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Recenti sentenze in materia di Autorizzazione Ambientale Integrata sulla tipologia di sanzioni applicabili e i limiti alla discrezionalità delle amministrazioni interessate

Teatro Antico di Taormina, Agosto 2020
Ph. Francesca Russo / Teatro Antico di Taormina, Agosto 2020

L’Autorizzazione Ambientale Integrata (“AIA”) è spesso oggetto di pronunce e interpretazioni da parte dei giudici amministrativi e penali, i quali sono tenuti a pronunciarsi sulle specifiche fattispecie concrete applicando la disciplina delineata dal Decreto legislativo 3 aprile 2005, n. 152 (“Codice dell’Ambiente”).

Le sentenze emesse negli ultimi anni hanno riguardato principalmente (i) l’applicazione delle sanzioni (amministrative e penali), ivi incluse le misure di natura inibitoria e/o ripristinatoria derivanti dall’inosservanza delle prescrizioni nonché (ii) l’ampia discrezionalità amministrativa che connota le scelte effettuate dall’amministrazione nell’ambito dei procedimenti di autorizzazione e, più in generale, nelle valutazioni che vi confluiscono.

 

1. Le violazioni delle prescrizioni AIA

1.1. Il nuovo regime sanzionatorio: le novità introdotte dal Decreto legislativo 46/2014

Il Decreto legislativo 46/2014, che ha modificato l’assetto sanzionatorio del Codice dell’Ambiente, ha depenalizzato molte fattispecie sanzionatorie previste dal Codice nell’ambito della disciplina dell’AIA (cfr. l’attuale testo dell’articolo 29-quattuordecies, comma 14).

Attualmente, dunque, il Codice prevede per le violazioni alle prescrizioni AIA, in via generale, l’applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria (da 1.500 a 15.000 euro), mentre per le violazioni ritenute più gravi, sono previste le sanzioni penali (ammenda da 5.000 a 26.000 euro ovvero arresto fino a due anni insieme all’ ammenda).

Nello specifico, ai sensi del comma 3 dell’articolo 29 -quattuordecies del Codice dell’Ambiente, si applica la sanzione penale dell’ammenda nel caso in cui l'inosservanza sia relativa: (i) ad una violazione dei valori limite di emissione, (ii) alla gestione di rifiuti ovvero (iii) a scarichi recapitanti nelle aree di salvaguardia delle risorse idriche destinate al consumo umano oppure in corpi idrici posti nelle aree protette.

Il comma 4 dell’articolo 29 -quattuordecies prevede inoltre la pena dell’ammenda congiunta alla pena dell’arresto nei casi più gravi di: (i) gestione di rifiuti pericolosi non autorizzati, (ii) scarico di sostanze pericolose (iii) superamento dei valori limite di qualità dell'aria, ed infine (iv) all'utilizzo di combustibili non autorizzati.

 

1.2. La posizione dei giudici

1.2.1. Le fattispecie penali meno gravi (i.e. quelle punite con la sola pena dell’ammenda)

Recentemente, i giudici della Cassazione (es. Cass. Pen., Sez. III, 26 settembre 2019, n. 48401) hanno applicato le sanzioni previste in capo al gestore di impianti AIA che avevano commesso violazioni delle prescrizioni ritenute rilevanti a fini penali, come ad esempio il superamento rilevante delle emissioni di diversi camini, in violazione dei “parametri fisici e tecnologici della portata volumetrica, dell'ossigeno, dell'umidità, della pressione dei fumi e della temperatura”. Ancora, (Cass. Pen., Sez. III, 14 marzo 2017, n. 12170) hanno considerato di rilevanza penale l’omesso trasferimento dei rifiuti a fine turno di lavorazione nelle apposite baie dedicate ai rifiuti prodotti da un impianto di selezione. In questo caso, i giudici riscontravano che i rifiuti “potevano essere collocati nel luogo ove si trovavano solo momentaneamente ed in orario di lavoro, per essere poi tolti ed immagazzinati la sera, come stabilito dall'autorizzazione”.

