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Nobile di nome et Arme

L'Araldica nelle prove di nobiltà del Sovrano Militare Ordine di Malta
Codice di Rohan
Codice di Rohan

Per quanto attiene all'Araldica dell'Ordine di Malta (ovvero Sovrano Militare Ordine di Malta secondo la denominazione ufficiale del nostro tempo), occorre far capo anzitutto a quella fondamentale documentazione d'archivio costituita dalle carte relative ai “processi” per l'ammissione all'Ordine e dalle regole ed usi susseguitisi in tale materia nel corso di più di 900 anni, sia per ciò che concerne gli stemmi e la simbologia dell'Ordine stesso in quanto tale sia per ciò che si riferisce alle armi di famiglia dei singoli cavalieri.

I rari, frammentari accenni, nelle normative melitensi ufficiali dei secoli scorsi, alle armi gentilizie, alla loro presentazione e “probanza” in sede di ammissione all'Ordine, nonché alle diverse modalità della loro composizione ed uso, sono strettamente connessi alla documentazione relativa ai suddetti processi, fortunatamente conservatici in gran copia per un opportuno “iter conoscitivo”, sia pur in prevalenza indiretto e spesso solo accennato, su una materia regolata in passato essenzialmente seguendo tradizioni plurisecolari.

Storicamente, le prove di nobiltà, richieste per l'ingresso nell'Ordine di Malta, hanno conosciuto una marcata evoluzione quanto alle loro caratteristiche: inizialmente esse erano infatti costituite per lo più da dichiarazioni verbali dovute a conoscenze interpersonali (pensiamo solo, per esempio, alla partecipazione ad una Crociata...). mentre Fu solo in prosieguo di lungo tempo che le prove stesse furono oggetto di più ordinata regolamentazione: nella prima fase di tale “iter”, particolare importanza rivestiva anche il messaggio trasmesso comunque dalle armi di famiglia, caratterizzanti ciascun processo.

Giova rammentare a questo proposito che i Cavalieri di Malta furono in epoca storica quasi esclusivamente “fratres” professanti voti religiosi, sottoposti ad una regola monastica tratta da quella dettata da S. Agostino (o da S. Benedetto secondo alcuni studiosi), prima di essere “milites”: i tantissimi che si batterono sotto la croce ottagona, insieme alla schiera onorata dei loro confratelli caduti a San Giovanni d'Acri (1291), all'assedio di Rodi (1522), a quello di Malta (1565) ed in innumerevoli altri fatti d'arme in mare come in terra, furono quasi tutti dei religiosi in primo luogo, le cui attitudini ed abilità militari, ad essi inculcate fin dalla prima infanzia, secondo le tradizioni delle nobili loro famiglie, costituivano certo una caratteristica prevalente in sede di prove di nobiltà per l'ammissione all'Ordine, ma solo dopo la vocazione religiosa. Successivamente all'eroica resistenza per il citato assedio di Malta, con il pericolo turco ormai diminuito e quindi con un certo rilassamento nelle operazioni militari – marinaresche, si poté, contemporaneamente alla costruzione delle imponenti nuove fortificazioni e della città di La Valletta, provvedere al riordino delle antiche tradizioni, costumi ed usi, anche per ciò che riguardava le prove da presentare per l'ingresso nell'Ordine.

Nacque così nel 1782 il Codice che prese il nome dal proprio promotore il Gran Maestro di quel tempo Fra' Emanuele DE ROHAN, codice costituente l'epilogo di una lunga fase di riordinamento normativo imposta anche dai problemi affliggenti, nell'isola di Malta, quella comunità di cavalieri, spesso giovanissimi, quasi tutti frati con voti religiosi come già detto, esposti umanamente a decadenza dei costumi di vita, data l'inazione progressiva derivante dalla diminuzione dell'impegno militare.

