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Trust: riflessioni sulla “certezza” e altro

Nota a Tribunale di Bologna, ordinanza n. 12321/2018
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Indice

1. Le tre “certezze”

2. Certainty of subject matter

3. Certainty of intention

4. Certainty of objects

5. La Legge regolatrice di Jersey

 

1. Le tre “certezze”

L’ordinanza R.G. n.12321/2018, resa dalla Prima Sezione Civile del Tribunale di Bologna su un tema riguardante un trust, si segnala oltre che per il suo intrinseco contenuto, anche per gli spunti di riflessione che suscita e che trascendono l’apparente linearità della fattispecie.

Purtroppo non disponendo del testamento, le conclusioni rassegnate, o parte di esse potrebbero rivelarsi inesatte per l’incompletezza dei dati di cui disponiamo.

Fatta questa necessaria premessa, la prima considerazione da fare riguarda l’affermazione per cui il trust non sarebbe neppure venuto a esistenza non soddisfacendo l’atto istitutivo al c.d. requisito delle tre certezze: non quella dell’intenzione di istituire un trust (certainty of intention), neppure quella che riguarda l’individuazione dei beneficiari (certainty of objects), ma quella che verte sulla identificazione dei beni apportati al trust (Certainty of subject matter).

La regola delle tre certezze è altrimenti definita come la regola in Knight v Knight [1840] 3 Beav 148 at 173 secondo cui: “There can be no trust unless there is certainty in respect of the intention to create a trust, and in respect of the property which is the subject matter of the trust, and (charitable trusts apart) in respect of the beneficiaries. These are the ’three certainties’”. Quindi,

anche la mancanza di una sola “certezza” produce conseguenze devastanti perché fa sì che non possa esserci un trust: There can be no trust.

 

2. Certainty of subject matter

Ora, in teoria, non sembrerebbe difficile individuare i beni apportati in trust, ma sovente le cose non sono così scontate. Si citano a questo proposito il caso in cui il disponente dia vita contemporaneamente a più trusts e non sia chiaro come desideri ripartire i beni, o quando più persone reclamino, in qualità di beneficiari, la proprietà dei beni da parte di una società che sia fallita. È il caso di Re London Wine Shippers Ltd [1986] PCC 121, in cui un armatore aveva acquistato una partita di vino che aveva depositato in un magazzino. Questa si era così confusa con le altre bottiglie presenti nello stesso luogo e pertanto, al momento del fallimento del depositario, la richiesta degli acquirenti di sostenere che quel vino era tenuto in trust per loro, sulla base dei termini risultanti dai rispettivi contratti, non fu accolta perché il vino non era stato individuato, e quindi segregato, rispetto alle altre bottiglie conservate nella cantina.

In un altro caso, in Re Goldcorp Exchange Ltd [1995] 1 AC 74, si trattava di lingotti d’oro, ma era andato perduto il contratto che avrebbe consentito la loro identificazione e si ritenne, conseguentemente, che il trust non fosse venuto a esistenza.

Tornando al nostro caso, l’ordinanza in commento rileva che “nella fattispecie concreta in esame non pare sussistere una precisa individuazione dei beni conferiti in trust”.

Al riguardo, l’atto istitutivo prevede che il fondo in trust risulti composto da “valori mobiliari sotto forma di denaro, azioni, fondi, titoli e altri valori mobiliari ad essi equiparati di un importo nominale pari a € 1.100.000,00 che potranno essere reperiti in tutti i rapporti che il disponente intrattiene con qualsiasi istituto di credito, dovunque collocati, purché siano intestati al disponente stesso”. “Vengono altresì destinati agli scopi del trust, i frutti prodotti da detti beni, nonché ogni altro bene o diritto acquistato per mezzo di essi o quale corrispettivo dell’alienazione o dell’impiego degli stessi”. Segue poi la previsione della possibilità di effettuare successivi conferimenti nel fondo in trust.

