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Riflessioni ed esempi concreti sulla tutela processuale dei contrapposti interessi nei trusts

(Relazione tenuta all’incontro: Prassi applicative dei trusts interni, per il Consiglio Superiore della Magistratura - Formazione decentrata di Trieste, Trieste, 17 giugno 2005)

INDICE

1. Premesse

1.1. Analisi della struttura formale dell’atto: l’atto istitutivo e i negozi di dotazione patrimoniale

1.2. La nullità dell’atto istitutivo di trust

2. I beneficiari

2.1. La posizione dei beneficiari

2.1. a) Diritto dei beneficiari di essere a conoscenza dell’esistenza del trust

2.1. b) Diritto dei beneficiari di conoscere i documenti del trust

2.1. c) Diritto dei beneficiari al rendiconto da parte del trustee

2.2. Le azioni a tutela

2.2. a) Il beneficiario che abbia un diritto certo, liquido ed esigibile

2.2. b) Il beneficiario che abbia un diritto sottoposto a condizione

2.2. c) Il beneficiario che abbia una posizione di legittima aspettativa

2.2. d) Il protective trust e il trust di protezione patrimoniale

2.3. Le posizioni no tutelabili

3. Il trust di scopo

4. Il Trustee

4.1. i poteri e i doveri del trustee

4.2. La responsabilità del trustee

4.2. a) Il conflitto di interessi – Una prima ipotesi di breach of trust

4.2. b) Altre ipotesi di beach of trust

5. Altri casi implicanti posizioni e diritti di terzi: la giurisprudenza italiana

6. Conclusioni

 

 

 

1. Premesse

Questa occasione mi è particolarmente gradita perchè mi consente di proseguire nella riflessione che ebbi occasione di iniziare al primo incontro di studi, in tema di trust, organizzato dal CSM nel luglio del 2003 [1].

All’epoca, in giurisprudenza, si stavano facendo i primi passi anche se le decisioni erano già estremamente favorevoli [2] al riconoscimento dei trusts interni nell’ordinamento giuridico italiano.

Nonostante questo indubbio trend positivo, un brusco arresto provenne dal Tribunale di Belluno 25 settembre 2002 [3], che negava l’intavolazione di un bene immobile, sito in Cortina d’Ampezzo, trasferito direttamente dal disponente al trustee.

Ciò che al contrario mi aveva consentito di affrontare più nel dettaglio la complessità dell’argomento era la poderosa opera dottrinale che aveva visto la luce negli anni successivi all’entrata in vigore della Convenzione dell’Aja [4].

Il dibattito era ancora estremamente acceso, e nettamente contrapposto fra accaniti fautori e assolutamente contrari [5].

La sentenza bellunese citata, arrecava un’articolata motivazione, e di essa fu ampiamente trattato all’incontro di studi citato [6] dove intervenne direttamente il giudice tavolare che ne aveva la paternità [7].

Non può essere questa la sede per ricordare i fondati dubbi che tale motivazione lasciava, comunque frutto di un pregevole e approfondito studio, ma rimase comunque la consapevolezza che l’evoluzione continua e serrata degli scambi e dei rapporti interpersonali, e le ripercussioni di ciò nella prassi quotidiana dei tribunali e degli studi legali, non potevano arrestarsi di fronte a nostri istituti giuridici la cui obsolescenza è manifesta e da più parti invocata [8].

Queste furono le ragioni che mi costrinsero all’epoca ad affrontare il tema assegnatomi [9] in chiave prevalentemente teorica, mentre sono lieta oggi, alla luce di due dati di fatto oggettivi, di poter affrontare l’argomento su di un piano molto più “di prassi” , per l’appunto.

Il primo dato di fatto è la giurisprudenza ormai consolidata in tema, che non pare mettere più in discussione quelli che io amo definire “i massimi sistemi” del trust, ovvero sia la sua indubbia compatibilità con il nostro ordinamento e il suo pieno diritto di cittadinanza all’interno del nostro sistema giuridico.

Il pilastro portante l’ha senza dubbio posato la sentenza del 1 ottobre 2003 del Tribunale di Bologna [10], dove la dr.a A. Drudi, unitamente al relatore che mi ha preceduto, il giudice dr. G. Fanticini, per oltre 30 pagine, destituivano di ogni fondamento tutti i complessi ragionamenti che non volevano l’operatività dei trusts interni in Italia.

Ma di ciò, per l’appunto il dr. Fanticini, vi ha già dato ampio riassunto.

A questo aggiungasi la recentissima sentenza della IV sez. della Corte di Cassazione che, ancorchè nell’ambito di un giudizio penale, minimamente si è posta il problema di disconoscere legittimità o validità ai trusts interni [11].

Il secondo dato di fatto è che la prassi , appunto, è andata avanti e dal 2003 ad oggi i tribunali hanno cominciato ad occuparsi di questioni pratiche (nel prosieguo di questa relazione) relative all’operato dei trustee, alla loro eventuale revoca, alle azioni esecutive verso il fondo in trust (i.e. Trust Fund), ai poteri o diritti dei beneficiari.

Questo è quindi l’oggetto del mio intervento.

1.1 Analisi della struttura formale dell’atto: l’atto istitutivo e i negozi di dotazione patrimoniale

Ritengo strettamente necessario, all’interno di queste premesse, soffermarmi preliminarmente su un aspetto che nella prassi professionale spesso sfugge a quanti si apprestino a confutare giudizialmente un atto di trust.

Molteplici sono le ragioni, e le analizzerò più avanti, che possono essere addotte per invocare la nullità di un atto di trust.

La nullità dell’atto di trust comporterebbe, all’evidenza, anche la nullità dei singoli negozi di dotazione patrimoniale al trustee.

Quello che non si coglie però, è che il rapporto non è reciproco; la nullità dei negozi di dotazione patrimoniale non implica mai la nullità dell’atto di trust [12].

Il primo problema da porsi è quindi strettamente connesso all’obiettivo che, attraverso la domanda di nullità, vuole raggiungersi [13].

Se l’intento è quello di vanificare lo specifico atto di dotazione patrimoniale, ad esempio il trasferimento di un immobile ad un trustee, perché in violazione del regime di comunione legale fra i coniugi, allora è evidente che la domanda deve colpire quello specifico trasferimento, senza coinvolgere l’atto di trust.

Se al contrario, l’avvocato non ha strumenti per colpire il singolo trasferimento (ad esempio trattasi di bene personale del disponente) allora la sua attenzione dovrà spostarsi sull’atto di trust per verificare se vi siano elementi che consentano l’accoglimento della domanda di nullità dell’atto istitutivo posto che, solo in tal modo, potrà ottenersi l’effetto di veder vanificato lo specifico atto di dotazione patrimoniale.

Ipotizzo ulteriori casi: l’azione revocatoria ex art. 2901 cc., colpisce i negozi di trasferimento dei beni al trustee, non l’atto di trust [14]; la cessione di quote societarie in violazione della clausola di prelazione che vieta anche le cessioni a titolo gratuito, inficia l’atto di trasferimento, non l’atto di trust, che continua quindi a spiegare i suoi effetti sui beni diversi da quelli oggetto della domanda di nullità.

Ma se la clausola di prelazione non prevedesse la cessioni a titolo gratuito, o se ancora si avesse il dubbio di ritenere che una donazione, statutariamente vietata, non sia paragonabile al trasferimento in trust, come potrebbe colpirsi quell’atto di trust?

Il punto è sostanziale e a mio avviso deve essere esaminato in via assolutamente preliminare.

1.2 La nullità dell’atto istitutivo di trust

Poco rileva la nullità relativa agli atti di trasferimento dei beni al trustee.

In proposito la Convenzione dell’Aja [15] è estremamente chiara e dal combinato disposto degli artt.4 e 15, discende che la validità formale e sostanziale del negozio di dotazione patrimoniale al trustee, è retta dalle regole di conflitto del foro [16].

Per ciò che concerne i trusts interni, quindi, dalla legge italiana.

Se pertanto il singolo negozio è nullo per la legge italiana (ad esempio per carenza di forma) la domanda processuale non presenta problemi.

Diverso discorso deve farsi per l’atto istitutivo di trust.

Strategicamente il passaggio è sostanziale: potrebbe darsi infatti che i singoli negozi di dotazione patrimoniale siano civilisticamente perfetti o che, nel dubbio che le doglianze a loro carico siano accolte, l’avvocato sia costretto a trovare una strada alternativa.

A mio avviso una sola strada è praticabile: la domanda di nullità (in via principale) dell’atto di trust – se ovviamente ne ricorrono i presupposti – e la domanda di nullitàannullabilità del negozio di dotazione patrimoniale (in via subordinata) quale exstrema ratio.

Occorre quindi precisare quando un atto di trust possa ritenersi nullo.

In primo luogo quando è portatore di interessi che non sono meritevoli di tutela per l’ordinamento giuridico.

In tale caso si chiederà che ai sensi dell’art. 13 della Convenzione non venga riconosciuto.

Questo argomento è invero piuttosto complesso e trattarlo nuovamente in questa sede implicherebbe occupare gran parte del tempo che mi è stato concesso.

Rinvio pertanto alla relazione che sul punto ho tenuto all’incontro di studi del CSM dell’anno 2003 [17] e alla dottrina e giurisprudenza in essa richiamata.

Per riassumerne comunque gli aspetti sostanziali, e consentire che non sia perso il filo del ragionamento, mi limito a ricordare come il trust interno sia legittimo sempre - e solo - quando venga prescelto come strumento residuale [18].

In altri termini ciò si ha quando attraverso lo strumento del trust si perseguono obiettivi altrimenti non perseguibili con gli ordinari strumenti del diritto civile [19].

Tali obiettivi però, devono rappresentare interessi meritevoli di tutela per il nostro ordinamento, e non fini ripugnanti per il sistema stesso. Solo in tal modo infatti, si legittima l’applicazione di una legge straniera ad un rapporto squisitamente nazionale, come è stato autorevolmente precisato [20].

Ciò implica la preliminare indagine di meritevolezza dello scopo del trust o, per usare un termine strettamente connesso alla nostra cultura, della causa del trust [21].

In altri termini le finalità che il disponente [22] intende perseguire, a mezzo del trust istituito, devono essere compiutamente e dettagliatamente enunciate nell’atto di trust e queste saranno oggetto della prima analisi.

Talvolta accade che lo scopo, apparentemente lecito e meritevole di tutela, in realtà nasconda un obiettivo ripugnante per l’ordinamento (ad esempio l’intento di frodare i creditori o il desiderio di negare la quota di legittima).

