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A proposito di burnout nelle educatrici di nido

educatrici
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1. Inserimenti e pianti

 Avere a che fare con i bambini è tanto bello quanto faticoso perché richiede molte energie, fisiche ed emotive insieme. Ultimamente ho voluto definire il mio lavoro una “dolce croce”.

Come tutti sanno, il momento degli inserimenti (che solitamente avviene tra settembre e ottobre, ma in alcune strutture può avvenire in ogni periodo dell’anno) è un momento molto difficile: il distacco dai genitori non è quasi mai indolore e l’educatrice deve impiegare tutta se stessa per conquistarsi pian piano la fiducia dei bimbi, conoscerli, e sostenerli. Abbiamo la funzione di contenimento affettivo: ci è chiesto infatti di accogliere tutti gli stati d’animo di tristezza, rabbia, etc. che un bimbo appena arrivato in un nuovo ambiente manifesta.

Ho capito nel tempo cosa implicava questa idea di essere un “contenitore”: da una parte è quella empatia di cui tanto si parla e che permette di immedesimarsi nel vissuto del bambino per poterlo aiutare a superare il momento difficile. Poter accostarsi a un bambino che piange comprendendolo e nello stesso tempo offrendogli un appoggio sicuro è ciò che a poco a poco consente al piccolo di inserirsi.

D’altra parte mi viene spontaneo pensare che un “contenitore” ha anche una determinata capienza e dopo un po’ rischia di tracimare! Infatti per quanta pazienza e dedizione si impieghi, le emozioni che trasmettono i bambini sono forti ed è anche richiesta una certa energia fisica nel tenerli in braccio, cullarli, cercare di placare quei pianti inconsolabili.

Stare assieme a bambini che piangono per ore di seguito e in alcuni casi per un periodo di oltre un mese, è una prova per chiunque. Trovandomi di fronte a questa evidente difficoltà i primi anni di lavoro, una collega mi disse: “Devi fare in modo che i pianti ti entrino da un orecchio e ti escano dall’altro”. “Ah, ho capito” – pensai – “Come una dolce melodia??” In effetti l’abituarsi al pianto senza entrare in ansia è, in parte, una soluzione.

Tuttavia quello dei pianti, che soprattutto avvengono durante gli inserimenti, costituisce uno scoglio che anche dopo molti anni di servizio una educatrice potrebbe far fatica a sopportare. Di fronte ai pianti occorre chiedersi non solo perché il bambino stia piangendo (risposta in certi casi ovvia) ma cosa provo io di fronte a questo pianto? Come mi sento? Da chi mi faccio aiutare? Perché anche l’essere insieme ad altre colleghe rappresenta senz’altro una risorsa…quando vedo che io non ce la faccio più, posso contare sulla presenza della collega che mi aiuterà a trovare strategie per poter tranquillizzare il bambino.

Andare in ansia è un pericolo oggettivo che porta a mandare in ansia a sua volta, e ancora di più, il bimbo e a cercare soluzioni che non sempre si rivelano efficaci. Accogliere i pianti e i sentimenti di rabbia e tristezza non vuol dire soltanto accettare la frustrazione dei bambini ma anche la nostra. A volte siamo incapaci di far fronte a questa desolazione, a volte un bambino ci rifiuta perché magari è più aiutato da un’altra collega. È necessario pensare che siamo talvolta inadeguate, che abbiamo sempre bisogno di imparare qualcosa nel nostro lavoro. Non esiste l’educatrice perfetta, esiste l’educatrice che vuole imparare ad educare al meglio. E anche i nostri limiti saranno accettati per il bene del bambino senza che venga mai meno il desiderio che possa trovare nel Nido un luogo sicuro in cui stare bene.

 

2. Condizioni lavorative

Apro qui un discorso che potrà sembrare polemico ed in effetti qualche perplessità è nata in me dopo aver visto vari servizi e la loro organizzazione. Premetto di non avere assolutamente una posizione schierata a favore dei Nidi privati o piuttosto comunali, ma mi sono limitata a una valutazione dei pro e dei contro presente in entrambi i sistemi di gestione.

