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Proclama di Umberto II Re d’Italia

Umberto II di Savoia
Umberto II di Savoia

Alle ore 16 del 13 giugno 1946 re Umberto II di Savoia parte per l’esilio lasciando l’Italia per sempreè la fine della monarchia sabauda.

Prima di salire sull’aereo che lo conduce in Portogallo, il “re di maggio” prepara un polemico proclama che l’ANSA trasmette al Paese quella sera stessa, alle 22.30.

 

PROCLAMA DI S.M. UMBERTO II RE D’ITALIA

Italiani! Nell’assumere la luogotenenza generale del Regno prima, e la corona poi, io dichiarai che mi sarei inchinato al voto del popolo liberamente espresso, sulla forma istituzionale dello stato.

Eguale affermazione ho fatto subito dopo il 2 giugno, sicuro che tutti avrebbero atteso le decisioni della Corte Suprema di Cassazione, alla quale la legge ha affidato la proclamazione dei risultati definitivi del referendum.

Di fronte alla comunicazione di dati provvisori e parziali, fatta dalla Corte suprema; di fronte alla sua riserva di pronunciare, entro il 18 giugno, il giudizio sui reclami, e di far conoscere il numero dei votanti e dei voti nulli; di fronte alla questione sollevata e non risolta sul modo di calcolare la maggioranza, io, ancora ieri, ho ripetuto che era mio diritto e dovere di re attendere che la Corte di Cassazione facesse conoscere se la forma istituzionale repubblicana avesse raggiunto la maggioranza voluta.

Improvvisamente, questa notte, in spregio alle leggi ed al potere indipendente e sovrano della magistratura, il governo ha compiuto un gesto rivoluzionario, assumendo, con atto unilaterale ed arbitrario, poteri che non gli spettano, e mi ha posto nell’alternativa di provocare spargimento di sangue o di subire la violenza.

Mentre il Paese da poco uscito da una tragica guerra vede le sue frontiere minacciate e la sua stessa unità in pericolo, io credo mio dovere fare quanto sta ancora in me perché altro dolore ed altre lacrime siano risparmiate al popolo che già tanto ha sofferto.

Confido che la magistratura potrà dire la sua libera parola; ma, non volendo opporre la forza al sopruso, né rendermi complice della illegalità che il governo ha commesso, io lascio il suolo del mio Paese, nella speranza di scongiurare agli italiani nuovi lutti e nuovi dolori.

Compiendo questo sacrificio nel supremo interesse della Patria, sento il dovere, come italiano e come re, di elevare la mia protesta contro la violenza che si è compiuta; protesta nel nome della corona e di tutto il popolo, che aveva il diritto di vedere il suo destino deciso nel rispetto della legge e in modo che venisse dissipato ogni sospetto.

A tutti coloro che ancora conservano la fedeltà alla monarchia, a tutti coloro il cui animo si ribella all’ingiustizia, io ricordo il mio esempio e rivolgo l’esortazione di voler evitare l’acuirsi di dissensi che minaccerebbero l’unità del Paese, frutto della fede e del sacrificio dei nostri padri, e potrebbero rendere più gravi le condizioni del trattato di pace.

Con l’animo colmo di dolore, ma con la serena coscienza di aver compiuto ogni sforzo per adempiere ai miei doveri, io lascio la mia Patria. Si considerino sciolti dal giuramento di fedeltà al re, non da quello verso la Patria, coloro che lo hanno prestato e che vi hanno tenuto fede attraverso tante durissime prove.

Rivolgo il mio pensiero a quanti sono caduti nel nome d’Italia, e il mio saluto a tutti gli italiani. Qualunque sorte attenda il nostro Paese, esso potrà sempre contare su di me come sul più devoto dei suoi figli.

Viva l’Italia.

Umberto

Roma, 13 giugno 1946