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Reati tributari e ne bis in idem: secondo la Consulta il doppio binario sanzionatorio è conforme al “diritto vivente europeo”

Reati tributari e ne bis in idem: secondo la Consulta il doppio binario sanzionatorio è conforme al “diritto vivente europeo”
Reati tributari e ne bis in idem: secondo la Consulta il doppio binario sanzionatorio è conforme al “diritto vivente europeo”

Abstract

Con la sentenza n. 43 del 2 marzo 2018, la Corte Costituzionale è intervenuta sulla questione relativa all’ammissibilità del doppio giudizio, penale e amministrativo, nei confronti del medesimo soggetto per lo stesso fatto tributario. All’esito dello scrutinio, la Consulta ha restituito gli atti al giudice rimettente, dovendosi valutare la persistenza dei dubbi di legittimità, alla luce dei più recenti arresti della giurisprudenza europea in tema di ne bis in idem.

 

Sommario

1. Premessa: gli aspetti problematici

2. Evoluzione del ne bis in idem nel “diritto vivente europeo”

3. Le conclusioni della Consulta

 

1. Premessa: gli aspetti problematici

Con la sentenza n. 43 del 2 marzo 2018, la Corte Costituzionale è intervenuta sulla questione relativa all’ammissibilità del doppio giudizio, penale e amministrativo, nei confronti del medesimo soggetto per lo stesso fatto tributario.

La pronuncia ha tratto origine dall’ordinanza di rinvio del Tribunale di Monza [i], che aveva sollevato – in riferimento all’articolo 117 comma 1 della Costituzione, in relazione all’articolo 4 del Protocollo 7 alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“Cedu”) – una questione di legittimità costituzionale dell’articolo 649 del Codice di Procedura Penale, “nella parte in cui non prevede l’applicabilità della disciplina del divieto di un secondo giudizio nei confronti dell’imputato al quale, con riguardo agli stessi fatti, sia già stata irrogata in via definitiva, nell’ambito di un procedimento amministrativo, una sanzione di carattere sostanzialmente penale”.

Nel caso di specie, per il medesimo illecito fiscale di omessa dichiarazione, nei confronti dello stesso soggetto erano stati attivati due distinti procedimenti, l’uno in sede amministrativa per la violazione dell’articolo 1 comma 1 e dell’articolo 5 comma 1 del Decreto Legislativo n. 471/1997, l’altro in sede penale ex articolo 5 comma 1 del Decreto Legislativo n. 274/2000.

Il Tribunale di Monza rilevava che all’imputato era stata inflitta, in via definitiva [ii], una sanzione pecuniaria pari al 120% delle imposte evase e tale sanzione – in ragione della sua evidente afflittività economica – doveva essere qualificata come sanzione di natura sostanzialmente penale ai sensi dell’articolo 7 della Cedu. Pertanto, il secondo giudizio penale per l’identico fatto avrebbe violato l’articolo 4 del Protocollo 7 alla Cedu, che stabilisce il divieto di bis in idem; con conseguente violazione dell’articolo 117 comma 1 della Costituzione, che impone il rispetto dei principi derivanti da convenzioni e trattati europei.

Come evidenziato nell’ordinanza di rimessione, il contrasto deriverebbe dalla legislazione vigente, che impone lo svolgimento di un procedimento penale per il medesimo illecito già oggetto di accertamento amministrativo definitivo.

Difatti, nell’articolo 19 del Decreto Legislativo n. 274/2000 è previsto un meccanismo volto a scongiurare il rischio di cumulo, stabilendosi che nell’ipotesi di doppia previsione sanzionatoria (penale e amministrativa) debba prevalere quella penale (cioè quella prevista dal Decreto Legislativo n. 274/2000), in quanto speciale.

E il nuovo articolo 13 del Decreto Legislativo n. 274/2000 dispone che il pagamento integrale dell’imposta evasa (comprensiva delle sanzioni), purché effettuato prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado (o comunque entro le brevi deroghe trimestrali che possono essere concesse), rende non punibile il reato di omessa dichiarazione: la duplicazione della sanzione sarebbe, in tal caso, impossibile.

