OPEN di Andrè Agassi
Iniziamo subito col dire che Open non è l’autobiografia di un tennista di successo. Non solo, almeno.
Open è prima di tutto lo straordinario viaggio interiore compiuto da un uomo che, dopo tanti anni, si trova a fare i conti con suo padre, con le paure, con le inibizioni, con le aspettative di successo degli altri e con gli inevitabili fallimenti che un peso di quella portata non avrebbe potuto evitare.
«Gioco a tennis per vivere, anche se odio il tennis, lo odio di una passione oscura e segreta, l’ho sempre odiato. Quando quest’ultimo tassello della mia identità va al suo posto, scivolo sulle ginocchia e in un sussulto dico: fa’ che finisca presto».
Quando ho letto questa frase, ho pensato a un refuso. Come poteva odiare il tennis uno che ha fatto del tennis la propria vita, il proprio successo, la propria realtà? E invece, andando avanti con il libro, si capisce il tormento di un ragazzo che, appena nato, si è trovato in mano una racchetta da tennis legata al braccio in modo da abituarla al peso e al movimento. Uno che si è trovato a combattere un mostro spara palle di metallo costruito dal padre che lanciava siluri da una parte all’altra di un minuscolo campo, in cui era impossibile rispondere con calma, controllando apertura e movimento di diritto e di rovescio, costringendo il malcapitato a rispondere d’anticipo, quasi in demi-volée, di fatto creando quel metodo unico al mondo di giocare a tennis, il modo “alla Agassi”, come si diceva allora. Un ragazzo che subiva la personalità di un padre allenatore tiranno che cercava di programmarlo a diventare il più grande tennista di tutti i tempi. E non ammetteva scuse, sconti o ragioni.
Così, tra allenatori di talento ma dai dubbi metodi (Nick Bollettieri su tutti), tornei sudati, incontri infiniti, sofferenze, problemi estetici (il toupet che porterà per quasi tutta la sua carriera diventerà una vera ossessione), problemi fisici (Agassi dovrà fare i conti con terribili lombo sciatalgie che lo costringeranno a pesanti cure di antidolorifici e cortisonici, minandone il rendimento e la salute) si giunge al bilancio di una vita, non tanto di una carriera iniziata troppo presto, quanto di una esistenza intera, divenuta serena con l’amore importante (quella Steffi Graf, campionessa indiscussa del tennis mondale, che con lui formerà una famiglia felice) e con la consapevolezza che soltanto l’impegno per il prossimo completa davvero la natura di un uomo.
La narrazione si apre col racconto del suo penultimo incontro, quello degli US Open del 2006, in cui troviamo un Agassi stanco, sconfitto dai dolori, dilaniato da una resa che sta per essere annunciata. Uno sguardo umano, dunque, fatto di acciacchi, malesseri, bambini che lo tengono sveglio la notte e vita comune. Niente di quello che ci si aspetterebbe da un libro scritto da uno che ha fatto la storia del tennis, vincendo otto prove del Grande Slam, tra i pochissimi ad aver vinto almeno uno di ciascuno dei tornei che lo compongono.
Sì, perché Agassi ha sempre vissuto questa dicotomia: odio e passione per uno sport che non doveva/poteva lasciare e che, tra lacrime, gioie e sangue, avrebbe dovuto/potuto regalargli la gloria imperitura.
«Papà dice che se colpisco 2.500 palle al giorno, ne colpirò 17.500 alla settimana e quasi un milione in un anno. Crede nella matematica. I numeri, dice, non mentono. Un bambino che colpisce un milione di palle all’anno sarà imbattibile».
E così è stato. Agassi è stato uno sportivo imbattibile e un uomo fragile, con luci e ombre che il libro, quasi miracolosamente, rende con una prosa perfetta. Open, infatti, è un viaggio doloroso nei meandri della vita di un uomo che odiava il tennis ma voleva essere un campione e prescindere, un percorso perfetto, scritto divinamente tra le atmosfere esaltanti di uno sport epico, un libro che piacerà parimenti a chi adora il tennis e a chi lo detesta.
Quello che sorprende nella narrazione fluida e interessante del libro è la presenza di ironia, a tratti crudele, di una consapevolezza delle miserie umane, di umiltà, redenzione e senso di colpa, di melanconia sottile, passione schiumante e capacità di adattamento ad ogni situazione che la vita ti pone innanzi.
Ultimo, ma non ultimo, il riferimento a colui che ha materialmente scritto, editato e rivisto il libro, quel J.R. Moehringer, premio Pulitzer e scrittore di immenso talento, che Agassi alla fine ringrazia con sincera onestà per l’immenso lavoro. E che, con ogni probabilità, è il vero campione di Open.