Questa seconda ipotesi, come ho già avuto modo di precisare in tema di revocatoria [23], non inficia – direttamente - l’atto istitutivo, ma gli atti di trasferimento.

Per meglio dire, questa ipotesi, è destinata ad inficiare l’atto istitutivo tout court, quando tale scopo ripugnante, sia il solo effettivo scopo del trust, e il trustee si disinteressi completamente dello scopo apparente.

In altri termini, l’atto di trust è nullo quando altro non sarà che una pura simulazione (“sham”, per il diritto inglese).

Nell’ ipotesi dello scopo apparente, infatti, potrà invocarsi la simulazione solo allorquando il trustee agisca solo al fine di soddisfare lo scopo reale: ad esempio fittiziamente deve corrispondere un mantenimento ai beneficiari del trust, mentre in realtà si limita solo a tenere occultato il patrimonio del disponente ai suoi creditori, non interessandosi dei beneficiari, come ha chiaramente esplicitato la giurisprudenza inglese [24].

Ancora ciò avverrebbe quando il trust non ha di fatto beneficiari, mentre enuncia nello scopo la presenza di beneficiari nel cui interesse il patrimonio deve essere gestito. In tale ambito, tuttavia, l’interprete dovrà avvicinarsi all’atto con estrema attenzione, al fine di verificare che non via siano meccanismi di nomina dei beneficiari nel tempo a venire perchè, se così fosse, la prova della simulazione potrebbe essere più difficile.

Diverso discorso deve farsi quando la simulazione non attiene allo scopo, ma alla segregazione che, come noto, è l’effetto principale che il trust produce sui beni che ne formano oggetto [25].

La segregazione, se da un canto comporta che il fondo in trust sia esente da azioni esecutive individuali da parte dei creditori del trustee, del disponente o dei beneficiari, dall’altra parte implica che la stessa trovi la sua legittimazione nel vincolo di destinazione che su tali beni è impresso.

Tale vincolo implica che l’esercizio del diritto di proprietà che esercita il trustee, sul fondo in trust, è esclusivamente finalizzato al perseguimento dello scopo del trust, ed è pertanto oggettivamente limitato dalle previsioni dell’atto istitutivo [26].

Ma questo è il solo vincolo che un trust sopporta.

Al contrario, è proprio nella discrezionalità e libertà di azione del trustee, che si colloca il rapporto fiduciario in forza del quale il disponente gli ha trasferito la proprietà di beni.

L’affidamento del disponente, sull’operato del trustee, informa di sé il trust.

Ne consegue che l’ affidamento, e il rapporto fiduciario, sono simulati quando di fatto il disponente non ha mai nutrito tali sentimenti verso il trustee, rimanendo fermamente convinto che avrebbe potuto disporre del fondo in trust, direttamente o indirettamente, a suo piacimento.

Lo scenario non è completo: questa è una condizione necessaria ma non sufficiente.

Occorre che ciò avvenga con la compartecipazione del trustee.

Una recente sentenza della Corte di Jersey (Isole del Canale) che mutua la sua esperienza giuridica sulla scorta dei precedenti delle corti inglesi, è stata molto precisa in proposito.

Afferma infatti il giudice straniero che, affinché si abbia un sham (simulazione) in grado di inficiare il trust, occorre la volontà anche del trustee alla simulazione, non essendo sufficiente la mera volontà del disponente, che potrebbe poi infrangersi contro l’imprevisto operato diligente e professionale del trustee prescelto [27].

La corte straniera condivide quindi il precetto di cui all’art. 1414 del cc. e ciò implica per il richiedente la simulazione, l’applicazione dell’art. 1417 cc in tema di onere della prova.

Delicato è il come procurarsi la prova, atteso che dall’atto di trust questo non risulterà.

Si profilano le strade ordinarie in tema di prova, nonché l’ordinanza di esibizione di tutti i documenti del trust ex art. 210 cpc, e le prove per testi e interpello, nei limiti della loro ammissibilità con riferimento alla domanda di simulazione.

In tale ambito non credo ci siano dubbi, posto che nel nostro ordinamento la nullità può essere invocata da “chiunque vi abbia interesse” ex art. 1421 cc.

Tale prospettata situazione consente quindi una difesa anche nei frequenti casi in cui l’atto di trust non sia conoscibile, né tantomeno conosciuto.

Vorrei però precisare che condivido questa strategia processuale, e mi riferisco in particolare all’ordine di esibizione del trust e dei suoi documenti ex art. 210 cpc, solo allorquando sia legittimata da una domanda di nullità dell’atto di trust e non in altre ipotesi che tratterò più avanti (al cap.2.1b).

Tale mia personalissima interpretazione, che trova una sua giustificazione in diritto civile alla luce del citato art. 1421 cc., non è invece condivisa, ad esempio, dalla Corte di Jersey [28] che ha negato la richiesta di esibizione di documenti del trust, intentata da un beneficiario che aveva posto la domanda di nullità del trust stesso. A parere della Corte, tale domanda di nullità non poteva intendersi nell’interesse del trust, e dell’intera categoria dei beneficiari, ma solo mossa dal fine egoistico di un solo beneficiario e pertanto non imponeva al trustee l’esibizione.

Il citato precedente straniero, di indubbio prestigio e rilievo, non consente però, a mio avviso, di superare i diritti che il nostro ordinamento riconosce a chiunque propone una domanda giudiziale di nullità. Di ciò, quindi, non potrà non tenersi conto, soprattutto in relazione a quelle istanze che il richiedente la nullità può validamente proporre all’interno del nostro processo civile, fra le quali rientra senza dubbio la richiesta di esibizione di documenti ex art. 210 cpc.

Per concludere, sottopongo infine alla loro attenzione una diversa, seppur frequente ipotesi.

Mi riferisco ai casi in cui il trustee sia estraneo ad ogni accordo simulativo con il disponente ma questi abbia, strategicamente previsto nell’ atto di trust meccanismi che gli consentano sempre e comunque di non perdere il controllo sui beni.

Fioriscono infatti nella prassi, trusts nei quali il Guardiano altro non è che una longa manus del disponente con poteri di vita e di morte sul trust e sul trustee.

Guardiani, quindi, la cui previa autorizzazione è necessaria affinché il trustee possa legittimamente compiere una lunga serie di azioni, che revocano il trustee a loro piacimento, ancorchè alcuna negligenza sia ad esso imputabile, che nominano e revocano i beneficiari o che sono i soli che decidono quanto, e quando, dare rendite al disponente.

In tali ipotesi la simulazione non coinvolgerà il trustee, ma il rapporto guardiano –disponente e gli effetti saranno i medesimi.

Molteplici sono infine le ulteriori ipotesi di nullità dell’atto di trusts, ad esempio la durata eccedente il termine massimo consentito dalla legge applicabile prescelta (in diritto inglese 80 anni, per la legge di Jersey 100 anni) la cui previsione comporta la nullità dell’intero atto non essendo ipotizzabili meccanismi di sostituzione automatica della clausola nulla.

E’ ovvio che in simili casi, sarà necessaria una certa conoscenza dei principi inderogabili sanciti nell’ordinamento la cui legge disciplina il trust di specie, e la conseguenza pratica sarà richiedere che il trust non venga riconosciuto, ai sensi dell’art. 13 della Conv..

Su questi, e su altri profili di nullità, parimenti rimando alla mia relazione del luglio 2003 citata [29].

 

2. I Beneficiari

Necessario, a mio avviso, chiarire subito un frequente errore: un trust, pur rimanendo un trust con beneficiari (e quindi non un trust di scopo, per il quale rinvio al cap.3) può venire ad esistenza senza designati beneficiari [30].

In tali ipotesi, l’atto prevederà meccanismi di nomina dei beneficiari nel corso del trust, e di loro successiva revoca, se il disponente desidera riservarsi anche questo potere.

Parimenti il trust, privo di beneficiari sin dall’inizio, può rimanere tale fino alla fine, senza per questo perdere la sua estrinseca natura, divenendo, allo spirare del termine di durata, un cd. “resulting trust” ovvero sia un trust dove il beneficiario coincide con l’iniziale disponente [31].

Laddove però beneficiari vi siano, è necessario che gli stessi siano identificati o identificabili come categoria o come persone (ad esempio i figli attuali o futuri di Caio) [32].

Importante è quindi comprendere cosa si intende esattamente con il termine beneficiario e nuovamente ci viene in aiuto una definizione, tratta dalla legge di Jersey, che può utilizzarsi a tutto tondo: “beneficiary means a person entitled to benefit under a trust or in whose favour a discretion to distribute property held on trust may be exercised” che tradotto verso l’italiano equivale a : “ beneficiario significa una persona avente diritto a vantaggi da parte di un trust oppure nel cui interesse possa essere eseguita discrezionalmente la distribuzione di beni in trust” [33].

La massima dottrina sulla legge di Jersey [34] opportunamente evidenzia un distinguo all’interno di questo articolo che si riflette, con ripercussioni radicalmente diverse, sui singoli atti di trust a seconda del loro tenore letterale. In particolare, insegna l’insigne giurista, come il primo ambito della definizione sia volto a ricomprendere coloro che hanno diritti o interessi, provenienti da un trust, che li legittima a pretenderne l’adempimento senza che sia lasciato alcun margine di discrezionalità al trustee mentre il secondo ambito della definizione ricomprende quanti siano legittimi titolari di posizioni di favore, all’interno del trust, subordinate però ad una scelta discrezionale da parte del trustee, nei loro confronti [35]. L’autore conclude la definizione precisando che : “Ciò concorda con la legge inglese secondo la quale sono beneficiari di un trust tutti coloro i quali abbiano potenziali benefici dal trust” [36].

Nella definizione di beneficiari, infine, altro autorevole autore, in relazione questa volta alla legge inglese, scrive: “Definizione di beneficiari: terminologia – chiunque abbia diritti da un trust può essere definito come un beneficiario” [37].

Delicata è la collocazione di questa figura nell’ambito del diritto civile.

Insegna la dottrina nazionale più autorevole che la struttura delle disposizioni beneficiarie si caratterizza per tre elementi da prevedersi in sede di atto istitutivo:

“ a) il primo definisce una nozione: “Beneficiari”;

b) il secondo disciplina la variabilità del primo elemento, soggettiva o oggettiva;

c) il terzo obbliga il trustee a trasferire il fondo in trust, nel corso o al termine del trust, in favore di soggetti risultanti dall’operare del primo e del secondo elemento” [38].

