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IVA - Corte di Giustizia: i Bitcoin sono esenti dal pagamento dell’Iva

Con Sentenza pubblicata il 22 Ottobre 2015, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea si è espressa in merito all’Imposta sul Valore Aggiunto delle operazioni di cambio concernenti i “Bitcoin”: da ora in avanti la moneta virtuale sarà esente dal pagamento dell’Iva in Europa.

Secondo i fatti che hanno generato la controversia, il Sig. Hedqvist risultava titolare di un’attività di cambio esercitata con il supporto di una società di intermediazione, consistente nella compravendita di Bitcoin in cambio di valute tradizionali, ottenendo un profitto dalla differenza tra i prezzi di acquisto e di vendita applicati.

Allo scopo di ottenere un chiarimento sugli aspetti fiscali, Hedqvist si era preventivamente rivolto alla Commissione Tributaria svedese, che il 14 Ottobre 2013 si espresse ufficialmente a favore dell’esenzione della sua attività dal pagamento dell’Iva.

L’Amministrazione finanziaria, però, fu di tutt’altro avviso, tanto da interpellare la Corte di Giustizia sull’interpretazione degli articoli 2 paragrafo 1 e 135 paragrafo 1 della Direttiva 2006/112/ce per comprendere se l’attività in commento poteva considerarsi a titolo oneroso e beneficiare dell’esenzione fiscale contestata.

I Bitcoin rappresentano una valuta virtuale, generata in rete e scambiata tra gli utenti attraverso un “indirizzo Bitcoin” (equiparabile al numero di un conto corrente bancario) e che la Banca Centrale Europea ha definito “a flusso bidirezionale”, differente dalla moneta elettronica perché espressa in unità di calcolo virtuale e non tradizionale.

Il primo step della CGUE consisteva nell’appurare se le operazioni di cambio potevano essere qualificate come cessione di beni o prestazioni di servizi “effettuate a titolo oneroso nel territorio di uno Stato membro da un soggetto passivo che agisce in quanto tale” come espresso dall’articolo 2 paragrafo 1 lettere a) e c).

Secondo la Corte la possibilità di inserire l’attività contestata tra le cessioni di beni doveva essere esclusa in quanto i Bitcoin non erano un “bene materiale” nel senso fatto proprio dall’articolo 14 della Direttiva: la moneta virtuale, infatti, non trasferiva alcun diritto di proprietà e veniva utilizzata unicamente per il cambio fra vari mezzi di pagamento.

L’attività del convenuto configurava, piuttosto, una prestazione di servizi a titolo oneroso ex articolo 2 paragrafo 1 lettera c), in quanto tra il titolare e gli utenti ricorreva una relazione diretta ed un rapporto giuridico sinallagmatico ove “il compenso ricevuto dal prestatore costituisca il controvalore effettivo del servizio prestato al beneficiario.

In merito alla seconda questione pregiudiziale, la Corte comunitaria è arrivata a sostenere che solo il contenuto dell’articolo 135 paragrafo 1 lettera e), concernente “divise, banconote e monete con valore liberatorio”, avrebbe potuto giustificare l’esclusione delle operazioni sui Bitcoin dal pagamento dell’Iva.

Le esenzioni sono state introdotte con l’obiettivo di risolvere le difficoltà sulla determinazione della base imponibile e l’importo stesso dell’Iva in Europa. Dato che le medesime problematiche sono state riscontrate anche negli scambi con moneta virtuale, limitando l’applicazione dell’articolo 135 lettera e) alle valute tradizionali, la norma avrebbe prodotto solo in parte i suoi effetti.

Come diretta conseguenza, se la moneta virtuale viene accettata e utilizzata come mezzo di pagamento alternativo a quello legale a fronte di una somma pagata come differenza tra i prezzi di acquisto e vendita, le attività di cambio di Bitcoin in moneta tradizionale e viceversa, rientrano a pieno titolo tra le attività esenti dall’applicazione dell’Iva per le transazioni compiute all’interno del territorio europeo. Il tutto nella convinzione generale che questa novità apporterà grandi benefici nel mercato interno comunitario.

