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Riforma della Costituzione

Il testo approvato della Commissione Affari Costituzionali del Senato del 29 maggio 2012 (Disegno di Legge Costituzionale n. 24 – abb. A) e la sua incidenza
1. Introduzione.

Bicamerale D’Alema del 1997-98, riforma del 2006 (bocciata in sede referendaria), c.d. “bozza Violante” del 2007… ed ora? A distanza di qualche tempo ecco farsi più concreta la proposta di riformare il testo vigente della Costituzione; infatti in questi giorni l’attuale dibattito politico ripropone l’ipotesi di revisione nella conclamata esigenza di modernizzare le istituzioni, mirando essenzialmente a rafforzare i poteri del Presidente del Consiglio dei Ministri.

In realtà il dibattito sul cambiamento dell’architettura istituzionale del nostro Pese, perché è di questo che si parla, ha trovato, in modo pressoché superficiale, approdo nelle soluzioni corrispondenti ad altri modelli praticati in diversi ordinamenti democratici (es. modello Tedesco, Francese, etc.).

Il testo base discusso dalla Commissione Affari Costituzionali del Senato[1] rappresenta una sintesi di ben tredici disegni di legge costituzionali[2] presentati da esponenti di varie forze politiche. L’esame si è concluso il 29 maggio con la finale approvazione da parte della commissione affari costituzionale del testo finale trasmesso all’Assemblea.

Al di là di valutazioni di comodo è l’analisi del testo trasmesso all’assemblea parlamentare ad interessare, anzitutto per ciò che attiene la reale incidenza di una ipotesi di riforma che nel suo iter è tutt’altro che conclusa.

Ampio è complesso si presenta il testo A.S. n. 24 giacché si prefigge di modificare organicamente la Costituzione in molti e diversi punti.

Ad onor del vero pare doveroso, già in premessa, ammettere la totale inesistenza di un clima politico e culturale sereno tale da garantire una discussione serena e approfondita circa le prospettive costituzionali. Quanto detto è dimostrato dal fatto che in più occasioni la discussione politica sull’ipotesi di riforma della Costituzione si è radicata nello scontro,  velando di ombre ogni ragionevole confronto.

Pertanto, passando a considerare il merito del disegno di legge, l’impressione complessiva è che si tratti di un tentativo di dare forma costituzionale alle tendenze politiche in atto. Una riforma costituzionale in alcuni punti miope, guidata da ragioni contingenti e che non riesce a vedere oltre l’orizzonte del presente.

Fermo restando che i punti del testo di riforma, per essere compresi, debbono necessariamente considerarsi integralmente, tuttavia al fine di una disamina, seppur sintetica ma, si spera, comunque completa, saranno analizzati mediante  raggruppamenti effettuati in ragione della rilevanza degli articoli di riforma proposti.     

 

2. Rafforzamento del ruolo del Presidente del Consiglio dei ministri – introduzione sfiducia costruttiva – ampliamento dei poteri del Governo nel procedimento legislativo. (Modifiche artt. 92; 94)

Stante le dichiarazioni quasi unanimi delle forze politiche presenti in Parlamento, lo sbilanciamento a favore di un rafforzamento del Governo pare essere la chiave di lettura dell’attuale proposta di riforma costituzionale.

Le misure che più delle altre favoriscono il rafforzamento a favore del Governo e, forse, a scapito del Parlamento possono essere così sintetizzate:

-         al Presidente del Consiglio compete non solo della nomina bensì anche della revoca dei ministri. Invero l’art. 10 del ddl costituzionale in parola, propone la modifica dell’art. 92 Cost., co. 2, stabilendo che <<il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei Ministri e su proposta di questo, nomina e revoca i Ministri>>;

-         il Presidente del Consiglio dei Ministri è il solo titolare del rapporto di fiducia con il Parlamento infatti la modifica dell’art 94 Cost. secondo la nuova formulazione prevede che <<il presidente del Consiglio dei Ministri deve avere la fiducia delle due Camere>>.

-         verrebbe ad essere modificato il meccanismo della fiducia prevista, tra l’altro, solo dopo la formazione del Governo mediante la modifica del terzo comma dell’attuale art. 94 Cost per il quale <<entro dieci giorni dalla formazione del Governo, il Presidente del Consiglio dei Ministri si presenta alle Camere per ottenere la fiducia>>. Il sistema sarebbe quindi composto da una doppia fiducia - prima al solo Presidente del Consiglio, poi all’intero Governo - scontando la naturale inclinazione di una riforma che tende a rafforzare il ruolo del Presidente del Consiglio.

Quest’ultimo punto richiede alcune precisazioni. Infatti, nel testo approvato dalla commissione affari costituzionali del Senato, è previsto che <<la mozione deve essere firmata almeno da un terzo dei componenti delle due Camere >> oggi invece il limite è di un decimo. Inoltre nel testo proposto si pone mano al quorum per la approvazione della mozione di sfiducia passando dall’ordinario quorum previsto per le votazioni da effettuarsi ad appello nominale, ad una <<maggioranza assoluta dei componenti della Camera e dei componenti del Senato>>. Il tutto sarebbe completato da una potestà deliberativa sulla mozione di sfiducia spettante <<al Parlamento in seduta comune>>.

Tuttavia il punto di maggior importanza è rappresentato dal fatto che la mozione di sfiducia <<deve contenere l’indicazione del nuovo Presidente del Consiglio dei Ministri e non può essere messa in discussione prima dei tre giorni dalla sua preparazione>>. L’obiettivo del progetto di riforma è dunque essenzialmente rivolto al rafforzamento del Governoanche se -si dichiara- insieme al rafforzamento del Parlamento.

Rafforzare ulteriormente il Governo? Questo è evidentemente il fine del progetto tanto che la mozione di sfiducia, la quale -come accennato- deve essere approvata dal Parlamento in seduta comune a maggioranza assolutadei componenti di ciascuna delle due Camere, è destinata a rendere più difficile raggiungere il numero di voti richiesti per sfiduciare il governo.

Certo di fronte ad un progetto che intende rafforzare la posizione del Governo sembra di assistere ad una  rappresentazione capovolta, perché qualsiasi osservatore -anche non avvezzo a questioni giuridiche- ha potuto percepire che, negli ultimi anni, il governo ha avuto una particolare forza anche in ragione di una legge elettorale che ha eletto un Parlamento debole, di nominati.