Sia in ambito privato che comunale penso che le condizioni in cui lavorano le educatrici potrebbero essere migliori. Il primo aspetto che ho notato in molti nidi in prevalenza privati è l’elevato rapporto numerico educatrice/bambino. Anche nel settore comunale la mancanza di personale non garantisce sempre, in tutte le fasce orarie, un numero adeguato di educatrici per bambino. Rimanere anche solo un’ora con troppi bambini non permette nel modo più assoluto un sereno svolgimento del lavoro. Nel nostro gergo di educatrici spesso utilizziamo la parola “pascolare” per indicare, in modo un po’ critico, quei momenti dove i bambini, essendo un numero troppo elevato, giocano liberamente e l’educatrice non può proporre neanche una attività. Tuttavia non è solo questione del “fare”: è anche sano che un bimbo giochi liberamente senza una attività strutturata, ma in certi casi anche il guardare diventa impossibile, perché un’educatrice che si deve prendere cura da sola di un numero elevato di bambini, o entra inevitabilmente in ansia o, per quanto padrona di sé e attenta, potrebbe lasciarsi sfuggire qualcosa. Non è facile neanche essere buoni pastori!

Nei nidi privati talvolta poi le educatrici sono chiamate a svolgere servizi extra, non di loro competenza, come ad esempio preparare la frutta del mattino, allestire il carrello del pranzo, pulire i tavoli dopo le attività e dopo il pranzo, lavare i pavimenti, sistemare i letti dopo la nanna. Tutto questo ovviamente aumenta il carico di lavoro che rischia di diventare frenetico.

Quando passai da un nido privato a un nido comunale, dove vigeva un rapporto numerico 1 a 6 circa, devo ammettere che mi trovai a pensare: finalmente posso fare il mio lavoro, finalmente posso stare con i bambini! Lavorare con un piccolo gruppo fa una grandissima differenza, sia per l’educatrice sia per il bambino: lo stretto legame benessere educatrice/benessere bambino è sempre implicito e, come già detto, se l’educatrice arranca, va in ansia e non riesce a gestire un gruppo numeroso, i bambini ne risentiranno di sicuro e non ci sarà mai un clima facilitante, oltre che una cura completa.

 Nei Nidi si registra una forte presenza di educatrici che hanno alle spalle molti anni servizio, e che presentano di conseguenza problemi fisici e posturali. Gli enti comunali fanno in modo che queste educatrici ottengano dal medico del lavoro la limitazione, cioè viene loro certificata l’impossibilità a sollevare bambini e a fare movimenti pesanti.

Ottima soluzione, ma se l’educatrice in questione rimane in servizio, teoricamente il carico di lavoro risulta raddoppiato per le colleghe.

Un’altra criticità penso che sia la mancanza in alcune strutture di una graduatoria di supplenze, così da poter tamponare subito le eventuali assenze. Non deve capitare che si passino giorni o settimane con il personale educativo incompleto.

A questo proposito sono venuta a conoscenza di un problema grave e da prendere in considerazione: l’assenteismo. Senza voler giudicare i motivi di numerose assenze per malattia (anzi, questo pone un curioso interrogativo), dico semplicemente che è difficile pensare di mandare avanti un nido a carico di educatrici precarie a tempo determinato, contando solo sulle graduatorie di supplenze. In un Nido dove il turn over delle educatrici è eccessivo, perché ci si assenta spesso, è senz’altro minato l’equilibrio stesso dei bimbi che ogni giorno si vedono passare sotto gli occhi educatrici diverse. Trovandosi dentro a simili sistemi di gestione, e non potendo cambiarli, che cosa può fare una educatrice? Quali strategie, costruttive, realistiche ed intelligenti, si possono mettere in atto?

Un pensiero merita anche il tema degli spazi: l’ambiente è di grande importanza e influisce sulle buone condizioni di lavoro. L’ordine degli spazi è una responsabilità delle educatrici che non dovrebbe mai venir meno, perché l’ordine esterno si riflette nell’ordine interno, del nostro io, e ci fa star bene; questo vale sia per gli adulti sia per i bimbi, che se vivranno in un ambiente disordinato e non curato ne risentiranno.

Ho conosciuto negli anni varie strutture, da quelle più nuove a quelle un po’ più decadenti. In ogni caso, spesso si presentano problemi di manutenzione ambientale, che andrebbero risolti in modo più tempestivo. Mi sembra leggermente contraddittorio che il personale educativo abbia il giusto obbligo di effettuare corsi sulla sicurezza e poi ci si trovi a lavorare con porte e finestre rotte, per settimane se non per mesi. Il fatto di essere un Nido porta in sé l’idea che i bambini vengano anche protetti.

 Infine quando si parla di condizioni lavorative, inutile nascondere che lo stipendio ha una sua rilevanza…ma senza voler troppo disquisire mi limito a sottolineare l’importante differenza di retribuzione tra Nidi privati e comunali, che logicamente sta favorendo una migrazione nel settore pubblico.

