Parità di Genere e conciliazione tempo lavoro

una nuova frontiere per un lavoro più giusto
parità di genere
parità di genere

Parità di Genere e conciliazione tempo lavoro

una nuova frontiere per un lavoro più giusto

La Strategia europea per la parità di genere 2020-20251, presentata dalla Commissione europea il 5 marzo del 2020, da una parte, e soprattutto il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), approvato dal Governo italiano il 13 luglio 2021, dall’altra, segnano l’inizio di una nuova stagione della politica legislativa sulla parità di genere che, accanto alla riproposizione e al rafforzamento della strumentazione antidiscriminatoria, del modello promozionale delle cosiddette azioni positive e delle politiche di conciliazione vita e lavoro, puntano su una nuova strategia di contrasto al gender gap fondata sulla trasparenza e sulla rendicontabilità delle politiche aziendali di gestione del personale.

Come dimostra la direttiva europea 2019/1152 sulla trasparenza delle condizioni contrattuali, sulla cui implementazione nel contesto italiano si sta in questi giorni tanto discutendo, nel nuovo secolo, il principio di trasparenza è, di fatto, sempre più elevato a principio trasversale  di “terza generazione”, che punta sull’aspetto dinamico dell’informazione stessa. Il principio di trasparenza e prevedibilità delle condizioni contrattuali punta, infatti, su un diritto di informazione diretto non solo a “fotografare” l’esistente, bensì dinamico, che – attraverso l’esplicazione in postulati linguistici chiari, trasparenti e controllabili – deve garantire non solo la conoscenza e conoscibilità delle condizioni contrattuali applicate, ma anche la prevedibilità delle possibili modifiche che, in mondo del lavoro “ad alta velocità”, rischiano di rendere la vita del lavoratore non programmabile e potenzialmente lesivo della capacità di autodeterminazione della persona e dei suoi spazi di vita.

Non è un caso che, già da qualche anno, sia emersa nelle istituzioni comunitarie la consapevolezza di come la trasparenza costituisca un presupposto fondamentale per l’effettiva attuazione e azionabilità in giudizio del diritto alla parità retributiva tra uomini e donne : la raccomandazione della Commissione europea del 7 marzo 2014, infatti, ha evidenziato come l’attuazione del principio della parità retributiva sia ostacolata dalla mancanza di trasparenza dei sistemi retributivi, dalla mancanza di certezza del diritto sul concetto di lavoro di pari valore e da ostacoli procedurali; sul presupposto che «una maggiore trasparenza salariale all’interno di un’impresa o di un’organizzazione possa rivelare pregiudizi e discriminazioni di genere, consentendo così a dipendenti, datori di lavoro e parti soci ali di intervenire adeguatamente per ripristinare il rispetto della parità retributiva».

Dopo aver ribadito la centralità del principio di parità di trattamento nel pilastro europeo dei diritti sociali e dopo aver approfondito le criticità della direttiva 2006/54/CE, lo scorso anno la Commissione europea ha presentato una proposta di direttiva volta a rafforzare l'applicazione del principio della parità di retribuzione tra uomini e donne per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore attraverso la trasparenza delle retribuzioni e meccanismi esecutivi.

La trasparenza dovrebbe così attivare un meccanismo virtuoso di interlocuzione a diversi livelli e, soprattutto, ove dalle informazioni pubblicate emergessero “criticità” (v. art. 9 della direttiva), un vero e proprio procedimento di «valutazione congiunta delle retribuzioni» che coinvolge il datore di lavoro, i rappresentanti dei lavoratori, gli organismi di parità, l’ispettorato del lavoro, l’organo di monitoraggio operante (secondo quanto previsto dall’art. 26 direttiva sulla proposta) a livello nazionale. Si tratta, di fatto, di una proceduralizzazione del potere datoriale di determinare le retribuzioni, ma anche i sistemi di valutazione e di classificazione professionale che, proprio a partire dalla trasparenza, aprirebbe le porte a un vero e proprio controllo e a un monitoraggio su ciò che accade nell’azienda, alla scoperta delle pieghe dove si annida il gender gap.