E non è solo la maggioranza assoluta richiesta per l’approvazione della mozione, ma anche il numero di parlamentari necessario alla sua presentazione -un terzo anziché un decimo- insieme alla convocazione del Parlamento in seduta comune, a trasformare in evento difficile e straordinario quello che, in un sistema parlamentare, dovrebbe essere un ricambio quasi naturale.

Altresì è previsto, al nuovo proposto art. 94 Cost., che <<il Presidente del Consiglio dei Ministri può porre davanti a una delle Camere la questione di fiducia>> e <<qualora la richiesta sia respinta il Presidente del Consiglio dei Ministri si dimette e può chiedere al Presidente della Repubblica lo scioglimento delle Camere o anche di una sola una di esse. Le Camere non possono essere sciolte se il Parlamento in seduta comune entro ventun giorni dalla richiesta di scioglimento indica, a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna delle due camere, il Presidente del Consiglio da nominare>> . Circostanza che verrebbe ad essere completata con l’inserimento di un ulteriore comma all’art. 94, per il quale, <<quando è approvata una mozione di sfiducia o il Parlamento indica un nuovo Presidente del Consiglio dei Ministri nei ventuno giorni successivi alla richiesta di scioglimento, il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio indicato e su proposta di questi i Ministri. In questi casi si intende che il Presidente del Consiglio indicato abbia già ottenuto la fiducia delle due Camere>>.

Di certo non per rafforzare il Parlamento, ma piuttosto il Governo si modifica l’art.72 consentendo al primo di chiedere che un disegno di legge venga <<iscritto con priorità all’ordine del giorno della Camera che lo esamina e sottoposto alla votazione finale entro  un termine determinato>>, trascorso il quale, il Governo stesso può chiederne l’approvazione senza emendamenti del proprio testo o di un altro che dichiara di accogliere (c.d. voto bloccato).

Il nuovo art. 72 prevede, nel testo della Commissione, l’introduzione di un particolare iter legislativo.  Tant’è che <<i disegni di legge approvati da una Camera sono trasmessi all’altra Camera e, salvo il caso di esercizio collettivo della funzione legislativa, sono da questa esaminati se, entro quindici giorni dalla trasmissione, né è deliberato il riesame il riesame su proposta di un terzo dei suoi componenti. Il riesame ha luogo anche su richiesta del Governo. Il disegno di legge può essere approvato, anche con modifiche, o respinto, entro i trenta giorni successivi alla deliberazione o alla richiesta di riesame. I disegni di legge si intendono definitivamente approvati quando si forma una deliberazione conforme delle due camere ovvero, nel testo approvato da una camera, in mancanza di deliberazione o richiesta di riesame o quando queste non sono seguite dalla votazione finale sul disegno di legge nel termine prescritto>>.

Orbene, rendere più veloce il procedimento legislativo può essere opportuno, ma ciò non può e non deve avvenire con costi elevati e gravanti sull’essenza del Parlamento. Bisogna evitare di scivolare nella tendenza di annullare il dibattito parlamentare vanificando di fatto  la sua funzione. Una votazione senza emendamenti impoverisce il confronto, impedisce l’apporto migliorativo possibile e soprattutto la considerazione complessiva degli interessi coinvolti. L’esperienza italiana degli ultimi decenni deve insegnare, poiché, semmai, la tendenza politica è stata quella opposta. Vale a dire si è assistiti all’approvazione rapidissima di leggi volute dal Presidente del Consiglio, talora per interessi contingenti.

Quindi se si unisce alla modifica dell’art.72 quella già menzionata dell’art. 94 che rende ancor più difficoltoso sfiduciare il Governo, l’obiettivo vero della revisione costituzionale appare ancora o, secondo i punti di vista, soltanto quello di mettere al sicuro il Governo e liberarlo da ogni impedimento costituzionale, mortificando la rappresentanza e di conseguenza gli elettori che la esprimono. Se, dunque, per dare maggior vigore al Governo si dovesse cedere fino a rendere quasi del tutto inutile il Parlamento si commetterebbe, senza ombra di dubbio, un gravissimo errore.

3. Trasformazione del bicameralismo da paritario a differenziato – raccordo entro il Senato con le autonomie territoriali regionali.(Modifica artt. 70; 72; 74; 75; 126 e introduzione art. 13 -disposizioni finali).

Nel testo approvato dalla Commissione affari costituzionali il bicameralismo verrebbe ad essere modificato passando dal principio di una funzione legislativa collettivamente esercitata dalla due Camere alla <<funzione legislativa è esercitata dalle due camere>> rendendo con ciò eventuale il bicameralismo paritario.

La differenziazione del bicameralismo esplicherebbe la sua essenza proprio nel procedimento legislativo. Infatti il riformato art. 72 Cost. al comma 2 recita <<la funzione legislativa è esercitata in forma collettiva dalle due Camere quando la Costituzione prescrive una maggioranza speciale di approvazione>>. Ma quando ciò avverrebbe? La funzione legislativasarebbe “collettiva” -lasciando in tal casi immutato il bicameralismo vigente- per i disegni di legge in materia costituzionale ed elettorale; quelli concernenti le prerogative e le funzioni degli organi costituzionali e dei rispettivi componenti; ancora per i disegni di legge per i quali la Costituzione prescrive una maggioranza speciale di approvazione (leggi revisione costituzionale, amnistia, indulto, sistema in materia di contabilità e finanza pubblica) e per tutta una serie di ipotesi tra cui occorre menzionare quei disegni di legge di iniziativa governativa, che al fine di garantire l’unità giuridica o economica della Repubblica e nel rispetto dei principi di leale collaborazione e sussidiarietà, intervengono nelle materie attribuite alla potestà legislativa regionale. Quest’ultima circostanza è, nella relazione del relatore, on. Vizzini, indicata come una supremacy clause.

Ne deriva quindi che tutti gli altri disegni di legge esclusi dall’elencazione l’esame della seconda Camera è solo eventuale.

Ancor più netta pare essere la previsione volta ad individuare in quale delle due Camere debba aver inizio l’iter legislativo, poiché il proposto art. 72 Cost. al terzo coma prevede che <<l’esame dei disegni di legge ha inizio alla Camera presso la quale sono stati presentati, quando la funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere. Ha inizio al Senato della Repubblica, quando la Costituzione prevede una legge della Repubblica  e quando i disegni di legge riguardano prevalentemente le materie di cui all’art. 117, terzo comma, e all’art. 119, ha inizio alla Camera dei deputati in tutti gli altri casi.>>.

