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La Corte di Giustizia dell’Unione Europea riconosce il diritto all’oblio nei confronti del motore di ricerca di Google

La Corte di Giustizia dell’Unione Europea si è definitivamente pronunciata, il 13 maggio scorso, in tema di diritto all’oblio su Google, nell’ambito della causa vertente tra Google Spain e Google Inc., da una parte, e Agencia Española de Protección de Datos (AEPD) e Mario Costeja González, dall’altra.

Nello specifico, detta Agenzia di protezione dei dati aveva accolto la denuncia depositata dal sig. Costeja González contro Google Spain e Google Inc., ordinando a quest’ultima di adottare le misure necessarie per rimuovere dai propri indici alcuni dati personali riguardanti tale interessato e impedirne il futuro accesso.

La Corte di Giustizia è stata interpellata, in particolare, su più questioni pregiudiziali relative alla Direttiva 95/46 UE.

Innanzitutto, per quanto concerne l’ambito territoriale di applicazione della direttiva:

  • se si debba ritenere esistente uno “stabilimento” ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 1, lettera a), della direttiva in caso di sussistenza di una o più delle seguenti circostanze:

(i) l’impresa che gestisce il motore di ricerca apre, in uno Stato membro, una succursale o una filiale destinata alla promozione e alla vendita degli spazi pubblicitari proposti dal motore di ricerca;

(ii) la società madre designa una filiale situata in tale Stato membro come sua rappresentante e responsabile del trattamento di due specifici archivi contenenti i dati dei clienti che hanno stipulato contratti con detta società per la fornitura di servizi pubblicitari;

(iii) la succursale o la filiale stabilita in uno Stato membro trasmette alla società madre, avente sede al di fuori dell’Unione europea, i reclami e le ingiunzioni che le vengono presentati tanto dalle persone interessate quanto dalle autorità competenti relativi al rispetto del diritto alla protezione dei dati, anche laddove tale collaborazione abbia carattere volontario.

  • se l’articolo 4, paragrafo 1, lettera c), della direttiva debba essere interpretato nel senso che si configura un “ricorso a strumenti situati nel territorio di detto Stato membro” ogni qual volta un motore di ricerca:

(i) utilizzi dei “web spiders” o dei crawler per localizzare e indicizzare le informazioni contenute in pagine web alloggiate su server situati in tale Stato membro;

(ii) utilizzi un nome di dominio proprio di uno Stato membro e indirizzi le ricerche e i risultati in funzione della lingua di tale Stato membro.

  • se possa considerarsi come un ricorso a strumenti, ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 1, lettera c), della direttiva, la memorizzazione temporanea delle informazioni indicizzate dai motori di ricerca su Internet e, in caso di risposta affermativa, se si possa ritenere soddisfatto il criterio di collegamento quando l’impresa si rifiuti di rivelare il luogo in cui archivia detti indici, adducendo ragioni di concorrenza.
  • se, alla luce dell’articolo 8 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, la direttiva debba essere applicata nello Stato membro nel quale si trova il centro di gravità del conflitto e nel quale è possibile ottenere una tutela più efficace dei diritti dei cittadini dell’Unione.

Per quanto concerne l’attività dei motori di ricerca, quali fornitori di contenuti ai sensi della direttiva:

  • riguardo all’attività di Google di localizzazione, di indicizzazione automatica, memorizzazione temporanea messa a disposizione degli utenti di Internet secondo un determinato ordine di preferenza localizzazione delle informazioni pubblicate o messe in rete da terzi, qualora tali informazioni contengano dati personali di terzi:

(i) se tale attività debba considerarsi rientrante nella nozione di “trattamento di dati” ai sensi dell’articolo 2, lettera b), della direttiva;

(ii) in caso di risposta affermativa, se l’articolo 2, lettera d), della direttiva debba essere interpretato nel senso che la società che gestisce il motore di ricerca sia qualificabile come “responsabile del trattamento” dei dati personali contenuti nelle pagine web indicizzate;

(iii) in caso di risposta affermativa, se l’Agenzia di protezione dei dati, al fine di tutelare i diritti enunciati agli articoli 12, lettera b), e 14, primo comma, lettera a), della direttiva 95/46 UE, possa ordinare direttamente al gestore di rimuovere dai propri indici un’informazione pubblicata da terzi, senza rivolgersi previamente o simultaneamente al titolare della pagina web in cui è inserita tale informazione;

(iv) in caso di risposta affermativa, se i motori di ricerca siano sollevati dall’obbligo di rispettare i diritti di cui sopra qualora l’informazione contenente i dati personali sia stata lecitamente pubblicata da terzi e rimanga sulla pagina web di origine.

