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Pedopornografia - Cassazione Penale: se sul computer sono installati programmi di file sharing è configurabile il reato di divulgazione

Pedopornografia - Cassazione Penale: se sul computer sono installati programmi di file sharing è configurabile il reato di divulgazione
Pedopornografia - Cassazione Penale: se sul computer sono installati programmi di file sharing è configurabile il reato di divulgazione

La Corte di Cassazione ha stabilito che, in caso di detenzione di materiale pedopornografico in formato elettronico, condotta già di per sé integrante reato, la presenza di programmi di file sharing installati sul computer è un elemento fortemente indicativo della sussistenza anche del diverso reato di pornografia minorile, integrato dall’attività di divulgazione di detto materiale.

In tali ipotesi, il reato di pornografia minorile non sussiste solo in assenza di ulteriori elementi indicativi della volontà dell’agente di divulgare tale materiale, desumibile dall’esperienza dell’imputato e dalla durata nel tempo del possesso di materiale pedopornografico, dall’entità numerica del materiale e dalla condotta connaturata da accorgimenti volti a rendere difficoltosa l’individuazione dell’attività.

Il caso in esame

Il Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Milano, in sede di giudizio abbreviato, aveva affermato la penale responsabilità di un soggetto imputato del reato di pornografia minorile (articolo 600-ter del Codice Penale) e detenzione di materiale pornografico (600-quater del Codice Penale), condannandolo alla pena di due anni di reclusione ed euro 2.000 di multa. La decisione, impugnata dall’imputato, era stata confermata dalla Corte d’Appello di Milano.

Avverso quest’ultima decisione, l’imputato aveva proposto ricorso per cassazione, deducendo, con riferimento al reato di pornografia minorile, l’insussistenza del dolo nella condivisione dei files, avendo la Corte territoriale ritenuto sussistente l’elemento soggettivo esclusivamente sulla base della sola utilizzazione del software denominato “E.mule”, essendo questo destinato alla condivisione.

 

La decisione della Suprema Corte

La Cassazione ha ritenuto la doglianza manifestamente infondata e generica, non essendosi confrontata con le motivazioni dei giudici di merito (c.d. “doppia conforme”) e, in particolare con la decisione di appello, che aveva dato conto della sussistenza di elementi incontrovertibili dai quali desumere la diffusione dell’ingente materiale in possesso (almeno 194 file video) attraverso il programma di file sharing.

La Corte territoriale aveva argomentato in ordine alla sussistenza dell’elemento soggettivo richiesto dalla norma, ritenendo irrilevante che l’imputato non avesse agito con l’intenzione di diffondere le immagini pedopornografiche, dato che lo stesso “scaricando quel materiale con quel programma di condivisione aveva accettato il rischio che le immagini venissero diffuse sulla rete, con conseguente punibilità quanto meno a titolo di dolo eventuale”.

A giudizio della Suprema Corte, la detenzione di materiale pedopornografico, scaricato in quantità ingente, e l’utilizzazione del programma di condivisione automatica rendevano concreto e tangibile il rischio della diffusione indiscriminata sulla rete.

Nel caso di specie, la Cassazione riteneva sussistenti tutti i presupposti per la configurazione del dolo eventuale: la sussistenza di una condotta illecita, ossia il possesso di materiale pedopornografico; l’esperienza informatica dell’imputato (svolgente la professione di grafico); la durata nel tempo della condotta illecita e l’elevato numero di file pedopornografici posseduti (almeno 194 video con minori); l’elevata probabilità (quasi certezza) della diffusione; la condotta dell’imputato che aveva utilizzato accorgimenti per rendere più difficoltosa l’individuazione dell’attività illecita (in particolare, utilizzando il computer del luogo di lavoro).

La Cassazione ha enunciato il seguente principio di diritto:

in tema di pornografia minorile, la sussistenza del reato di cui all’art. 600 ter c.p., comma 3, deve essere esclusa nel caso di semplice utilizzazione di programmi di file sharing che comportino nella rete internet l’acquisizione e la condivisione con altri utenti dei files contenenti materiale pedopornografico, solo quando difettino ulteriori elementi indicativi della volontà dell’agente di divulgare tale materiale, anche sotto il profilo dell’individuazione del dolo eventuale, desumibile dall’esperienza dell’imputato e dalla durata nel tempo del possesso di materiale pedopornografico, dall’entità numerica del materiale, e dalla condotta, già illecita ex art. 600 quater c.p., connaturata da accorgimenti volti alla difficoltà di individuazione dell’attività”.

La Corte di Cassazione ha, pertanto, ritenuto il ricorso inammissibile, condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 2.000 in favore della Cassa delle ammende.

(Corte di Cassazione - Sezione Terza Penale, Sentenza 26 marzo 2018, n. 14001)