Profili comparatistici tra diritto spagnolo e diritto italiano: matrimonio tra persone dello stesso sesso
Il matrimonio tra persone dello stesso sesso è da tempo un argomento di cui spesso si parla, soprattutto a livello mediatico e politico, in quanto sentito oggi come un'esigenza sociale. Approfondendo i miei studi sulla legislazione spagnola, e specialmente in materia di diritto di famiglia di cui mi occupo, mi sono imbattuto proprio su quest'argomento che mi ha spinto a riflettere sulla diversità con cui i due orientamenti trattano tale situazione e sulle possibili motivazioni di ciò.
Analizzando l'ordinamento spagnolo, infatti, si può subito notare che tale questione è stata risolta ormai da anni tramite la Ley 13/2005, con la quale sono state disposte delle modifiche del Còdigo Civil.
In particolare, nella relazione introduttiva a tale legge, si può leggere chiaramente che l'intento è quello della piena equiparazione di diritto delle unioni omosessuali rispetto a quelle eterosessuali (“...la plena equiparciòn en derechos para todos con indipendencia de su orientaciòn sexual, realidad que requiere un marco que determine los derechos y obligaciones de todos cuantos formalizan sus relaciones de pareja”), e ciò avviene tramite un adattamento terminologico di vari articoli del Còdigo Civil in materia appunto di matrimonio e adozione o che contengono riferimenti espliciti al sesso dei componenti della famiglia.
In sostanza, non si parla più di marido o mujer, ma di cònyuges o consortes.
Devesi premettere che la Constituciòn spagnola, in tema di matrimonio, dice, all'articolo 32, che “el hombre e la mujer tienen derecho a contraer matrimonio con plena igualdad juridica” e che “la ley regularà las formas de matrimonio, la edad y capacidad para contraerlo, los derechos y deberes de los cònyuges, las causas de separaciòn y disoluciòn y sus efectos”; considerato che hombre deve intendersi come uomo e mujer non come moglie, ma come donna (anche se, in realtà, può avere ambo i significati), allora si comprende come il quadro giuridico entro il quale poteva operare la riforma della Ley 13/2005 non avrebbe in alcun modo posto alcun impedimento alla regolazione anche delle unioni omosessuali.
In poche parole, sorretto anche da un sistema costituzionale adatto allo scopo, l'ordinamento spagnolo si è rapidamente adattato alle nuove esigenze sociali introducendo il matrimonio tra omosessuali semplicemente con una modifica terminologica di alcuni articoli del Còdigo Civil (v. artt. 44, 66, 67 154, 160, 164, 175, 178, 637, 1323, 1344, 1348, 1351, 1361, 1404 e 1458) e della Ley de 8 de junio de 1957 sobre el Registro Civil (v. artt. 46, 48 e 53).
La Spagna, poi, non solo ha aperto le porte del matrimonio ai propri cittadini ma, seguendo alcune indicazioni, anche a chiunque voglia sposarsi e non può farlo nel proprio paese; infatti, è permessa la celebrazione di matrimoni anche fra stranieri purché almeno uno dei due futuri coniugi abbia fatto richiesta ed ottenuto la residenza nella penisola iberica.
Ci si deve chiedere, allora, quali sono i motivi per i quali nel nostro ordinamento non si è arrivati alle medesime conseguenze e ancora oggi si discute dell'opportunità o meno dell'ammissione del matrimonio tra persone dello stesso sesso.
Analizzando le fonti, devono farsi alcune considerazioni. In primo luogo, da un punto di vista costituzionale, devesi rilevare che gli articoli 29 e 30, i quali parlano espressamente della famiglia e del matrimonio, non fanno alcun rifermento esplicito al fatto che quest'ultimo debba essere celebrato tra persone di sesso differente. Infatti, l'articolo 29, comma 2, Cost. parla espressamente di coniugi e genitori, non di marito e moglie.