Ora, stando alla formulazione delle clausole dell’atto, a me non sembra che difetti la certainty of subject matter. Intanto perché, trattandosi di un trust autodichiarato, l’intestazione delle azioni o dei conti correnti rimane la medesima. Al limite anziché aprire un conto ad hoc il disponente avrebbe potuto destinare al trust il conto riferibile alla sua custodia operando solo una variazione dell’anagrafica. Poi perché l’atto prevede che debba essere individuato, dal trustee, un importo pari a € 1.100.000,00 all’interno di un patrimonio mobiliare ragionevolmente più cospicuo. Tale formula rende l’oggetto della prestazione non determinato, allo stato, ma sicuramente determinabile (significativo il riferimento al valore nominale). Si aggiunga che nell’atto si legge testualmente: “il Guardiano come di seguito nominato avrà cura di accertare che le suddette intestazioni avvengano nel rispetto di quanto sopra convenuto”. Infine, anche se il dies a quo del periodo di durata del trust non è espressamente indicato, si evince chiaramente che la finalità assistenziale verso il beneficiario inizia - contestualmente alla sottoscrizione dell’atto istitutivo- o meglio prosegue, sempre su impulso del padre del beneficiario, l’assistenza resa al figlio da parte del padre disponente che, con l’atto in esame, vuole semplicemente garantire che quelle somme siano segregate al perseguimento delle stesse finalità fino a quel punto perseguite.

 

3. Certainty of intention

Dalla lettura di altre parti dell’atto, per come riprodotte, si legge che il trustee doveva provvedere a

tenere i beni in trust separati sia dai propri, sia da qualsiasi altro bene o diritto gli sia intestato”.

Questo è in effetti il primo obbligo che fa carico a un trustee, nel momento in cui viene nominato, ma per capire se effettivamente non aver provveduto in tal senso configuri una breach of trust oppure no, bisognerebbe conoscere meglio come sono andate le cose e in ogni caso questo comportamento non sarebbe più contestabile al trustee. Potrebbe darsi, infatti, che questa condotta (omissiva) non dimostri necessariamente difetto di diligenza da parte di quest’ultimo. Non è infatti difficile immaginare che questi, essendo anche padre del beneficiario e disponendo di un patrimonio formato in ampia parte da titoli azionari, abbia ritenuto opportuno, nello stesso interesse del beneficiario, non vincolare da subito, in trust, titoli che, a seguito delle oscillazioni del mercato avrebbero potuto, alla fine, vedere ridotto anche drasticamente il loro valore. E quindi non è avventato ritenere che possa aver agito così nell’interesse stesso del figlio. Gli eventi successivi, la morte del disponente, non avrebbero poi consentito di portare a compimento l’individuazione dei beni da segregare in trust. Ma, a mio avviso, non è dubbio che il requisito della “certezza dell’intenzione” sia stato rispettato.

Che del resto la formula usata non abbia fatto venire meno la “certezza”  sembra trovare autorevole conferma in una sentenza, resa in Re Golays’ Will Trust [1965] WLR 969, laddove  si disputava se il lascito di una  rendita (income) fosse nullo per incertezza avendo  il testatore così disposto: “to let Tossy to enjoy one of my flats during her lifetime  and to receive a reasonable income from my other properties” (Desidero che Tossy goda di uno dei miei appartamenti nel corso della sua esistenza e che riceva una ragionevole rendita dalle mia altre proprietà). La disposizione venne ritenuta valida e, a ben vedere, si tratta di una fattispecie analoga a quella che si esamina in cui cioè si tratta di effettuare una scelta di un determinato ammontare all’interno di un perimetro di beni ben definito (in questo caso il patrimonio del testatore).

