti l’obbligo di comunicazione di avvio del procedimento; di motivazione etc.) e con la ricorrenza di un pubblico interesse, onde garantire il buon andamento e l’imparzialità della P. A.

Un secondo orientamento, maggioritario in giurisprudenza, ritiene, invece, che il provvedimento di conferimento abbia natura essenzialmente privatistica. Secondo tale orientamento, infatti, non potrebbe trattarsi di provvedimento amministrativo, in quanto l’art. 63 del decreto legislativo n. 165 del 2001 attribuisce alla giurisdizione del giudice ordinario le controversie concernenti il conferimento e la revoca degli incarichi dirigenziali, argomentando che altrimenti si configurerebbe nell’ordinamento italiano un’ipotesi di giurisdizione esclusiva del giudice ordinario, che farebbe sorgere seri dubbi di costituzionalità in relazione agli articoli 103 e 113 della Costituzione. Si tratterebbe, invero, di un atto di natura privata, con il quale la pubblica amministrazione procede alla gestione ed organizzazione non dei pubblici uffici bensì dei rapporti di lavoro, e che, quindi, la pubblica amministrazione stessa  assume con la capacità ed i poteri del privato datore di lavoro, ai sensi dell’articolo 5 del decreto legislativo n. 165 del 2001. Da tale ricostruzione discende che la pubblica amministrazione, agendo in qualità di soggetto privato, potrebbe liberamente modificare o revocare il provvedimento di conferimento dell’incarico senza l’osservanza delle regole pubblicistiche dettate in tema di procedimento amministrativo.

Sulla dibattuta questione sono intervenute le sezioni unite della Corte di Cassazione, con sentenza del 2003 n. 10288, le quali hanno accolto quest’ultimo orientamento, configurando la natura privata di tale tipo di provvedimento. La Suprema Corte ha, inoltre, affermato che la pubblica amministrazione nell’espletamento della sua attività privata non è tenuta all’osservanza dei principi costituzionali di buon andamento e di imparzialità, in quanto l’attività privata non è volta al perseguimento dell’interesse generale. Tale orientamento è attualmete seguito dai giudici di merito e legittimità. Occorre, infine, rilevare che tale decisione della Cassazione è stata da più parti aspramente criticata, soprattutto nella parte in cui si afferma che l’atto privato, anche se adottato dalla pubblica amministrazione,  è tale proprio perchè non può essere funzionalizzato al perseguimento dell’interesse pubblico. Parte della dottrina ha, infatti, condivisibilmente ritenuto che la pubblica amministrazione, anche quando agisce iure privatorum, è pur sempre tenuta al perseguimento degli interessi pubblici e, pertanto, non può essere equiparata in tutto e per tutto ad un soggetto privato, in quanto la funzionalizzazione investe l’intera azione della pubblica amministrazione e, quidi, anche quella privata.  

La disciplina della dirigenza pubblica è stata profondamente ridisegnata dal decreto legislativo n. 29 del 1993, comportando il superamento del rapporto gerarchico tra ministro e dirigente. Tale normativa ha, infatti, proceduto alla distinzione delle funzioni tra gli organi politici di vertice ed i dirigenti, in base alla quale agli organi di governo sono riservate le funzioni di indirizzo e controllo ed in particolare l’individuazione degli obiettivi generali da raggiungere e dei programmi da attuare, mentre alla dirigenza viene attribuita in via esclusiva la funzione di espletamento dell’attività amministrativa.

Con il decreto legislativo n. 80 del 1998 si è, inoltre, proceduto alla privatizzazione del rapporto di lavoro anche dei dirigenti generali, rimasti, invero, nella precedente disciplina assoggettati ad un regime pubblicistico e, quindi, anche alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.

Il decreto legislativo n. 165 del 2001, come modificato dalla legge n. 145 del 2002, ha introdotto importanti novità in teme di dirigenza pubblica, le quali ineriscono principalmente l’accesso al ruolo, il quale avviene tramite concorso o corso-concorso; la decadenza automatica dagli incarichi dirigenziali più elevati al subentro di un nuovo esecutivo, c.d. spoils system, ed, infine, la responsabilità dirigenziale.

