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Se è gratis il prodotto sei tu

Se il capitalismo industriale ha distrutto l’ambiente in modo tanto pericoloso, che danni potrebbe fare il capitalismo della sorveglianza alla natura umana?
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Se è gratis il prodotto sei tu


Indice

  1. Introduzione
  2. Il caso
  3. I rischi
  4. Conclusioni


1. Introduzione

Se il capitalismo industriale ha distrutto l’ambiente in modo tanto pericoloso, che danni potrebbe fare il capitalismo della sorveglianza alla natura umana? Così si chiedeva Shoshana Zuboff ne “Il capitalismo della sorveglianza”.

A questo quesito tenteremo di dare una risposta, passando per il racconto di un recente episodio di cronaca avvenuto a Milano e che ha visto coinvolta una nota società di car sharing, vittima, insieme a numerosi ignari utenti, di una mega truffa. Complici di questa truffa sono stati, loro malgrado, gli utenti che, con leggerezza hanno condiviso sui social, e non solo, informazioni e documenti che sarebbero dovuti rimanere riservati. È difatti di una decina di giorni fa la notizia che alcune piattaforme di file sharing sul deep web condividevano migliaia di fotografie (8,8 GB) di cittadini con in mano il proprio documento di identità, intenti ad effettuare la registrazione per servizi di diversa natura, attestando la propria identità. Purtroppo, alcuni dei siti relativi a questi servizi sono stati letteralmente “bucati” dagli hacker, permettendo così la fuga di queste informazioni.

Nel corso della dissertazione analizzeremo il fatto sia da un punto di vista prettamente giuridico e criminologico, in rapporto agli aspetti legati ai reati, che da un punto di vista squisitamente sociologico, in virtù di quelli che sono i mutamenti sociali che hanno favorito la truffa e che andremo a raccontare.


2. Il caso

Si tratta di un episodio venuto agli onori delle cronache qualche settimana fa. Tutto ha avuto inizio la notte di Capodanno del 2020 a Milano quando una FIAT 500 di Enjoy, una delle più note aziende di carsharing, urtava una colonna di veicoli in sosta. Tutti gli occupanti sul veicolo fuggivano abbandonando il teatro dell’evento. Ovviamente le autorità hanno aperto un’indagine. Dall’indagine è emerso che l’auto era stata noleggiata con un account falso, i cui dati sono stati sottratti da una persona totalmente estranea al fatto. Attraverso una collaborazione tra l’ufficio Security di Eni e il Nucleo Crimini Informatici e Telematici della Polizia locale, si è risaliti all’autore della truffa, un giovane residente a Milano che gestiva 220 account Enjoy falsi.

Per attivare un account Enjoy occorre la patente di guida, un numero di telefono e una carta di credito. Le patenti erano facilmente reperibili sui profili social di utenti neopatentati che le postavano imprudentemente online. Le utenze telefoniche per ottenere il PIN al fine del completamento dell’account erano riconducibili a SIM CARD straniere o assegnate anch’esse ad ignare persone. In ultimo, per le carte di credito dove addebitare il costo della transazione per il noleggio, si utilizzavano “carte di pagamenti virtuali” con pochissimi centesimi a disposizione e associate alla carta fisica del truffatore.

Possiamo immaginare che l’indagine non deve essere stata facile ma, dopo due anni finalmente, si è conclusa con 80 capi di imputazione e 70 soggetti indagati, tra cui anche minorenni. Tra i vari reati contestati agli indagati vi è sicuramente la truffa (Art. 640 c.p. «Chiunque, con artifizi o raggiri, inducendo taluno in errore, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno…») e la sostituzione di persona (Art. 494 c.p. «Chiunque, al fine di procurare a sé o ad altri un vantaggio o di recare ad altri un danno, induce taluno in errore, sostituendo illegittimamente la propria all'altrui persona, o attribuendo a sé o ad altri un falso nome…»).

Ancora, la Frode Informatica (Art. 640 ter, co. 3 Codice penale) di cui già trattato, peraltro, in questa stessa rubrica.

Sicuramente per gli occupanti della 500 nella notte di Capodanno si configura la violazione dell’Art. 189 comma 6 del codice della strada, fuga dal luogo dell’incidente.


3. I rischi

Abbiamo parlato di solo alcuni dei capi di imputazione contestati agli indagati, ma ci piacerebbe in questa sede dissertare su alcuni gravi pericoli a livello sociale che si paventano laddove le maglie del controllo in fase di creazione di un account di carsharing sono eccessivamente larghe.

