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Gli echi del coro

Giordano di Sassonia, miniatura
Giordano di Sassonia, miniatura

Affluenti di santità

Capita spesso che nel presentare la vita di un santo ci si focalizzi tanto sull’individuo da finire per considerarlo come un sole; ci si concentra talmente sullo splendore della sua santità da finire per ridurre le persone con cui visse a semplici puntini, capaci solo di godere della sua luce.

Non nego che questa immagine abbia un fondo di verità, poiché il santo è effettivamente luce del mondo, in grado di rendere rigogliosi e fertili i semi d’amore lasciati da Dio nei nostri cuori; tuttavia bisogna ammettere che una descrizione simile della situazione è perlomeno riduttiva.

Sono convinto che i rapporti intessuti dagli uomini e dalle donne di Dio non siano unidirezionali, bensì dotati di una loro reciprocità, tanto da poter affermare che la santità che vediamo risplendere in loro supera la mera individualità.

Lascio a menti migliori della mia il compito di sviluppare o confutare questa visione.

Io mi limiterò a proporre un esempio, tratto dagli albori dell’Ordine dei Frati Predicatori che, se non capace di dimostrare ciò che affermo, è sicuramente in grado perlomeno di delineare i tratti della questione. Sto parlando dell’amicizia fra il beato Giordano di Sassonia, secondo Maestro dell’Ordine dei Predicatori, e la beata Diana degli Andalò, monaca domenicana; questo rapporto, testimoniato da una cinquantina di lettere scritte dal beato Giordano, si dispiega davanti a noi come il cammino di due anime che, accomunate da una meta comune, hanno reso saldi l’uno i passi dell’altra.

 

Voci distanti

Prima di proporvi il testo che ritengo più esplicativo di questa comunione, credo sia il caso di dare un volto a questi due personaggi.

Giordano nacque fra il 1175 ed il 1185 a Burg-Berg in Westafalia da una famiglia probabilmente modesta; riuscì a studiare presso la prestigiosa Università di Parigi e ottenne il titolo di Maestro delle Arti, corrispondente ad una cattedra in filosofia. Folgorato dalla santità di san Domenico, prese l’abito dell’Ordine il dodici di febbraio del 1220, distinguendosi subito per le sue notevoli doti di governo e per la sua santità personale. Nel maggio del 1222 il Capitolo Generale di Parigi lo nominò Maestro dell’Ordine, ufficio che svolse fino alla morte per naufragio avvenuta il 13 febbraio del 1237[1].

Mi rendo conto che questa presentazione può apparire un po’ fredda, ma basta ampliare leggermente il raggio delle letture per comprendere quanto differente sia la realtà.

Le testimonianze delle Vitae Fratrum[2], testo redatto da un confratello contemporaneo al beato Giordano, ci presentano infatti un religioso in grado di coniugare una fervente e carismatica passione a una dolcezza paterna capace di trovare nel profondo la grandezza di ognuno. Segno evidente ne fu l’incredibile numero di vocazioni attribuibili al beato: addirittura mille in appena quindici anni di governo.

Non fu immune da questo fascino la beata Diana, figlia del nobile Andrea di Lovello e sin da giovane decisa a dedicare a Dio la sua vita. Fu proprio Giordano di Sassonia ad aiutarla a superare le forti resistenze familiari alla sua consacrazione religiosa e, tramite il suo proverbiale carisma, a placare la situazione. Il beato stesso, nel 1223, inaugurò il Monastero domenicano di Sant’Agnese a Bologna, dove la beata Diana trascorrerà la sua vita[3].

Anche se le loro vite sembrano incrociarsi solo di rado, come le orbite di due mondi lontani, il carteggio giunto fino a noi mostra chiaramente che loro rispettiva santità si è alimentata reciprocamente, in un’unione che supera largamente le possibilità offerte da un semplice epistolario.

Prima di continuare, lascio finalmente la parola a Giordano il quale, nell’ultima lettera che scrisse a Diana poco prima della morte di lei, così la consola per la limitatezza del loro rapporto: “O cara, ciò che abbiamo potuto dirci per iscritto è ben poco. In fondo ai nostri cuori arde la fiamma di un amore santo nel Signore, nel quale reciprocamente tu ed io parliamo continuamente guidati da un sentimento che non può essere misurato e descritto convenientemente, né a parole né con le lettere[4]”.

 

La solitudine dei mondi

In queste parole leggiamo con facilità il rammarico per una lontananza che non si limita al solo aspetto spaziale ma ne travalica gli argini inaridendo anche l’interiorità.

Giordano denuncia, attraverso un’esperienza di vita capace di superare i prodigi del tempo e della tecnica, una solitudine così profonda da rendere ogni individuo un mondo silente. Proprio come quelle sfere di gas e roccia di cui l’immensità culla la solitudine, gli uomini vivono ambendo a quei saltuari contatti che, come arbitrarie orbite, permettono loro di sfiorarsi per brevi istanti; ed ecco che quindi si vive solo fugacemente, come con sprazzi di calore che, nel loro subitaneo sparire, appaiono più crudeli che benevoli. A nulla valgono le dimensioni del mondo che ci costruiamo, nulla conta la sua vivacità: esso rimarrà sempre una landa fredda in attesa di un incontro che possa ravvivarne le distese.

Al di là delle immagini poetiche, la distanza di cui Giordano parla, e che rende la sua vita un mondo distante, si nutre di una commistione di spazio ed intimo: oltrepassando il suo specifico caso, vediamo che non è solo un’impossibilità fisica di comunicare, ma anche una chiusura nei confronti di un rapporto con l’altro. Noi spesso assaporiamo quei rari momenti in cui le nostre tenebre brillano, ma la loro unicità finisce per farne strumenti di supplizio che impediscono alle tenebre di confortarci nel nulla.

La santità di Giordano e di Diana tuttavia splende dal fatto che sono riusciti a vincere questo siderale destino: nell’amore per Cristo essi hanno trovato non tanto il modo di superare la distanza, quanto di annullare la separazione. La loro santità si è nutrita nella consapevolezza di non essere mondi perduti a se stessi, ma aspetti di un unico cosmo in cui ogni cosa tende e desidera quel solo centro che è Dio.

Ecco che quindi nessuno che sia santo o che aspiri ad esserlo è mai isolato, poiché il suo amore non è un grido solitario ed appassionato, bensì parte di uno splendido coro nel quale l’altro è noto come la migliore eco di sé.

 

[1] Cfr. Giordano di Sassonia, Santità e amicizia. Lettere alla beata Diana degli Andalò, Introduzione (a cura di Paolo Vanzan OP), ESD, Bologna 2019, pp. 23-32.

[2] Cfr. Geraldo di Frachet, Vitae Fratrum a cura di P. Pietro Lippini OP), ESD, Bologna 1998, pp. 147-210.

[3] Cfr. Giordano di Sassonia, Santità e amicizia. (ed. cit.), pp. 33-39.

[4] Cfr. ivi, n. 55(XVI), p. 161.

Testi consigliati:

Giordano di Sassonia, Santità e amicizia. Lettere alla beata Diana degli Andalò, (a cura di Paolo Vanzan OP), ESD, Bologna 2019.

Geraldo di Frachet, Vitae Fratrum a cura di P. Pietro Lippini OP), ESD, Bologna 1998.