La centralità delle questioni relative al superamento delle disparità di genere è stata ribadita anche nel Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR)  per rilanciare lo sviluppo nazionale in seguito alla pandemia. Il Piano, infatti, ha individuato la Parità di genere come una delle tre priorità trasversali perseguite in tutte le missioni che lo compongono. Le misure previste dal Piano in favore della parità di genere sono in prevalenza rivolte a promuovere una maggiore partecipazione femminile al mercato del lavoro, attraverso interventi diretti di sostegno all'occupazione e all'imprenditorialità femminile, nonché attraverso interventi indiretti o abilitanti, rivolti in particolare al potenziamento dei servizi educativi per i bambini e di alcuni servizi sociali, che il PNRR ritiene potrebbero incoraggiare un aumento dell'occupazione femminile. Fra le misure presenti trasversalmente nel Piano, nell’ambito della Missione 5 del Piano medesimo, l’investimento 1.3 è dedicato alla attivazione di un Sistema nazionale di certificazione della parità di genere, con l’obiettivo di incentivare le imprese ad adottare policy adeguate a ridurre il divario di genere in tutte le aree che presentano maggiori criticità, come le opportunità di carriera, la parità salariale a parità di mansioni, le politiche di gestione delle differenze di genere e la tutela della maternità.

Sotto la spinta del PNRR, il legislatore italiano è così intervenuto in materia di parità retributiva con una pluralità di interventi normativi, in molta parte – come si è in premessa accennato – volti all’introduzione di misure finalizzate ad aumentare la trasparenza dei dati sulla gestione dei rapporti di lavoro, sui trattamenti retributivi, sui sistemi di progressione, cui si connettono una serie di innovativi meccanismi premiali e/o sanzionatori, che hanno potenzialmente le carte in regola per segnare una nuova gestione delle politiche di contrasto al gender gap, appunto all’insegna della promozione della trasparenza.  Tre le misure normative:

- l’art. 47 del d.l. 31 maggio 2021, n.77, dedicato alla governance del PNRR, convertito, con modificazioni, dalla l. 29 luglio 2021, n.108;

- la legge n. 162 del 5 novembre 2021, che ha introdotto modifiche al Codice delle pari opportunità di cui al d.lgs. n. 198 del 2006;

- nonché il recente art. 34, del d.l. 30 aprile 2022, n. 36, convertito con modificazioni dalla l. 29 giugno 2022, n. 79, che ha introdotto modifiche al Codice dei contratti pubblici (d.lgs. n. 50 del 2016).

Il primo intervento normativo, in ordine temporale, introduce una speciale disciplina volta a favorire le pari opportunità di genere e generazionali, nonché l'inclusione lavorativa delle persone con disabilità nei contratti pubblici finanziati con le risorse del PNRR e del PNC.

Il secondo intervento normativo, di più rilevante portata sistematica17, come si è detto, modifica il Codice di pari opportunità e, senza dubbio, rappresenta un ulteriore tassello importante nel contrasto al gender gap. Il testo, da una parte, introduce delle modifiche alla nozione di discriminazione, sia diretta sia indiretta, dall’altra, interviene proprio sul tema della mancanza di trasparenza delle condizioni di lavoro e retributive all’interno dei contesti aziendali, e lo fa riscrivendo il requisito dimensionale delle aziende cui si applica l’obbligo di redazione del rapporto sulla situazione del personale, già previsto dall’art. 46, nonché – con la previsione del nuovo art. 46-bis – tramite l’introduzione di una nuova procedura di certificazione della parità di genere, che permette di accedere (almeno in una prima fase) alle aziende che otterranno la certificazione stessa a un sistema di premialità nel versamento dei contributi previdenziali.

Il terzo intervento normativo, in ordine temporale, finalizzato proprio al rafforzamento del sistema di certificazione della parità di genere, come si è sopra accennato, apporta infine delle modiche al Codice dei contratti pubblici (art. 93, comma 7, e art. 95, comma 13), introducendo una disciplina “premiale” nel regime delle gare di appalto per le imprese in possesso della certificazione della parità di genere di cui all’art. 46-bis prima citato.

