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“Non c’è due ... senza tre”: la Corte di Cassazione torna a pronunciarsi sul tema degli interessi moratori

Le Drapeau noir, Renè Magritte,1937, Scottish National Gallery Of Modern Art
Le Drapeau noir, Renè Magritte,1937, Scottish National Gallery Of Modern Art

La Corte Cassazione è tornata ad approfondire, con la decisione n. 9237 del 20/5/2020, lo spinoso argomento dell’interesse moratorio e le conseguenze del superamento del tasso soglia al momento della sottoscrizione del contratto.

Tre sono le decisioni sullo specifico tema emesse dalla Suprema Corte negli ultimi tre anni (le precedenti rispettivamente del 30.10.2018, Cassazione n. 27442/2018, e del 17.10.2019, Cassazione n. 26286/2019) e tre è anche il numero della sezione che ha trattato tutte le decisioni.

“Non c’è due senza tre” verrebbe spontaneo commentare richiamando uno dei più comuni proverbi della cultura popolare italiana. Non si conosce l’esatta origine del sopracitato proverbio ma l’espressione probabilmente si riallaccia ad antiche superstizioni basate sui numeri magici influenzata dal fatto che il numero tre era considerato il numero perfetto.

In codesto caso, tuttavia, non si può certamente parlare di “perfezione” né di verificarsi per la terza volta di un evento della stessa natura: il Supremo Collegio perviene infatti ad una conclusione che si discosta da entrambe le precedenti, rendendo ancora più complicata la soluzione del problema.

Ma andiamo per gradi e analizziamo i contenuti della pronuncia. Oggetto del contendere, nella fattispecie, sono due contratti di leasing: il Tribunale di Milano aveva del tutto escluso il superamento del tasso moratorio ab origine rigettando integralmente la domanda della società attrice.

La Corte Meneghina, pur pervenendo anch’essa al rigetto delle richieste dell’appellante, aveva tuttavia dato atto della usurarietà degli interessi moratori, ma ritenendo che non si dovessero cumulare ai corrispettivi concludeva con l’escludere che la relativa pattuizione viziasse l’intera convenzione sugli interessi, facendo leva, inoltre, sull’ulteriore elemento che gli interessi di mora non fossero stati, in concreto, corrisposti.

La Corte di Cassazione, nell’argomentare la propria decisione, preliminarmente evidenzia di non concordare con le conclusioni a cui è giunta la Corte Lombarda.

Non viene condiviso, infatti, il rilievo decisivo riconosciuto nella sentenza di secondo grado alla mancata applicazione in concreto dell’interesse sanzionatorio per ritardato pagamento, in quanto, secondo gli Ermellini,

il momento determinante per la valutazione del superamento della soglia consentita, è proprio la pattuizione, a prescindere dalla effettiva corresponsione degli interessi; questi ultimi devono ritenersi in misura illegittima se sono pattuiti in quella misura, a prescindere dalla circostanza che il creditore li abbia effettivamente riscossi (art. 644 c.p.). Del resto le Sezioni Unite di questa Corte hanno chiarito che l’usura si determina al momento della pattuizione (e dunque) usurario per effetto di circostanze sopravvenute (c.d. usura sopravvenuta), non può ritenersi la nullità (Cass. 24675/2017), segno che quest’ultima si valuta al momento della convenzione, senza riguardo alla effettiva riscossione.

Chiarito il momento in cui deve essere effettuata la verifica del fenomeno usurario, gli Ermellini incentrano il prosieguo dell’iter argomentativo sulle conseguenze di un superamento del tasso rispetto al tasso soglia.

La Suprema Corte conviene nel ritenere che nelle due tipologie di interessi (corrispettivi e moratori) non vi sia una diversità netta di funzione e che anche gli interessi moratori, al pari dei corrispettivi, svolgano attività remunerativa, in quanto dovuti per il godimento prolungato (ossia oltre il termine di scadenza per la restituzione) del denaro da parte dell’accipiens.