L’assegnazione dei singoli disegni di legge all’una o all’altra camera residuerebbe alla potestà dei<<Presidenti delle due Camere d’intesa tra loro secondo le norme della Costituzione e dei rispettivi regolamenti>>.

Alcune riflessioni potrebbero essere poste con riguardo all’esigenza -quasi ossessionante- di riformare il bicameralismo perfetto. Tuttavia di certo i problemi sorgono,  ovviamente, sui modi volti a realizzare questo obiettivo. Il modo prescelto dal disegno di legge costituzionale sconta -a modesto parere di chi scrive- la debolezza della fase politica odierna.

Infine il raccordo con le Regioni sarebbe concretizzato mediante la creazione di una Commissione per le questioni regionali, composta da rappresentati regionali e Senatori. La Commissione avrebbe, secondo l’art. 13 del ddl, l’ingrato compito di esprimere <<il parere sui disegni di legge riguardanti le materie di cui all’art. 117, terzo comma, e all’art. 119 della Costituzione>>.  

Nonostante le già fallimentari le ipotesi di istituire Commissioni paritetiche per le questioni regionali in seno al Senato, ancora una volta  dunque aleggia la riesumazione di questa idea tutta’altro che innovativa.

Un riparto funzionale che essendo basato su un già di per sé confuso articolo 117 finirebbe per rendere ancor più complessa e confusa la formazione di una Commissione ibrida senza nessuna chiara legittimazione propriamente federale.

Sempre proseguendo la lettura della disposizione finale del testo (art. 13) sembra evincersi una potestà consultiva qualificata della Commissione paritetica giacchè è previsto che <<quando i pareri sono contrari o condizionanti, le corrispondenti disposizioni sono sottoposte alla deliberazione del Senato con votazione uninominale>> ammettendo un peculiare aggravamento procedurale sulle materie di competenza della Commissione.

4. Abbassamento dell’età richiesta per l’elezione alla Camera e al senato per l’elettorato attivo - Riduzione del numero dei parlamentari – Statuto delle opposizioni.

Modifica degli artt. 56; 57; 58; 64; 69; 72.

La nuova formulazione dell’art. 56 Cost. prevede che <<il numero dei deputati è di cinquecentootto, otto dei quali eletti nella circoscrizione estero>> prevedendo altresì una modifica dell’elettorato passivo essendo <<eleggibili a deputati tutti gli elettori che nel giorno delle elezioni hanno compiuto i ventuno anni di età>>.

Così come per la Camera di Deputati medesimo intervento è posto in essere per il Senato laddove, secondo la nuova formulazione, l’art. 57 Cost. indicherebbe <<il numero dei senatori elettivi è di duecentocinquanta, quattro dei quali eletti nella circoscrizione Estero>>. Anche per il Senato al fine di favorire e facilitare l’accesso alle cariche elettive delle classi più giovani è stata pensata la modifica dell’art. 58 Cost. prescrivendo per l’elezione a senatore degli <<elettori che hanno compito il trentacinquesimo anno di età>>.

Dei predetti interventi riformatori pare non possa che parlarsi bene. Anzi in una clima sociale logoro della rappresentanza politica, la riduzione del numero dei Parlamentari sembra quasi l’unico mezzo risolutivo di tutti i più disparati problema. Ma, da giuristi, occorre ribadire che così non è. In realtà alcune criticità permangono, poiché se è vero che in tal modo si dà risposta all’antipolitica montante la riduzione immaginata è talmente esigua tale per cui l’organo legislativo non assuma alcuna autorevolezza bensì finisce solo per restringere il campo della partecipazione politica[3].

In ultimo occorre rimarcare che  rimane poco chiaro perché la riduzione nel numero dei parlamentari non abbia portato anche a sanare l’errore commesso da una precedente improvvida misura di revisione. I collegi esteri che hanno dato pessima prova. Conservarli, riducendone il numero, vuol dire confermarne la validità di principio. Non credo che qualcuno lo pensi, ma chi può saperlo, nel silenzio assordante che circonda la riforma annunciata.

Nell’ipotesi di modifica è stato previsto un particolare intervento volto a responsabilizzare nell’impegno istituzionale tutti gli eletti che in virtù del nuovo art. 69 Cost. <<hanno il dovere di partecipare ai lavori delle Camere, anche nelle Commissioni>>.

Parimenti al fine di istituzionalizzare il ruolo, certamente importante, dell’ opposizione il disegno di legge dispone che i regolamenti parlamentari oltre a garantire <<le prerogative e i poteri del Governo e della maggioranza statuiscano alcuni diritti delle opposizioni e delle minoranze in ogni fase dell’attività parlamentare>>, e con migliore specificità con l’art. 7 del testo proposto dalla Commissione che modifica l’attuale art. 72 Cost., che <<i regolamenti delle Camere stabiliscono le modalità per la discussione e votazione finale in tempi certi di proposte indicate dai gruppi parlamentari di opposizione>>.

5. Conclusioni.

L’incidenza del testo di riforma appena analizzato, pone in conclusione alcune riflessioni tutt’altro che scontate e banali.

In prima istanza sarebbe opportuno domandarsi se, considerata la portata della riforma poc’anzi analizzata, l’attuale momento ed il contesto socio-politico ed economico sia adatto per riformare la Costituzione.

Il problema di riformare la Costituzione, di cui oggi si fa un gran parlare, significa (ri) dare forma ai principi e alle istituzioni fondanti il Paese, sul presupposto che oltre a non ritenere più efficiente l’attuale forma, è necessario che anche il nuovo modello ipotizzato sia tale da scaturire da un nuovo processo costituente volto ad assicurare la tenuta dei principi e di alcuni equilibri che nel tempo, a fatica, sono stati acquisiti.

Invero le modifiche alla Costituzione sono, o dovrebbero essere, -secondo autorevole dottrina- <<un’evenienza straordinaria[4]>> tali da <<interviene solo in presenza di una maturata convinzione circa l’esistenza di problemi o di esigenze che non possono trovare soluzione o soddisfazione adeguata entro la cornice costituzionale vigente[5]>>.