Nel solco della strategia di bilanciamento del connubio trasparenza-premialità, la certificazione di parità, ottenibile su base volontaria dalle aziende che aspirano ad ottenere il “bollino rosa”, è stata ovviamente affiancata e supportata da una serie di misure premiali, finalizzate incentivare – sia nella fase iniziale, sia a regime – le imprese a sostenere lo “sforzo”, culturale, organizzativo, ma anche economico, del percorso di certificazione. L’art. 5 della l. n. 162 del 2021 ha, infatti, previsto per le aziende in possesso della certificazione sia un esonero contributivo (commi 1 e 2); sia un punteggio premiale per la valutazione, da parte di autorità titolari di fondi europei nazionali e regionali, di proposte progettuali ai fini della concessione di aiuti di Stato a cofinanziamento degli investimenti sostenuti (comma 3); sia un obbligo per le amministrazioni aggiudicatrici, compatibilmente con il diritto dell'Unione europea e con i principi di parità di trattamento, non discriminazione, trasparenza e proporzionalità, di indicare nei bandi di gara, negli avvisi o negli inviti relativi a procedure per l'acquisizione di servizi, forniture, lavori e opere i criteri premiali che intendono applicare alla valutazione dell'offerta in relazione al possesso da parte delle aziende private, alla data del 31 dicembre dell'anno precedente a quello di riferimento, della certificazione della parità di genere (comma 3).

Nella medesima logica di promozione del binomio trasparenza-premialità, inoltre, è intervenuto il recente art. 34, del d.l. 30 aprile 2022, n. 36, convertito con modificazioni dalla l. 29 giugno 2022, n. 79, che , proprio con la finalità di rafforzamento del sistema di certificazione, ha introdotto modifiche agli artt. 93, comma 7, e 95, comma 13, d.lgs. n. 50 del 201640, contenenti disposizioni in materia garanzia provvisoria per la partecipazione alle gare e criteri premiali di aggiudicazione dell’appalto.                     In particolare, il novellato art. 95, comma 13, del citato Codice degli appalti, riprendendo la previsione dell’art. 5 della l. n. 162 del 2021 prima citata, prevede oggi l’obbligo per le amministrazioni aggiudicatrici di indicare, nel bando di gara, nell'avviso o nell'invito, i criteri premiali (il «maggior punteggio») che intendono applicare alla valutazione dell'offerta, in relazione all'adozione da parte dell’azienda partecipante alla gara di politiche tese al raggiungimento della parità di genere comprovata dal possesso di certificazione della parità di genere di cui all'articolo 46-bis del Codice delle pari opportunità. Il novellato art. 93, comma 7, del medesimo Codice degli appalti prevede, inoltre, una riduzione della “garanzia provvisoria” (vale a dire della apposita garanzia fideiussoria della quale deve essere corredata l’offerta) per gli operatori economici in possesso della suddetta certificazione di parità.

Il decreto 29 aprile 2022 del Ministro pari opportunità, preso atto del Tavolo di lavoro sulla certificazione di genere delle imprese e della successiva approvazione da parte dall'UNI (organismo nazionale di normazione), della Prassi di riferimento UNI/PdR 125:2022 contenente «Linee guida sul sistema di gestione per la parità di genere che prevede l'adozione di specifici KPI (Key Performance Indicator - indicatori chiave di prestazione) inerenti alle politiche di parità di genere nelle organizzazioni», entrata in vigore in data 16 marzo 2022, ha stabilito che i parametri minimi per il conseguimento della certificazione della parità di genere da parte delle imprese siano appunto quelli contenuti nella Prassi citata e che al rilascio della suddetta certificazione provvedano gli organismi di valutazione della conformità accreditati in questo ambito ai sensi del regolamento (CE) n. 765/2008 .

La Prassi di riferimento UNI/PdR 125:2022 si rileva di grande interesse nell’ottica giuslavoristica, presentandosi come una sorta di manuale della cultura organizzativa della parità, cui dovrebbero ispirarsi le imprese, ma anche le p.a., che puntano alla certificazione. Con l’obiettivo ambizioso di avviare un percorso sistemico di cambiamento culturale nelle organizzazioni e nella società tutta al fine di raggiungere una più equa parità di genere, la citata Prassi di riferimento punta ad intervenire sulle seguenti tre aree, riguardanti le opportunità di crescita in azienda e parità di retribuzioni; le politiche per la gestione della genitorialità e della conciliazione vita-lavoro; le politiche di gestione dei processi aziendali.