All’evidenza una prima conclusione è immediata: i beneficiari del trust hanno i diritti che sono loro riconosciuti nell’atto di trust.

Potranno avere quindi crediti certi, liquidi ed esigibili, o privi di alcune fra queste caratteristiche, diritti sottoposti a condizione, sospensiva, risolutiva o a termine [39] o, infine, posizioni di mero affidamento, comunque giuridicamente tutelabili.

Potranno inoltre essere inizialmente nominati, ma successivamente revocati, tutti o in parte, e non avere quindi, nemmeno, alcuna posizione di affidamento.

Potrà accadere infine che un iniziale numero di beneficiari si ampli per effetto di nuove nomine, producendo l’effetto di ridurre le quote inizialmente di spettanza dei beneficiari originali.

In relazione quindi a posizioni così articolate e complesse, è evidente come non possa dettarsi una regola generale, ma solo riflettere su alcuni principi generali.

2.1 La posizione dei Beneficiari

Grande sarà la sfida che dovranno affrontare i giuristi di diritto civile, l’avvocatura e la magistratura quando verrà portata effettivamente alla loro attenzione il ruolo, i poteri e le azioni che i beneficiari di un trust, in Equity, possono invocare, o esperire, nel loro interesse e nei confronti dei diritti che assumono violati.

Limiti invalicabili del nostro ordinamento, con particolare riferimento alla tutela dei terzi di buona fede, e a tutto il sistema della pubblicità, non consentiranno certo di mutuare nel diritto civile la pregnante ed efficace tutela che la legge inglese riconosce loro [40].

Sono fiduciosa, però.

I passi da giganti che in pochi anni sono stati fatti, dalla giurisprudenza [41], prima fra tutte, mi inducono a pensare che la strada sarà meno complessa di quello che fino a pochi anni fa sembrava, sebbene a certi stadi sarà impossibile assurgere, senza un intervento legislativo.

In relazione a tali diverse ipotesi, porto subito alla loro attenzione un punto sostanziale, che riguarda la posizione dei beneficiari da un punto di vista strettamente “passivo” e non attivo.

Nei diritti è possibile surrogarsi, sulle posizioni di affidamento no.

La conseguenza è evidente.

Il beneficiario che abbia una legittima aspettativa trova una tutela giudiziaria delle sue ragioni, ma non può agire esecutivamente nei confronti del trustee.

Tuttavia, il beneficiario che può agire esecutivamente nei confronti del trustee, può subire l’azione in surroga dei suoi creditori; il beneficiario che goda solo di un affidamento o di mera aspettativa è esente da simili accadimenti.

L’arma è evidentemente a doppio taglio e quindi il disponente deve essere consapevole di questi rischi nel momento in cui formula le clausole dell’atto di trust. Se nella sua volontà vi è quella di proteggere un figlio dissipatore, con debiti, o propenso alla cattiva gestione del denaro, è evidente che non potrà riconoscergli certezze economiche nel trust. Al contrario, il disponente che voglia assicurare rendite certe, quanto meno in un minimo, dovrà prevedere altrettanti diritti certi dei beneficiari, ricorrendo al limite a previsioni di termini o di condizioni [42].

La posizione dei beneficiari è quindi variabile da trust a trust e corrisponde strettamente a ciò che il disponente ha voluto e preteso in loro favore al momento dell’istituzione del trust.

Il destinatario di tale volontà del disponente è però certamente il trustee, potendo spesso i beneficiari non essere nemmeno a conoscenza dell’esistenza dell’atto di trust.

Si delineano quindi una serie di doverosi passaggi da analizzare rispetto ai quali alcuni rappresentano punti fermi, altri posizioni variabili a seconda di quanto precisato nell’atto di trust.

2.1. a) Diritto dei beneficiari di essere a conoscenza dell’esistenza del trust

Autorevole dottrina scrive: “Fondamentale il diritto dei beneficiari di essere informati delle vicende del trust” [43].

Primo corollario di ciò è l’ineludibile diritto dei beneficiari di essere messi a conoscenza dell’esistenza del trust in loro favore.

La ragione è evidente, la conoscenza dell’atto di trust consente ai beneficiari di esercitare tutti i diritti che discendono da tale loro posizione e quindi verificare in qualsiasi momento che il trustee rispetti lo scopo del trust e le volontà espresse dal disponente.

Tornando in proposito alle ipotesi di nullità di cui in premessa, ritengo che la ripercussione pratica di un trust con beneficiari, non resi edotti circa l’esistenza del trust, configuri uno di quegli indizi che potrebbero concorrere a ritenere il trust una mera simulazione.

2.1 b) Diritto dei beneficiari di conoscere i documenti del trust

Il diritto di informazione circa l’esistenza del trust non deve essere confuso con il diritto di conoscere, o di pretendere l’esibizione, da parte del trustee, dei documenti del trust.

Allorché si parla di documenti del trust, occorre fare un distinguo:

- con trust documents (o documenti del trust) si intende l’atto istitutivo di trust e sue eventuali modifiche

- con altri documenti del trust si intende la copiosa documentazione che nel corso della durata del trust il trustee conserva (lettere di desiderio del disponente, autorizzazioni, pareri o veti del Guardiano, direttive dell’autorità giudiziaria, rapporti con professionisti con i quali il trustee possa essersi rivolto, documenti bancari, estratti conto dei beni in trust e altro).

I primi sono sempre conoscibili dai beneficiari, pur essendo necessario un concreto interesse attuale e quindi un’adeguata motivazione alla richiesta [44].

I secondi, no; anzi maggiore è la discrezionalità del trustee, più pregnante sarà il suo potere di decidere se, e soprattutto quali documenti, rendere conoscibili o meno.

Errato sarebbe però credere che nell’esercizio della sua discrezionalità, il trustee possa assecondare un suo “capriccioso” o dispotico volere.

Tratterò più avanti circa il ruolo del trustee, i suoi poteri e doveri.

Fin d’ora posso anticipare solo che il trustee è obbligato solo in relazione alla scopo del trust [45].

Ciò implica che il trustee sia tenuto a parametrare ogni suo comportamento squisitamente su ciò che ritiene essere più adeguato a garantire le finalità del trust e non, invece, i desideri o le pretese dei beneficiari [46].

Frequentemente accade infatti che le volontà dei beneficiari siano divergenti rispetto alle finalità del trust e che, pertanto, il trustee legittimamente le disattenda [47].

Ogni decisione che quindi il trustee è chiamato a prendere, dovrà conformarsi a quello che a suo parere corrisponde all’interesse di tutta la classe dei beneficiari e mai all’interesse del singolo beneficiario, sicchè la richiesta di esibizione dei documenti del trust promossa da un beneficiario, può risultare assolutamente contraria, laddove accolta, all’interesse complessivo della categoria [48].

Le soluzioni che sul punto si ravvisano nei diversi ordinamenti sono fra loro divergenti.

Mentre da una parte le leggi del modello internazionale, sono propense a proteggere il diritto alla riservatezza del trustee, e quindi limitare fortemente i diritti dei beneficiari in tale senso, le corti di Jersey, sulla scorta di precedenti inglesi, hanno optato per una soluzione davvero interessante che prevede l’esibizione dei documenti al giudice, mentre ne rimane riservato il contenuto ai beneficiari [49].

Occorre in proposito una riflessione, che si ricollega a quanto già detto in tema di domanda di nullità.

Il diritto di conoscere i documenti del trusts è un diritto strettamente riservato ai beneficiari e, per altro, trova limiti, ad esempio per l’ordinamento di Jersey, laddove la richiesta di esibizione non sia finalizzata al perseguimento di un interesse dell’intera classe dei beneficiari, ma solo a soddisfare l’egoistico interesse di un solo beneficiario.

La traslazione in diritto civile di questa posizione comporta, a mio parere, la legittimazione della domanda di esibizione proveniente da un terzo solo quando questi abbia chiesto la nullità dell’atto istitutivo, e non invece formulato domande diverse, per le ragioni che ho già espresso al cap. 1.2.

Si dia il caso, ad esempio, della domanda di annullabilità intentata contro l’atto di trasferimento di un immobile soggetto al regime della comunione legale, o la domanda di nullità del trasferimento di partecipazioni societarie che si assume in violazione del diritto di prelazione di cui allo statuto.

Se tali domande non sono accompagnate da una domanda tout court di nullità dell’atto istitutivo (che ovviamente dovrà argomentare su circostanze diverse, come sopra specificato) il terzo non ha diritto a vedere i documenti del trust che non rilevano rispetto alla sua domanda, e qui ci conforta anche la giurisprudenza straniera citata in proposito [50].

Il punto è sottile e non solo merita di essere tenuto in debita considerazione, ma dimostrerà tutta la sua importanza, allorché tratterò del cd. “breach of trust” che può essere lamentato in relazione al comportamento del trustee.

2.1 c) Diritto dei beneficiari al rendiconto da parte del trustee

I beneficiari hanno l’ insindacabile diritto di rendiconto.

Tale diritto non sorge invece in capo al disponente, come erroneamente a volte sostenuto.

Il diritto dei beneficiari rimane comunque anche laddove le clausole dell’atto istitutivo non lo prevedano espressamente, o anche laddove lo prevedano (come spesso accade) in favore del guardiano.

Queste tre posizioni dei beneficiari sono a mio avviso le più importanti e sorgono in capo a qualsiasi beneficiario, fino a quando perdura tale sua qualifica.

L’attuazione pratica di tali diritti non credo presenti problemi di sorta, potendo i beneficiari ricorrere ai normali strumenti del codice di procedura civile sia in sede di ordinaria cognizione, sia in sede cautelare.

Diverso discorso riguarda le singole posizioni dei beneficiari

2.2 Le azioni a tutela

2.2 a) Il beneficiario che abbia un credito certo, liquido ed esigibile

Il Beneficiario che abbia un credito certo, liquido ed esigibile nei confronti del trust, agisce contro il trustee come qualsiasi creditore.

Il titolo esecutivo potrà essere addirittura il trust, se nella forma dell’atto pubblico o della scrittura privata autenticata [51] o diversamente potrà essere necessario ricorrere alla previa fase monitoria (se ad esempio il trust ha la sola forma scritta) riconoscendo la disposizione in favore del beneficiario, accettata dal trustee (con l’accettazione della carica) quale forma di riconoscimento di debito del trustee nei confronti dello stesso.

La fase esecutiva avrà la forma del pignoramento presso il debitore e non presso terzi, come parimenti alcune volte è stato sostenuto [52].

Le spese del procedimento sono un passaggio delicato.