E’ fuor di dubbio che prefiggendo di realizzare il rafforzamento del Governo si corre il rischio -rischio concreto stante la proposta avanzata- di creare uno squilibrio tale da sovrastare anche alcune misure certamente positive.

Così ad esempio creare una c.d. sfiducia costruttiva assieme all’ipotesi di revoca dei Ministri rappresentano due disposizioni potenzialmente idonee a garantire stabilità ai Governi e a razionalizzare il rapporto di questo con il Parlamento; ma solo se introdotte assieme a misure idonee a rafforzare il Parlamento possono essere giustificate altrimenti finirebbero per indebolire ulteriormente la già flebile capacità del Parlamento di esercitare un suo ruolo rischiando di favorire tendenze volte a permettere al Governo di sottrarsi dal controllo parlamentare.

Molte testate giornalistiche riportano con cadenza quotidiana le dichiarazioni di autorevoli esponenti politici  secondo i quali una riforma della Costituzione sarebbe necessaria al fine di assicurare la stabilità e la continuità dei Governi. Tesi quest’ultima che convince solo in parte, giacchè le esigenze reali, che vengono rappresentate come ragion d’essere della riforma, si rivelano infondate sicché la prospettiva del riformismo costituzionale appare trascinarsi nelle tenebre.

E’ nella storia delle istituzioni italiane ammettere che gli equilibri costituzionali sono un patrimonio prezioso e delicato tale da non  poter essere sacrificato se non per estrema necessità e comunque con accurata diligenza.

Credere di poter riformare la Costituzione barattandola con intese o negoziazioni come  merce di scambio nel rapporto fra gruppi e/o dirigenti politici o, peggio ancora, immaginare la riforma come uno strumento di propaganda a buon mercato sarebbe un vero e proprio sacrilegio.

Insistere nel denunciare sommariamente l’inutilità di una delle due Camere è controproducente poiché non si fa altro che diffondere un messaggio perverso. Infatti il clima di antipolitica spinge esponenti delle istituzioni ad azzardare che al fine di risparmiare sui costi della politica può finanche rinunciarsi a una della due Camere. Così non è. Infatti occorre tener presente che i Costituenti avevano ben chiaro che ogni Assemblea costituiva un limite ai poteri dell’altra e questo proprio perchè <<il duplice esame delle leggi consente una valutazione più approfondita delle stesse, favorendo una maggiore corrispondenza agli interessi del Paese[6]>> .

Questo pericolo è stato inoltre apertamente segnalato da un appello di dodici giuristi rivolto a tutti i parlamentari giacchè rinunciassero <<a portare avanti una modifica tanto pericolosa del sistema costituzionale[7]>>. Certamente non può che condividersi in questa sede l’idea che l’alternativa alla impossibilità di una riforma ponderata non è quella di far peggio pur di non restar fermi.

E’ paradossale che proprio in Italia in cui sì è assistiti con l’ultima legge elettorale alla mortificazione del parlamento[8] si pensi esclusivamente a dar più forza al Governo. In tal proposito non può passare inosservato l’appello del Presidente della Rupubblica, il quale ha espresso il convincimento che le pur legittime proposte di più radicale revisione costituzionale richiedono una ponderazione e un confronto di certo – ha aggiunto il Predente Giorgio Napolitano - non immaginabili in questo periodo e clima di fine legislatura. L’auspico espresso dalla più alta carica istituzionale è - come si legge nella nota ufficiale diramata dal Quirinale - proteso al convincimento <<che si giunga ad una conclusione positiva sul già concordato progetto di più circoscritte modifiche costituzionali, e che ad esso si congiunga un accordo, da portare all’approvazione del Parlamento, su quella nuova legge elettorale la cui necessità è stata riconosciuta dal più ampio arco di forze parlamentari da me consultate all’inizio dell’anno[9]>>.

Concludendo non può non guardarsi con preoccupazione ad una riforma che poggia su presupposti tutt’altro che condivisi. Rimane la flebile speranza che non si finisca per sfornare una riforma caotica ed inutile.

Certo alcuni ritocchi al testo costituzionale possono considerarsi doverosi. Ciò però deve avvenire con una disegno chiaro e condiviso proprio perché riformare la Costituzione significa intervenire sulla e nella vita degli italiani. <<Dove però c’è da riformare, e da riformare c’è certamente, - sostenne diversi anni fa lo statista Aldo Moro - si riformi con coraggio, perché le istituzioni sono a servizio dell’uomo[10]>>.

Per intervenire sulla Costituzione occorre più sobrietà e - si spera - maggiore cautela. Ad oggi comunque non resta che attendere un testo definitivo per constatare se e cosa del testo proposto sarà accolto o se altri e diversi aspetti della Costituzione saranno modificati.

  

[1]Il testo è consultabile online Vedi Dossier – Servizi Studi del Senato. Atti della XVI legislatura, Riforma Costituzionale: Parlamento e Governo nel testo proposto dalla Commissione affari costituzionali del Senato.

[2]I ddl costituzionale nn. 24; 216; 873; 1086; 1114; 1218; 1548; 1589; 1590; 1761; 2319; 2784; 2785; 2941; 3183; 3204; 3210; 3252.

[3]Per una migliore e più attenta analisi si legga A. Algostino, In tema di riforme costituzionali. Brevi note sulla proposta di riduzione del numero dei parlamentari, in rivista AIC, n. 2/2012.

[4]cfr. V. Onida, Il “mito” delle riforme costituzionali, il Mulino n. 1/2004.

[5]Ivi.

[6]A. W. Pankiewicz, Codacci-Pisanelli e la Costituente: la questione della seconda camera, saggio contenutonel volume Codacci Pisanelli e la Costituente. ESI, Napoli, 1995.   

[7]I dodici giuristi U. Allegretti, G. Azzariti, L. Carlassere, L. Ferrajoli, G. Ferrara, D. Gallo, R La Valle, A. Pace, A. Pizzorusso, E. Resta, S. Rodotà, G. Zagrebelsky. Articolo dal titolo Il Parlamento blocchi la riforma Costituzionale in La Repubblica, 1 giugno 2012, p. 19.

[8]L. Carlassare, A proposito di riforme, in rivista AIC, n. 2/2012.

[9]Comunicato del Quirinale del 28.06.2012.