(Corte di Giustizia dell’Unione europea – Quinta Sezione, Causa C-264/2014, Sentenza del 22 Ottobre 2015)

Con Sentenza pubblicata il 22 Ottobre 2015, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea si è espressa in merito all’Imposta sul Valore Aggiunto delle operazioni di cambio concernenti i “Bitcoin”: da ora in avanti la moneta virtuale sarà esente dal pagamento dell’Iva in Europa.

Secondo i fatti che hanno generato la controversia, il Sig. Hedqvist risultava titolare di un’attività di cambio esercitata con il supporto di una società di intermediazione, consistente nella compravendita di Bitcoin in cambio di valute tradizionali, ottenendo un profitto dalla differenza tra i prezzi di acquisto e di vendita applicati.

Allo scopo di ottenere un chiarimento sugli aspetti fiscali, Hedqvist si era preventivamente rivolto alla Commissione Tributaria svedese, che il 14 Ottobre 2013 si espresse ufficialmente a favore dell’esenzione della sua attività dal pagamento dell’Iva.

L’Amministrazione finanziaria, però, fu di tutt’altro avviso, tanto da interpellare la Corte di Giustizia sull’interpretazione degli articoli 2 paragrafo 1 e 135 paragrafo 1 della Direttiva 2006/112/ce per comprendere se l’attività in commento poteva considerarsi a titolo oneroso e beneficiare dell’esenzione fiscale contestata.

I Bitcoin rappresentano una valuta virtuale, generata in rete e scambiata tra gli utenti attraverso un “indirizzo Bitcoin” (equiparabile al numero di un conto corrente bancario) e che la Banca Centrale Europea ha definito “a flusso bidirezionale”, differente dalla moneta elettronica perché espressa in unità di calcolo virtuale e non tradizionale.

Il primo step della CGUE consisteva nell’appurare se le operazioni di cambio potevano essere qualificate come cessione di beni o prestazioni di servizi “effettuate a titolo oneroso nel territorio di uno Stato membro da un soggetto passivo che agisce in quanto tale” come espresso dall’articolo 2 paragrafo 1 lettere a) e c).

Secondo la Corte la possibilità di inserire l’attività contestata tra le cessioni di beni doveva essere esclusa in quanto i Bitcoin non erano un “bene materiale” nel senso fatto proprio dall’articolo 14 della Direttiva: la moneta virtuale, infatti, non trasferiva alcun diritto di proprietà e veniva utilizzata unicamente per il cambio fra vari mezzi di pagamento.

L’attività del convenuto configurava, piuttosto, una prestazione di servizi a titolo oneroso ex articolo 2 paragrafo 1 lettera c), in quanto tra il titolare e gli utenti ricorreva una relazione diretta ed un rapporto giuridico sinallagmatico ove “il compenso ricevuto dal prestatore costituisca il controvalore effettivo del servizio prestato al beneficiario.

In merito alla seconda questione pregiudiziale, la Corte comunitaria è arrivata a sostenere che solo il contenuto dell’articolo 135 paragrafo 1 lettera e), concernente “divise, banconote e monete con valore liberatorio”, avrebbe potuto giustificare l’esclusione delle operazioni sui Bitcoin dal pagamento dell’Iva.

Le esenzioni sono state introdotte con l’obiettivo di risolvere le difficoltà sulla determinazione della base imponibile e l’importo stesso dell’Iva in Europa. Dato che le medesime problematiche sono state riscontrate anche negli scambi con moneta virtuale, limitando l’applicazione dell’articolo 135 lettera e) alle valute tradizionali, la norma avrebbe prodotto solo in parte i suoi effetti.

Come diretta conseguenza, se la moneta virtuale viene accettata e utilizzata come mezzo di pagamento alternativo a quello legale a fronte di una somma pagata come differenza tra i prezzi di acquisto e vendita, le attività di cambio di Bitcoin in moneta tradizionale e viceversa, rientrano a pieno titolo tra le attività esenti dall’applicazione dell’Iva per le transazioni compiute all’interno del territorio europeo. Il tutto nella convinzione generale che questa novità apporterà grandi benefici nel mercato interno comunitario.

(Corte di Giustizia dell’Unione europea – Quinta Sezione, Causa C-264/2014, Sentenza del 22 Ottobre 2015)