Per quanto concerne il conferimento degli incarichi dirigenziali, occorre avere riguardo all’art. 19 del decreto legislativo n. 165 del 2001, il quale prevede che il conferimento stesso avvenga tramite provvedimento al quale accede il contratto individuale di lavoro. Il nuovo testo dell’art. 19 prevede, inoltre, a differenza della precedente disciplina, che l’oggetto dell’incarico e gli obiettivi da conseguire vengano individuati non nel contratto bensì nel provvedimento di conferimento, mentre al contratto viene demandata la sola definizione del trattamento economico. nella nuova disciplina, pertanto, il provvedimento di conferimento dell’incarico dirigenziale assume un ruolo preminente rispetto al contratto individuale, il quale viene configurato come meramente accessivo ed ausiliario.

E’ proprio la natura giuridica di tale tipo di provvedimento ad essere stata oggetto di acceso dibattito sia in dottrina che in giurisprudenza. A tal proposito, si sono registrati diversi orientamenti dottrinali e giurisprudenziali, che possono, sostanzialmente, ricondursi a due.

Secondo un primo orientamento, maggioritario in dottrina, il provvedimento di conferimento degli incarichi dirigenziali avrebbe natura pubblicistica. Si tratterebbe, infatti, di un provvedimento amministrativo adottato dalla Pubblica Amministrazione, a conclusione di un apposito procedimento, nell’esercizio del suo potere autoritativo. Tale orientamento ritiene, in particolare, che il provvedimento di conferimento sarebbe un atto di alta amministrazione, con il quale la P. A. procede alla gestione ed organizzazione degli uffici. Conseguenza di una simile ricostruzione è che l’eventuale modifica o revoca del provvedimento medesimo potrebbe essere effettuata da parte della pubblica amministrazione con l’osservanza delle disposizioni relative al procedimento amministrativo, contenute nella legge n. 241 del 1990 e succ. mod.( ad es. quelle inerenti l’obbligo di comunicazione di avvio del procedimento; di motivazione etc.) e con la ricorrenza di un pubblico interesse, onde garantire il buon andamento e l’imparzialità della P. A.

Un secondo orientamento, maggioritario in giurisprudenza, ritiene, invece, che il provvedimento di conferimento abbia natura essenzialmente privatistica. Secondo tale orientamento, infatti, non potrebbe trattarsi di provvedimento amministrativo, in quanto l’art. 63 del decreto legislativo n. 165 del 2001 attribuisce alla giurisdizione del giudice ordinario le controversie concernenti il conferimento e la revoca degli incarichi dirigenziali, argomentando che altrimenti si configurerebbe nell’ordinamento italiano un’ipotesi di giurisdizione esclusiva del giudice ordinario, che farebbe sorgere seri dubbi di costituzionalità in relazione agli articoli 103 e 113 della Costituzione. Si tratterebbe, invero, di un atto di natura privata, con il quale la pubblica amministrazione procede alla gestione ed organizzazione non dei pubblici uffici bensì dei rapporti di lavoro, e che, quindi, la pubblica amministrazione stessa  assume con la capacità ed i poteri del privato datore di lavoro, ai sensi dell’articolo 5 del decreto legislativo n. 165 del 2001. Da tale ricostruzione discende che la pubblica amministrazione, agendo in qualità di soggetto privato, potrebbe liberamente modificare o revocare il provvedimento di conferimento dell’incarico senza l’osservanza delle regole pubblicistiche dettate in tema di procedimento amministrativo.

Sulla dibattuta questione sono intervenute le sezioni unite della Corte di Cassazione, con sentenza del 2003 n. 10288, le quali hanno accolto quest’ultimo orientamento, configurando la natura privata di tale tipo di provvedimento. La Suprema Corte ha, inoltre, affermato che la pubblica amministrazione nell’espletamento della sua attività privata non è tenuta all’osservanza dei principi costituzionali di buon andamento e di imparzialità, in quanto l’attività privata non è volta al perseguimento dell’interesse generale. Tale orientamento è attualmete seguito dai giudici di merito e legittimità. Occorre, infine, rilevare che tale decisione della Cassazione è stata da più parti aspramente criticata, soprattutto nella parte in cui si afferma che l’atto privato, anche se adottato dalla pubblica amministrazione,  è tale proprio perchè non può essere funzionalizzato al perseguimento dell’interesse pubblico. Parte della dottrina ha, infatti, condivisibilmente ritenuto che la pubblica amministrazione, anche quando agisce iure privatorum, è pur sempre tenuta al perseguimento degli interessi pubblici e, pertanto, non può essere equiparata in tutto e per tutto ad un soggetto privato, in quanto la funzionalizzazione investe l’intera azione della pubblica amministrazione e, quidi, anche quella privata.