Sussistevano inoltre anche problemi in campo amministrativo a causa della cattiva gestione delle vaste proprietà (ovvero Commende) dell'Ordine in Europa, con casi estremi di appropriazione indebita da parte degli amministratori dei beni a loro affidati: per i problemi più delicati concernenti lo “status” religioso dei cavalieri, le prescrizioni e le pene relative in caso di cattiva condotta, previste dal Codice de Rohan, seguivano le stesse linee le quali, molto tempo prima, in epoca comunque di ben maggiore attività militare, erano state tracciate nel 1421 dal Gran Maestro Antonio FLUVIAN DE LA RIVIERE, prevedenti tra l'altro “:..che non sia lecito in modo alcuno a Fratelli nostri, siano di qualsivoglia condizione l'avere, tenere o nutrire in casa propria o fuori concubine, né praticar con esse...”

Codice di Rohan

Tornando alle prove di nobiltà ed armi gentilizie relative, il Codice de Rohan provvide anche in questo campo al riordinamento generale “imposto dal Sacro Generale Capitolo celebrato nell'anno 1776 sotto gli auspici di Sua Altezza Eminentissima il Gran Maestro Fra Emanuele de Rohan” così come recita il frontespizio del Codice stesso pubblicato in Malta, “nella stamperia del palazzo di S.A.E. a cura di Fra' Giovanni Mallia suo stampatore” nel già citato anno 1782.

Sostanzialmente, per quanto riguarda le prove per l'ammissione all'Ordine, il Codice de Rohan si ispirò per le proprie prescrizioni ai criteri più precisi delineati già nel 1521 dal Gran Maestro di allora Fra' Filippo de VILLIERS de l'ISLE ADAM, il quale aveva prescritto tra l'altro che “Niuno si riceve in modo alcuno, che non sia gagliardo e ben composto di corpo ed atto alle fatiche....... che se li pretendenti non si saranno presentati personalmente ai medesimi Capitoli ad effetto che possano riconoscersi se son sani di mente e di corpo e rispettivamente atti al Servizio Divino e Militare, i quali non trovati idonei, in nessuna maniera si ammettono a fare le prove”.

Per queste ultime in particolare, dopo la suddetta severa esigenza di idoneità religiosa e fisica, il Gran Maestro de ViIliers de l'Isle aveva prescritto che “si estraggano a sorte due Cavalieri capaci i quali dovranno senza verun onorario rivedere le scritture concernenti la nobiltà del Pretendente e con il maggior segreto possibile indagare in che reputazione sono le famiglie del medesimo, ed indi fare in voce la relazione al suddetto Capitolo”. Va aggiunto che per famiglie vanno intese, come è noto, quelle di tutti e quattro gli avi del richiedente, per quanto riguarda l'ambito italiano e deve anche esserne provata la nobiltà almeno duecentennale.

Circa l'aspetto più strettamente araldico, la fonte normativa alla quale il Codice de Rohan si riferì fu la statuizione del Gran Maestro Ugo de LOUBENS VERDALA dell'anno 1582 secondo la quale “... per l'avvenire le prove di Nobiltà dei Cavalieri vi siano dipinte coi loro distinti colori le armi gentilizie di tutte le famiglie che entrano nelle prove del pretendente, le quali con deposizioni di testimoni e con monumenti, o autentiche scritture devono esser provate vere e ben conosciute”.

È in effetti dalla fine del XVI secolo che iniziano a pervenirci quelle suggestive testimonianze stemmate, spesso di bellissima fattura, conservate tuttora in archivi privati e pubblici, nonché soprattutto in quelli melitensi, delle quali riproduciamo qualche esemplare settecentesco relativo a grandi famiglie piemontesi, grazie alla cortesia della Biblioteca, del Gran Magistero a Roma: trattasi, per più comoda lettura, degli “Alberani” dei Cavalieri Giuseppe Pietro PONTE del CASTELLERO (prova includente come di rito anche i quarti secondari SOLARO della CHIUSA, CACHERANO di VILLAFRANCA, GRIMALDI di BOGLIO oltre al quarto principale PONTE), Ottavio Giuseppe PROVANA di COLLEGNO (prove relative ai quarti SALOMONE di SERRAVALLE, AVOGADRO della MOTTA, MOROZZO oltre al quarto principale PROVANA), Giovanni Nepomuceno SALUZZO del CASTELLAR (prove del quarto principale SALUZZO e dei quarti secondari BALBIANO, FALLETTI di POCAPAGLIA e NOMIS.