 

La conciliazione vita-lavoro nuova frontiere culturale

l Decreto legislativo n. 105 del 30 giugno 2022, di recepimento della Direttiva (UE) 2019/1158 del 20 giugno 2019 relativa all'equilibrio tra attività professionale e vita familiare per i genitori e i prestatori di assistenza, ha modificato le disposizioni contenute nel Decreto legislativo n. 151 del 26 marzo 2001, in materia di congedo di paternità obbligatorio, congedo parentale e indennità di maternità delle lavoratrici autonome.

La Circolare n. 122 del 27 ottobre 2022 dell'INPS fornisce in tal senso le prime indicazioni operative per illustrare le novità introdotte dal provvedimento in favore dei lavoratori dipendenti e autonomi, dei soggetti iscritti alla Gestione separata e delle libere professioniste, per migliorare la conciliazione tra attività lavorativa e vita privata per i genitori e i prestatori di assistenza, nell'ottica di una più equa condivisione delle responsabilità di cura tra uomini e donne e del conseguimento della parità di genere in ambito lavorativo e familiare.

Nello specifico, la circolare fornisce indicazioni operative in ordine al congedo di paternità obbligatorio dei lavoratori dipendenti del settore privato, ai periodi indennizzabili di maternità delle lavoratrici autonome, alla modifica dei periodi indennizzabili di congedo parentale dei lavoratori iscritti alla Gestione separata e dei lavoratori dipendenti del settore privato, nonché in ordine al riconoscimento del diritto di fruire del congedo parentale per i lavoratori autonomi di cui al Capo XI del T.U.

Particolarmente suggestivo e coinvolgente è il delicato tema della conciliazione dei tempi di vita e dei tempi di lavoro. Ciascun individuo avverte l’inestimabile valore del tempo e si prodiga costantemente alla realizzazione di una convivenza armoniosa e pacifica tra sfera professionale e sfera di cura.

La concordanza dei tempi”, per dirla in termini più austeri, formalizzata nel Rapporto di Alain Supiot, si eleva a obiettivo universalmente perseguito. La conciliazione dei tempi di vita e dei tempi di lavoro, assumendo come punto di partenza, la prospettiva sociologica evidenzia come: Dumazedier dipinge il quadro socio-culturale esaltando il passaggio dal taylorismo-fordismo alla “società del tempo liberato”, dall’unità del tempo, concepito in funzione esclusiva del lavoro alla ridefinizione di un tempo eterogeneo, in cui acquisisce valore autentico l’individuo.

Società e percezione del tempo viaggiano paralleli.

La conciliazione dei tempi di vita e di lavoro presuppone tra le due sfere della vita, un conflitto, sentito in maniera più viva per le donne, dedite in via primaria alla funzione essenziale di cura, costituzionalmente elevata (art. 37 Cost.).

Il conflitto e la conseguente ricerca di un’armonizzazione tra tempi, viene alla luce nel momento storico coincidente con l’ingresso della donna nel mondo professionale e si intensifica in una fase circostanziata della vita: la nascita dei figli.

Da qui si manifestano i primi interventi a tutela della figura femminile: dalla legge Carcano che, comprensiva di disposizioni a garanzia dell’allattamento, attua una protezione fisica e biologica, si approda a una disciplina normativa più matura e approfondita, che consente l’emersione di aspetti relazionali e affettivi madre- figlio. La prima parte della ricerca si sofferma su una contestualizzazione del tema non solo a livello sociologico e storico- italiano, ma inserendo la conciliazione vita- lavoro entro una cornice dai colori marcati e incisivi: le pari opportunità.

La conciliazione vita-lavoro è avvertita come strumento per il conseguimento di un obiettivo straordinario, quale la gender equality, emergente a livello europeo in una serie di interventi, tra cui la direttiva 2006/543 . Rilevante è la direttiva 2010/184 che fiorisce accanto alla direttiva 92/855 , estrinsecandosi in soluzioni specifiche volte alla convivenza equilibrata dei tempi.

TEMPO E MATERNITÀ - Maternità e conciliazione vita-lavoro: nozioni concettuali “Vi sono significati della maternità che in modo intenso, sommuovono la dimensione dell’illusione”. La maternità si staglia su due versanti essenziali: da un lato il desiderio dell’essere madre, dall’altra preoccupazioni ed ansie pervadono la donna. Un chiaro- scuro di sentimenti, contraddizioni inevitabili contraddistinguono lo stato d’animo di chi si appresta ad affrontare la maternità. La maternità si lega alla funzione biologica della donna, al concetto di procreazione fisica.