In via immediata sono evidentemente a carico dei beni in trust ma all’evidenza ciò potrebbe ritorcersi in danno degli altri beneficiari. Necessariamente quindi dovrà valutarsi se l’inadempimento del trustee che ha giustificato l’azione esecutiva individuale, sia dovuto ad una negligenza del trustee stesso perché, in tale ipotesi, sarà legittima un’azione risarcitoria nei suoi confronti che, ovviamente, coinvolgerà il suo personale patrimonio e non il fondo in trust.

Parimenti i creditori individuali dei beneficiari, titolari di un credito certo, liquido ed esigibile nei confronti del trust, potranno agire in surroga del beneficiario, nelle forme del pignoramento presso terzi.

Laddove il trustee dissenta, ricorrerà all’opposizione di terzo ex art. 619 cpc mentre, al contrario, per dovere di completezza si anticipa in questo ambito che, laddove oggetto dell’esecuzione sia il fondo in trust, per debiti personali del trustee, questi esperirà l’azione di opposizione all’esecuzione nelle forme degli artt. 615 e ss cpc [53].

2.2 b) Il beneficiario che abbia un diritto sottoposto a condizione

A mio avviso occorre partire dall’art. 1356 cc. e quindi ritenere che in pendenza della condizione il beneficiario possa compiere atti conservativi, ad esempio l’intervento nell’esecuzione già in essere nei confronti dei beni in trust, anche se non munito di titolo (art. 563 cpc).

Allo stesso modo il beneficiario che diverrà proprietario di un determinato bene al compimento di una determinata età, può agire contro il trustee che, in violazione dell’atto istitutivo, intenda vendere a terzi detto bene già individuato nell’atto di trust.

Interessante è vedere quale potrebbe essere lo strumento processuale da prescegliere.

Non ritengo possibile un’azione a difesa del possesso (artt. 1168 e ss cc); il beneficiario non ha il possesso del fondo in trust, potrà tutt’al più averne il godimento. In tale limitata eventualità, si potrebbe anche optare per un’azione possessoria ai sensi del 2° co dell’art. 1168 “chi ha la detenzione della cosa”, ma è noto che la giurisprudenza ha limitato i casi, riconoscendo la titolarità dell’azione solo ai conduttori e non in caso di mera detenzione.

Nel vuoto giurisprudenziale in proposito, la strada più semplice rimane il rimedio residuale dell’art. 700 cpc, salvo poi radicare il merito affinché venga accertata l’esistenza del diritto sottoposto a condizione.

2.2 c) Il beneficiario che abbia una posizione di legittima aspettativa

In tali casi, anche se il beneficiario non ha un diritto certo, liquido ed esigibile o sottoposto a condizione [54], nessuno può negare alla sua posizione di legittima aspettativa, un altrettanto efficace tutela.

Questo beneficiario potrà quindi esperire tutte quelle azioni, a carico del trustee, per sue negligenze e inadempimenti rispetto all’atto istitutivo, che hanno legittimazione dalla sua posizione. Potrà quindi agire nei confronti del trustee che confonde il suo personale patrimonio con quello che ha a titolo di trustee, che depaupera o mal amministra i beni, che agisce in conflitto di interessi.

In presenza di meccanismi di revoca del beneficiario, il discorso si fa più delicato perché la sua posizione di affidamento, indubbiamente è affievolita.

Certamente se il comportamento del trustee è un comportamento che inficia l’intera posizione dei beneficiari, o è contrario manifestatamene allo scopo del trust, non dubito che anche tale beneficiario, pur nell’incertezza della sua posizione nel tempo, può agire.

Se al contrario il comportamento del trustee riguarda strettamente gli interessi privati di quello specifico beneficiario, l’approccio difensivo dovrà essere più accorto, in quanto il comportamento del trustee dovrà essere ricondotto (in qualche modo) all’ipotesi suddetta, o comunque presentare una manifesta negligenza o conflitto di interessi.

Ciò che in sintesi intendo affermare è che nei trust discrezionali, dove i beneficiari non hanno diritti certi, il potere del trustee è estremamente pregnante e rispetto ad esso i beneficiari non sono titolari di nulla. Le loro azioni troveranno legittimazione solo alla ricorrenza delle ipotesi suddette, che altro non sono che gravi negligenze del trustee, ma non semplicemente quando il beneficiario, che faceva affidamento di ricevere un bene, lamenti poi che per scelte discrezionali del trustee, non gli è arrivato [55].

Per ritornare quindi all’ipotesi prospettata nel sub paragrafo che precede, mentre non dubito che il beneficiario di un bene determinato, ancorché tale suo diritto sia sottoposto a condizione, possa agire con lo strumento degli atti conservativi a protezione del bene, il beneficiario privo di tali diritti, in presenza di un trust discrezionale, nulla potrà opporre ad un trustee che, nel rispetto dello scopo, pone in essere scelte diverse.

2.2 d) Il protective trust e il trust di protezione patrimoniale

Questo tema è stato già affrontato nella mia relazione al CSM del 2003 e non posso quindi sottrarre tempo all’incontro di oggi per ripetere informazioni che sono già reperibili.

Rammento solo che si ha protective trust quando l’interesse del beneficiario viene meno al ricorrere di un determinato evento [56].

La legge inglese riconosce il protective trust, limitandolo però al reddito, mentre la legge di Jersey lo estende anche agli altri beni.

Le ripercussioni pratiche di un protective trust sono di grande rilievo.

In forza di tale previsione, accade che il trust muti le sue caratteristiche, in relazione ad un beneficiario, alla ricorrenza di un determinato evento che riguardi quest’ultimo: ovvero sia quando il beneficiario diventi soggetto a procedure esecutive individuali da parte di suoi creditori o al fallimento.

Nella sostanza, verificatosi l’evento, il trustee è obbligato a cessare qualsiasi corresponsione diretta di danari nella mani del beneficiario per invece “spendere per lui” [57] e quindi garantendogli comunque un’abitazione in cui vivere, e i mezzi di vita quotidiana.

La clausola, civilisticamente parlando, viene redatta in modo tale che il beneficiario non abbia alcun diritto alla rendita ab origine e che tale diritto sorga solo allorquando non si sia verificata una delle situazioni suddette a suo carico.

In pendenza, quindi, il beneficiario gode solo di una mera aspettativa e di conseguenza i suoi creditori non potranno mai agire in surroga per recuperare la rendita cui avrebbe diritto se l’evento non si fosse verificato.

Se la clausola quindi è formulata in questo modo, difficilmente potrà esserci un’efficace azione giudiziale di terzi.

I trust di protezione patrimoniale sono tutt’altra cosa [58].

In linea di massima in essi l’effetto segregativo, che qualsiasi trust produce, ma che è sempre un effetto mai la causa del trust, coincide invece con lo scopo: si ricorre al trust per la mera segregazione patrimoniale.

La dottrina [59] fornisce un esempio di estrema chiarezza: un professionista (ad esempio un medico) in bonis, che ricorra al trust per proteggere il suo patrimonio, subisce l’azione dei suoi creditori (un paziente vittorioso in una causa per responsabilità medica) sul fondo in trust?

Se il trust è stato istituito fuori dai termini per esperire l’azione ordinaria, assolutamente no.

Rimane allora da verificare la diversa strategia di invocare l’atto nullo perché in frode alla legge.

Per verificare ciò, occorrerà ritornare a quanto ho precisato nella parte preliminare di questa relazione e quindi appurare se vi è uno scopo meritevole di tutela, se il trust attui un’effettiva segregazione, se non sia infine un mero mandato o una pura simulazione.

Alla ricorrenza di tali ipotesi potrà chiedersi la nullità del trust di protezione patrimoniale, diversamente lo escluderei.

2.3 Le posizioni non tutelabili

Poche parole da spendere in proposito.

Non ricevono tutela tutte le posizioni egoistiche ed individuali dei beneficiari.

Nei trust discrezionali, i beneficiari non possono pretendere nulla dal trustee.

Più il trust è discrezionale, minor peso avranno le doglianze dei beneficiari revocati, pretermessi rispetto ad altri, che abbiano ricevuto meno dell’auspicato.

D’altra parte più il trust è discrezionale, meno potrà mettersi in discussione la sua validità, e più efficacemente potrà conseguirsi il rispetto dello scopo voluto dal disponente.

 

3. Il trust di scopo

Tale è quella categoria di trust “che non sono destinati ad avvantaggiare una o più persone identificate o identificabili, più precisamente quei trusts rispetto ai quali, per come il trust è configurato, non può esistere alcun soggetto legittimato ad agire contro il trustee per tutelare un interesse proprio” [60].

Nel modello anglosassone i trusts di scopo possono perseguire solo fini caritatevoli (a vantaggio della collettività o di determinate categorie di persone: una pinacoteca, una collezione pubblica, un’associazione di non vedenti etc.) Un trust di scopo per fini non caritatevoli retto dalla legge inglese è quindi nullo ex tunc.

Nel modello internazionale, e quindi anche secondo la legge di Jersey, il trust di scopo può perseguire anche fini non caritatevoli ma individuali, ma deve recare la presenza costante e ininterrotta di un guardiano (enforcer [61]).

La motivazione è semplice: costui potrà agire nei confronti del trustee inadempiente e quindi il trust non sarà in balia della mera volontà incontrollata ed incontrollabile del trustee.

Nei trust di scopo, quindi, le azioni che spettano ai beneficiari sono demandate al guardiano.

La mancanza di guardiano rende il trust di scopo, anche in gran parte delle leggi del modello internazionale, e in quella di Jersey, nullo.

 

 

4. Il Trustee

Molto di ciò che concerne questa figura è stata già trattata nelle pagine che precedono.

Il trustee è la sola figura inevitabile del trust [62].

Il passaggio chiave per capire il senso del ragionamento che segue è che il trustee è il solo titolare del fondo in trust: il suo diritto di proprietà è quindi pieno ed esclusivo [63].

Tuttavia nell’esercizio del diritto di proprietà, il trustee incontra dei limiti che sono funzionali allo scopo.

Il trustee quindi è “vincolato” [64] nell’esercizio del suo diritto di proprietà ai limiti che sono stabiliti nell’atto istitutivo e che sono dati dalle finalità del trust stesso.

Altri limiti, l’ho già detto sopra e ora lo ripeto, non vi sono.

Qualsiasi ingerenza nell’attività del trustee, seppur legittima o arbitraria, è assolutamente irrilevante posto che non può sortire l’effetto di imporre al trustee alcun comportamento o decisione forzata.