Di contro, nel Codice Civile vi sono vari articoli in cui si parla di coniugi, ma altri in cui si fa espresso riferimento a marito e moglie (vedi per esempio, gli artt. 102, 107, 108, 143, 143-bis, 156-bis, 231, 235, 240, 244, 294, 299, 1078 e 2653); ciò, però, non può considerarsi un vero problema dato che, con una modifica terminologica, come avvenuto in Spagna, si può ovviare a tale impedimento.
Ma perché, allora, le disposizioni che regolano l'istituto del matrimonio in Spagna ed in Italia, solo nel nostro caso non si è ancora fatto un passo avanti per legittimare il matrimonio tra omosessuali?
Per dare una risposta a ciò, bisogna fare alcune considerazioni anche prendendo in considerazione la pronuncia della Corte Costituzionale n. 138 del 2010 nonché il caso da cui essa ha preso le mosse, cioè il rifiuto da parte di un ufficiale di stato civile di procedere alla pubblicazione di un matrimonio tra omosessuali.
A portare il caso davanti ai giudici della Corte costituzionale, infatti, sono stati il Tribunale di Venezia, e poi la Corte di Appello di Trento in un caso analogo, in seguito ad un rifiuto, da parte dell'ufficiale dello stato civile del Comune di Venezia, di procedere alla pubblicazione di matrimonio presentata da una coppia gay. Il rifiuto, in particolare, veniva motivato dal fatto che, una simile pubblicazione, in relazione alla normativa vigente, sarebbe da considerare illegittima.
Contro il rifiuto della pubblicazione, la coppia si è rivolta al Tribunale chiedendo, in via principale, di ordinare all'ufficiale dello stato civile del Comune di Venezia di procedere alla pubblicazione del matrimonio e, in via subordinata, di sollevare la questione di legittimità costituzionale. Sebbene la prima richiesta sia stata respinta dal Tribunale sulla base del fatto che “a fronte di una consolidata e ultramillenaria nozione di matrimonio come unione di un uomo e di una donna” non è possibile operare un'estensione dell'istituto del matrimonio anche a persone dello stesso sesso, con ordinanza del 3 aprile 2009, questo sollevava, in riferimento agli articoli 2, 3, 29 e 117, comma 1, Cost., questione di legittimità costituzionale degli articoli 93, 96, 98, 107, 108, 143, 143-bis e 156-bis del Codice Civile. “nella parte in cui, sistematicamente interpretati, non consentono che le persone di orientamento omosessuale possano contrarre matrimonio con persone dello stesso sesso”.
Secondo le ordinanze di rimessione, il diritto di sposarsi e di scegliere il coniuge autonomamente, senza alcuna interferenza da parte dello Stato, è un diritto essenziale connesso alla tutela della dignità umana e garantito dall'articolo 2 della Costituzione In pratica, impedire tale diritto agli omosessuali non sarebbe legittimo in quanto, in applicazione del principio di eguaglianza di cui all'articolo 3 della Costituzione, un simile diritto deve essere garantito a tutti senza discriminazioni di sesso.
I rimettenti sostenevano, inoltre, che la norma che implicitamente esclude gli omosessuali dal diritto di contrarre matrimonio con persone dello stesso sesso, oltre ad essere in contrasto con il dettato dell'articolo 3 della Costituzione, soprattutto non avrebbe alcuna giustificazione razionale se posta a confronto con l'analoga situazione delle persone transessuali che, ottenuta la rettifica dell'attribuzione del sesso, possono comunque contrarre matrimonio con persone dello stesso sesso originario.
Sicuramente i riferimenti agli articolo 2 e 3 della Costituzione devono ritenersi pertinenti ma, nonostante ciò, la Corte Costituzionale non riteneva giuridicamente accettabili le motivazioni addotte a fondamento della questione.
