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Separazione: addebito per maltrattamenti

Bugie di fieno
Ph. Luca Martini / Bugie di fieno

Così ha stabilito la Suprema Corte, Pres. Dott. Massimo Ferro, nell’ordinanza del 5 ottobre 2021 emessa nel procedimento iscritto sub R.G. 19410/2020.

Il procedimento de quo vede in causa due coniugi che hanno visto scemare irrimediabilmente la loro aspettativa di convivenza probabilmente poco tempo dopo la celebrazione del matrimonio, proseguito per non oltre cinque anni, a seguito dei quali la moglie ha richiesto al giudice la pronuncia di separazione personale.

Nel giudizio di primo grado oltre a dichiarare la separazione, il giudice adito respingeva entrambe le domande di addebito della separazione e poneva a carico del marito il versamento della somma di € 400,00 a titolo di contributo al mantenimento della ricorrente.

Appellata la sentenza innanzi alla Corte d’Appello di Firenze, il giudice di secondo grado respingeva i gravami proposti da entrambe le parti, sottolineando come, in relazione alla domanda di addebito formulata dalla moglie in primo grado e successivamente riproposta, mancasse prova certa e inequivoca dei maltrattamenti subiti.

In particolare riteneva la Corte che i maltrattamenti familiari subiti non potessero ritenersi forniti di adeguati elementi di prova dal momento che l’escussione testimoniale stessa, condotta in primo grado, dovesse ritenersi illegittima e conseguentemente inammissibile avendo i testimoni espresso meri pareri riguardo a circostanze di carattere puramente valutativo riportando inoltre fatti dei quali erano venuti a conoscenza solamente per via indiretta.

Ma il giudizio della Corte non si basava solo su tale circostanza, dal momento che il Pubblico Ministero competente aveva deciso di disporre l’archiviazione della denuncia per i maltrattamenti, risultando la notizia di reato contenuta nella stessa infondata e mancando conseguentemente il requisito processuale rilevante in sede penale.

Nella specie dunque, la caducazione della condizione di procedibilità nei confronti del marito, oltre che le prove testimoniali ritenute inammissibili conducevano i giudici di secondo grado a non accogliere la domanda di addebito della separazione.

Ma non solo, la Corte riconosceva inoltre che la crisi coniugale fosse antecedente ai fatti posti a fondamento della domanda di addebito della separazione e dovesse ritenersi riconducibile a un periodo precedente e scaturito probabilmente poco tempo dopo la celebrazione del matrimonio, dal momento che i coniugi stessi avevano contratto matrimonio in età avanzata e dunque in presenza di abitudini di vita ormai radicate e di caratteri probabilmente inidonei all’instaurazione e prosecuzione della convivenza.

I giudici dell’appello confermavano comunque l’assegno di mantenimento in favore della moglie nella misura determinata dal giudice di primo grado.

La valutazione del mantenimento era stata ritenuta congrua vista la situazione patrimoniale delle parti: il marito, pur essendo proprietario di un immobile del valore di € 1.250.000,00 e percependo un reddito mensile netto pari a circa € 2.400,00, doveva contribuire al mantenimento della figlia ultraquarantenne in condizioni di disabilità, mentre la moglie, oltre a percepire una pensione di invalidità pari ad € 400,00 mensili, abitava all’interno di un immobile condotto in locazione dal precedente coniuge; la coppia inoltre, in costanza di matrimonio e dunque durante la convivenza, aveva sempre tenuto un stile di vita ritenuto “parco” dal momento che i coniugi avevano vissuto in una casa isolata senza alcuna forma di spesa utile e voluttuaria.

Proponeva dunque ricorso in cassazione la moglie sulla base di tre motivi di gravame tutti ritenuti dai supremi giudici inammissibili.

Si segnalano gli orientamenti costanti non solo in tema di addebito della separazione richiamati dalla S.C. nella stesura della motivazione dell’ordinanza de quo, ma altresì in tema di commisurazione dell’assegno di mantenimento compiuta dal giudice di merito.

Richiamando la pronuncia n. 9915 del 2007, la sesta sezione civile pronunciatasi sulla questione ha evidenziato come, in tema di assegno di mantenimento, il giudice del merito debba accertare, in relazione alla congruità dell’assegno, il tenore di vita di cui i coniugi abbiano goduto durante la convivenza, prescindendo da qualsiasi considerazione svolta unicamente riguardo al reddito di una parte per quanto questo possa risultare elevato, svolgendo i dovuti approfondimenti sulle condizioni delle parti, l’eventuale stile di vita particolarmente agiato e lussuoso (se del caso anche attraverso indagini da parte della polizia tributaria), la capacità di spesa, la posizione del beneficiario e via discorrendo.

Accertamenti questi che si rendono inoltre necessari per la determinazione dell’assegno del figlio minore e altresì per il figlio maggiorenne in condizioni di non autosufficienza (per approfondimenti Genitori e figli maggiorenni: Link; sul punto più in generale, si vedano anche i contributi disponibili alla pagina assegno di mantenimento: Link).

La prova della ricorrenza di tali circostanze dovrà ricadere su colui che ha intenzione di richiede l’assegno di mantenimento (Cass. 1691/1987) il quale dovrà fornire adeguata prova circa il mantenimento di un determinato tenore di vita goduto in costanza di matrimonio; ovviamente sarà onere all’altra parte contestare la pretesa inesistenza di tale domanda deducendo circostanze opportune a paralizzare l’avversa richiesta.

Venendo al tema caldo circa l’addebito della separazione dedotto con il terzo motivo di ricorso, la Suprema Corte, richiamando le precedenti pronunce nn. 16859/2015 e 16270/2013, ha statuito che se è pur vero che l’inosservanza dell’obbligo di fedeltà coniugale rappresenti una violazione particolarmente grave e di per sé tale da pregiudicare la tollerabilità della convivenza, sancendo conseguentemente l’addebito al coniuge infedele, nel caso in cui manchi un nesso causale tra infedeltà e crisi coniugale, per la presenza di una crisi già irrimediabilmente in atto e in un contesto caratterizzato da una convivenza meramente formale, debbano ritenersi insussistenti i presupposti per l’addebito.

Ne consegue una valutazione in termini di causalità circa l’incidenza dei comportamenti del coniuge inadempiente agli obblighi scaturenti dall’unione coniugale per la determinazione dell’eventuale addebito della crisi matrimoniale.

Nel caso di specie inoltre la ricorrente, nei motivi di ricorso, ometteva di indicare specificatamente le circostanze oggetto di prova delle quali denunciava il difetto di motivazione impedendo pertanto al giudice di legittimità di poter operare un controllo sulla decisività dei fatti da provare e conseguentemente delle prove stesse e sulla base di tale argomento riteneva il terzo ed ultimo motivo inammissibile, risolvendosi incompatibilmente ai principi processuali in una sollecitazione ad una rilettura delle risultanze del giudizio diverse da quelle operate dal giudice di merito.

Questa la recente pronuncia della Corte di Cassazione in tema di requisiti per l’ottenimento dell’addebito di separazione ai sensi dell’art. 156 c.c.