Questo è il cuore, a mio avviso, della posizione del trustee e da questa premessa derivano i corollari della sua funzione dati dai “poteri e doveri del trustee”e la “responsabilità del trustee”.

4.1 I p

INDICE

1. Premesse

1.1. Analisi della struttura formale dell’atto: l’atto istitutivo e i negozi di dotazione patrimoniale

1.2. La nullità dell’atto istitutivo di trust

2. I beneficiari

2.1. La posizione dei beneficiari

2.1. a) Diritto dei beneficiari di essere a conoscenza dell’esistenza del trust

2.1. b) Diritto dei beneficiari di conoscere i documenti del trust

2.1. c) Diritto dei beneficiari al rendiconto da parte del trustee

2.2. Le azioni a tutela

2.2. a) Il beneficiario che abbia un diritto certo, liquido ed esigibile

2.2. b) Il beneficiario che abbia un diritto sottoposto a condizione

2.2. c) Il beneficiario che abbia una posizione di legittima aspettativa

2.2. d) Il protective trust e il trust di protezione patrimoniale

2.3. Le posizioni no tutelabili

3. Il trust di scopo

4. Il Trustee

4.1. i poteri e i doveri del trustee

4.2. La responsabilità del trustee

4.2. a) Il conflitto di interessi – Una prima ipotesi di breach of trust

4.2. b) Altre ipotesi di beach of trust

5. Altri casi implicanti posizioni e diritti di terzi: la giurisprudenza italiana

6. Conclusioni

 

 

 

1. Premesse

Questa occasione mi è particolarmente gradita perchè mi consente di proseguire nella riflessione che ebbi occasione di iniziare al primo incontro di studi, in tema di trust, organizzato dal CSM nel luglio del 2003 [1].

All’epoca, in giurisprudenza, si stavano facendo i primi passi anche se le decisioni erano già estremamente favorevoli [2] al riconoscimento dei trusts interni nell’ordinamento giuridico italiano.

Nonostante questo indubbio trend positivo, un brusco arresto provenne dal Tribunale di Belluno 25 settembre 2002 [3], che negava l’intavolazione di un bene immobile, sito in Cortina d’Ampezzo, trasferito direttamente dal disponente al trustee.

Ciò che al contrario mi aveva consentito di affrontare più nel dettaglio la complessità dell’argomento era la poderosa opera dottrinale che aveva visto la luce negli anni successivi all’entrata in vigore della Convenzione dell’Aja [4].

Il dibattito era ancora estremamente acceso, e nettamente contrapposto fra accaniti fautori e assolutamente contrari [5].

La sentenza bellunese citata, arrecava un’articolata motivazione, e di essa fu ampiamente trattato all’incontro di studi citato [6] dove intervenne direttamente il giudice tavolare che ne aveva la paternità [7].

Non può essere questa la sede per ricordare i fondati dubbi che tale motivazione lasciava, comunque frutto di un pregevole e approfondito studio, ma rimase comunque la consapevolezza che l’evoluzione continua e serrata degli scambi e dei rapporti interpersonali, e le ripercussioni di ciò nella prassi quotidiana dei tribunali e degli studi legali, non potevano arrestarsi di fronte a nostri istituti giuridici la cui obsolescenza è manifesta e da più parti invocata [8].

Queste furono le ragioni che mi costrinsero all’epoca ad affrontare il tema assegnatomi [9] in chiave prevalentemente teorica, mentre sono lieta oggi, alla luce di due dati di fatto oggettivi, di poter affrontare l’argomento su di un piano molto più “di prassi” , per l’appunto.

Il primo dato di fatto è la giurisprudenza ormai consolidata in tema, che non pare mettere più in discussione quelli che io amo definire “i massimi sistemi” del trust, ovvero sia la sua indubbia compatibilità con il nostro ordinamento e il suo pieno diritto di cittadinanza all’interno del nostro sistema giuridico.

Il pilastro portante l’ha senza dubbio posato la sentenza del 1 ottobre 2003 del Tribunale di Bologna [10], dove la dr.a A. Drudi, unitamente al relatore che mi ha preceduto, il giudice dr. G. Fanticini, per oltre 30 pagine, destituivano di ogni fondamento tutti i complessi ragionamenti che non volevano l’operatività dei trusts interni in Italia.

Ma di ciò, per l’appunto il dr. Fanticini, vi ha già dato ampio riassunto.

A questo aggiungasi la recentissima sentenza della IV sez. della Corte di Cassazione che, ancorchè nell’ambito di un giudizio penale, minimamente si è posta il problema di disconoscere legittimità o validità ai trusts interni [11].

Il secondo dato di fatto è che la prassi , appunto, è andata avanti e dal 2003 ad oggi i tribunali hanno cominciato ad occuparsi di questioni pratiche (nel prosieguo di questa relazione) relative all’operato dei trustee, alla loro eventuale revoca, alle azioni esecutive verso il fondo in trust (i.e. Trust Fund), ai poteri o diritti dei beneficiari.

Questo è quindi l’oggetto del mio intervento.

1.1 Analisi della struttura formale dell’atto: l’atto istitutivo e i negozi di dotazione patrimoniale

Ritengo strettamente necessario, all’interno di queste premesse, soffermarmi preliminarmente su un aspetto che nella prassi professionale spesso sfugge a quanti si apprestino a confutare giudizialmente un atto di trust.

Molteplici sono le ragioni, e le analizzerò più avanti, che possono essere addotte per invocare la nullità di un atto di trust.

La nullità dell’atto di trust comporterebbe, all’evidenza, anche la nullità dei singoli negozi di dotazione patrimoniale al trustee.

Quello che non si coglie però, è che il rapporto non è reciproco; la nullità dei negozi di dotazione patrimoniale non implica mai la nullità dell’atto di trust [12].

Il primo problema da porsi è quindi strettamente connesso all’obiettivo che, attraverso la domanda di nullità, vuole raggiungersi [13].

Se l’intento è quello di vanificare lo specifico atto di dotazione patrimoniale, ad esempio il trasferimento di un immobile ad un trustee, perché in violazione del regime di comunione legale fra i coniugi, allora è evidente che la domanda deve colpire quello specifico trasferimento, senza coinvolgere l’atto di trust.

Se al contrario, l’avvocato non ha strumenti per colpire il singolo trasferimento (ad esempio trattasi di bene personale del disponente) allora la sua attenzione dovrà spostarsi sull’atto di trust per verificare se vi siano elementi che consentano l’accoglimento della domanda di nullità dell’atto istitutivo posto che, solo in tal modo, potrà ottenersi l’effetto di veder vanificato lo specifico atto di dotazione patrimoniale.

Ipotizzo ulteriori casi: l’azione revocatoria ex art. 2901 cc., colpisce i negozi di trasferimento dei beni al trustee, non l’atto di trust [14]; la cessione di quote societarie in violazione della clausola di prelazione che vieta anche le cessioni a titolo gratuito, inficia l’atto di trasferimento, non l’atto di trust, che continua quindi a spiegare i suoi effetti sui beni diversi da quelli oggetto della domanda di nullità.

Ma se la clausola di prelazione non prevedesse la cessioni a titolo gratuito, o se ancora si avesse il dubbio di ritenere che una donazione, statutariamente vietata, non sia paragonabile al trasferimento in trust, come potrebbe colpirsi quell’atto di trust?

Il punto è sostanziale e a mio avviso deve essere esaminato in via assolutamente preliminare.

1.2 La nullità dell’atto istitutivo di trust

Poco rileva la nullità relativa agli atti di trasferimento dei beni al trustee.

In proposito la Convenzione dell’Aja [15] è estremamente chiara e dal combinato disposto degli artt.4 e 15, discende che la validità formale e sostanziale del negozio di dotazione patrimoniale al trustee, è retta dalle regole di conflitto del foro [16].

Per ciò che concerne i trusts interni, quindi, dalla legge italiana.

Se pertanto il singolo negozio è nullo per la legge italiana (ad esempio per carenza di forma) la domanda processuale non presenta problemi.

Diverso discorso deve farsi per l’atto istitutivo di trust.

Strategicamente il passaggio è sostanziale: potrebbe darsi infatti che i singoli negozi di dotazione patrimoniale siano civilisticamente perfetti o che, nel dubbio che le doglianze a loro carico siano accolte, l’avvocato sia costretto a trovare una strada alternativa.

A mio avviso una sola strada è praticabile: la domanda di nullità (in via principale) dell’atto di trust – se ovviamente ne ricorrono i presupposti – e la domanda di nullitàannullabilità del negozio di dotazione patrimoniale (in via subordinata) quale exstrema ratio.

Occorre quindi precisare quando un atto di trust possa ritenersi nullo.

In primo luogo quando è portatore di interessi che non sono meritevoli di tutela per l’ordinamento giuridico.

In tale caso si chiederà che ai sensi dell’art. 13 della Convenzione non venga riconosciuto.

Questo argomento è invero piuttosto complesso e trattarlo nuovamente in questa sede implicherebbe occupare gran parte del tempo che mi è stato concesso.

Rinvio pertanto alla relazione che sul punto ho tenuto all’incontro di studi del CSM dell’anno 2003 [17] e alla dottrina e giurisprudenza in essa richiamata.

Per riassumerne comunque gli aspetti sostanziali, e consentire che non sia perso il filo del ragionamento, mi limito a ricordare come il trust interno sia legittimo sempre - e solo - quando venga prescelto come strumento residuale [18].

In altri termini ciò si ha quando attraverso lo strumento del trust si perseguono obiettivi altrimenti non perseguibili con gli ordinari strumenti del diritto civile [19].

Tali obiettivi però, devono rappresentare interessi meritevoli di tutela per il nostro ordinamento, e non fini ripugnanti per il sistema stesso. Solo in tal modo infatti, si legittima l’applicazione di una legge straniera ad un rapporto squisitamente nazionale, come è stato autorevolmente precisato [20].

Ciò implica la preliminare indagine di meritevolezza dello scopo del trust o, per usare un termine strettamente connesso alla nostra cultura, della causa del trust [21].

In altri termini le finalità che il disponente [22] intende perseguire, a mezzo del trust istituito, devono essere compiutamente e dettagliatamente enunciate nell’atto di trust e queste saranno oggetto della prima analisi.

Talvolta accade che lo scopo, apparentemente lecito e meritevole di tutela, in realtà nasconda un obiettivo ripugnante per l’ordinamento (ad esempio l’intento di frodare i creditori o il desiderio di negare la quota di legittima).

Questa seconda ipotesi, come ho già avuto modo di precisare in tema di revocatoria [23], non inficia – direttamente - l’atto istitutivo, ma gli atti di trasferimento.