In primo luogo, riteneva che non avrebbe alcun fondamento giuridico sostenere una disparità di trattamento tra omosessuali e transessuali sulla base del fatto che solo questi ultimi possono sposarsi con persone del loro stesso sesso originario; tale tesi non sarebbe giuridicamente sostenibile proprio in virtù del fatto che il transessuale, avendo cambiato sesso, non apparterrebbe più al sesso che aveva in origine e, pertanto, potrebbe tranquillamente sposarsi con una persona del suo precedente, ma ormai mutato, sesso originario.
Proprio in forza del principio, secondo cui non potrebbe esistere un matrimonio tra persone dello stesso sesso, anche l'articolo 3 della legge n. 898/1970 veniva interpretato nel senso che il passaggio in giudicato della sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso determinerebbe l'automatico scioglimento del matrimonio, a prescindere dalla presentazione della domanda da parte del coniuge.
Ciò sarebbe anche confermato dall'articolo 4 della legge 14 aprile 1982, n. 164, secondo cui la sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso provocherebbe lo scioglimento del matrimonio visto che lo scioglimento automatico di tale vincolo è la naturale conseguenza della concezione giuridica del matrimonio quale rapporto di vita tra uomo e donna.
Poi, si riterrebbe che nel nostro ordinamento il matrimonio sia fondato imprescindibilmente sulla diversità di sesso dei coniugi e che non si potrebbe affermare il contrario neppure facendo leva sull'articolo 29 della Costituzione, così come hanno fatto il Tribunale di Venezia e la Corte di Appello di Trento nelle rispettive ordinanze di rimessione. Infatti, la Corte riteneva, da un punto di vista giuridico, che l'articolo 29 della Costituzione non sarebbe una norma "in bianco" suscettibile di una lettura costituzionalmente evolutiva, ma nel definire la famiglia come società naturale fondata sul matrimonio, si riferirebbe con evidenza ad un'unione tra persone di sesso diverso, così come emergerebbe anche dall'articolo 143 del Codice Civile che, con riguardo appunto al matrimonio, parla di marito e di moglie, termini riferibili rispettivamente e senza alcuna incertezza ad un uomo e ad una donna.
Tutto ciò deriverebbe dal fatto che, nel definire la famiglia come società naturale fondata sul matrimonio, i costituenti non avevano il minimo dubbio che questo fosse riferibile esclusivamente all'unione tra un uomo e una donna tenendo in considerazione la nozione di definita dal Codice Civile del 1942.
Dicendo ciò, la Corte Costituzionale passava poi il testimone al Parlamento, al quale spetterebbe il compito di individuare le forme di garanzia e di riconoscimento per le unioni omosessuali.
Quanto, poi, alla questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale di Venezia in relazione all'art. 117, comma 1, Cost., in forza del quale il legislatore sarebbe tenuto al rispetto dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali, essa è stata dichiarata dalla Corte inammissibile poiché, per il principio di specialità, si sarebbe tralasciato l'esame delle questioni relative agli articolo 8 e 14 della CEDU nonché 7 e 21 della Carta di Nizza poiché riferite a disposizioni di carattere generale riguardanti il diritto al rispetto della vita privata e familiare e il divieto di discriminazione.
Per quanto riguarda gli articoli 12 della CEDU e 9 della Carta di Nizza, che prevedono il diritto di sposarsi e di costituire una famiglia, invece, rinviano alle leggi nazionali che ne disciplinano l'esercizio.
Secondo la Consulta, quindi, così come già è stato fatto in altri Paesi Europei, laddove da tempo esistono varie forme di riconoscimento per le unioni omosessuali, anche in Italia competerebbe alla discrezionalità del legislatore la regolamentazione di tali unioni, ma non vi sarebbe comunque alcun obbligo di riconoscere il matrimonio tra omosessuali.
Ovviamente tale concezione del matrimonio, derivante dal Codice Civile del 1942 e alla quale la Costituzione si sarebbe rifatta, non può che avere gli stessi fondamenti degli articoli 1055 e ss. del Codice di Diritto Canonico (Codex Iuris Canonici) del 1983, in quale riprende quanto detto nel precedente del 1917.
