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Provvedimento di revoca dell’Amministratore

Diritto al risarcimento e rivalsa, secondo l’insegnamento della Suprema Corte.
House at dusk, Edward Hooper, 1935,Virginia, Museum of fine arts, Richmond
House at dusk, Edward Hooper, 1935,Virginia, Museum of fine arts, Richmond

La recente Ordinanza della Sesta Sezione della Suprema Corte di Cassazione pronunciata in data 10 gennaio 2019 e pubblicata al n. 7623 il 18 marzo 2019 offre il fianco, per specificità e chiarezza di trattazione, ad una riflessione sul tema del provvedimento di revoca dell’Amministratore, intervenendo sulla natura e sui conseguenti aspetti processuali che lo caratterizzano.

Va premesso necessariamente come l’istituto della revoca giudiziale dell’Amministratore trovi fondamento nell’articolo 1129 codice civile, il quale, all’undicesimo comma, dispone che “la revoca dell’amministratore (…) può altresì essere disposta dall’autorità giudiziaria, su ricorso di ciascun condomino, nel caso previsto dal quarto comma dell’articolo 1131 [qualora ometta di dare notizia senza indugio all’Assemblea per aver ricevuto una citazione o un provvedimento giudiziario il cui contenuto esorbita dalle proprie attribuzioni (N.d.A)], se non rende il conto della gestione, ovvero in caso di gravi irregolarità (…)

La disciplina processuale del procedimento di revoca viene normata, invece, dall’articolo 64 disp. att. codice civile, il quale prevede che “Sulla revoca dell’amministratore, nei casi indicati dall’undicesimo comma dell’articolo 1129 e dal quarto comma dell’articolo 1131 del codice, il tribunale provvede in camera di consiglio, con decreto motivato, sentito l’amministratore in contraddittorio con il ricorrente. Contro il provvedimento del tribunale può essere proposto reclamo alla corte d’appello nel termine di dieci giorni dalla notificazione o dalla comunicazione.

Come confermato dall’insegnamento della Suprema Corte nell’ordinanza qui in commento, si tratta di un giudizio camerale plurilaterale tipico, il quale “culmina in un provvedimento privo di efficacia decisoria, siccome non incidente su situazioni sostanziali di diritti o “status” (cfr. Cass. Sez. 6 - 2, 23/06/2017, n. 15706; Cass. Sez. U, 29/10/2004, n. 20957)” e dunque di volontaria giurisdizione, con tutte le conseguenze processuali che esso implica.

In specie, prosegue il Giudice della nomofilachia, “ne consegue che il decreto con cui la corte d’appello provvede, su reclamo dell’interessato, in ordine alla domanda di revoca dell’amministratore di condominio, non avendo carattere decisorio e definitivo, non è ricorribile per cassazione ai sensi dell’articolo 111 Cost.” tuttavia, trattandosi di provvedimento privo dei caratteri di decisorietà e definitività, ai sensi dell’articolo 742 codice di procedura civile, come confermato dalla giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. Sez. 1, 06/11/2006, n. 23673), “può essere revocato o modificato dalla stessa corte d’appello, per un preesistente vizio di legittimità o per un ripensamento sulle ragioni che indussero ad adottarlo”.

Precisa il Giudice delle leggi che resta “attribuita al tribunale, giudice di primo grado, la competenza a disporre la revisione del provvedimento emesso in sede di reclamo, sulla base di fatti sopravvenuti (cfr. Cass. Sez. 1, 01/03/1983, n. 1540)

Invero, continua con chiarissima e lucida esposizione il Supremo Collegio, “il decreto con cui la Corte d’Appello dichiari inammissibile l’istanza di modifica o revoca, ex articolo 742 codice di procedura civile, del decreto pronunciato in sede di reclamo sul provvedimento di revoca dell’amministratore di condominio comunque non costituisce “sentenza”, ai fini ed agli effetti di cui all’articolo 111, comma 7, Cost., essendo sprovvisto dei richiesti caratteri della definitività e decisorietà, in quanto non contiene alcun giudizio in merito ai fatti controversi, non pregiudica il diritto del condomino ad una corretta gestione dell’amministrazione condominiale, né il diritto dell’amministratore allo svolgimento del suo incarico. Trattasi, dunque, di provvedimento non suscettibile di acquisire forza di giudicato, atteso che la pronuncia di inammissibilità resta pur sempre inserita in un provvedimento non decisorio sul rapporto sostanziale, e non può pertanto costituire autonomo oggetto di impugnazione per cassazione, avendo la pronuncia sull’osservanza delle norme processuali necessariamente la medesima natura dell’atto giurisdizionale cui il processo è preordinato (arg. da Cass. Sez. 1, 05/02/2008, n. 2756; Cass. Sez. 1, 01/02/2016, n. 1873; Cass. Sez. 6 - 1, 07/07/2011, n. 15070; Cass. Sez. 6 - 2, 18/01/2018, n. 1237, non massimata).”

  Al contrario, deve dirsi ammissibile il ricorso per cassazione che sia spiegato “avverso la statuizione relativa alla condanna al pagamento delle spese del procedimento, concernendo posizioni giuridiche soggettive di debito e credito discendenti da un rapporto obbligatorio autonomo.

Sul punto, preliminarmente ad ogni considerazione in rito, va opportuamente richiamato l’articolo 1129 codice civile, il quale, nel proprio terzo periodo prevede che “nei casi in cui siano emerse gravi irregolarità fiscali o di non ottemperanza a quanto disposto dal numero 3) del dodicesimo comma del presente articolo, i condomini, anche singolarmente, possono chiedere la convocazione dell’assemblea per far cessare la violazione e revocare il mandato all’amministratore. In caso di mancata revoca da parte dell’assemblea, ciascun condomino può rivolgersi all’autorità giudiziaria; in caso di accoglimento della domanda, il ricorrente, per le spese legali, ha titolo alla rivalsa nei confronti del condominio, che a sua volta può rivalersi nei confronti dell’amministratore revocato.”

Sotto il profilo processuale, ribadisce la Suprema Corte, come già chiarito con propria pronuncia a Sezioni Unite n. 20957 del 29.10.2004, come in relazione alla disciplina delle spese nel procedimento si debba applicare il principio della soccombenza come previsto ex articolo 91 codice di procedura civile, dacché detto principio si deve ritenere riferito “ad ogni processo, senza distinzioni di natura e di rito, e come il termine “sentenza” sia usato dall’articolo 91 codice di procedura civile nell’accezione di provvedimento che, nel risolvere contrapposte posizioni, chiude il procedimento stesso innanzi al giudice che lo emette, accezione perciò comprensiva delle ipotesi in cui tale provvedimento sia emesso nella forma dell’ordinanza o del decreto (si veda Cass. Sez. 2, 22/10/2013, n. 23955).”

Sottolinea, in conclusione, il Giudice di legittimità, come “agli effetti del regolamento delle spese processuali la soccombenza può poi ben essere determinata, anziché da ragioni di merito, da ragioni di carattere processuale tra cui, come nel caso in esame, l’assunta inammissibilità della domanda.