Per meglio dire, questa ipotesi, è destinata ad inficiare l’atto istitutivo tout court, quando tale scopo ripugnante, sia il solo effettivo scopo del trust, e il trustee si disinteressi completamente dello scopo apparente.

In altri termini, l’atto di trust è nullo quando altro non sarà che una pura simulazione (“sham”, per il diritto inglese).

Nell’ ipotesi dello scopo apparente, infatti, potrà invocarsi la simulazione solo allorquando il trustee agisca solo al fine di soddisfare lo scopo reale: ad esempio fittiziamente deve corrispondere un mantenimento ai beneficiari del trust, mentre in realtà si limita solo a tenere occultato il patrimonio del disponente ai suoi creditori, non interessandosi dei beneficiari, come ha chiaramente esplicitato la giurisprudenza inglese [24].

Ancora ciò avverrebbe quando il trust non ha di fatto beneficiari, mentre enuncia nello scopo la presenza di beneficiari nel cui interesse il patrimonio deve essere gestito. In tale ambito, tuttavia, l’interprete dovrà avvicinarsi all’atto con estrema attenzione, al fine di verificare che non via siano meccanismi di nomina dei beneficiari nel tempo a venire perchè, se così fosse, la prova della simulazione potrebbe essere più difficile.

Diverso discorso deve farsi quando la simulazione non attiene allo scopo, ma alla segregazione che, come noto, è l’effetto principale che il trust produce sui beni che ne formano oggetto [25].

La segregazione, se da un canto comporta che il fondo in trust sia esente da azioni esecutive individuali da parte dei creditori del trustee, del disponente o dei beneficiari, dall’altra parte implica che la stessa trovi la sua legittimazione nel vincolo di destinazione che su tali beni è impresso.

Tale vincolo implica che l’esercizio del diritto di proprietà che esercita il trustee, sul fondo in trust, è esclusivamente finalizzato al perseguimento dello scopo del trust, ed è pertanto oggettivamente limitato dalle previsioni dell’atto istitutivo [26].

Ma questo è il solo vincolo che un trust sopporta.

Al contrario, è proprio nella discrezionalità e libertà di azione del trustee, che si colloca il rapporto fiduciario in forza del quale il disponente gli ha trasferito la proprietà di beni.

L’affidamento del disponente, sull’operato del trustee, informa di sé il trust.

Ne consegue che l’ affidamento, e il rapporto fiduciario, sono simulati quando di fatto il disponente non ha mai nutrito tali sentimenti verso il trustee, rimanendo fermamente convinto che avrebbe potuto disporre del fondo in trust, direttamente o indirettamente, a suo piacimento.

Lo scenario non è completo: questa è una condizione necessaria ma non sufficiente.

Occorre che ciò avvenga con la compartecipazione del trustee.

Una recente sentenza della Corte di Jersey (Isole del Canale) che mutua la sua esperienza giuridica sulla scorta dei precedenti delle corti inglesi, è stata molto precisa in proposito.

Afferma infatti il giudice straniero che, affinché si abbia un sham (simulazione) in grado di inficiare il trust, occorre la volontà anche del trustee alla simulazione, non essendo sufficiente la mera volontà del disponente, che potrebbe poi infrangersi contro l’imprevisto operato diligente e professionale del trustee prescelto [27].

La corte straniera condivide quindi il precetto di cui all’art. 1414 del cc. e ciò implica per il richiedente la simulazione, l’applicazione dell’art. 1417 cc in tema di onere della prova.

Delicato è il come procurarsi la prova, atteso che dall’atto di trust questo non risulterà.

Si profilano le strade ordinarie in tema di prova, nonché l’ordinanza di esibizione di tutti i documenti del trust ex art. 210 cpc, e le prove per testi e interpello, nei limiti della loro ammissibilità con riferimento alla domanda di simulazione.

In tale ambito non credo ci siano dubbi, posto che nel nostro ordinamento la nullità può essere invocata da “chiunque vi abbia interesse” ex art. 1421 cc.

Tale prospettata situazione consente quindi una difesa anche nei frequenti casi in cui l’atto di trust non sia conoscibile, né tantomeno conosciuto.

Vorrei però precisare che condivido questa strategia processuale, e mi riferisco in particolare all’ordine di esibizione del trust e dei suoi documenti ex art. 210 cpc, solo allorquando sia legittimata da una domanda di nullità dell’atto di trust e non in altre ipotesi che tratterò più avanti (al cap.2.1b).

Tale mia personalissima interpretazione, che trova una sua giustificazione in diritto civile alla luce del citato art. 1421 cc., non è invece condivisa, ad esempio, dalla Corte di Jersey [28] che ha negato la richiesta di esibizione di documenti del trust, intentata da un beneficiario che aveva posto la domanda di nullità del trust stesso. A parere della Corte, tale domanda di nullità non poteva intendersi nell’interesse del trust, e dell’intera categoria dei beneficiari, ma solo mossa dal fine egoistico di un solo beneficiario e pertanto non imponeva al trustee l’esibizione.

Il citato precedente straniero, di indubbio prestigio e rilievo, non consente però, a mio avviso, di superare i diritti che il nostro ordinamento riconosce a chiunque propone una domanda giudiziale di nullità. Di ciò, quindi, non potrà non tenersi conto, soprattutto in relazione a quelle istanze che il richiedente la nullità può validamente proporre all’interno del nostro processo civile, fra le quali rientra senza dubbio la richiesta di esibizione di documenti ex art. 210 cpc.

Per concludere, sottopongo infine alla loro attenzione una diversa, seppur frequente ipotesi.

Mi riferisco ai casi in cui il trustee sia estraneo ad ogni accordo simulativo con il disponente ma questi abbia, strategicamente previsto nell’ atto di trust meccanismi che gli consentano sempre e comunque di non perdere il controllo sui beni.

Fioriscono infatti nella prassi, trusts nei quali il Guardiano altro non è che una longa manus del disponente con poteri di vita e di morte sul trust e sul trustee.

Guardiani, quindi, la cui previa autorizzazione è necessaria affinché il trustee possa legittimamente compiere una lunga serie di azioni, che revocano il trustee a loro piacimento, ancorchè alcuna negligenza sia ad esso imputabile, che nominano e revocano i beneficiari o che sono i soli che decidono quanto, e quando, dare rendite al disponente.

In tali ipotesi la simulazione non coinvolgerà il trustee, ma il rapporto guardiano –disponente e gli effetti saranno i medesimi.

Molteplici sono infine le ulteriori ipotesi di nullità dell’atto di trusts, ad esempio la durata eccedente il termine massimo consentito dalla legge applicabile prescelta (in diritto inglese 80 anni, per la legge di Jersey 100 anni) la cui previsione comporta la nullità dell’intero atto non essendo ipotizzabili meccanismi di sostituzione automatica della clausola nulla.

E’ ovvio che in simili casi, sarà necessaria una certa conoscenza dei principi inderogabili sanciti nell’ordinamento la cui legge disciplina il trust di specie, e la conseguenza pratica sarà richiedere che il trust non venga riconosciuto, ai sensi dell’art. 13 della Conv..

Su questi, e su altri profili di nullità, parimenti rimando alla mia relazione del luglio 2003 citata [29].

 

2. I Beneficiari

Necessario, a mio avviso, chiarire subito un frequente errore: un trust, pur rimanendo un trust con beneficiari (e quindi non un trust di scopo, per il quale rinvio al cap.3) può venire ad esistenza senza designati beneficiari [30].

In tali ipotesi, l’atto prevederà meccanismi di nomina dei beneficiari nel corso del trust, e di loro successiva revoca, se il disponente desidera riservarsi anche questo potere.

Parimenti il trust, privo di beneficiari sin dall’inizio, può rimanere tale fino alla fine, senza per questo perdere la sua estrinseca natura, divenendo, allo spirare del termine di durata, un cd. “resulting trust” ovvero sia un trust dove il beneficiario coincide con l’iniziale disponente [31].

Laddove però beneficiari vi siano, è necessario che gli stessi siano identificati o identificabili come categoria o come persone (ad esempio i figli attuali o futuri di Caio) [32].

Importante è quindi comprendere cosa si intende esattamente con il termine beneficiario e nuovamente ci viene in aiuto una definizione, tratta dalla legge di Jersey, che può utilizzarsi a tutto tondo: “beneficiary means a person entitled to benefit under a trust or in whose favour a discretion to distribute property held on trust may be exercised” che tradotto verso l’italiano equivale a : “ beneficiario significa una persona avente diritto a vantaggi da parte di un trust oppure nel cui interesse possa essere eseguita discrezionalmente la distribuzione di beni in trust” [33].

La massima dottrina sulla legge di Jersey [34] opportunamente evidenzia un distinguo all’interno di questo articolo che si riflette, con ripercussioni radicalmente diverse, sui singoli atti di trust a seconda del loro tenore letterale. In particolare, insegna l’insigne giurista, come il primo ambito della definizione sia volto a ricomprendere coloro che hanno diritti o interessi, provenienti da un trust, che li legittima a pretenderne l’adempimento senza che sia lasciato alcun margine di discrezionalità al trustee mentre il secondo ambito della definizione ricomprende quanti siano legittimi titolari di posizioni di favore, all’interno del trust, subordinate però ad una scelta discrezionale da parte del trustee, nei loro confronti [35]. L’autore conclude la definizione precisando che : “Ciò concorda con la legge inglese secondo la quale sono beneficiari di un trust tutti coloro i quali abbiano potenziali benefici dal trust” [36].

Nella definizione di beneficiari, infine, altro autorevole autore, in relazione questa volta alla legge inglese, scrive: “Definizione di beneficiari: terminologia – chiunque abbia diritti da un trust può essere definito come un beneficiario” [37].

Delicata è la collocazione di questa figura nell’ambito del diritto civile.

Insegna la dottrina nazionale più autorevole che la struttura delle disposizioni beneficiarie si caratterizza per tre elementi da prevedersi in sede di atto istitutivo:

“ a) il primo definisce una nozione: “Beneficiari”;

b) il secondo disciplina la variabilità del primo elemento, soggettiva o oggettiva;

c) il terzo obbliga il trustee a trasferire il fondo in trust, nel corso o al termine del trust, in favore di soggetti risultanti dall’operare del primo e del secondo elemento” [38].

All’evidenza una prima conclusione è immediata: i beneficiari del trust hanno i diritti che sono loro riconosciuti nell’atto di trust.