In sostanza, la differenza rispetto all'ordinamento spagnolo starebbe in una concezione più cristiana e tradizionale del matrimonio, cosa che si può notare anche dal fatto che mentre nella nostra costituzione non si fa alcun cenno alla possibilità che questo venga sciolto, nell'articolo 32 della Costituzione spagnola vi sono precisi riferimenti a ciò (“...las causas de separaciòn y disoluciòn y sus efectos...”).
Nonostante l'articolo 7 della Costituzione, poi, dica chiaramente che lo Stato e la Chiesa sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani, infatti, non può negarsi che quest'ultima abbia sempre influenzato il modo di pensare della Stato; in sostanza, anche se il matrimonio ecclesiastico debba ritenersi distinto rispetto a quello civile, riguardando essi due ordinamenti distinti e sovrani, allo stesso tempo la concezione imposta ai christifidelis ha condotto ad una uniformazione del pensiero anche a livello statale.
Partendo da questi presupposti, allora, non può non comprendersi il ragionamento compiuto dalla Corte Costituzionale che riconduce a quello che sarebbe il comune pensiero, riportando la questione al Parlamento, al quale spetterebbe il compito di individuare, si badi bene, le forme di garanzia e di riconoscimento per le unioni omosessuali, non per forza il matrimonio tra omosessuali.
Ciò che stupisce, però, è che, comunque, il sentimento sociale è cambiato e, come tale, ciò dovrebbe essere recepito anche a livello legislativo ma, se anche ciò non fosse, non è in alcun modo escluso che le unioni omosessuali possano essere riconosciute e garantite, senza far per questo ricorso all'istituto del matrimonio. In pratica, se proprio non si volesse fare un passo avanti per ragioni culturali, riconoscendo apertamente il matrimonio tra omosessuali, ciò non escluderebbe certo che i rapporti tra essi possano comunque essere regolati tramite degli interventi mirati da parte della legge atti a creare un sistema più flessibile ed adattabile alle esigenze contemporanee, ciò che si auspica anche, per esempio, per i casi di convivenza more uxorio.
Il matrimonio tra persone dello stesso sesso è da tempo un argomento di cui spesso si parla, soprattutto a livello mediatico e politico, in quanto sentito oggi come un'esigenza sociale. Approfondendo i miei studi sulla legislazione spagnola, e specialmente in materia di diritto di famiglia di cui mi occupo, mi sono imbattuto proprio su quest'argomento che mi ha spinto a riflettere sulla diversità con cui i due orientamenti trattano tale situazione e sulle possibili motivazioni di ciò.
Analizzando l'ordinamento spagnolo, infatti, si può subito notare che tale questione è stata risolta ormai da anni tramite la Ley 13/2005, con la quale sono state disposte delle modifiche del Còdigo Civil.
In particolare, nella relazione introduttiva a tale legge, si può leggere chiaramente che l'intento è quello della piena equiparazione di diritto delle unioni omosessuali rispetto a quelle eterosessuali (“...la plena equiparciòn en derechos para todos con indipendencia de su orientaciòn sexual, realidad que requiere un marco que determine los derechos y obligaciones de todos cuantos formalizan sus relaciones de pareja”), e ciò avviene tramite un adattamento terminologico di vari articoli del Còdigo Civil in materia appunto di matrimonio e adozione o che contengono riferimenti espliciti al sesso dei componenti della famiglia.
In sostanza, non si parla più di marido o mujer, ma di cònyuges o consortes.
Devesi premettere che la Constituciòn spagnola, in tema di matrimonio, dice, all'articolo 32, che “el hombre e la mujer tienen derecho a contraer matrimonio con plena igualdad juridica” e che “la ley regularà las formas de matrimonio, la edad y capacidad para contraerlo, los derechos y deberes de los cònyuges, las causas de separaciòn y disoluciòn y sus efectos”; considerato che hombre deve intendersi come uomo e mujer non come moglie, ma come donna (anche se, in realtà, può avere ambo i significati), allora si comprende come il quadro giuridico entro il quale poteva operare la riforma della Ley 13/2005 non avrebbe in alcun modo posto alcun impedimento alla regolazione anche delle unioni omosessuali.