Per deformazione professionale degli autori, ci porta sicuramente a pensare alla frode assicurativa ex art. 642 del Codice penale. Già in passato abbiamo trattato, in un precedente contributo, relativamente a quanto le società di noleggio auto siano esposte al rischio di sinistri fraudolenti. L’identificazione del cliente da parte della società di noleggio non costituiva affatto un deterrente per chi compilava constatazioni amichevoli attestanti sinistri auto mai accaduti. Possiamo immaginare quanti sinistri stradali potrebbero essere aperti a carico di una qualsiasi società di carsharing da parte di un utente che godrebbe del totale anonimato grazie alla creazione dell’account fake e perciò di un’impunità pressoché certa. Immaginiamo inoltre le difficoltà di contestare qualsivoglia addebito su un mezzo che nell’arco della giornata viene utilizzato da più e più automobilisti.

Sicuramente chi legge ricorderà l’attentato di Nizza nel 2016 e le sue modalità di realizzazione. Un camion è stato “lanciato” ad alta velocità sulla folla, travolgendo oltre un centinaio di persone e uccidendone ottanta. A seguito di quell’episodio si è avvertita l’esigenza di identificare i clienti all’atto del noleggio e di trasmettere allo SDI le generalità degli stessi al fine di permettere alle autorità di Pubblica Sicurezza qualunque genere di “allert” di terrorismo. Viene da sé che gli account falsi vanificherebbero questo tipo di “precauzioni.

Inutile elencare tutta una serie di ulteriori attività criminose quali guida senza patente, rapine etc. dai pericolosi risvolti per la sicurezza pubblica che l’anonimato di un account falso agevolerebbe. A tal proposito è doveroso operare una riflessione in tal senso. Abbiamo già visto come il solo dimenticare le chiavi dell’auto inserite nel quadro espone l’automobilista ad una sanzione amministrativa ex Articolo 158 co. 4 Codice della Strada. Alla luce di ciò, torniamo dunque alle maglie larghe nella creazione di un account di car sharing per ipotizzare in maniera totalmente speculativa se le stesse non possano esporre i proprietari della piattaforma ad affidamento incauto di veicolo ex art. 116 del codice della strada.

A seguito della vicenda sopra trattata l’ENI è intervenuta sulle policy per l’accesso al servizio di carsharing. Auspichiamo che queste modifiche siano sufficienti a prevenire fenomeni come quello che ha l’vista, suo malgrado protagonista


4. Conclusioni

Abbiamo perciò ventilato, in via squisitamente speculativa, una forma di corresponsabilità da parte dei proprietari della piattaforma di car sharing ed è pleonastico dire che sia indiscussa la responsabilità penale del gestore dei 220 account falsi e di tutti coloro che ne abbiano usufruito per gli scopi illeciti più variegati, vogliamo spostare il focus della dissertazione sulla responsabilità delle vittime del furto di identità nel proteggere alcune informazioni.

Non si vuole assolutamente criminalizzare la vittima, ma sensibilizzare piuttosto ai rischi che un comportamento particolarmente leggero nella condivisione delle proprie informazioni personali espone gli utenti del web.

Il paradosso è evidente: da una parte si chiede sempre maggiore protezione da parte dello Stato, ma allo stesso tempo si pretende la “libertà[1] di condividere aspetti del nostro quotidiano che fino a poche decine di anni fa non avremmo mai immaginato di mettere sul web. Oggi, tutto ciò era privato diviene pubblico, lo si ostenta e viene celebrato da un numero di “amici” casuali. [2] Si è assistito ad un passaggio dal diritto al riserbo alla rivendicazione dell’ostentazione. Purtroppo, si tratta di un impasse insuperabile. Le due istanze non possono coesistere. L’ostentazione della nostra intimità sui social mette inevitabilmente a rischio la nostra identità e la nostra sicurezza.

L’informatica e la rete sono nate per essere al servizio dell’uomo. Tuttavia, nella nostra società è il comportamento umano che viene mercificato e ridotto ad un prodotto facilmente monetizzabile. I nostri dati sono di interesse delle aziende e delle società di marketing che profilano le offerte commerciali ritagliate come il vestito di un sarto. Sono di interesse dei partiti politici che costruiscono campagne di informazione mirate. Ne è un esempio il recente caso di Cambridge Analytica. È innegabile come l’accesso incondizionato ai cosiddetti “Big Data” possa influenzare gli esiti elettorali e referendari di qualunque paese democratico.

L’inconsapevolezza del valore e dell’importanza dei nostri dati non è solo una forma di incoscienza, ma, non ci sentiamo di esagerare nel definirla addirittura, una forma di irresponsabilità civile.

Non possiamo non rievocare dunque la metafora dell’uomo di vetro, quando durante il periodo nazista l’autorità era legittimata ad ottenere qualunque informazione desiderasse e ritenendo sospetto chiunque, legittimamente, anelasse la propria riservatezza. Oggi è l’individuo che, volontariamente, trasforma sé stesso nell’uomo di vetro. Non possiamo che considerarla una vittoria del capitalismo della sorveglianza.

***

[1] Castel, R. (2004). L’insicurezza sociale. Che significa essere protetti.

[2] Bauman, Z., & Lyon, D. (2015). Sesto potere: la sorveglianza nella modernità liquida. Gius. Laterza & Figli Spa.