Da un punto di vista più strettamente giuridico, il fondamento specifico della tutela è rinvenibile nell’art. 37 Cost., che valorizza la funzione essenziale cui la figura femminile è dedita. La stessa Fons Fontium protegge “la maternità, l’infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo.”

L’art. 37 Cost. tra l’altro nel porre questa esaltazione andrebbe incontro a non poche contraddizioni.

Ma la maternità non è identificabile esclusivamente con il rapporto naturale con il figlio, ovvero con il periodo della vita della donna madre dall’inizio della gestazione fino all’allevamento del neonato. Arriva a ricomprendere sfumature affettive e il rapporto anagrafico- giuridico con il figlio.

La progressiva uscita delle donne dalle mura domestiche e il superamento della coincidenza della figura femminile col ruolo esclusivo di madre avente l’unica capacità e compito di procreare, fa emergere la doppia presenza della donna20 . L’ingresso delle donne nel mondo lavorativo e la loro maturazione culturale, ottenuto grazie all’accesso all’istruzione, ha portato all’emersione del dibattito sulla conciliazione famiglia- lavoro.

La conciliazione vita-lavoro diviene fonte di riflessione, diviene stimolo a rinvenire soluzioni per armonizzare al meglio i due tempi di vita. Ed è palese come tale problematica si ponga in via principale in relazione alla maternità e dunque alla figura stessa della donna lavoratrice.

Nel termine “conciliazione” (dal latino cum e capere o cum calare, “chiamare insieme”) è insita l’idea di un incontro tra due o più parti per il raggiungimento di un’intesa; nell’ambito specifico della conciliazione tra famiglia e lavoro, l’intesa da raggiungere riguarda il rapporto tra il tempo dedicato al lavoro e quello riservato alla famiglia. L’espressione “conciliazione tra vita e lavoro” chiama in causa una distorsione culturale per cui il lavoro salariato non è più considerato una parte significativa della vita dell’individuo, ma emerge come un qualcosa che sottrae tempo e risorse a ciò che viene identificato con il termine “vita”. Il lavoro toglie tempo a tutto ciò che attiene al singolo, al di fuori della sfera lavorativa, dunque relazionale e familiare. Presupposto implicito della nozione di conciliazione è la separazione tra le due sfere, differenziazione netta tra i due, mondi contraddistinti da forme e tempi sempre più incompatibili.

È in questa perdita di armonia nella realizzazione di sé che si approda all’elaborazione dell’espressione “conciliazione”, come esigenza inevitabile, prerogativa assoluta, istanza universale da realizzare.

Ri-conciliare significa ricercare un nuovo equilibrio tra queste sfere naturali che appartengono ad ogni persona, in quanto tale. La conciliazione famiglia- lavoro sottintende la necessità di armonizzare le diverse sfere di vita di ciascun individuo: conciliare significa far in modo che i ritmi, le scadenze, i tempi imposti dai vari ambiti della nostra vita quotidiana (lavoro, famiglia ecc.) possano essere rispettati e gestiti senza costi troppo alti, sia in termini economici che sociali.

Essa riguarda uomini e donne: conciliare scelte riproduttive e scelte lavorative vuol dire non dover subordinare una scelta all’altra. Perseguire obiettivi di conciliazione significa favorire un equilibrio32 nelle scelte delle coppie rispetto alle loro aspirazioni non solo come individui, ma anche come famiglia e soprattutto rispetto ai figli.

Oggi emerge la tendenza a occuparsi tanto delle problematiche lavorative della donna madre, quanto dell’uomo padre. Quella paternità nel passato tanto “bistrattata”, a cui è dedicato l’art. 30 comma 4 della costituzione, si afferma oggi al pari della maternità33. Dalla figura patriarcale, autoritaria e con compiti esterni alla famiglia, si approda ad una responsabilità condivisa nella cura della famiglia. D’altronde dallo stesso significato etimologico di “concepire” dal verbo latino “concipere”, prendere insieme, traspare benissimo il concetto di genitorialità: la naturalità di questo ruolo richiede la presenza di entrambe le figure genitoriali, non solo al momento del concepimento ma in ogni aspetto della vita del figlio. Si affermano così le politiche per la famiglia. Ed è in quest’ottica che va letto lo stesso art. 144 c.c. in cui si parla di “indirizzo concordato della famiglia”.