In poche parole, sorretto anche da un sistema costituzionale adatto allo scopo, l'ordinamento spagnolo si è rapidamente adattato alle nuove esigenze sociali introducendo il matrimonio tra omosessuali semplicemente con una modifica terminologica di alcuni articoli del Còdigo Civil (v. artt. 44, 66, 67 154, 160, 164, 175, 178, 637, 1323, 1344, 1348, 1351, 1361, 1404 e 1458) e della Ley de 8 de junio de 1957 sobre el Registro Civil (v. artt. 46, 48 e 53).
La Spagna, poi, non solo ha aperto le porte del matrimonio ai propri cittadini ma, seguendo alcune indicazioni, anche a chiunque voglia sposarsi e non può farlo nel proprio paese; infatti, è permessa la celebrazione di matrimoni anche fra stranieri purché almeno uno dei due futuri coniugi abbia fatto richiesta ed ottenuto la residenza nella penisola iberica.
Ci si deve chiedere, allora, quali sono i motivi per i quali nel nostro ordinamento non si è arrivati alle medesime conseguenze e ancora oggi si discute dell'opportunità o meno dell'ammissione del matrimonio tra persone dello stesso sesso.
Analizzando le fonti, devono farsi alcune considerazioni. In primo luogo, da un punto di vista costituzionale, devesi rilevare che gli articoli 29 e 30, i quali parlano espressamente della famiglia e del matrimonio, non fanno alcun rifermento esplicito al fatto che quest'ultimo debba essere celebrato tra persone di sesso differente. Infatti, l'articolo 29, comma 2, Cost. parla espressamente di coniugi e genitori, non di marito e moglie.
Di contro, nel Codice Civile vi sono vari articoli in cui si parla di coniugi, ma altri in cui si fa espresso riferimento a marito e moglie (vedi per esempio, gli artt. 102, 107, 108, 143, 143-bis, 156-bis, 231, 235, 240, 244, 294, 299, 1078 e 2653); ciò, però, non può considerarsi un vero problema dato che, con una modifica terminologica, come avvenuto in Spagna, si può ovviare a tale impedimento.
Ma perché, allora, le disposizioni che regolano l'istituto del matrimonio in Spagna ed in Italia, solo nel nostro caso non si è ancora fatto un passo avanti per legittimare il matrimonio tra omosessuali?
Per dare una risposta a ciò, bisogna fare alcune considerazioni anche prendendo in considerazione la pronuncia della Corte Costituzionale n. 138 del 2010 nonché il caso da cui essa ha preso le mosse, cioè il rifiuto da parte di un ufficiale di stato civile di procedere alla pubblicazione di un matrimonio tra omosessuali.
A portare il caso davanti ai giudici della Corte costituzionale, infatti, sono stati il Tribunale di Venezia, e poi la Corte di Appello di Trento in un caso analogo, in seguito ad un rifiuto, da parte dell'ufficiale dello stato civile del Comune di Venezia, di procedere alla pubblicazione di matrimonio presentata da una coppia gay. Il rifiuto, in particolare, veniva motivato dal fatto che, una simile pubblicazione, in relazione alla normativa vigente, sarebbe da considerare illegittima.
Contro il rifiuto della pubblicazione, la coppia si è rivolta al Tribunale chiedendo, in via principale, di ordinare all'ufficiale dello stato civile del Comune di Venezia di procedere alla pubblicazione del matrimonio e, in via subordinata, di sollevare la questione di legittimità costituzionale. Sebbene la prima richiesta sia stata respinta dal Tribunale sulla base del fatto che “a fronte di una consolidata e ultramillenaria nozione di matrimonio come unione di un uomo e di una donna” non è possibile operare un'estensione dell'istituto del matrimonio anche a persone dello stesso sesso, con ordinanza del 3 aprile 2009, questo sollevava, in riferimento agli articoli 2, 3, 29 e 117, comma 1, Cost., questione di legittimità costituzionale degli articoli 93, 96, 98, 107, 108, 143, 143-bis e 156-bis del Codice Civile. “nella parte in cui, sistematicamente interpretati, non consentono che le persone di orientamento omosessuale possano contrarre matrimonio con persone dello stesso sesso”.