Ma, sul piano più strettamente processuale, la lettera dell’articolo 649 del codice di rito penale non consente di sospendere la celebrazione del secondo giudizio se non in presenza del giudicato penale di condanna, formatosi a seguito di sentenza o decreto penale irrevocabili; in tutte le altre ipotesi, il secondo giudizio dovrebbe quindi celebrarsi, in violazione del divieto di bis in idem così come elaborato dalla consolidata giurisprudenza della Corte di Strasburgo (“Corte Edu”) e, perciò, vincolante il giudice nazionale [iii].

In base a simili considerazioni, il Tribunale di Monza ha motivato la richiesta di intervento additivo da parte della Corte Costituzionale. 

 

2. Evoluzione del ne bis in idem nel “diritto vivente europeo”

Il divieto di doppio giudizio è sancito, a livello sovranazionale, dall’articolo 4 del Protocollo 7 alla Cedu, che afferma il “diritto a non essere giudicato o punito due volte” [iv], con la precisazione che “nessuna deroga … può essere autorizzata” [v].

Parallelamente, l’articolo 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea[vi] (“Carta”) riconosce il “diritto di non essere giudicato o punito due volte per lo stesso reato”, per cui “nessuno può essere perseguito o condannato per un reato per il quale è già stato assolto o condannato nell’Unione a seguito di una sentenza penale definitiva conformemente alla legge”.

E un principio del tutto analogo è desumibile anche a livello costituzionale interno[vii].

Al fine di verificare se un procedimento ha ad oggetto “accuse penali”, che quindi ricadrebbero nell’ambito del divieto di doppio giudizio, si devono considerare tre fattori (cosiddetti “criteri Engel”[viii]): la qualificazione data al fatto dall’ordinamento giuridico interno, che però ha soltanto valore relativo; la natura sostanziale dell’illecito, sulla base della gravità della condotta e della rilevanza degli interessi coinvolti; la severità della pena, in considerazione della sua concreta capacità afflittiva.

Una volta accertata, sulla base di questi criteri, la natura sostanzialmente penale della sanzione prevista o disposta, l’applicazione definitiva dovrebbe automaticamente precludere un secondo giudizio nei confronti della stessa persona per l’identico fatto.

Secondo l’orientamento consolidato, la “identità del fatto” – che impedirebbe di avviare o proseguire il secondo giudizio – è ravvisabile quando “medesima è l’azione o omissione per la quale la persona è già stata irrevocabilmente giudicata”[ix], rilevando la “natura definitiva della decisione giudiziale” così come deducibile dalla “autorità di cosa giudicata” che l’ordinamento interno le attribuisce[x].

Nei termini appena precisati, è indubbio che le sanzioni tributarie possano essere qualificate come sanzioni sostanzialmente penali, qualora risultino particolarmente afflittive dal punto di vista patrimoniale.

E sono certamente estensibili alla materia tributaria gli argomenti espressi dalla Corte Edu nella pronuncia Grande Stevens[xi], che ha affermato la violazione del principio di ne bis in idem da parte della normativa italiana in tema di market abuse, ove non consente la sospensione del procedimento penale nonostante la già avvenuta applicazione di sanzioni amministrative definitive.

Deve darsi atto, tuttavia, del revirement della giurisprudenza della Corte Edu, in direzione di una compressione del principio di ne bis in idem nella materia tributaria e degli abusi di mercato.

Infatti, con la sentenza A. e B. contro Norvegia[xii], la Corte Edu ha introdotto il principio della sufficiently close connection in substance and time, per cui il divieto di doppio giudizio non opera se i due procedimenti sono legati da un “nesso materiale e temporale sufficientemente stretto”, tanto da poter essere considerati come un unico procedimento. Indici di connessione sono il contemporaneo (o quasi) svolgimento processuale, ma anche la circolazione degli elementi di prova da un procedimento all’altro, nonché la commisurazione dell’ultima sanzione sulla base della sanzione già comminata.

