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Onde jain

Gujarat
Gujarat

La collina di Girnar, nel Gujarat, è un luogo sacro e tale viene considerata dai fedeli jain.

Sulla sua sommità i templi disegnano bianchi merletti e l’architettura nell’insieme incanta chi sale quassù.

Tuttavia, tra i due concetti di santità e bellezza è certamente il primo il più rilevante.

Già da prima dell’alba schiere di pellegrini hanno percorso la lunga scalinata che porta alla cima. Per purificarsi non hanno mangiato e posso vederne alcuni accasciati o svenuti sulla sommità.

I jain praticano una totale “ahimsa” (non violenza).

Quelli della tradizione svetambara avanzano spazzando il terreno davanti per evitare di calpestare inavvertitamente qualche insetto ed hanno la bocca ed il naso coperti da una mascherina, al fine di non ingerire qualche minuscolo essere vivente.

Gli asceti della tradizione digambara, invece, sono i cosiddetti “vestiti di aria”. Camminano nudi, perché ormai oltre il concetto di pudore o le sensazioni di caldo o freddo, in totale sintonia con l’Universo. Vengono seguiti da file di persone che aspirano ad assorbire qualche effluvio della loro santità.

Qui a Girnar, tuttavia, i fedeli non esprimono tali comportamenti e si limitano ad un pellegrinaggio di purificazione, manifestazione della loro fede.

Nei templi sulla cima ne scorgo vari in preghiera, che cantano inni sacri o tracciano piccole svastiche (simbolo del sole) con chicchi di riso.

L’atmosfera che regna è di pace, ed il tempo scorre senza che io me ne accorga. Infine, a malincuore, mi rendo conto che è per me arrivato il momento di scendere di nuovo a valle.

Mi avvio, dunque, ma dopo un’oretta di cammino scorgo in fondo sul sentiero lastricato un gruppo di persone ferme. Mi chiedo cosa stiano facendo. Osservo la scena da lontano e capisco. Stanno imponendo sulla fronte di chi scende la tilak, il punto rosso simboleggiante il terzo occhio.

Preparo una banconota da 10 rupie per ringraziarli e mi avvicino lentamente. È così che anche la mia fronte viene marchiata dal rosso simbolo di vista mentale, che va ben oltre quella degli occhi.

Allungo loro il mio contributo, ma vengo guardato come uno che non ha capito. Mi danno loro del denaro.

Finalmente realizzo: l’insegnamento della loro religione invita a fare dei gesti di amicizia, ad esempio dei regali, verso gli altri, anche se sconosciuti. Ritengono possibile che le persone che ne sono oggetto potranno restarne colpite e, a loro volta, comportarsi così con altri, intraprendendo un percorso per cambiare se stessi ed implicitamente il mondo.

In altre parole, è come se si lanciasse un sasso in uno stagno. Dal suo cadere in acqua si sviluppano piccole onde concentriche che si allargano verso l’esterno.

Chiedo loro se devo tenere i soldi che mi hanno dato o posso disporne. Mi rispondono che sono libero.

Mi guardo intorno e vedo una anziana che, piegata, spazza con devozione i gradini. Mi avvicino e a mani giunte le porgo le monete. In cambio ricevo un sorriso.

Anche oggi ho appreso qualcosa.