Secondo le ordinanze di rimessione, il diritto di sposarsi e di scegliere il coniuge autonomamente, senza alcuna interferenza da parte dello Stato, è un diritto essenziale connesso alla tutela della dignità umana e garantito dall'articolo 2 della Costituzione In pratica, impedire tale diritto agli omosessuali non sarebbe legittimo in quanto, in applicazione del principio di eguaglianza di cui all'articolo 3 della Costituzione, un simile diritto deve essere garantito a tutti senza discriminazioni di sesso.
I rimettenti sostenevano, inoltre, che la norma che implicitamente esclude gli omosessuali dal diritto di contrarre matrimonio con persone dello stesso sesso, oltre ad essere in contrasto con il dettato dell'articolo 3 della Costituzione, soprattutto non avrebbe alcuna giustificazione razionale se posta a confronto con l'analoga situazione delle persone transessuali che, ottenuta la rettifica dell'attribuzione del sesso, possono comunque contrarre matrimonio con persone dello stesso sesso originario.
Sicuramente i riferimenti agli articolo 2 e 3 della Costituzione devono ritenersi pertinenti ma, nonostante ciò, la Corte Costituzionale non riteneva giuridicamente accettabili le motivazioni addotte a fondamento della questione.
In primo luogo, riteneva che non avrebbe alcun fondamento giuridico sostenere una disparità di trattamento tra omosessuali e transessuali sulla base del fatto che solo questi ultimi possono sposarsi con persone del loro stesso sesso originario; tale tesi non sarebbe giuridicamente sostenibile proprio in virtù del fatto che il transessuale, avendo cambiato sesso, non apparterrebbe più al sesso che aveva in origine e, pertanto, potrebbe tranquillamente sposarsi con una persona del suo precedente, ma ormai mutato, sesso originario.
Proprio in forza del principio, secondo cui non potrebbe esistere un matrimonio tra persone dello stesso sesso, anche l'articolo 3 della legge n. 898/1970 veniva interpretato nel senso che il passaggio in giudicato della sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso determinerebbe l'automatico scioglimento del matrimonio, a prescindere dalla presentazione della domanda da parte del coniuge.
Ciò sarebbe anche confermato dall'articolo 4 della legge 14 aprile 1982, n. 164, secondo cui la sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso provocherebbe lo scioglimento del matrimonio visto che lo scioglimento automatico di tale vincolo è la naturale conseguenza della concezione giuridica del matrimonio quale rapporto di vita tra uomo e donna.
Poi, si riterrebbe che nel nostro ordinamento il matrimonio sia fondato imprescindibilmente sulla diversità di sesso dei coniugi e che non si potrebbe affermare il contrario neppure facendo leva sull'articolo 29 della Costituzione, così come hanno fatto il Tribunale di Venezia e la Corte di Appello di Trento nelle rispettive ordinanze di rimessione. Infatti, la Corte riteneva, da un punto di vista giuridico, che l'articolo 29 della Costituzione non sarebbe una norma "in bianco" suscettibile di una lettura costituzionalmente evolutiva, ma nel definire la famiglia come società naturale fondata sul matrimonio, si riferirebbe con evidenza ad un'unione tra persone di sesso diverso, così come emergerebbe anche dall'articolo 143 del Codice Civile che, con riguardo appunto al matrimonio, parla di marito e di moglie, termini riferibili rispettivamente e senza alcuna incertezza ad un uomo e ad una donna.