 

4. Certainty of objects

L’ordinanza sembra poi compiere un salto logico laddove dalla lettura dell’atto istitutivo inferisce che il disponente “abbia conferito nel trust tutti i valori mobiliari di sua proprietà” mentre la formula dell’atto induce a ritenere che si sia in presenza di un più ricco patrimonio all’interno del quale ritagliare la somma da destinare al fondo in trust. Per la verità, leggendo l’atto, questo aspetto è un po’ ambiguo perché da un lato nelle premesse si legge che “il Disponente è pieno ed esclusivo proprietario di valori mobiliari…per un importo nominale pari a € 1.100.000,00”, mentre dalla lettura dell’ordinanza emerge che la consistenza dei titoli depositati presso la banca al momento del decesso del de cuius ammonta, in realtà, a € 1.700.000,00, superiore quindi a quanto destinato al fondo in trust. Anche la successiva affermazione non sposta i termini del problema in quanto non si dice quale sia la consistenza dei legati disposti a favore delle otto persone fisiche né se questi abbiano esaurito le disponibilità liquide del testatore. Peraltro aver destinato al trust i diritti immobiliari facenti capo al disponente/trustee/de cuius costituisce un valido argomento a sostegno della tesi che ritiene che il disponente non avesse avuto dubbi sul fatto di aver istituito un trust perfettamente valido che grazie al testamento sarebbe andato ad arricchirsi ulteriormente.

Da quanto emerge dall’ordinanza non sembrerebbe fuori luogo chiedersi, poi, se non vi sia stata violazione di legittima. Infatti, da un lato la somma destinata al trust non è stata apportata al trust e i legati sembrerebbero – a quanto si legge – aver esaurito la massa liquida. Dei valori immobiliari non si conosce il valore. Non sappiamo quale trattamento sia stato riservato al coniuge superstite e se la sua posizione risulti tutelata nell’ambito della quota di riserva alla stessa spettante per legge.

Dal canto suo la banca ha adottato una linea di difesa formale, negando che le somme presso di sé depositate potessero ritenersi segregate in trust.

La conclusione che si profila risulta quindi assai penalizzante per il beneficiario e non sembra che questo fosse il desiderio del genitore disponente.

Ci si chiede se la questione debba ritenersi definitivamente chiusa o se si possano immaginare altre strade da indagare.

Parlando sulla base di una non completa conoscenza dei fatti, e quindi limitatamente ai dati disponibili, sembrerebbe che il guardiano non vada esente da responsabilità nei confronti del beneficiario non avendo adempiuto a un preciso dovere che l’atto poneva a suo carico: “Il Guardiano, come di seguito nominato, avrà cura di accertare che le suddette intestazioni avvengano nel rispetto di quanto sopra convenuto”.

Egli quindi avrebbe dovuto sollecitare il trustee a procedere alla individuazione dei beni da apportare nel fondo in trust, e in caso di sua inerzia avrebbe dovuto adire la Corte per chiedere un provvedimento che costringesse il trustee a individuare prima e quindi a segregare i beni destinati a costituire il fondo del trust (Artt. 47A o 52 della legge regolatrice). Quanto ai poteri del guardiano, l’atto istitutivo gli attribuisce, con una previsione inedita per la verità e, a tutta prima, contraddittoria, la titolarità di poteri al tempo stesso fiduciari e personali. Probabilmente la formula usata voleva attribuire la più ampia gamma di poteri al guardiano, ma in realtà potrebbe dar vita a un conflitto difficilmente risolubile. Ove quindi si dimostrasse che il guardiano non ha esercitato i poteri (fiduciari) di cui disponeva per far sì che l’atto istitutivo potesse spiegare appieno i suoi effetti, potrebbe configurarsi una sua precisa responsabilità verso il beneficiario.

Il guardiano, a quanto si apprende, è anche esecutore testamentario. Ci si chiede pertanto se in questo ruolo potrebbe agire in qualche guisa al fine di ripristinare la situazione che il disponente avrebbe voluto che fosse stata posta in essere.