Ancora, sempre con riferimento alle inosservanze relative alla gestione dei rifiuti la giurisprudenza (Cass. Pen., Sez. VII, 19 giugno 2019, n. 27171) la Cassazione ha affermato recentemente la rilevanza penale dell’inosservanza della disciplina dei rifiuti per lo smaltimento di fanghi e liquidi oleosi. Nel caso in esame, in particolare, l'AIA prevedeva che, quanto al reparto acciaieria, gli scarichi delle acque degli spurghi e le acque meteoriche dovessero venire convogliate, a mezzo di rete fognaria, e immesse verso il corpo idrico superficiale, mentre per lo stoccaggio degli olii esausti era prevista apposita area perimetrata con superficie impermeabile, con vasca di raccolta e di separazione dei olii, le cui acque dovevano essere smaltite come rifiuto. Il giudice ha ritenuto che l’inosservanza di tali prescrizioni fosse relativa alle modalità di gestione dei rifiuti, riconoscendo la natura penale dell'inosservanza, non passibile di depenalizzazione.

Inoltre, vale la pena richiamare anche una sentenza, non più recentissima, in cui la Corte di Cassazione (Cass. Pen., Sez. III, 30 maggio 2017, n. 221) ha riconosciuto rilevanza penale al caso di superamento (per un quantitativo di 70 tonnellate) del limite massimo di rifiuti per i quali la società era stata autorizzata al trattamento. Secondo i giudici, l’inosservanza integrava infatti “una di quelle violazioni delle prescrizioni contenute nell'AIA che, per essere relative alla gestione dei rifiuti, nel caso di specie allo specifico parametro della quantità di rifiuti gestiti o, meglio, trattati, costituiscono fattispecie che, ai sensi del sopra citato comma 3 dell'articolo 29-quattordecies del d. lgs n. 152 del 2006, ha conservato rilevanza penale”.

Ancora, i giudici hanno ricondotto nel novero delle inosservanze relative alla gestione dei rifiuti il caso di mancato rispetto, nell’attività di movimentazione dei rifiuti, del limite di altezza corrispondente all'altezza della recinzione antivento, come prescritto nell’AIA (si veda Cass. Pen., Sez. III, 12 gennaio 2017, n. 7166).

Si può pertanto osservare come, nonostante la depenalizzazione di ipotesi di inosservanza, in via generale, delle prescrizioni, diverse fattispecie abbiano conservato rilevanza a fini penali. In particolare, si può osservare come il regime sanzionatorio previsto dalla legge sia oggetto di un’interpretazione rigorosa e puntuale da parte della giurisprudenza.

A tal proposito, Può rilevarsi come i giudici di Cassazione abbiano considerato le fattispecie penali, pur se residuali rispetto a quelle amministrative, anche in casi di mera “cattiva organizzazione nella gestione dei rifiuti, oltre che nei casi di rilevanti superamenti dei valori limite di emissione. A tale riguardo, si può osservare come i giudici abbiano interpretato la nozione di “emissione” alla luce della definizione offerta dal Codice dell’Ambiente, ritenendo che rientrasse nella suddetta nozione “ogni caso di emissione”. Tale approccio ha portato i giudici ad estendere l’ambito di applicazione della relativa fattispecie penale che è stata considerata, pertanto, applicabile anche - e non solo - agli scarichi idrici. 1.2.2. Le fattispecie penali più gravi (i.e. quelle punite con arresto e ammenda)

Nell’applicare il comma 4 dell’articolo 29 -quattuordecies del Codice, la giurisprudenza ha voluto punire condotte inquinanti particolarmente gravi. In particolare, è stato condannato un gestore di installazione AIA per la fattispecie di scarichi di reflui industriali in pubblica fognatura con superamento dei valori limite per il nichel.

Il fatto che lo scarico fosse occasionale non ha modificato la posizione dei giudici, che anzi hanno affermato che tale circostanza non potesse costituire “di per sé circostanza liberatoria di responsabilità del titolare dell'azienda, in difetto di previsioni di "tolleranza" dell'autorizzazione integrata ambientale” (Cass. Pen., Sez. III, 2 ottobre 2019, n. 47282).