Tuttavia, come già argomentato da precedente decisione della Cassazione (sentenza n. 27442/2017), tale analogia di funzione non comporta necessariamente che la nullità degli uni si estenda, per ciò stesso, agli altri. I due interessi infatti non coesistono nell’attuazione del rapporto, ma si succedono o per meglio dire, gli uni si sostituiscono agli altri, e le rispettive poste mantengono una ideale autonomia, anche in caso di adempimento e di operatività dei moratori.

Fino a che l’accipiens è nei termini per restituire la somma, ne gode entro la scadenza, egli è tenuto a corrispondere gli interessi corrispettivi, che sono per l’appunto richiesti per il godimento del denaro; una volta che il termine per la restituzione sia scaduto è invece tenuto a corrispondere quelli moratori, convenuti invece per il godimento prolungato oltre la scadenza.

Pertanto pur avendo la medesima funzione in comune, ovvero quella di remunerare chi ha prestato il denaro, le due tipologie di interesse mantengono autonomo rilievo; gli interessi corrispettivi ripagano il godimento del denaro da parte dell’accipiens, i moratori invece rifondono il mutuante della prolungata indisponibilità del denaro e delle perdite che essa comporta per non avere ottenuto la restituzione nei tempi convenuti.

Tale impostazione, conclude la Corte, impedisce di considerare come cumulabili i due e dunque di considerare la loro somma ai fini della valutazione di superamento della soglia, ma non preclude, viceversa, la possibilità di sostenere che sono nulli i moratori, per superamento della soglia, senza che siffatta nullità si estenda anche ai corrispettivi.

Nel concreto, pertanto, al mutuatario dovranno essere riconosciuti - in caso di superamento del tasso moratorio rispetto al tasso soglia - unicamente, se applicati, gli interessi derivanti dall’applicazione dello specifico saggio sanzionatorio, non travolgendo in alcun modo gli interessi corrispettivi.

Si ricorda, a tal proposito, che la Terza Sezione della Suprema Corte nella decisione del 30.10.2018 aveva ritenuto, al contrario, di sanzionare l’ipotesi di superamento del tasso soglia da parte del solo moratorio con l’applicazione del tasso legale ex articolo 1284 Codice Civile in sostituzione del tasso pattuito.

Ed ancora la medesima sezione con la sentenza del 17.10.2019 aveva statuito che, nella medesima ipotesi, la sanzione corretta fosse l’applicazione dell’articolo 1384 Codice Civile, secondo cui il giudice può ridurre ad equità la penale il cui ammontare sia manifestamente eccessivo.

Se dunque si volesse cercare un punto di condivisione delle tre decisioni richiamate, questo andrebbe individuato nella circostanza che nessuna pronuncia ritiene di estendere la sanzione applicata agli interessi moratori anche ai corrispettivi, nel caso i primi superino il tasso soglia.

Da ultimo stupisce e non poco, a parere di chi scrive, la scelta degli Ermellini di non trattare, nella più recente sentenza, la questione – di estremo rilievo ai fini della verifica di usurarietà, con riguardo agli interessi moratori – dell’applicazione della maggiorazione del 2,1 del TEGM, come previsto nel documento emanato da Banca d’Italia in data 3 luglio 2013, denominato «Chiarimenti in materia di applicazione della legge antiusura», argomento che al contrario era stato oggetto di una approfondita disamina nelle due precedenti pronunce, seppur con opinioni diametralmente opposte sull’utilizzo di tale incremento.

È palese la necessità impellente di giungere ad una soluzione univoca delle problematiche sopra esposte: i tempi dovrebbero essere ormai maturi. Si ricorda, infatti, che con ordinanza interlocutoria n. 26946 del 22 ottobre 2019 le Sezioni Unite sono già state chiamate dalla Prima Sezione Civile della Cassazione ad esprimersi.

Non ci sarà probabilmente il tempo per il Supremo Collegio di esprimersi con una quarta pronuncia ed una ulteriore tesi; il punto fermo delle Sezioni Unite non è stato ancora messo, ma solo ed esclusivamente perché il paese e la Giustizia sono stati rallentati dall’emergenza sanitaria in corso, lasciando ancora una estate di vivace dibattito per i cultori della materia.