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Patto di non concorrenza post contrattuale

la retribuzione è sempre dovuta anche quando nel contratto è prevista la facoltà di rinuncia unilaterale del datore di lavoro
Ars curandi
Ph. Elena Franco / Ars curandi

Con ordinanza pubblicata il 1° settembre 2021, n.23723, la Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, riformando quanto deciso nei precedenti gradi di giudizio, ha chiarito che il patto di non concorrenza previsto nel contratto di lavoro deve essere sempre retribuito al momento della cessazione del rapporto (come previsto nel caso di specie o, comunque, in corso del rapporto) e che eventuali clausole contrarie sono nulle.

 

Clausola che rimette la validità del patto di non concorrenza alla discrezionalità del datore di lavoro

Nel caso rimesso al vaglio di legittimità, la clausola relativa al patto di non concorrenza riservava al datore di lavoro la facoltà di decidere, in corso di rapporto e sino al momento della sua cessazione, se avvalersene o meno, comunicandolo al lavoratore.

In particolare, nel caso di specie, il datore di lavoro aveva comunicato alla lavoratrice la decisione di non avvalersi del patto di non concorrenza post contrattuale ben sei anni prima della cessazione di un rapporto della durata complessiva di undici anni, e tale preavviso ha indotto la Corte d’Appello di Bologna, la cui sentenza è stata impugnata in sede di legittimità, a ritenere la clausola valida e operante.

 

La pattuizione de quo è tamquam non esset

Indipendentemente dal notevole preavviso con il quale la comunicazione del datore di lavoro era stata data, la Corte di Cassazione ha precisato che la pattuizione che rimette alla discrezione della sola parte datoriale la scelta se avvalersi o meno del patto di non concorrenza si pone in contrasto con la disciplina del rapporto concordata che è “cristallizzata” nel momento della conclusione del contratto di lavoro: di conseguenza, la clausola è nulla per contrarietà a norme imperative.

Gli effetti operativi della clausola di non concorrenza, che richiede la forma scritta ad substantiam, iniziano a prodursi sin dalla sottoscrizione del contratto: da quel momento, infatti, il lavoratore è vincolato al patto e vede compressa la libertà di progettare e riorganizzare il proprio futuro lavorativo e tale compressione deve essere sempre remunerata da parte del datore di lavoro.

È pertanto illegittimo e inefficace il recesso discrezionalmente comunicato dal datore di lavoro – pur in presenza di una clausola contrattuale che glielo consente – in quanto costituisce l’esercizio di una clausola, appunto, nulla perché consentirebbe di far cessare ex post gli effetti di una pattuizione contrattuale che opera sin dalla sottoscrizione del contratto, “in virtù di una condizione risolutiva affidata in effetti alla mera discrezionalità di una sola parte contraente” (in tal senso già Cassazione civile n.8/2018).

La clausola invocata dal datore di lavoro non è mai idonea a influire sulla validità del patto di non concorrenza post contrattuale e, certamente, non è tale da far venire meno il diritto del lavoratore al relativo compenso, comunque dovuto per tutta la durata della non concorrenza originariamente pattuita.