Si registra così un progressivo avvicinamento alla giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea, che nella causa Fransson[xiii] aveva stabilito che il principio di ne bis in idem (garantito, si è detto, dall’art. 50 della Carta) può legittimamente cedere di fronte alla necessità di sanzioni sufficientemente effettive e dissuasive, purché la risposta punitiva non risulti nel complesso eccessiva e sproporzionata rispetto agli obiettivi di tutela.

In definitiva, è affermata a livello sovranazionale la conformità della previsione del doppio binario per le condotte reputate molto gravi e socialmente sconvenienti, quali appunto gli illeciti tributari e finanziari.

 

3. La decisione della Consulta

Proprio sulla base del “mutamento del significato della normativa interposta”, sopravvenuto all’ordinanza di rimessione per effetto della citata pronuncia A. e B. contro Norvegia della Corte Edu, che “esprime il diritto vivente europeo”, la Corte Costituzionale ha ritenuto di dover ritrasmettere gli atti al Tribunale di Monza.

Infatti, scrive la Consulta nella sentenza annotata, “se il giudice a quo ritenesse che il giudizio penale è legato temporalmente e materialmente al procedimento tributario al punto da non costituire un bis in idem convenzionale, non vi sarebbe necessità ai fini del giudizio principale di introdurre nell’ordinamento, incidendo sull’articolo 649 del Codice di Procedura Penale, alcuna regola che imponga di non procedere nuovamente per il medesimo fatto”.

D’altra parte, qualora invece alcuna connessione potesse ravvisarsi tra i due procedimenti, emergerebbero di nuovo tutte le “frizioni che il sistema del doppio binario genera tra l’ordinamento nazionale e la Cedu”, alle quali soltanto il Legislatore potrebbe porre rimedio.

[i] Tribunale di Monza, ordinanza 30 giugno 2016, n. 236.

[ii] In conseguenza dell’avviso di accertamento del 20 febbraio 2003.

[iii] Al proposito si leggano le cosiddette “sentenze gemelle” della Corte Costituzionale, nn. 348 e 349 del 2007; anche, Corte Costituzionale, n. 49 del 2015.

[iv] La norma stabilisce, al primo comma, che “nessuno potrà essere perseguito o condannato penalmente dalla giurisdizione dello stesso Stato per un’infrazione per cui è già stato scagionato o condannato a seguito di una sentenza definitiva conforme alla legge o alla procedura penale di tale Stato”.

[v] Ultimo comma della disposizione citata.

[vi] Proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e, in seguito, a Strasburgo il 12 dicembre 2007.

[vii] Così come spiegato dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 200 del 2016.

[viii] Enunciati da Corte Edu, Grande Camera, sentenza 8 giugno 1976, Engel e altri contro Paesi Bassi, che per la prima volta ha interpretato l’articolo 7 della Cedu.

[ix] Corte Edu, Grande Camera, sentenza 10 febbraio 2009, Zolotoukhine contro Russia. Non osterebbe al divieto di bis in idem la diversità dell’evento conseguente alla condotta, né la configurabilità di un concorso formale di reati.

[x] In questo senso, Corte Edu, Grande Camera, sentenza 27 maggio 2014, Marguṧ contro Croazia. Va precisato, al riguardo, che l’ordinamento giuridico italiano riconosce carattere di giudicato anche alla sentenza di estinzione del reato per prescrizione.

[xi] Corte Edu, Grande Camera, sentenza 4 marzo 2014, Grande Stevens contro Italia.

[xii] Corte Edu, Grande Camera, sentenza 15 novembre 2016, A. e B. contro Norvegia. Conforme, Corte Edu, sentenza 18 agosto 2017, J. e altri contro Islanda.

[xiii] Corte di Giustizia, Grande Sezione, sentenza 26 giugno 2016, Fransson.