[10]Citazione di A. Moro in un passaggio del suo discorso al XII Cognresso della DC del marzo 1976.

1. Introduzione.

Bicamerale D’Alema del 1997-98, riforma del 2006 (bocciata in sede referendaria), c.d. “bozza Violante” del 2007… ed ora? A distanza di qualche tempo ecco farsi più concreta la proposta di riformare il testo vigente della Costituzione; infatti in questi giorni l’attuale dibattito politico ripropone l’ipotesi di revisione nella conclamata esigenza di modernizzare le istituzioni, mirando essenzialmente a rafforzare i poteri del Presidente del Consiglio dei Ministri.

In realtà il dibattito sul cambiamento dell’architettura istituzionale del nostro Pese, perché è di questo che si parla, ha trovato, in modo pressoché superficiale, approdo nelle soluzioni corrispondenti ad altri modelli praticati in diversi ordinamenti democratici (es. modello Tedesco, Francese, etc.).

Il testo base discusso dalla Commissione Affari Costituzionali del Senato[1] rappresenta una sintesi di ben tredici disegni di legge costituzionali[2] presentati da esponenti di varie forze politiche. L’esame si è concluso il 29 maggio con la finale approvazione da parte della commissione affari costituzionale del testo finale trasmesso all’Assemblea.

Al di là di valutazioni di comodo è l’analisi del testo trasmesso all’assemblea parlamentare ad interessare, anzitutto per ciò che attiene la reale incidenza di una ipotesi di riforma che nel suo iter è tutt’altro che conclusa.

Ampio è complesso si presenta il testo A.S. n. 24 giacché si prefigge di modificare organicamente la Costituzione in molti e diversi punti.

Ad onor del vero pare doveroso, già in premessa, ammettere la totale inesistenza di un clima politico e culturale sereno tale da garantire una discussione serena e approfondita circa le prospettive costituzionali. Quanto detto è dimostrato dal fatto che in più occasioni la discussione politica sull’ipotesi di riforma della Costituzione si è radicata nello scontro,  velando di ombre ogni ragionevole confronto.

Pertanto, passando a considerare il merito del disegno di legge, l’impressione complessiva è che si tratti di un tentativo di dare forma costituzionale alle tendenze politiche in atto. Una riforma costituzionale in alcuni punti miope, guidata da ragioni contingenti e che non riesce a vedere oltre l’orizzonte del presente.

Fermo restando che i punti del testo di riforma, per essere compresi, debbono necessariamente considerarsi integralmente, tuttavia al fine di una disamina, seppur sintetica ma, si spera, comunque completa, saranno analizzati mediante  raggruppamenti effettuati in ragione della rilevanza degli articoli di riforma proposti.     

 

2. Rafforzamento del ruolo del Presidente del Consiglio dei ministri – introduzione sfiducia costruttiva – ampliamento dei poteri del Governo nel procedimento legislativo. (Modifiche artt. 92; 94)

Stante le dichiarazioni quasi unanimi delle forze politiche presenti in Parlamento, lo sbilanciamento a favore di un rafforzamento del Governo pare essere la chiave di lettura dell’attuale proposta di riforma costituzionale.

Le misure che più delle altre favoriscono il rafforzamento a favore del Governo e, forse, a scapito del Parlamento possono essere così sintetizzate:

-         al Presidente del Consiglio compete non solo della nomina bensì anche della revoca dei ministri. Invero l’art. 10 del ddl costituzionale in parola, propone la modifica dell’art. 92 Cost., co. 2, stabilendo che <<il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei Ministri e su proposta di questo, nomina e revoca i Ministri>>;

-         il Presidente del Consiglio dei Ministri è il solo titolare del rapporto di fiducia con il Parlamento infatti la modifica dell’art 94 Cost. secondo la nuova formulazione prevede che <<il presidente del Consiglio dei Ministri deve avere la fiducia delle due Camere>>.

-         verrebbe ad essere modificato il meccanismo della fiducia prevista, tra l’altro, solo dopo la formazione del Governo mediante la modifica del terzo comma dell’attuale art. 94 Cost per il quale <<entro dieci giorni dalla formazione del Governo, il Presidente del Consiglio dei Ministri si presenta alle Camere per ottenere la fiducia>>. Il sistema sarebbe quindi composto da una doppia fiducia - prima al solo Presidente del Consiglio, poi all’intero Governo - scontando la naturale inclinazione di una riforma che tende a rafforzare il ruolo del Presidente del Consiglio.

Quest’ultimo punto richiede alcune precisazioni. Infatti, nel testo approvato dalla commissione affari costituzionali del Senato, è previsto che <<la mozione deve essere firmata almeno da un terzo dei componenti delle due Camere >> oggi invece il limite è di un decimo. Inoltre nel testo proposto si pone mano al quorum per la approvazione della mozione di sfiducia passando dall’ordinario quorum previsto per le votazioni da effettuarsi ad appello nominale, ad una <<maggioranza assoluta dei componenti della Camera e dei componenti del Senato>>. Il tutto sarebbe completato da una potestà deliberativa sulla mozione di sfiducia spettante <<al Parlamento in seduta comune>>.

Tuttavia il punto di maggior importanza è rappresentato dal fatto che la mozione di sfiducia <<deve contenere l’indicazione del nuovo Presidente del Consiglio dei Ministri e non può essere messa in discussione prima dei tre giorni dalla sua preparazione>>. L’obiettivo del progetto di riforma è dunque essenzialmente rivolto al rafforzamento del Governoanche se -si dichiara- insieme al rafforzamento del Parlamento.

Rafforzare ulteriormente il Governo? Questo è evidentemente il fine del progetto tanto che la mozione di sfiducia, la quale -come accennato- deve essere approvata dal Parlamento in seduta comune a maggioranza assolutadei componenti di ciascuna delle due Camere, è destinata a rendere più difficile raggiungere il numero di voti richiesti per sfiduciare il governo.

Certo di fronte ad un progetto che intende rafforzare la posizione del Governo sembra di assistere ad una  rappresentazione capovolta, perché qualsiasi osservatore -anche non avvezzo a questioni giuridiche- ha potuto percepire che, negli ultimi anni, il governo ha avuto una particolare forza anche in ragione di una legge elettorale che ha eletto un Parlamento debole, di nominati.