Ancora, nel 2019 la Cassazione Penale (Cass. Pen. Sez. III., 18 aprile 2019, n. 17056) ha riconosciuto la rilevanza penale a talune inosservanze che ci sostanziavano in difformità formali inerenti (i) il posizionamento e la forma dell’impianto di macinazione batterie, (ii) la collocazione degli stoccaggi dei materiali prodotti (iii) le modalità di stoccaggio della soluzione delle batterie.

Il caso di specie offre spunti interessanti: il giudice di primo grado aveva condannato l’imputato alla pena dell’ammenda, ritenendo che la condotta integrasse l’ipotesi di inosservanza generale delle prescrizioni. La Corte di Cassazione, non condividendo il percorso interpretativo seguito dal primo giudice, ha chiarito come le fattispecie generali di inosservanza delle prescrizioni AIA siano state depenalizzate. Il giudice di primo grado avrebbe, pertanto, erroneamente ricondotto il caso all’inosservanza generale delle prescrizioni AIA quando, invece, le difformità sono riconducibili in parte a condotte relative alla gestione dei rifiuti ed in parte alle condotte relative alla gestione di rifiuti pericolosi.

 

1.2.3. Le sanzioni amministrative

Nonostante dalla disamina del panorama giurisprudenziale appaia evidente come i giudici abbiano tutt’altro che abbandonato la possibilità di condannare penalmente il gestore di installazioni AIA nel caso di violazioni delle autorizzazioni, non si può trascurare la copiosa giurisprudenza relativa all’applicazione delle sanzioni amministrative.

Basti citare ad esempio il caso in cui la Cassazione stessa (Cass. Pen. Sez. III., 7 aprile 2017, n. 42572) ha escluso la rilevanza penale dello scarico di acque reflue urbane realizzato non direttamente in corpi idrici esistenti nell'area protetta. Nello specifico, si trattava di uno scarico che recapitava in un corpo idrico che solo a valle attraversava una zona protetta. Il giudice, sul punto, chiariva come la condotta è sanzionata penalmente solamente nel caso in cui lo scarico viene realizzato direttamente nel corpo idrico che insiste sull'area protetta. Parimenti, sempre la Cassazione (Cass. Pen., Sez. III, 23 febbraio 2017, n.35153) ha escluso la rilevanza penale per la mancata adozione di adeguate misure per rispettare la percentuale di abbattimento in riferimento allo scarico finale in corpo idrico nonché l’omissione di un programma di interventi di manutenzione per evitare la carenza di manutenzione riscontrata dagli enti preposti.

 

1.2.4. I provvedimenti di natura inibitoria

In aggiunta alle sanzioni amministrative e penali, in caso di violazione delle prescrizioni AIA, a seconda della gravità delle infrazioni, l’autorità può adottare provvedimenti di diffida, sospensione, revoca e chiusura dell’installazione. In materia, può dirsi che la giurisprudenza si è mostrata attenta a verificare i presupposti in presenza dei quali la legge attribuisce tale potere all’autorità. In relazione al potere di revoca, ad esempio, la giurisprudenza amministrativa (TAR Friuli Venezia Giulia, Sez. I., 14 aprile 2020, n. 125) ha sottolineato come tale potere debba essere esercitato solo per ”il mancato adeguamento alle prescrizioni imposte con la diffida e le reiterate violazioni che determinino situazioni di pericolo o di danno per l’ambiente” e non, invece, per la “mera riscontrata inosservanza delle prescrizioni autorizzatorie”, preoccupandosi altresì di precisare che la revoca preannunciata nel provvedimento di diffida “non è sostanziata da alcun automatismo, occorrendo, invece, l’adozione di un ulteriore provvedimento” che dia conto dei precisi presupposti previsti dalla legge.

Quanto ai provvedimenti di diffida, la giurisprudenza evidenzia come il termine assegnato nella diffida, entro il quale devono essere eliminate le inosservanze e applicate tutte le appropriate misure provvisorie o complementari, debba essere necessariamente ragionevole (TAR Puglia, Sez. I., 18 giugno 2020, n. 878).