Albero Prpovana 1757
Albero Provana 1757
Ponte 1707
Ponte 1707
Saluzzo
Saluzzo

Ovviamente i diversi ambiti territoriali, cioè le cosiddette “Lingue” nazionali, comportavano tra essi differenti costumi, e per le prove nobiliari con relativi stemmi le differenze potevano essere marcate.

A tale proposito pensiamo ad esempio solo, per ciò che concerne gli stemmi stessi, quale abbondanza di elmi, cimieri, corone è raffigurata nelle documentazioni araldiche della

Lingua di ALEMAGNA dell'Ordine, rispetto agli stemmi della Lingua d'ITALIA ispirati a essenziale semplicità. Quanto alle prove richieste per vestire l'abito di Cavaliere di Malta, esse prevedevano in ambito germanico, come spesso tuttora prevedono attualmente, la “probanza” degli otto ottavi o addirittura dei sedici sedicesimi di nobiltà della famiglia del richiedente. Per l'Italia valgono regole prevedenti la compensazione dei quarti secondari che non raggiungono i 200 anni di nobiltà, con la antichità plurisecolare (300 anni in su) del quarto principale.

Dopo il ciclone napoleonico il quale, come ben noto, privò l'Ordine di Malta del suo territorio, ma non della propria personalità giuridica statuale internazionale, l'Ordine stesso riorganizzatosi durante l'800 sulla base di Associazioni Nazionali, eredi delle antiche Lingue, consolidò gli indirizzi normativi precedenti la perdita dell'isola di Malta.

Il principio fondamentale su cui si basano oggi le prove nobiliari di ammissione, nell'ambito delle diverse Associazioni Nazionali, composte ai tempi nostri non più soprattutto da religiosi ma ormai in quasi assoluta prevalenza da laici ed anche da Dame, prescrive che le ascendenze familiari devono sempre essere documentariamente provate mediante atti di battesimo e di matrimonio vidimati dalla Curia Vescovile competente, così come pure ogni aspetto sulle qualità nobiliari vantate, deve essere rigorosamente provato con documenti estratti da archivi pubblici o anche privati ma comunque certificati da una pubblica Autorità: ben lontani sono i tempi durante i quali tali prove venivano fornite tramite semplici testimonianze personali, sia pur giurate...

Dal punto di vista strettamente araldico è pure definitivamente consolidata tassativamente l'esigenza, ormai antica, di produrre in sede di prova nobiliare gli alberi genealogici con il cosiddetto “alberano” sempre includente i relativi stemmi a colori.

Le regole di composizione degli stemmi dei cavalieri, nelle diverse categorie e dignità, già da tempo erano state definite con chiarezza ed ancora oggi maggiormente sono state precisate negli anni '70 del XX secolo da poco terminato: senza addentrarsi nei tanti dettagli araldici relativi, rammentiamo solo le caratteristiche blasoniche del vertice Sovrano dell'Ordine, il Gran Maestro, il quale inquarta la propria arme di famiglia (II e III quarto) con l'arma dell'Ordine medesimo, “di rosso alla  croce piana d'argento” (I e IV quarto), come pure rammentiamo le caratteristiche degli stemmi dei Cavalieri Professi, i veri “fratres” della tradizione melitense, nei quali risiede la responsabilità di Governo ed ai quali spetta di accollare o addossare la croce biforcata dell'Ordine alla propria arma di famiglia col capo del medesimo e se sono anche “Balì” essi recingono lo scudo con la corona del Rosario, detta PATERNOSTRO, dalla quale pende una crocetta ad 8 punte.

Non mancano certo libri e pubblicazioni varie sull'araldica melitense, ad opera anche di studiosi del massimo prestigio, ma qualsiasi lettura e ricerca in argomento dovrebbe poter prevedere, compatibilmente con le oggettive possibilità di ognuno, una visita alla Cattedrale di S. Giovanni Battista in La Valletta: é infatti sul vastissimo pavimento stemmato della medesima che le arme di tanti Cavalieri del passato, perfette nelle loro composizioni blasoniche, ci parlano quasi dal vivo dell'arte araldica al suo meglio, ispirata al valore della tradizione e dei personaggi colà ricordati, di cui molti caduti in combattimento: ciascuno quindi di questi ultimi, specialmente, nel più eletto senso delle parole, vero “Nobile di Nome et Arme!”.