E non è solo la maggioranza assoluta richiesta per l’approvazione della mozione, ma anche il numero di parlamentari necessario alla sua presentazione -un terzo anziché un decimo- insieme alla convocazione del Parlamento in seduta comune, a trasformare in evento difficile e straordinario quello che, in un sistema parlamentare, dovrebbe essere un ricambio quasi naturale.

Altresì è previsto, al nuovo proposto art. 94 Cost., che <<il Presidente del Consiglio dei Ministri può porre davanti a una delle Camere la questione di fiducia>> e <<qualora la richiesta sia respinta il Presidente del Consiglio dei Ministri si dimette e può chiedere al Presidente della Repubblica lo scioglimento delle Camere o anche di una sola una di esse. Le Camere non possono essere sciolte se il Parlamento in seduta comune entro ventun giorni dalla richiesta di scioglimento indica, a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna delle due camere, il Presidente del Consiglio da nominare>> . Circostanza che verrebbe ad essere completata con l’inserimento di un ulteriore comma all’art. 94, per il quale, <<quando è approvata una mozione di sfiducia o il Parlamento indica un nuovo Presidente del Consiglio dei Ministri nei ventuno giorni successivi alla richiesta di scioglimento, il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio indicato e su proposta di questi i Ministri. In questi casi si intende che il Presidente del Consiglio indicato abbia già ottenuto la fiducia delle due Camere>>.

Di certo non per rafforzare il Parlamento, ma piuttosto il Governo si modifica l’art.72 consentendo al primo di chiedere che un disegno di legge venga <<iscritto con priorità all’ordine del giorno della Camera che lo esamina e sottoposto alla votazione finale entro  un termine determinato>>, trascorso il quale, il Governo stesso può chiederne l’approvazione senza emendamenti del proprio testo o di un altro che dichiara di accogliere (c.d. voto bloccato).

Il nuovo art. 72 prevede, nel testo della Commissione, l’introduzione di un particolare iter legislativo.  Tant’è che <<i disegni di legge approvati da una Camera sono trasmessi all’altra Camera e, salvo il caso di esercizio collettivo della funzione legislativa, sono da questa esaminati se, entro quindici giorni dalla trasmissione, né è deliberato il riesame il riesame su proposta di un terzo dei suoi componenti. Il riesame ha luogo anche su richiesta del Governo. Il disegno di legge può essere approvato, anche con modifiche, o respinto, entro i trenta giorni successivi alla deliberazione o alla richiesta di riesame. I disegni di legge si intendono definitivamente approvati quando si forma una deliberazione conforme delle due camere ovvero, nel testo approvato da una camera, in mancanza di deliberazione o richiesta di riesame o quando queste non sono seguite dalla votazione finale sul disegno di legge nel termine prescritto>>.

Orbene, rendere più veloce il procedimento legislativo può essere opportuno, ma ciò non può e non deve avvenire con costi elevati e gravanti sull’essenza del Parlamento. Bisogna evitare di scivolare nella tendenza di annullare il dibattito parlamentare vanificando di fatto  la sua funzione. Una votazione senza emendamenti impoverisce il confronto, impedisce l’apporto migliorativo possibile e soprattutto la considerazione complessiva degli interessi coinvolti. L’esperienza italiana degli ultimi decenni deve insegnare, poiché, semmai, la tendenza politica è stata quella opposta. Vale a dire si è assistiti all’approvazione rapidissima di leggi volute dal Presidente del Consiglio, talora per interessi contingenti.

Quindi se si unisce alla modifica dell’art.72 quella già menzionata dell’art. 94 che rende ancor più difficoltoso sfiduciare il Governo, l’obiettivo vero della revisione costituzionale appare ancora o, secondo i punti di vista, soltanto quello di mettere al sicuro il Governo e liberarlo da ogni impedimento costituzionale, mortificando la rappresentanza e di conseguenza gli elettori che la esprimono. Se, dunque, per dare maggior vigore al Governo si dovesse cedere fino a rendere quasi del tutto inutile il Parlamento si commetterebbe, senza ombra di dubbio, un gravissimo errore.

3. Trasformazione del bicameralismo da paritario a differenziato – raccordo entro il Senato con le autonomie territoriali regionali.(Modifica artt. 70; 72; 74; 75; 126 e introduzione art. 13 -disposizioni finali).

Nel testo approvato dalla Commissione affari costituzionali il bicameralismo verrebbe ad essere modificato passando dal principio di una funzione legislativa collettivamente esercitata dalla due Camere alla <<funzione legislativa è esercitata dalle due camere>> rendendo con ciò eventuale il bicameralismo paritario.

La differenziazione del bicameralismo esplicherebbe la sua essenza proprio nel procedimento legislativo. Infatti il riformato art. 72 Cost. al comma 2 recita <<la funzione legislativa è esercitata in forma collettiva dalle due Camere quando la Costituzione prescrive una maggioranza speciale di approvazione>>. Ma quando ciò avverrebbe? La funzione legislativasarebbe “collettiva” -lasciando in tal casi immutato il bicameralismo vigente- per i disegni di legge in materia costituzionale ed elettorale; quelli concernenti le prerogative e le funzioni degli organi costituzionali e dei rispettivi componenti; ancora per i disegni di legge per i quali la Costituzione prescrive una maggioranza speciale di approvazione (leggi revisione costituzionale, amnistia, indulto, sistema in materia di contabilità e finanza pubblica) e per tutta una serie di ipotesi tra cui occorre menzionare quei disegni di legge di iniziativa governativa, che al fine di garantire l’unità giuridica o economica della Repubblica e nel rispetto dei principi di leale collaborazione e sussidiarietà, intervengono nelle materie attribuite alla potestà legislativa regionale. Quest’ultima circostanza è, nella relazione del relatore, on. Vizzini, indicata come una supremacy clause.

Ne deriva quindi che tutti gli altri disegni di legge esclusi dall’elencazione l’esame della seconda Camera è solo eventuale.

Ancor più netta pare essere la previsione volta ad individuare in quale delle due Camere debba aver inizio l’iter legislativo, poiché il proposto art. 72 Cost. al terzo coma prevede che <<l’esame dei disegni di legge ha inizio alla Camera presso la quale sono stati presentati, quando la funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere. Ha inizio al Senato della Repubblica, quando la Costituzione prevede una legge della Repubblica  e quando i disegni di legge riguardano prevalentemente le materie di cui all’art. 117, terzo comma, e all’art. 119, ha inizio alla Camera dei deputati in tutti gli altri casi.>>.

