Regime 41/bis via libera alla preparazione di cibi cotti anche per i condannati al carcere duro
Con la sentenza n. 186/2018 la Corte Costituzionale ha statuito sulla questione di legittimità sollevata da un magistrato di sorveglianza di Spoleto, nell’ambito del procedimento di reclamo avanzato da un detenuto in regime differenziato, avverso il dettato dell’articolo 41 bis (cd carcere duro) comma 2 quater, lettera f) della legge 26/7/1975 n. 354.
Per meglio chiarire la fattispecie occorre premettere che ai sensi dell’articolo 41 bis 2 quater “i detenuti sottoposti al regime speciale di detenzione devono essere ristretti all’interno di istituti a loro esclusivamente dedicati, collocati preferibilmente in aree insulari, ovvero comunque all’interno di sezioni speciali e logisticamente separate dal resto dell’istituto e custoditi da reparti specializzati della polizia penitenziaria” e che nei confronti di tali detenuti sono previste specifiche misure limitative delle libertà tra le quali, figura, il divieto di cuocere i cibi previsto dalla lettera f dell’articolo 41 bis, su cui verte il reclamo de quo.
Ed invero, in relazione al suddetto divieto il detenuto lamentava un pregiudizio grave da scontare in condizioni di parità di trattamento, ai sensi dell’articolo 3 Cost, rispetto alle altre persone detenute presso il medesimo istituto penitenziario.
Il reclamante lamentava altresì la violazione del proprio diritto alla salute, in quanto, non potendo acquistare cibi da cuocere o, comunque, cucinare quelli per cui gli è autorizzato l’acquisto, gli sarebbe stato impedito di seguire una dieta alimentare idonea per le patologie certificate di cui era affetto (ndr. gastrite cronica, reflusso, ipercolsterolemia).
La questione di legittimità costituzionale così sollevata dal detenuto, è stata ritenuta dal Giudice a quo di non manifesta infondatezza e, attesa la sua rilevanza ai fini del decidere, ha rimesso il tutto alla Corte Costituzionale.
In punto rilevanza, il rimettente ha esposto che l’oggetto del reclamo è costituito dalla richiesta di eliminare i divieti imposti dall’amministrazione penitenziaria con ordini di servizio in materia di cottura dei cibi.
Quanto alla valutazione di non manifesta infondatezza, secondo il giudice a quo, risultavano violati tre parametri costituzionali:
1. articolo 3 Costituzione, poiché la disposizione sospettata d’incostituzionalità determinerebbe una disparità di trattamento tra detenuti, non giustificata dalle esigenze poste alla base dell’imposizione del regime differenziato;
2. articolo 27 Costituzione in quanto il divieto di cottura del cibo, riveste carattere meramente vessatorio, sia perché contrario al senso di umanità che deve caratterizzare l’esecuzione della pena, sia perché d’ostacolo alla funzione rieducativa della pena;
3. infine l’articolo 32 in quanto soltanto la libertà di prepararsi autonomamente anche i cibi che richiedono cottura consentirebbe al detenuto interessato di prescegliere e variare la dieta alimentare che ritenga congrua per le proprie condizioni di salute, in ragione delle riscontrate patologie gastriche.
Secondo la Consulta le questioni sono fondate in quanto la disposizione censurata viola entrambe le disposizioni di rango costituzionale.
Ed invero, quanto alla violazione dell’articolo 3 Costituzione, la Corte osserva che il divieto de quo è riservato ai detenuti soggetti alla disciplina differenziata dell’articolo 41-bis ordinamento penitenziario, mentre per gli altri detenuti è previsto un regime meno restrittivo. Questi ultimi, infatti, possono acquistare il sopravvitto, nonché ricevere dall’esterno anche generi alimentari di consumo comune eventualmente da consumarsi previa cottura e, di conseguenza, utilizzare, nelle camere di detenzione, i fornelli personali, non solo – come è previsto per i detenuti in regime differenziato – per riscaldare liquidi e cibi già cotti oppure per preparare bevande, ma anche per la preparazione di cibi di facile e rapida realizzazione.
Inoltre, ulteriore disparità di trattamento è rilevabile sulla base della regola, non applicabile ai detenuti soggetti al regime di cui all’articolo 41-bis ordinamento penitenziario, secondo la quale la legge autorizza il regolamento interno di ciascun carcere a prevedere che sia consentita ai detenuti comuni la cottura di generi alimentari, stabilendo i generi ammessi nonché le modalità da osservare.