 

1.2.5. L’autodenuncia della violazione

Vale la pena ricordare anche che il mancato rispetto delle prescrizioni contenute nell’AIA può emergere sia all’esito delle ispezioni svolte da parte dell’autorità di controllo sia dal contenuto della comunicazione cui il gestore è tenuto in sede di autocontrollo. Ci si è chiesti, pertanto, se tale ipotesi con configurasse un caso di autodenuncia, in violazione del diritto di difesa da accuse penali che rappresenta espressione del principio della libertà da autoincriminazioni. Sul tema, recente giurisprudenza (Cass. Pen., Sez. III, 26 settembre 2019, n. 48401) ha chiarito che tale principio non è invocabilein quanto le suddette richieste derivano da specifici obblighi normativi per consentire lo svolgimento della vigilanza amministrativa”, che è demandata agli organi preposti. Il gestore è soggetto tenuto all’effettuazione di analisi in sede di autocontrollo e poi all’inoltro dei dati in virtù di specifici obblighi derivanti dalla legge ed “è assoggettato allo stesso trattamento riservato a ogni cittadino sottoposto ad atti di autocontrollo per fini di interesse generale”.

 

2. La discrezionalità dell’amministrazione

Con recenti sentenze, il Consiglio di Stato è tornato ad esprimersi sull’ampia discrezionalità che connota le scelte delle amministrazioni coinvolte nei procedimenti che si caratterizzano per avere ad oggetto valutazioni rese in esito al bilanciamento di una molteplicità di interessi pubblici e privati.

In particolare, il Consiglio di Stato ha avuto modo di chiarire, in due diverse e recenti pronunce, come gli apprezzamenti delle amministrazioni siano espressione di un’ampia discrezionalità, non solo tecnica ma anche amministrativa, sottolineando al contempo i limiti che incontra, non solo il sindacato del giudice, ma anche l’amministrazione stessa nell’esercizio di tale discrezionalità.   

 

2.1. La posizione dei giudici

2.1.1. La discrezionalità amministrativa e i limiti al sindacato del giudice amministrativo

In una recente pronuncia del 2020 (Cons. Stato, Sez. II., 6 aprile 2020, n. 2248), il Consiglio di Stato ha messo in luce lo stretto legame tra l’ampia discrezionalità che connota le decisioni delle amministrazioni coinvolte nei procedimenti di autorizzazione o, più in generale, nei giudizi di compatibilità ambientale ed i limiti che incontra il giudice nel sindacare le scelte compiute dalle amministrazioni, attesa l’intensa discrezionalità che le caratterizza.

La controversia riguarda il rigetto di una domanda di rilascio dell’AIA presentata al fine di realizzare un adeguamento tecnico di un impianto termovalorizzatore di pneumatici fuori uso.

In particolare, secondo la disciplina regionale ratione temporis applicabile, il rilascio di AIA di competenza regionale avveniva a seguito di un procedimento analogo a quello che caratterizzava i procedimenti di valutazione di impatto ambientale, con la conseguenza di riservare alle amministrazioni coinvolte il potere di effettuare “una ampia verifica degli effetti di un impianto sull’ambiente con riferimento a molteplici aspetti”.

Il rigetto della domanda di rilascio dell’AIA avveniva sulla base dei pareri motivati di diverse amministrazioni che avevano sollevato diverse criticità, tra cui: (i) lacune informative presenti nella documentazione, (ii) la localizzazione dell’impianto all’interno di un sito di bonifica di interesse nazionale, (iii) le rilevanti emissioni che sarebbero derivate dal nuovo impianto.

Con la pronuncia in esame, il Consiglio di Stato conferma la legittimità del diniego opposto alla domanda di rilascio dell’AIA, richiamando i consolidati principi in materia di valutazioni di compatibilità ambientale (cfr. Tar Lombardia, Brescia, Sez. I, 20 novembre 2018, n. 1098, Cons. Stato, Sez. IV, 27 marzo 2017, n. 1392).