Nonostante i passi avanti compiuti dalla legislazione, la conciliazione tra vita familiare e attività lavorativa resta una tematica avvertita più per le donne che per gli uomini. È diffusa nell’opinione comune l’idea che si tratti di una questione femminile. La conciliazione, se affrontata come se fosse solo un problema di donne, rischia di essere non solo discriminatoria andando a rafforzare la segregazione esistente nel mercato del lavoro, ma anche inefficace.

È importante perciò sostenere un cambiamento culturale, che non è ancora del tutto maturato, in merito ai ruoli di genere in famiglia, nel mondo del lavoro e più in generale nella società. Emerge la dimensione di un processo che solo analiticamente può essere delimitato nel contesto donna o famiglia, impresa o territorio, ma che in realtà non ha confini. Ha dimensioni ampie e coinvolge tantissimi soggetti all’interno di una realtà in cui vige un “capitalismo molecolare dai contorni sfumati”, contesto nel quale si definisce quel patto sociale per il lavoro che stipula una rinnovata alleanza e scambio tra le parti: politiche pubbliche favorevoli alle imprese, in cambio di politiche organizzative favorevoli alla persona e alla famiglia.

 

- LA RIDEFINIZIONE DI UNA POLITICA DEL TEMPO -  I tempi di vita quotidiana si intersecano e sono strettamente condizionati dai tempi di lavoro. Opinione assai diffusa e radicata porta a considerare il tempo personale a disposizione del singolo, come il solo tempo che resta dal lavoro. “Tutto ciò che è fuori dal lavoro” coincide con il tempo “libero” o “liberato”. È il sociologo Dumazedier che riconosce l’importanza dello svago, o piuttosto, del “tempo liberato”, risultante dalla riduzione del lavoro industriale.

E da questa contrapposizione del tempo- lavoro e tempo- vita non si può prescindere nell’analisi della legislazione contemporanea. Occorre indagare storicamente questa dicotomia essenziale per comprendere con pienezza quell’obiettivo di raccordo ed armonia, ricercato nella regolamentazione dei rapporti di lavoro.

Il tempo libero appare inevitabilmente determinato dalle condizioni di lavoro e dalle strutture sociali che ne derivano. Ma il tempo riservato allo svago è vissuto sempre meno come pausa per recuperare le energie spese lavorando, come mezzo per migliorare e aumentare la produttività del lavoro: è vissuto come tempo per sé.

Il diritto del lavoro e nello specifico le leggi che disciplinano i rapporti di lavoro si fanno carico di una quantità crescente di nuove aspirazioni, riconoscono nuove dinamiche del tempo liberato, che diviene mezzo, nelle società evolute, per soddisfare bisogni nuovi della personalità. Il tempo libero non può equivalere all’ozio né può definirsi come tempo al di fuori del lavoro poiché una parte di questo è occupata dal lavoro domestico familiare. Per Dumazedier è, dunque, libero quel tempo impiegato per la realizzazione della persona umana come fine ultimo. Da ciò emerge come sia insufficiente la dicotomia tra lavoro e tempo libero e contrapposizione tra questi soltanto; traspare, per lo più, come tutto ciò che è al di fuori del lavoro sia erroneamente assimilato al tempo libero.

Occorre una legge nuova, un  nuovo approccio culturale, che accolga una visione dei valori, portando sullo stesso piano i tempi di vita e i tempi di lavoro, anche in termini di implicita competizione interna all’azienda, competizione che non può essere basata sulla disparità che i differenti tempi inducono. Dovranno le aziende trovare il modo per porre effettivamente uomini e donne sullo stesso piano nella gestione del tempo lavorativo, evitando una competizione fondata sulla differente condizione (la donna che rientra a casa non avrà altro tempo per il lavoro, come giusto deve essere entrando nel tempo di vita – familiare personale – l’uomo usa il tempo personale per prolungare la competizione lavorativa così da avvantaggiarsi. Questa disparità deve e può essere azzerata.)