L’assegnazione dei singoli disegni di legge all’una o all’altra camera residuerebbe alla potestà dei<<Presidenti delle due Camere d’intesa tra loro secondo le norme della Costituzione e dei rispettivi regolamenti>>.

Alcune riflessioni potrebbero essere poste con riguardo all’esigenza -quasi ossessionante- di riformare il bicameralismo perfetto. Tuttavia di certo i problemi sorgono,  ovviamente, sui modi volti a realizzare questo obiettivo. Il modo prescelto dal disegno di legge costituzionale sconta -a modesto parere di chi scrive- la debolezza della fase politica odierna.

Infine il raccordo con le Regioni sarebbe concretizzato mediante la creazione di una Commissione per le questioni regionali, composta da rappresentati regionali e Senatori. La Commissione avrebbe, secondo l’art. 13 del ddl, l’ingrato compito di esprimere <<il parere sui disegni di legge riguardanti le materie di cui all’art. 117, terzo comma, e all’art. 119 della Costituzione>>.  

Nonostante le già fallimentari le ipotesi di istituire Commissioni paritetiche per le questioni regionali in seno al Senato, ancora una volta  dunque aleggia la riesumazione di questa idea tutta’altro che innovativa.

Un riparto funzionale che essendo basato su un già di per sé confuso articolo 117 finirebbe per rendere ancor più complessa e confusa la formazione di una Commissione ibrida senza nessuna chiara legittimazione propriamente federale.

Sempre proseguendo la lettura della disposizione finale del testo (art. 13) sembra evincersi una potestà consultiva qualificata della Commissione paritetica giacchè è previsto che <<quando i pareri sono contrari o condizionanti, le corrispondenti disposizioni sono sottoposte alla deliberazione del Senato con votazione uninominale>> ammettendo un peculiare aggravamento procedurale sulle materie di competenza della Commissione.

4. Abbassamento dell’età richiesta per l’elezione alla Camera e al senato per l’elettorato attivo - Riduzione del numero dei parlamentari – Statuto delle opposizioni.

Modifica degli artt. 56; 57; 58; 64; 69; 72.

La nuova formulazione dell’art. 56 Cost. prevede che <<il numero dei deputati è di cinquecentootto, otto dei quali eletti nella circoscrizione estero>> prevedendo altresì una modifica dell’elettorato passivo essendo <<eleggibili a deputati tutti gli elettori che nel giorno delle elezioni hanno compiuto i ventuno anni di età>>.

Così come per la Camera di Deputati medesimo intervento è posto in essere per il Senato laddove, secondo la nuova formulazione, l’art. 57 Cost. indicherebbe <<il numero dei senatori elettivi è di duecentocinquanta, quattro dei quali eletti nella circoscrizione Estero>>. Anche per il Senato al fine di favorire e facilitare l’accesso alle cariche elettive delle classi più giovani è stata pensata la modifica dell’art. 58 Cost. prescrivendo per l’elezione a senatore degli <<elettori che hanno compito il trentacinquesimo anno di età>>.

Dei predetti interventi riformatori pare non possa che parlarsi bene. Anzi in una clima sociale logoro della rappresentanza politica, la riduzione del numero dei Parlamentari sembra quasi l’unico mezzo risolutivo di tutti i più disparati problema. Ma, da giuristi, occorre ribadire che così non è. In realtà alcune criticità permangono, poiché se è vero che in tal modo si dà risposta all’antipolitica montante la riduzione immaginata è talmente esigua tale per cui l’organo legislativo non assuma alcuna autorevolezza bensì finisce solo per restringere il campo della partecipazione politica[3].

In ultimo occorre rimarcare che  rimane poco chiaro perché la riduzione nel numero dei parlamentari non abbia portato anche a sanare l’errore commesso da una precedente improvvida misura di revisione. I collegi esteri che hanno dato pessima prova. Conservarli, riducendone il numero, vuol dire confermarne la validità di principio. Non credo che qualcuno lo pensi, ma chi può saperlo, nel silenzio assordante che circonda la riforma annunciata.

Nell’ipotesi di modifica è stato previsto un particolare intervento volto a responsabilizzare nell’impegno istituzionale tutti gli eletti che in virtù del nuovo art. 69 Cost. <<hanno il dovere di partecipare ai lavori delle Camere, anche nelle Commissioni>>.

Parimenti al fine di istituzionalizzare il ruolo, certamente importante, dell’ opposizione il disegno di legge dispone che i regolamenti parlamentari oltre a garantire <<le prerogative e i poteri del Governo e della maggioranza statuiscano alcuni diritti delle opposizioni e delle minoranze in ogni fase dell’attività parlamentare>>, e con migliore specificità con l’art. 7 del testo proposto dalla Commissione che modifica l’attuale art. 72 Cost., che <<i regolamenti delle Camere stabiliscono le modalità per la discussione e votazione finale in tempi certi di proposte indicate dai gruppi parlamentari di opposizione>>.

5. Conclusioni.

L’incidenza del testo di riforma appena analizzato, pone in conclusione alcune riflessioni tutt’altro che scontate e banali.

In prima istanza sarebbe opportuno domandarsi se, considerata la portata della riforma poc’anzi analizzata, l’attuale momento ed il contesto socio-politico ed economico sia adatto per riformare la Costituzione.

Il problema di riformare la Costituzione, di cui oggi si fa un gran parlare, significa (ri) dare forma ai principi e alle istituzioni fondanti il Paese, sul presupposto che oltre a non ritenere più efficiente l’attuale forma, è necessario che anche il nuovo modello ipotizzato sia tale da scaturire da un nuovo processo costituente volto ad assicurare la tenuta dei principi e di alcuni equilibri che nel tempo, a fatica, sono stati acquisiti.

Invero le modifiche alla Costituzione sono, o dovrebbero essere, -secondo autorevole dottrina- <<un’evenienza straordinaria[4]>> tali da <<interviene solo in presenza di una maturata convinzione circa l’esistenza di problemi o di esigenze che non possono trovare soluzione o soddisfazione adeguata entro la cornice costituzionale vigente[5]>>.