In particolare, il Consiglio di Stato ribadisce come il giudizio di compatibilità ambientale non si sostanzi in un “mero atto tecnico di gestione” e/o “di amministrazione in senso stretto”, bensì in “un provvedimento con cui viene esercitata una vera e propria funzione di indirizzo politico con particolare riferimento al corretto uso del territorio, in senso ampio”.

Si tratta di un giudizio che non è espressione solo di discrezionalità tecnica, ma anche di scelte amministrative connotate da profili particolarmente intensi di discrezionalità amministrativa, sottratte, perciò, al sindacato del giudice amministrativo se non laddove risulti evidente lo sconfinamento del potere discrezionale attribuito all’amministrazione, ossia in ipotesi di manifesta illogicità, travisamento dei fatti o gravi carenze o inadeguatezze nell’istruttoria. Ipotesi che, a parere del Consiglio di Stato, non si sarebbero verificate nel caso di specie.

 

2.1.2. I limiti alla discrezionalità amministrativa

Sempre in merito ai profili di discrezionalità dell’amministrazione, in un’altra recente pronuncia (Cons. Stato, Sez. IV, 29 aprile 2020, n. 2733), il Consiglio di Stato ha evidenziato i limiti che incontra la discrezionalità delle amministrazioni nelle valutazioni che confluiscono nei procedimenti autorizzativi, attesa la natura e gli effetti dell’AIA.

In particolare, il Consiglio di Stato ha ritenuto illegittima la pretesa del Comune di annullare il decreto AIA rilasciato ad una società per l’esercizio di attività di trattamento di rifiuti pericolosi e rigenerazione di olii usati presso un impianto già esistente.

Nel caso di specie, il Comune fondava la pretesa di annullamento sull’intervenuta incompatibilità urbanistica dell’attuale ubicazione dell’impianto nonché sul fatto che “non sarebbe stato tenuto in adeguata considerazione il ruolo preminente della stessa Amministrazione quale ente esponenziale degli interessi dei cittadini residenti in quel territorio”.

I giudici, richiamando la natura del provvedimento di AIA, hanno evidenziato come quest’ultima non costituisca “la mera sommatoria dei provvedimenti di competenza degli enti chiamati a partecipare alla Conferenza di Servizi”, ma siaun titolo autonomo caratterizzato da disciplina specifica”, che assorbe le determinazioni delle singole amministrazioni coinvolte, con la conseguenza che l’efficacia di queste ultime soggiace al regime previsto dalla disciplina specifica dell’AIA, in conformità alla ratio di semplificazione e concentrazione sottesa al modulo procedimentale costituito dalla Conferenza di Servizi. Quest’ultima, infatti, è retta da un criterio maggioritario e “non conosce poteri di veto in capo alle singole Amministrazioni partecipanti”, con la conseguenza che al parere contrario del Comune non poteva riconoscersi portata prevalente. Così, il Consiglio di Stato ha ritenuto che la sopravvenuta incompatibilità urbanistica dell’installazione AIA, realizzata ed operante in virtù di titolo edilizi legittimi ed efficaci, non potesse legittimare il diniego di rilascio dell’AIA e/o il suo annullamento, stante il carattere assorbente e unico dell’AIA.

Può dunque rilevarsi che, da un lato, i giudici riconoscono l’ampia discrezionalità che contraddistingue i giudizi delle amministrazioni coinvolte nel procedimento autorizzativo e dall’altro, considerano in modo attento i limiti che incontra tale discrezionalità in virtù della natura e degli effetti che caratterizzano l’AIA. A tale riguardo, infatti, i giudici hanno posto in luce l’unicità del provvedimento conclusivo di AIA ed il suo carattere assorbente rispetto alle determinazioni delle diverse amministrazioni, escludendo la possibilità di riconoscere prevalenza alla determinazione di una singola amministrazione (nel caso di specie, al parere contrario del Comune che, peraltro, si era opposto solo con l’avvio della procedura di AIA, non sollevando tali problematiche urbanistiche nelle sedi opportune).