Per quanto concerne la portata del diritto di cancellazione e/o opposizione al trattamento di dati, in relazione al diritto all’oblio:

  • Se si debba ritenere che i diritti di cancellazione e congelamento dei dati, disciplinati dall’articolo 12, lettera b), e il diritto di opposizione al loro trattamento, regolato dall’articolo 14, primo comma, lettera a), della direttiva 95/46, implichino che l’interessato possa rivolgersi ai motori di ricerca per impedire l’indicizzazione delle informazioni riguardanti la sua persona pubblicate su pagine web di terzi, pretendendo che tali informazioni non siano conosciute dagli utenti di Internet laddove ritenga che la loro divulgazione possa arrecargli pregiudizio o desideri che tali informazioni siano dimenticate, anche quando si tratti di informazioni pubblicate da terzi lecitamente.      

Con riferimento al quesito riguardante la qualificazione giuridica da attribuire all’attività di Google, la Corte ha ritenuto che l’articolo 2, lettere b) e d), della direttiva 95/46 debba essere interpretato nel senso che, da un lato, tale attività (localizzazione, di indicizzazione automatica, memorizzazione temporanea messa a disposizione degli utenti di Internet secondo un determinato ordine di preferenza localizzazione delle informazioni pubblicate o messe in rete da terzi, qualora tali informazioni contengano dati personali di terzi) sia un vero e proprio “trattamento di dati personali”, ai sensi del citato articolo 2, lettera b), laddove tali informazioni contengano dati personali, e che, dall’altro lato, il gestore del motore di ricerca debba essere considerato come il “responsabile del trattamento” in questione, ai sensi dell’articolo 2, lettera d).

In relazione, invece, ai primi quesiti, concernenti l’ambito territoriale di applicazione della direttiva, la Corte ha interpretato l’articolo 4, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 95/46 nel senso che un trattamento di dati personali viene effettuato nel contesto delle attività di uno stabilimento del responsabile di tale trattamento nel territorio di uno Stato membro, qualora il gestore di un motore di ricerca apra in uno Stato membro una succursale o una filiale destinata alla promozione e alla vendita degli spazi pubblicitari proposti da tale motore di ricerca e la relativa attività si rivolge agli abitanti del medesimo Stato membro.

Ulteriormente, secondo i dettami della Corte, al fine di rispettare i diritto delle persone interessate a ottenere la rettifica, la cancellazione o il congelamento dei dati il cui trattamento non è conforme alle disposizioni della direttiva 95/46, nonché di opporsi in qualsiasi momento, per motivi preminenti e legittimi, derivanti dalla propria situazione particolare, al trattamento di dati che le riguardano, “il gestore di un motore di ricerca è obbligato a sopprimere, dall’elenco di risultati che appare a seguito di una ricerca effettuata a partire dal nome di una persona, dei link verso pagine web pubblicate da terzi e contenenti informazioni relative a questa persona, anche nel caso in cui tale nome o tali informazioni non vengano previamente o simultaneamente cancellati dalle pagine web di cui trattasi, e ciò eventualmente anche quando la loro pubblicazione su tali pagine web sia di per sé lecita”.

Da ultimo, affrontando la terza questione, relativa al riconoscimento del diritto all’oblio in capo agli interessati, nei confronti dei gestori di motori di ricerca, la Corte ha dapprima evidenziato la necessità di verificare in concreto “se l’interessato abbia diritto a che l’informazione in questione riguardante la sua persona non venga più, allo stato attuale, collegata al suo nome da un elenco di risultati che appare a seguito di una ricerca effettuata a partire dal suo nome, senza per questo che la constatazione di un diritto siffatto presupponga che l’inclusione dell’informazione in questione in tale elenco arrechi un pregiudizio a detto interessato”. In secondo luogo, la Corte ha comunque rilevato come i diritti fondamentali del rispetto della vita privata e familiare e della protezione dei dati personali, sanciti dagli articoli 7 e 8 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, prevalgano comunque sia sull’interesse economico del gestore del motore di ricerca, sia su quello del pubblico ad accedere all’informazione personale indicizzata sul motore di ricerca, in occasione di una ricerca concernente il nome della persona. Proprio in virtù di tali diritti, l’interessato può - sempre che non ricopra nella vita pubblica un ruolo tale da giustificare l’ingerenza nei suoi diritti fondamentali con l’interesse preponderante del pubblico ad avere accesso all’informazione personale - richiedere che l’informazione che lo riguarda non venga più messa a disposizione del grande pubblico tramite indicizzazione sul motore di ricerca.

La sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea è consultabile sul sito Curia.europa.eu.