Potranno avere quindi crediti certi, liquidi ed esigibili, o privi di alcune fra queste caratteristiche, diritti sottoposti a condizione, sospensiva, risolutiva o a termine [39] o, infine, posizioni di mero affidamento, comunque giuridicamente tutelabili.

Potranno inoltre essere inizialmente nominati, ma successivamente revocati, tutti o in parte, e non avere quindi, nemmeno, alcuna posizione di affidamento.

Potrà accadere infine che un iniziale numero di beneficiari si ampli per effetto di nuove nomine, producendo l’effetto di ridurre le quote inizialmente di spettanza dei beneficiari originali.

In relazione quindi a posizioni così articolate e complesse, è evidente come non possa dettarsi una regola generale, ma solo riflettere su alcuni principi generali.

2.1 La posizione dei Beneficiari

Grande sarà la sfida che dovranno affrontare i giuristi di diritto civile, l’avvocatura e la magistratura quando verrà portata effettivamente alla loro attenzione il ruolo, i poteri e le azioni che i beneficiari di un trust, in Equity, possono invocare, o esperire, nel loro interesse e nei confronti dei diritti che assumono violati.

Limiti invalicabili del nostro ordinamento, con particolare riferimento alla tutela dei terzi di buona fede, e a tutto il sistema della pubblicità, non consentiranno certo di mutuare nel diritto civile la pregnante ed efficace tutela che la legge inglese riconosce loro [40].

Sono fiduciosa, però.

I passi da giganti che in pochi anni sono stati fatti, dalla giurisprudenza [41], prima fra tutte, mi inducono a pensare che la strada sarà meno complessa di quello che fino a pochi anni fa sembrava, sebbene a certi stadi sarà impossibile assurgere, senza un intervento legislativo.

In relazione a tali diverse ipotesi, porto subito alla loro attenzione un punto sostanziale, che riguarda la posizione dei beneficiari da un punto di vista strettamente “passivo” e non attivo.

Nei diritti è possibile surrogarsi, sulle posizioni di affidamento no.

La conseguenza è evidente.

Il beneficiario che abbia una legittima aspettativa trova una tutela giudiziaria delle sue ragioni, ma non può agire esecutivamente nei confronti del trustee.

Tuttavia, il beneficiario che può agire esecutivamente nei confronti del trustee, può subire l’azione in surroga dei suoi creditori; il beneficiario che goda solo di un affidamento o di mera aspettativa è esente da simili accadimenti.

L’arma è evidentemente a doppio taglio e quindi il disponente deve essere consapevole di questi rischi nel momento in cui formula le clausole dell’atto di trust. Se nella sua volontà vi è quella di proteggere un figlio dissipatore, con debiti, o propenso alla cattiva gestione del denaro, è evidente che non potrà riconoscergli certezze economiche nel trust. Al contrario, il disponente che voglia assicurare rendite certe, quanto meno in un minimo, dovrà prevedere altrettanti diritti certi dei beneficiari, ricorrendo al limite a previsioni di termini o di condizioni [42].

La posizione dei beneficiari è quindi variabile da trust a trust e corrisponde strettamente a ciò che il disponente ha voluto e preteso in loro favore al momento dell’istituzione del trust.

Il destinatario di tale volontà del disponente è però certamente il trustee, potendo spesso i beneficiari non essere nemmeno a conoscenza dell’esistenza dell’atto di trust.

Si delineano quindi una serie di doverosi passaggi da analizzare rispetto ai quali alcuni rappresentano punti fermi, altri posizioni variabili a seconda di quanto precisato nell’atto di trust.

2.1. a) Diritto dei beneficiari di essere a conoscenza dell’esistenza del trust

Autorevole dottrina scrive: “Fondamentale il diritto dei beneficiari di essere informati delle vicende del trust” [43].

Primo corollario di ciò è l’ineludibile diritto dei beneficiari di essere messi a conoscenza dell’esistenza del trust in loro favore.

La ragione è evidente, la conoscenza dell’atto di trust consente ai beneficiari di esercitare tutti i diritti che discendono da tale loro posizione e quindi verificare in qualsiasi momento che il trustee rispetti lo scopo del trust e le volontà espresse dal disponente.

Tornando in proposito alle ipotesi di nullità di cui in premessa, ritengo che la ripercussione pratica di un trust con beneficiari, non resi edotti circa l’esistenza del trust, configuri uno di quegli indizi che potrebbero concorrere a ritenere il trust una mera simulazione.

2.1 b) Diritto dei beneficiari di conoscere i documenti del trust

Il diritto di informazione circa l’esistenza del trust non deve essere confuso con il diritto di conoscere, o di pretendere l’esibizione, da parte del trustee, dei documenti del trust.

Allorché si parla di documenti del trust, occorre fare un distinguo:

- con trust documents (o documenti del trust) si intende l’atto istitutivo di trust e sue eventuali modifiche

- con altri documenti del trust si intende la copiosa documentazione che nel corso della durata del trust il trustee conserva (lettere di desiderio del disponente, autorizzazioni, pareri o veti del Guardiano, direttive dell’autorità giudiziaria, rapporti con professionisti con i quali il trustee possa essersi rivolto, documenti bancari, estratti conto dei beni in trust e altro).

I primi sono sempre conoscibili dai beneficiari, pur essendo necessario un concreto interesse attuale e quindi un’adeguata motivazione alla richiesta [44].

I secondi, no; anzi maggiore è la discrezionalità del trustee, più pregnante sarà il suo potere di decidere se, e soprattutto quali documenti, rendere conoscibili o meno.

Errato sarebbe però credere che nell’esercizio della sua discrezionalità, il trustee possa assecondare un suo “capriccioso” o dispotico volere.

Tratterò più avanti circa il ruolo del trustee, i suoi poteri e doveri.

Fin d’ora posso anticipare solo che il trustee è obbligato solo in relazione alla scopo del trust [45].

Ciò implica che il trustee sia tenuto a parametrare ogni suo comportamento squisitamente su ciò che ritiene essere più adeguato a garantire le finalità del trust e non, invece, i desideri o le pretese dei beneficiari [46].

Frequentemente accade infatti che le volontà dei beneficiari siano divergenti rispetto alle finalità del trust e che, pertanto, il trustee legittimamente le disattenda [47].

Ogni decisione che quindi il trustee è chiamato a prendere, dovrà conformarsi a quello che a suo parere corrisponde all’interesse di tutta la classe dei beneficiari e mai all’interesse del singolo beneficiario, sicchè la richiesta di esibizione dei documenti del trust promossa da un beneficiario, può risultare assolutamente contraria, laddove accolta, all’interesse complessivo della categoria [48].

Le soluzioni che sul punto si ravvisano nei diversi ordinamenti sono fra loro divergenti.

Mentre da una parte le leggi del modello internazionale, sono propense a proteggere il diritto alla riservatezza del trustee, e quindi limitare fortemente i diritti dei beneficiari in tale senso, le corti di Jersey, sulla scorta di precedenti inglesi, hanno optato per una soluzione davvero interessante che prevede l’esibizione dei documenti al giudice, mentre ne rimane riservato il contenuto ai beneficiari [49].

Occorre in proposito una riflessione, che si ricollega a quanto già detto in tema di domanda di nullità.

Il diritto di conoscere i documenti del trusts è un diritto strettamente riservato ai beneficiari e, per altro, trova limiti, ad esempio per l’ordinamento di Jersey, laddove la richiesta di esibizione non sia finalizzata al perseguimento di un interesse dell’intera classe dei beneficiari, ma solo a soddisfare l’egoistico interesse di un solo beneficiario.

La traslazione in diritto civile di questa posizione comporta, a mio parere, la legittimazione della domanda di esibizione proveniente da un terzo solo quando questi abbia chiesto la nullità dell’atto istitutivo, e non invece formulato domande diverse, per le ragioni che ho già espresso al cap. 1.2.

Si dia il caso, ad esempio, della domanda di annullabilità intentata contro l’atto di trasferimento di un immobile soggetto al regime della comunione legale, o la domanda di nullità del trasferimento di partecipazioni societarie che si assume in violazione del diritto di prelazione di cui allo statuto.

Se tali domande non sono accompagnate da una domanda tout court di nullità dell’atto istitutivo (che ovviamente dovrà argomentare su circostanze diverse, come sopra specificato) il terzo non ha diritto a vedere i documenti del trust che non rilevano rispetto alla sua domanda, e qui ci conforta anche la giurisprudenza straniera citata in proposito [50].

Il punto è sottile e non solo merita di essere tenuto in debita considerazione, ma dimostrerà tutta la sua importanza, allorché tratterò del cd. “breach of trust” che può essere lamentato in relazione al comportamento del trustee.

2.1 c) Diritto dei beneficiari al rendiconto da parte del trustee

I beneficiari hanno l’ insindacabile diritto di rendiconto.

Tale diritto non sorge invece in capo al disponente, come erroneamente a volte sostenuto.

Il diritto dei beneficiari rimane comunque anche laddove le clausole dell’atto istitutivo non lo prevedano espressamente, o anche laddove lo prevedano (come spesso accade) in favore del guardiano.

Queste tre posizioni dei beneficiari sono a mio avviso le più importanti e sorgono in capo a qualsiasi beneficiario, fino a quando perdura tale sua qualifica.

L’attuazione pratica di tali diritti non credo presenti problemi di sorta, potendo i beneficiari ricorrere ai normali strumenti del codice di procedura civile sia in sede di ordinaria cognizione, sia in sede cautelare.

Diverso discorso riguarda le singole posizioni dei beneficiari

2.2 Le azioni a tutela

2.2 a) Il beneficiario che abbia un credito certo, liquido ed esigibile

Il Beneficiario che abbia un credito certo, liquido ed esigibile nei confronti del trust, agisce contro il trustee come qualsiasi creditore.

Il titolo esecutivo potrà essere addirittura il trust, se nella forma dell’atto pubblico o della scrittura privata autenticata [51] o diversamente potrà essere necessario ricorrere alla previa fase monitoria (se ad esempio il trust ha la sola forma scritta) riconoscendo la disposizione in favore del beneficiario, accettata dal trustee (con l’accettazione della carica) quale forma di riconoscimento di debito del trustee nei confronti dello stesso.

La fase esecutiva avrà la forma del pignoramento presso il debitore e non presso terzi, come parimenti alcune volte è stato sostenuto [52].

Le spese del procedimento sono un passaggio delicato.