 

3. Lavoro di gruppo e vissuti personali

Lavorare in team dovrebbe essere una grande risorsa e anche l’occasione per una crescita umana e professionale. All’inizio ricordo che mi trovai di fronte a difficoltà nel lavorare insieme ad altre colleghe, pur essendo abituata a lavorare con altri. Innanzitutto in questo lavoro la relazione con le colleghe è molto stretta e interessa tutte le ore lavorative, insomma una presenza costante al tuo fianco…e questo si percepisce ancora di più quando di colleghe ne hai una sola, perché già l’essere in 3 fa una bella differenza. È poi inevitabile trovarsi di fronte a temperamenti diversi, metodi che non si approvano, limiti altrui, oppure talvolta non vedi condivisa una iniziativa che vorresti far passare e che a te sembrava una idea fantastica.

Da tutto ciò penso di poter dire con certezza di aver imparato molto. Decentrarsi da sé senza presumere di avere sempre ragione ed entrare in un dialogo costruttivo con le colleghe, scambiandosi pareri, punti di vista credo sia il modo migliore per crescere umanamente e per imparare a collaborare, orientandosi verso una meta comune.

 Occorre sottolineare che per noi la meta comune altro non è che il bene dei bambini e l’avere in mente che si lavora insieme per uno stesso scopo, talvolta fa passare in secondo piano tante inutili problematiche.

Essere in un team poi mi ha insegnato a chiedere. Chiedere cosa fare quando ti trovi indeciso su come intervenire in determinate situazioni, e anche chiedere aiuto quando ti accorgi che hai bisogno semplicemente di un supporto da parte delle colleghe. A questo proposito ho notato una abitudine nelle educatrici a chiedere poco aiuto per sfuggire alla logica: “se chiedo poi a mia volta dovrò dare”. Ho combattuto molte volte contro questo principio, che non porta a costruire niente né intorno a sé né tantomeno dentro di sé. Chiedere è solo un segno di intelligenza, che i nostri bimbi ogni giorno dovrebbero insegnarci.

Le tensioni all’interno del collegio di educatrici sono normali, ma spesso abbruttiscono il clima lavorativo e non favoriscono una certa armonia del gruppo. È davvero più bello, invece, vedere la collega come una fonte di arricchimento per me! Che abbia più esperienza o che sia una giovane educatrice può comunque portare qualcosa di nuovo nella mia esperienza professionale e nel servizio educativo.

Il collegio di educatrici è composto quasi ovunque da tutte donne e questo a mio parere costituisce un elemento che non sempre facilita e potrebbe anche risultare pesante. Sarà bene allora cercare di sfruttare al meglio le caratteristiche della nostra femminilità, come la dolcezza, la delicatezza, il senso di tenerezza e di maternità, senza scadere nei fattori meno positivi (per esempio una emotività eccessiva) che potrebbero solo complicarci la vita.

Come in ogni lavoro anche noi educatrici ci portiamo dietro tutto un vissuto personale che inevitabilmente si riversa in ciò che facciamo quotidianamente. Spesso si sente dire: “il lavoro è lavoro e lascio da parte tutti i miei problemi”… E come impegno professionale è lodevole, ma siamo esseri umani e siamo un tutt’uno, corpo e anima, per cui sarà difficile che il nostro modo di lavorare non risenta di un malessere fisico o psicologico che sia. In questo ambito lavorativo però l’aspetto delicato è il rischio di scaricare le tensioni personali sui bambini. Penso che il primo modo di controllarsi sia innanzitutto essere consapevoli dei propri vissuti, guardarli, prenderli in mano e se anche influenzeranno la nostra giornata lavorativa possiamo sempre fare in modo che non vadano a inficiare completamente la relazione con i bambini, con le famiglie nonché con il gruppo di lavoro.

Negli ultimi anni sui giornali sono comparse notizie di maltrattamenti verso i bambini. Non basta giudicare in modo legittimo queste notizie, ma bisognerebbe correre urgentemente ai ripari e cogliere per tempo i segnali di allarme. Bisogna con serietà e responsabilità vedere l’insieme delle condizioni lavorative, dei fattori che aumentano lo stress e anche considerare la persona nel suo insieme, vissuti personali compresi. La disumanità che un’educatrice può raggiungere negli episodi di cui si ha notizia non ha giustificazioni, tuttavia i segnali del suo stress e della rabbia che riversa sui piccoli dovrebbero essere colti per tempo anche dalle colleghe. Installare delle telecamere nei nidi potrebbe essere solo una soluzione estrema, e forse non del tutto risolutiva. Ma questo argomento merita di essere trattato a parte.