(Sentenza della Corte (grande sezione), 13 maggio 2014, Causa C-131/12)

Avv. Francesco Di Tano

La Corte di Giustizia dell’Unione Europea si è definitivamente pronunciata, il 13 maggio scorso, in tema di diritto all’oblio su Google, nell’ambito della causa vertente tra Google Spain e Google Inc., da una parte, e Agencia Española de Protección de Datos (AEPD) e Mario Costeja González, dall’altra.

Nello specifico, detta Agenzia di protezione dei dati aveva accolto la denuncia depositata dal sig. Costeja González contro Google Spain e Google Inc., ordinando a quest’ultima di adottare le misure necessarie per rimuovere dai propri indici alcuni dati personali riguardanti tale interessato e impedirne il futuro accesso.

La Corte di Giustizia è stata interpellata, in particolare, su più questioni pregiudiziali relative alla Direttiva 95/46 UE.

Innanzitutto, per quanto concerne l’ambito territoriale di applicazione della direttiva:

  • se si debba ritenere esistente uno “stabilimento” ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 1, lettera a), della direttiva in caso di sussistenza di una o più delle seguenti circostanze:

(i) l’impresa che gestisce il motore di ricerca apre, in uno Stato membro, una succursale o una filiale destinata alla promozione e alla vendita degli spazi pubblicitari proposti dal motore di ricerca;

(ii) la società madre designa una filiale situata in tale Stato membro come sua rappresentante e responsabile del trattamento di due specifici archivi contenenti i dati dei clienti che hanno stipulato contratti con detta società per la fornitura di servizi pubblicitari;

(iii) la succursale o la filiale stabilita in uno Stato membro trasmette alla società madre, avente sede al di fuori dell’Unione europea, i reclami e le ingiunzioni che le vengono presentati tanto dalle persone interessate quanto dalle autorità competenti relativi al rispetto del diritto alla protezione dei dati, anche laddove tale collaborazione abbia carattere volontario.

  • se l’articolo 4, paragrafo 1, lettera c), della direttiva debba essere interpretato nel senso che si configura un “ricorso a strumenti situati nel territorio di detto Stato membro” ogni qual volta un motore di ricerca:

(i) utilizzi dei “web spiders” o dei crawler per localizzare e indicizzare le informazioni contenute in pagine web alloggiate su server situati in tale Stato membro;

(ii) utilizzi un nome di dominio proprio di uno Stato membro e indirizzi le ricerche e i risultati in funzione della lingua di tale Stato membro.

  • se possa considerarsi come un ricorso a strumenti, ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 1, lettera c), della direttiva, la memorizzazione temporanea delle informazioni indicizzate dai motori di ricerca su Internet e, in caso di risposta affermativa, se si possa ritenere soddisfatto il criterio di collegamento quando l’impresa si rifiuti di rivelare il luogo in cui archivia detti indici, adducendo ragioni di concorrenza.
  • se, alla luce dell’articolo 8 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, la direttiva debba essere applicata nello Stato membro nel quale si trova il centro di gravità del conflitto e nel quale è possibile ottenere una tutela più efficace dei diritti dei cittadini dell’Unione.

Per quanto concerne l’attività dei motori di ricerca, quali fornitori di contenuti ai sensi della direttiva:

  • riguardo all’attività di Google di localizzazione, di indicizzazione automatica, memorizzazione temporanea messa a disposizione degli utenti di Internet secondo un determinato ordine di preferenza localizzazione delle informazioni pubblicate o messe in rete da terzi, qualora tali informazioni contengano dati personali di terzi:

(i) se tale attività debba considerarsi rientrante nella nozione di “trattamento di dati” ai sensi dell’articolo 2, lettera b), della direttiva;

(ii) in caso di risposta affermativa, se l’articolo 2, lettera d), della direttiva debba essere interpretato nel senso che la società che gestisce il motore di ricerca sia qualificabile come “responsabile del trattamento” dei dati personali contenuti nelle pagine web indicizzate;

(iii) in caso di risposta affermativa, se l’Agenzia di protezione dei dati, al fine di tutelare i diritti enunciati agli articoli 12, lettera b), e 14, primo comma, lettera a), della direttiva 95/46 UE, possa ordinare direttamente al gestore di rimuovere dai propri indici un’informazione pubblicata da terzi, senza rivolgersi previamente o simultaneamente al titolare della pagina web in cui è inserita tale informazione;

(iv) in caso di risposta affermativa, se i motori di ricerca siano sollevati dall’obbligo di rispettare i diritti di cui sopra qualora l’informazione contenente i dati personali sia stata lecitamente pubblicata da terzi e rimanga sulla pagina web di origine.