Tutto ciò deriverebbe dal fatto che, nel definire la famiglia come società naturale fondata sul matrimonio, i costituenti non avevano il minimo dubbio che questo fosse riferibile esclusivamente all'unione tra un uomo e una donna tenendo in considerazione la nozione di definita dal Codice Civile del 1942.
Dicendo ciò, la Corte Costituzionale passava poi il testimone al Parlamento, al quale spetterebbe il compito di individuare le forme di garanzia e di riconoscimento per le unioni omosessuali.
Quanto, poi, alla questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale di Venezia in relazione all'art. 117, comma 1, Cost., in forza del quale il legislatore sarebbe tenuto al rispetto dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali, essa è stata dichiarata dalla Corte inammissibile poiché, per il principio di specialità, si sarebbe tralasciato l'esame delle questioni relative agli articolo 8 e 14 della CEDU nonché 7 e 21 della Carta di Nizza poiché riferite a disposizioni di carattere generale riguardanti il diritto al rispetto della vita privata e familiare e il divieto di discriminazione.
Per quanto riguarda gli articoli 12 della CEDU e 9 della Carta di Nizza, che prevedono il diritto di sposarsi e di costituire una famiglia, invece, rinviano alle leggi nazionali che ne disciplinano l'esercizio.
Secondo la Consulta, quindi, così come già è stato fatto in altri Paesi Europei, laddove da tempo esistono varie forme di riconoscimento per le unioni omosessuali, anche in Italia competerebbe alla discrezionalità del legislatore la regolamentazione di tali unioni, ma non vi sarebbe comunque alcun obbligo di riconoscere il matrimonio tra omosessuali.
Ovviamente tale concezione del matrimonio, derivante dal Codice Civile del 1942 e alla quale la Costituzione si sarebbe rifatta, non può che avere gli stessi fondamenti degli articoli 1055 e ss. del Codice di Diritto Canonico (Codex Iuris Canonici) del 1983, in quale riprende quanto detto nel precedente del 1917.
In sostanza, la differenza rispetto all'ordinamento spagnolo starebbe in una concezione più cristiana e tradizionale del matrimonio, cosa che si può notare anche dal fatto che mentre nella nostra costituzione non si fa alcun cenno alla possibilità che questo venga sciolto, nell'articolo 32 della Costituzione spagnola vi sono precisi riferimenti a ciò (“...las causas de separaciòn y disoluciòn y sus efectos...”).
Nonostante l'articolo 7 della Costituzione, poi, dica chiaramente che lo Stato e la Chiesa sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani, infatti, non può negarsi che quest'ultima abbia sempre influenzato il modo di pensare della Stato; in sostanza, anche se il matrimonio ecclesiastico debba ritenersi distinto rispetto a quello civile, riguardando essi due ordinamenti distinti e sovrani, allo stesso tempo la concezione imposta ai christifidelis ha condotto ad una uniformazione del pensiero anche a livello statale.
Partendo da questi presupposti, allora, non può non comprendersi il ragionamento compiuto dalla Corte Costituzionale che riconduce a quello che sarebbe il comune pensiero, riportando la questione al Parlamento, al quale spetterebbe il compito di individuare, si badi bene, le forme di garanzia e di riconoscimento per le unioni omosessuali, non per forza il matrimonio tra omosessuali.
Ciò che stupisce, però, è che, comunque, il sentimento sociale è cambiato e, come tale, ciò dovrebbe essere recepito anche a livello legislativo ma, se anche ciò non fosse, non è in alcun modo escluso che le unioni omosessuali possano essere riconosciute e garantite, senza far per questo ricorso all'istituto del matrimonio. In pratica, se proprio non si volesse fare un passo avanti per ragioni culturali, riconoscendo apertamente il matrimonio tra omosessuali, ciò non escluderebbe certo che i rapporti tra essi possano comunque essere regolati tramite degli interventi mirati da parte della legge atti a creare un sistema più flessibile ed adattabile alle esigenze contemporanee, ciò che si auspica anche, per esempio, per i casi di convivenza more uxorio.