Quanto, invece, alla violazione dell’articolo 27, la stessa giurisprudenza costituzionale (sentenze n. 376 del 1997, n. 351 del 1996 e n. 349 del 1993) ha sottolineato, più volte, che le misure, considerate singolarmente e nel loro complesso, non devono essere tali da vanificare del tutto la necessaria finalità rieducativa della pena (sentenza n. 149 del 2018) e tale da violare il divieto di trattamenti contrari al senso di umanità, «verifica quest’ultima tanto più delicata trattandosi di misure che derogano al trattamento carcerario ordinario».
Quanto al divieto in parola, la Consulta osserva che nel silenzio dei lavori preparatori della legge n. 94 del 2009 circa la ratio dell’introduzione del divieto di cottura dei cibi per i detenuti assegnati al regime differenziato di cui all’articolo 41-bis ordinamento penitenziario, si è comunemente ritenuto, come accenna anche il giudice rimettente, che tale ratio possa essere scorta nella necessità di contrastare l’eventuale crescita di “potere” e prestigio criminale del detenuto all’interno del carcere, misurabile anche attraverso la disponibilità di generi alimentari “di lusso”.
Ciò nonostante, la Corte ha ritenuto opportuno rilevare non solo che la crescita di “potere” e di prestigio all’interno del carcere potrebbe derivare anche dalla disponibilità di generi alimentari “di lusso” da consumare crudi, ma anche che, al di là di questo ovvio rilievo, è la stessa ordinaria applicazione delle regole di disciplina specificamente previste a rendere pressoché impossibile qualunque abusiva posizione di privilegio o di “potere” all’interno del carcere collegata alla cottura del cibo.
Le regole carcerarie ordinarie prevedono, infatti, precisi limiti alla ricezione, all’acquisto e al possesso di oggetti e generi alimentari da parte di tutti i detenuti. Ed invero, anche il detenuto in regime differenziato può acquistare al sopravvitto generi alimentari (con l’esclusione, attualmente, di quelli che richiedono cottura), ma può farlo nei limiti di quantità e valore comunemente previsti. Inoltre, lo stesso regime differenziato di cui all’articolo 41-bis ordinamento penitenziario rende assai improbabile il possesso, da parte del detenuto, di generi alimentari pregiati, che risultino motivo di discriminazione fra detenuti o mezzo improprio di scambio, o tali comunque da distinguere la sua posizione, pur all’interno del limitatissimo “gruppo di socialità” entro il quale al detenuto è concesso di convivere.
Caduta questa prima ed abituale giustificazione, non potrebbe poi ritenersi che siano peculiari e differenziate esigenze di ordine e sicurezza (esterne o interne al carcere) ad imporre l’adozione del divieto in questione, con particolare riferimento, da un lato, alla necessità che il detenuto sottoposto al regime speciale non abbia contatti con le imprese esterne presso le quali acquista generi alimentari al sopravvitto e, dall’altro, alla potenziale pericolosità degli utensili (arnesi da cucina e fornello personale) necessari alla cottura dei cibi.
Tuttavia, posto che, come si è detto, anche i detenuti in regime differenziato possono svolgere (limitati) acquisti di generi alimentari al sopravvitto, non è certo il divieto di cottura dei cibi a risultare congruo e funzionale all’obiettivo di recidere i possibili contatti con l’esterno che tali acquisti potrebbero comportare.
Inoltre, i detenuti in regime differenziato, come pure si è visto, dispongono comunque del fornello personale, anche se possono allo stato utilizzarlo, a differenza degli altri, solo per riscaldare liquidi e cibi già cotti, oppure per preparare bevande. E poiché le esigenze di sicurezza personale dei detenuti trovano protezione in varie altre regole del complessivo regime carcerario, il divieto di cottura dei cibi non è ovviamente idoneo ad aggiungere nulla alla pur indispensabile opera di prevenzione degli utilizzi impropri di tale strumento, che risultino pericolosi per il detenuto stesso o per gli altri.
Risulta da tutto quanto detto che il divieto di cottura dei cibi, in quanto previsto in via generale ed astratta in riferimento ai detenuti soggetti al regime carcerario di cui all’articolo 41-bis ordinamento penitenziario, è privo di ragionevole giustificazione, e, per tali motivi da considerarsi costituzionalmente illegittimo.