E’ fuor di dubbio che prefiggendo di realizzare il rafforzamento del Governo si corre il rischio -rischio concreto stante la proposta avanzata- di creare uno squilibrio tale da sovrastare anche alcune misure certamente positive.

Così ad esempio creare una c.d. sfiducia costruttiva assieme all’ipotesi di revoca dei Ministri rappresentano due disposizioni potenzialmente idonee a garantire stabilità ai Governi e a razionalizzare il rapporto di questo con il Parlamento; ma solo se introdotte assieme a misure idonee a rafforzare il Parlamento possono essere giustificate altrimenti finirebbero per indebolire ulteriormente la già flebile capacità del Parlamento di esercitare un suo ruolo rischiando di favorire tendenze volte a permettere al Governo di sottrarsi dal controllo parlamentare.

Molte testate giornalistiche riportano con cadenza quotidiana le dichiarazioni di autorevoli esponenti politici  secondo i quali una riforma della Costituzione sarebbe necessaria al fine di assicurare la stabilità e la continuità dei Governi. Tesi quest’ultima che convince solo in parte, giacchè le esigenze reali, che vengono rappresentate come ragion d’essere della riforma, si rivelano infondate sicché la prospettiva del riformismo costituzionale appare trascinarsi nelle tenebre.

E’ nella storia delle istituzioni italiane ammettere che gli equilibri costituzionali sono un patrimonio prezioso e delicato tale da non  poter essere sacrificato se non per estrema necessità e comunque con accurata diligenza.

Credere di poter riformare la Costituzione barattandola con intese o negoziazioni come  merce di scambio nel rapporto fra gruppi e/o dirigenti politici o, peggio ancora, immaginare la riforma come uno strumento di propaganda a buon mercato sarebbe un vero e proprio sacrilegio.

Insistere nel denunciare sommariamente l’inutilità di una delle due Camere è controproducente poiché non si fa altro che diffondere un messaggio perverso. Infatti il clima di antipolitica spinge esponenti delle istituzioni ad azzardare che al fine di risparmiare sui costi della politica può finanche rinunciarsi a una della due Camere. Così non è. Infatti occorre tener presente che i Costituenti avevano ben chiaro che ogni Assemblea costituiva un limite ai poteri dell’altra e questo proprio perchè <<il duplice esame delle leggi consente una valutazione più approfondita delle stesse, favorendo una maggiore corrispondenza agli interessi del Paese[6]>> .

Questo pericolo è stato inoltre apertamente segnalato da un appello di dodici giuristi rivolto a tutti i parlamentari giacchè rinunciassero <<a portare avanti una modifica tanto pericolosa del sistema costituzionale[7]>>. Certamente non può che condividersi in questa sede l’idea che l’alternativa alla impossibilità di una riforma ponderata non è quella di far peggio pur di non restar fermi.

E’ paradossale che proprio in Italia in cui sì è assistiti con l’ultima legge elettorale alla mortificazione del parlamento[8] si pensi esclusivamente a dar più forza al Governo. In tal proposito non può passare inosservato l’appello del Presidente della Rupubblica, il quale ha espresso il convincimento che le pur legittime proposte di più radicale revisione costituzionale richiedono una ponderazione e un confronto di certo – ha aggiunto il Predente Giorgio Napolitano - non immaginabili in questo periodo e clima di fine legislatura. L’auspico espresso dalla più alta carica istituzionale è - come si legge nella nota ufficiale diramata dal Quirinale - proteso al convincimento <<che si giunga ad una conclusione positiva sul già concordato progetto di più circoscritte modifiche costituzionali, e che ad esso si congiunga un accordo, da portare all’approvazione del Parlamento, su quella nuova legge elettorale la cui necessità è stata riconosciuta dal più ampio arco di forze parlamentari da me consultate all’inizio dell’anno[9]>>.

Concludendo non può non guardarsi con preoccupazione ad una riforma che poggia su presupposti tutt’altro che condivisi. Rimane la flebile speranza che non si finisca per sfornare una riforma caotica ed inutile.

Certo alcuni ritocchi al testo costituzionale possono considerarsi doverosi. Ciò però deve avvenire con una disegno chiaro e condiviso proprio perché riformare la Costituzione significa intervenire sulla e nella vita degli italiani. <<Dove però c’è da riformare, e da riformare c’è certamente, - sostenne diversi anni fa lo statista Aldo Moro - si riformi con coraggio, perché le istituzioni sono a servizio dell’uomo[10]>>.

Per intervenire sulla Costituzione occorre più sobrietà e - si spera - maggiore cautela. Ad oggi comunque non resta che attendere un testo definitivo per constatare se e cosa del testo proposto sarà accolto o se altri e diversi aspetti della Costituzione saranno modificati.

  

[1]Il testo è consultabile online Vedi Dossier – Servizi Studi del Senato. Atti della XVI legislatura, Riforma Costituzionale: Parlamento e Governo nel testo proposto dalla Commissione affari costituzionali del Senato.

[2]I ddl costituzionale nn. 24; 216; 873; 1086; 1114; 1218; 1548; 1589; 1590; 1761; 2319; 2784; 2785; 2941; 3183; 3204; 3210; 3252.

[3]Per una migliore e più attenta analisi si legga A. Algostino, In tema di riforme costituzionali. Brevi note sulla proposta di riduzione del numero dei parlamentari, in rivista AIC, n. 2/2012.

[4]cfr. V. Onida, Il “mito” delle riforme costituzionali, il Mulino n. 1/2004.

[5]Ivi.

[6]A. W. Pankiewicz, Codacci-Pisanelli e la Costituente: la questione della seconda camera, saggio contenutonel volume Codacci Pisanelli e la Costituente. ESI, Napoli, 1995.   

[7]I dodici giuristi U. Allegretti, G. Azzariti, L. Carlassere, L. Ferrajoli, G. Ferrara, D. Gallo, R La Valle, A. Pace, A. Pizzorusso, E. Resta, S. Rodotà, G. Zagrebelsky. Articolo dal titolo Il Parlamento blocchi la riforma Costituzionale in La Repubblica, 1 giugno 2012, p. 19.

[8]L. Carlassare, A proposito di riforme, in rivista AIC, n. 2/2012.

[9]Comunicato del Quirinale del 28.06.2012.

[10]Citazione di A. Moro in un passaggio del suo discorso al XII Cognresso della DC del marzo 1976.