L’esecutore deve partire da un dato (il testamento) e da un tempo (l’accettazione della carica) e non può modificare il dato di partenza a meno che non si voglia attribuire all’esecutore un potere che in realtà la legge non sembrerebbe riconoscergli, e che sarebbe quello di attivarsi per recuperare quei beni che avrebbero dovuto far parte dell’asse ereditario. Al riguardo, l’art.703 c.c. afferma che “l’esecutore testamentario deve curare che siano esattamente eseguite le disposizioni di ultima volontà del defunto”, ma soggiunge la norma al secondo comma: “A tal fine, salvo contraria volontà del testatore, egli deve amministrare la massa ereditaria, prendendo possesso dei beni che ne fanno parte”. Questo a me pare uno spunto estremamente interessante perché non sembrerebbe escludere che l’esecutore possa agire per ricostituire la consistenza dell’asse ereditario. Ma in questo caso il problema non si pone perché la liquidità depositata fa già parte del relictum e quindi si tratterebbe di un problema prima di imputazione e quindi di titolarità della stessa.

Tuttavia, a parte questa divagazione, rimane il fatto che l’inerzia del guardiano ha causato un rilevante danno al beneficiario che non ha ricevuto la somma che, nelle intenzioni del disponente doveva essergli destinata. Di questo danno il guardiano potrebbe esser chiamato a rispondere ove chiamato in causa da chi tutela gli interessi del beneficiario, e quindi anche dal nuovo trustee.

 

5. La Legge regolatrice di Jersey

A ulteriori considerazioni spinge l’iniziativa giudiziaria assunta da quest’ultimo che agisce nell’interesse del beneficiario del trust per acquisire quindi quei titoli (dell’importo nominale di 1,1 milioni di euro) destinati al fondo in trust. Non c’è dubbio che l’iniziativa in sé sia condivisibile, ma c’è da chiedersi se questa sia stata autorizzata o meno dal giudice. La discussione non è meramente accademica perché occorre sempre chiedersi, atteso che il trustee amministra un patrimonio non suo, se egli sia libero o meno di decidere quando e se intraprendere un’iniziativa i cui costi egli non sostiene direttamente, ma che andranno a riverberarsi poi sul fondo in trust.

Essendo il trust regolato dalla legge di Jersey, il trustee avrebbe dovuto richiedere preventivamente, e acquisire, un Beddoe Order (in Re Beddoe, Downes v Cottam) e cioè una preventiva autorizzazione da parte della Corte in merito all’opportunità di agire in giudizio. La questione non è pacifica in dottrina perché, per esempio, nel caso in cui il trustee possa dimostrare di aver sostenuto personalmente i costi della procedura si può prescindere dall’autorizzazione, ma in generale

l’orientamento maggioritario è per la necessità della richiesta, anche nel caso in cui vi sia urgenza di decidere, dovendo allora il trustee adire con la stessa procedura la Corte competente, perché quest’ultima può sempre disattendere la richiesta.

Per contro si ritiene non necessaria l’autorizzazione se la questione giuridica è pacifica (ma non sembrava questo il caso) e il fondo non evidenzia eccessive disponibilità.

Un ultimo momento di riflessione riguarda la legge regolatrice (Jersey) per vedere se questa potrebbe o avrebbe potuto offrire supporti per tutelare la posizione del beneficiario.

In linea generale la legge regolatrice riguarda il trust e quindi non sembrerebbe poter espandere la sua forza al di là dell’ambito dei soggetti o dei beni riferibili al trust medesimo. Tuttavia, l’art. 51 della legge applicabile prevede che la Corte, fra i vari poteri che le sono riconosciuti, possa emettere una dichiarazione sulla validità e sulla esecutorietà del trust (make a declaration as to the validity or the enforceability of a trust).

Risolto positivamente il problema se a conoscere della materia possa essere un Tribunale italiano, questa disposizione appare di particolare interesse perché sembrerebbe consentire al trustee di poter adire il giudice per ottenere una declaration (ordinanza?) su cui basare, se ottenuta, un’azione volta a recuperare il denaro sfuggito dal controllo.

In conclusione, la partita cui l’ordinanza in esame ha messo un fermo, potrebbe non doversi considerare ancora conclusa.