In via immediata sono evidentemente a carico dei beni in trust ma all’evidenza ciò potrebbe ritorcersi in danno degli altri beneficiari. Necessariamente quindi dovrà valutarsi se l’inadempimento del trustee che ha giustificato l’azione esecutiva individuale, sia dovuto ad una negligenza del trustee stesso perché, in tale ipotesi, sarà legittima un’azione risarcitoria nei suoi confronti che, ovviamente, coinvolgerà il suo personale patrimonio e non il fondo in trust.

Parimenti i creditori individuali dei beneficiari, titolari di un credito certo, liquido ed esigibile nei confronti del trust, potranno agire in surroga del beneficiario, nelle forme del pignoramento presso terzi.

Laddove il trustee dissenta, ricorrerà all’opposizione di terzo ex art. 619 cpc mentre, al contrario, per dovere di completezza si anticipa in questo ambito che, laddove oggetto dell’esecuzione sia il fondo in trust, per debiti personali del trustee, questi esperirà l’azione di opposizione all’esecuzione nelle forme degli artt. 615 e ss cpc [53].

2.2 b) Il beneficiario che abbia un diritto sottoposto a condizione

A mio avviso occorre partire dall’art. 1356 cc. e quindi ritenere che in pendenza della condizione il beneficiario possa compiere atti conservativi, ad esempio l’intervento nell’esecuzione già in essere nei confronti dei beni in trust, anche se non munito di titolo (art. 563 cpc).

Allo stesso modo il beneficiario che diverrà proprietario di un determinato bene al compimento di una determinata età, può agire contro il trustee che, in violazione dell’atto istitutivo, intenda vendere a terzi detto bene già individuato nell’atto di trust.

Interessante è vedere quale potrebbe essere lo strumento processuale da prescegliere.

Non ritengo possibile un’azione a difesa del possesso (artt. 1168 e ss cc); il beneficiario non ha il possesso del fondo in trust, potrà tutt’al più averne il godimento. In tale limitata eventualità, si potrebbe anche optare per un’azione possessoria ai sensi del 2° co dell’art. 1168 “chi ha la detenzione della cosa”, ma è noto che la giurisprudenza ha limitato i casi, riconoscendo la titolarità dell’azione solo ai conduttori e non in caso di mera detenzione.

Nel vuoto giurisprudenziale in proposito, la strada più semplice rimane il rimedio residuale dell’art. 700 cpc, salvo poi radicare il merito affinché venga accertata l’esistenza del diritto sottoposto a condizione.

2.2 c) Il beneficiario che abbia una posizione di legittima aspettativa

In tali casi, anche se il beneficiario non ha un diritto certo, liquido ed esigibile o sottoposto a condizione [54], nessuno può negare alla sua posizione di legittima aspettativa, un altrettanto efficace tutela.

Questo beneficiario potrà quindi esperire tutte quelle azioni, a carico del trustee, per sue negligenze e inadempimenti rispetto all’atto istitutivo, che hanno legittimazione dalla sua posizione. Potrà quindi agire nei confronti del trustee che confonde il suo personale patrimonio con quello che ha a titolo di trustee, che depaupera o mal amministra i beni, che agisce in conflitto di interessi.

In presenza di meccanismi di revoca del beneficiario, il discorso si fa più delicato perché la sua posizione di affidamento, indubbiamente è affievolita.

Certamente se il comportamento del trustee è un comportamento che inficia l’intera posizione dei beneficiari, o è contrario manifestatamene allo scopo del trust, non dubito che anche tale beneficiario, pur nell’incertezza della sua posizione nel tempo, può agire.

Se al contrario il comportamento del trustee riguarda strettamente gli interessi privati di quello specifico beneficiario, l’approccio difensivo dovrà essere più accorto, in quanto il comportamento del trustee dovrà essere ricondotto (in qualche modo) all’ipotesi suddetta, o comunque presentare una manifesta negligenza o conflitto di interessi.

Ciò che in sintesi intendo affermare è che nei trust discrezionali, dove i beneficiari non hanno diritti certi, il potere del trustee è estremamente pregnante e rispetto ad esso i beneficiari non sono titolari di nulla. Le loro azioni troveranno legittimazione solo alla ricorrenza delle ipotesi suddette, che altro non sono che gravi negligenze del trustee, ma non semplicemente quando il beneficiario, che faceva affidamento di ricevere un bene, lamenti poi che per scelte discrezionali del trustee, non gli è arrivato [55].

Per ritornare quindi all’ipotesi prospettata nel sub paragrafo che precede, mentre non dubito che il beneficiario di un bene determinato, ancorché tale suo diritto sia sottoposto a condizione, possa agire con lo strumento degli atti conservativi a protezione del bene, il beneficiario privo di tali diritti, in presenza di un trust discrezionale, nulla potrà opporre ad un trustee che, nel rispetto dello scopo, pone in essere scelte diverse.

2.2 d) Il protective trust e il trust di protezione patrimoniale

Questo tema è stato già affrontato nella mia relazione al CSM del 2003 e non posso quindi sottrarre tempo all’incontro di oggi per ripetere informazioni che sono già reperibili.

Rammento solo che si ha protective trust quando l’interesse del beneficiario viene meno al ricorrere di un determinato evento [56].

La legge inglese riconosce il protective trust, limitandolo però al reddito, mentre la legge di Jersey lo estende anche agli altri beni.

Le ripercussioni pratiche di un protective trust sono di grande rilievo.

In forza di tale previsione, accade che il trust muti le sue caratteristiche, in relazione ad un beneficiario, alla ricorrenza di un determinato evento che riguardi quest’ultimo: ovvero sia quando il beneficiario diventi soggetto a procedure esecutive individuali da parte di suoi creditori o al fallimento.

Nella sostanza, verificatosi l’evento, il trustee è obbligato a cessare qualsiasi corresponsione diretta di danari nella mani del beneficiario per invece “spendere per lui” [57] e quindi garantendogli comunque un’abitazione in cui vivere, e i mezzi di vita quotidiana.

La clausola, civilisticamente parlando, viene redatta in modo tale che il beneficiario non abbia alcun diritto alla rendita ab origine e che tale diritto sorga solo allorquando non si sia verificata una delle situazioni suddette a suo carico.

In pendenza, quindi, il beneficiario gode solo di una mera aspettativa e di conseguenza i suoi creditori non potranno mai agire in surroga per recuperare la rendita cui avrebbe diritto se l’evento non si fosse verificato.

Se la clausola quindi è formulata in questo modo, difficilmente potrà esserci un’efficace azione giudiziale di terzi.

I trust di protezione patrimoniale sono tutt’altra cosa [58].

In linea di massima in essi l’effetto segregativo, che qualsiasi trust produce, ma che è sempre un effetto mai la causa del trust, coincide invece con lo scopo: si ricorre al trust per la mera segregazione patrimoniale.

La dottrina [59] fornisce un esempio di estrema chiarezza: un professionista (ad esempio un medico) in bonis, che ricorra al trust per proteggere il suo patrimonio, subisce l’azione dei suoi creditori (un paziente vittorioso in una causa per responsabilità medica) sul fondo in trust?

Se il trust è stato istituito fuori dai termini per esperire l’azione ordinaria, assolutamente no.

Rimane allora da verificare la diversa strategia di invocare l’atto nullo perché in frode alla legge.

Per verificare ciò, occorrerà ritornare a quanto ho precisato nella parte preliminare di questa relazione e quindi appurare se vi è uno scopo meritevole di tutela, se il trust attui un’effettiva segregazione, se non sia infine un mero mandato o una pura simulazione.

Alla ricorrenza di tali ipotesi potrà chiedersi la nullità del trust di protezione patrimoniale, diversamente lo escluderei.

2.3 Le posizioni non tutelabili

Poche parole da spendere in proposito.

Non ricevono tutela tutte le posizioni egoistiche ed individuali dei beneficiari.

Nei trust discrezionali, i beneficiari non possono pretendere nulla dal trustee.

Più il trust è discrezionale, minor peso avranno le doglianze dei beneficiari revocati, pretermessi rispetto ad altri, che abbiano ricevuto meno dell’auspicato.

D’altra parte più il trust è discrezionale, meno potrà mettersi in discussione la sua validità, e più efficacemente potrà conseguirsi il rispetto dello scopo voluto dal disponente.

 

3. Il trust di scopo

Tale è quella categoria di trust “che non sono destinati ad avvantaggiare una o più persone identificate o identificabili, più precisamente quei trusts rispetto ai quali, per come il trust è configurato, non può esistere alcun soggetto legittimato ad agire contro il trustee per tutelare un interesse proprio” [60].

Nel modello anglosassone i trusts di scopo possono perseguire solo fini caritatevoli (a vantaggio della collettività o di determinate categorie di persone: una pinacoteca, una collezione pubblica, un’associazione di non vedenti etc.) Un trust di scopo per fini non caritatevoli retto dalla legge inglese è quindi nullo ex tunc.

Nel modello internazionale, e quindi anche secondo la legge di Jersey, il trust di scopo può perseguire anche fini non caritatevoli ma individuali, ma deve recare la presenza costante e ininterrotta di un guardiano (enforcer [61]).

La motivazione è semplice: costui potrà agire nei confronti del trustee inadempiente e quindi il trust non sarà in balia della mera volontà incontrollata ed incontrollabile del trustee.

Nei trust di scopo, quindi, le azioni che spettano ai beneficiari sono demandate al guardiano.

La mancanza di guardiano rende il trust di scopo, anche in gran parte delle leggi del modello internazionale, e in quella di Jersey, nullo.

 

 

4. Il Trustee

Molto di ciò che concerne questa figura è stata già trattata nelle pagine che precedono.

Il trustee è la sola figura inevitabile del trust [62].

Il passaggio chiave per capire il senso del ragionamento che segue è che il trustee è il solo titolare del fondo in trust: il suo diritto di proprietà è quindi pieno ed esclusivo [63].

Tuttavia nell’esercizio del diritto di proprietà, il trustee incontra dei limiti che sono funzionali allo scopo.

Il trustee quindi è “vincolato” [64] nell’esercizio del suo diritto di proprietà ai limiti che sono stabiliti nell’atto istitutivo e che sono dati dalle finalità del trust stesso.

Altri limiti, l’ho già detto sopra e ora lo ripeto, non vi sono.

Qualsiasi ingerenza nell’attività del trustee, seppur legittima o arbitraria, è assolutamente irrilevante posto che non può sortire l’effetto di imporre al trustee alcun comportamento o decisione forzata.

Questo è il cuore, a mio avviso, della posizione del trustee e da questa premessa derivano i corollari della sua funzione dati dai “poteri e doveri del trustee”e la “responsabilità del trustee”.

4.1 I p