Per quanto concerne la portata del diritto di cancellazione e/o opposizione al trattamento di dati, in relazione al diritto all’oblio:

  • Se si debba ritenere che i diritti di cancellazione e congelamento dei dati, disciplinati dall’articolo 12, lettera b), e il diritto di opposizione al loro trattamento, regolato dall’articolo 14, primo comma, lettera a), della direttiva 95/46, implichino che l’interessato possa rivolgersi ai motori di ricerca per impedire l’indicizzazione delle informazioni riguardanti la sua persona pubblicate su pagine web di terzi, pretendendo che tali informazioni non siano conosciute dagli utenti di Internet laddove ritenga che la loro divulgazione possa arrecargli pregiudizio o desideri che tali informazioni siano dimenticate, anche quando si tratti di informazioni pubblicate da terzi lecitamente.      

Con riferimento al quesito riguardante la qualificazione giuridica da attribuire all’attività di Google, la Corte ha ritenuto che l’articolo 2, lettere b) e d), della direttiva 95/46 debba essere interpretato nel senso che, da un lato, tale attività (localizzazione, di indicizzazione automatica, memorizzazione temporanea messa a disposizione degli utenti di Internet secondo un determinato ordine di preferenza localizzazione delle informazioni pubblicate o messe in rete da terzi, qualora tali informazioni contengano dati personali di terzi) sia un vero e proprio “trattamento di dati personali”, ai sensi del citato articolo 2, lettera b), laddove tali informazioni contengano dati personali, e che, dall’altro lato, il gestore del motore di ricerca debba essere considerato come il “responsabile del trattamento” in questione, ai sensi dell’articolo 2, lettera d).

In relazione, invece, ai primi quesiti, concernenti l’ambito territoriale di applicazione della direttiva, la Corte ha interpretato l’articolo 4, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 95/46 nel senso che un trattamento di dati personali viene effettuato nel contesto delle attività di uno stabilimento del responsabile di tale trattamento nel territorio di uno Stato membro, qualora il gestore di un motore di ricerca apra in uno Stato membro una succursale o una filiale destinata alla promozione e alla vendita degli spazi pubblicitari proposti da tale motore di ricerca e la relativa attività si rivolge agli abitanti del medesimo Stato membro.

Ulteriormente, secondo i dettami della Corte, al fine di rispettare i diritto delle persone interessate a ottenere la rettifica, la cancellazione o il congelamento dei dati il cui trattamento non è conforme alle disposizioni della direttiva 95/46, nonché di opporsi in qualsiasi momento, per motivi preminenti e legittimi, derivanti dalla propria situazione particolare, al trattamento di dati che le riguardano, “il gestore di un motore di ricerca è obbligato a sopprimere, dall’elenco di risultati che appare a seguito di una ricerca effettuata a partire dal nome di una persona, dei link verso pagine web pubblicate da terzi e contenenti informazioni relative a questa persona, anche nel caso in cui tale nome o tali informazioni non vengano previamente o simultaneamente cancellati dalle pagine web di cui trattasi, e ciò eventualmente anche quando la loro pubblicazione su tali pagine web sia di per sé lecita”.

Da ultimo, affrontando la terza questione, relativa al riconoscimento del diritto all’oblio in capo agli interessati, nei confronti dei gestori di motori di ricerca, la Corte ha dapprima evidenziato la necessità di verificare in concreto “se l’interessato abbia diritto a che l’informazione in questione riguardante la sua persona non venga più, allo stato attuale, collegata al suo nome da un elenco di risultati che appare a seguito di una ricerca effettuata a partire dal suo nome, senza per questo che la constatazione di un diritto siffatto presupponga che l’inclusione dell’informazione in questione in tale elenco arrechi un pregiudizio a detto interessato”. In secondo luogo, la Corte ha comunque rilevato come i diritti fondamentali del rispetto della vita privata e familiare e della protezione dei dati personali, sanciti dagli articoli 7 e 8 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, prevalgano comunque sia sull’interesse economico del gestore del motore di ricerca, sia su quello del pubblico ad accedere all’informazione personale indicizzata sul motore di ricerca, in occasione di una ricerca concernente il nome della persona. Proprio in virtù di tali diritti, l’interessato può - sempre che non ricopra nella vita pubblica un ruolo tale da giustificare l’ingerenza nei suoi diritti fondamentali con l’interesse preponderante del pubblico ad avere accesso all’informazione personale - richiedere che l’informazione che lo riguarda non venga più messa a disposizione del grande pubblico tramite indicizzazione sul motore di ricerca.

La sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea è consultabile sul sito Curia.europa.eu.

(Sentenza della Corte (grande sezione), 13 maggio 2014, Causa C-131/12)

Avv. Francesco Di Tano