Separazione - Cassazione Civile: per l’assegno di mantenimento nella separazione resta valido il criterio del tenore di vita

Separazione - Cassazione Civile: per l’assegno di mantenimento nella separazione resta valido il criterio del tenore di vita
Separazione - Cassazione Civile: per l’assegno di mantenimento nella separazione resta valido il criterio del tenore di vita

L’obbligo di assistenza materiale trova, di regola, attuazione nel riconoscimento di un assegno di mantenimento in favore del coniuge che versa in una posizione economica deteriore e non è in grado, con i propri redditi, di mantenere un tenore di vita analogo a quello offerto dalle potenzialità economiche dei coniugi.

Dopo soli due giorni, la Suprema Corte torna a statuire in merito ai contributi da corrispondere in favore dell’ex coniuge. Il 10 maggio ha rivisto i criteri per la determinazione del diritto all’assegno di divorzio, il 16 maggio analizza l’assegno di mantenimento in favore del coniuge separato.

Il 10 maggio gli ermellini stabiliscono che per determinare il quantum dell’assegno divorzile non deve essere preso in considerazione il tenore di vita goduto dai coniugi durante il matrimonio; al contrario, il 16 maggio riconoscono nel tenore di vita uno degli elementi da valutare per la determinazione dell’assegno di mantenimento da corrispondere al coniuge separato.

 

Le differenze dell’assegno nella separazione e nel divorzio

La diversità di criteri adoperati per verificare l’esistenza o meno del diritto all’assegno di mantenimento / divorzio e per determinare la sua quantificazione, è giustificata da una profonda differenza fra queste due tipologie di assegno.

Innanzitutto la loro fonte normativa è diversa: l’articolo 156 del codice civile per l’assegno a favore del coniuge separato, l’articolo 5 comma 6 della legge n. 898 del 1970 per l’assegno di divorzio. In secondo luogo è, altresì, diverso il presupposto sui cui si basa il dovere di assistenza materiale fra i coniugi nell’ambito della separazione personale, da un lato, e gli obblighi correlati alla cosiddetta “solidarietà post-coniugale” nel giudizio di divorzio, dall’altro.

Nel primo caso, invero, il rapporto coniugale non viene meno, atteso che si verifica soltanto una sospensione dei doveri di natura personale, quali la convivenza, la fedeltà e la collaborazione; gli aspetti patrimoniali, invece, rimangono invariati pur assumendone forme confacenti alla nuova statuizione.

Nel caso della sentenza che pronuncia lo scioglimento del matrimonio o la cessazione dei suoi effetti civili, invece, il rapporto matrimoniale si estingue completamente, sia sul piano personale, sia sul piano economico-patrimoniale.

 

Le motivazioni della Cassazione

La Suprema Corte inizia il suo ragionamento proprio da questa profonda differenza fra i due istituti. Gli ermellini affermano infatti che “l’obbligo di assistenza materiale trova di regola attuazione nel riconoscimento di un assegno di mantenimento in favore del coniuge che versa in una posizione economica deteriore e non è in grado, con i propri redditi, di mantenere un tenore di vita analogo a quello offerto dalle potenzialità economiche dei coniugi”.

In altre parole, con il termine “redditi adeguati”, l’articolo 156 del codice civile ha inteso riferirsi al tenore di vita consentito dalle possibilità economiche dei coniugi (così Cass. 24 aprile 2007 n. 9915).

In sostanza il giudice di merito, per verificare il diritto all’assegno di mantenimento, dovrà appurare se i mezzi economici di cui dispone il coniuge richiedente l’assegno, gli consentano o meno di conservare tale tenore di vita; all’esito di tale verifica, per la determinazione dell’assegno, occorrerà procedere ad una valutazione comparativa dei mezzi di cui dispone ciascun coniuge, valutati anche sulla base di particolari circostanze, come ad esempio la durata della convivenza.

A questa lettura della norma si potrebbe obiettare sostenendo l’incostituzionalità dell’articolo 156 del codice civile per la violazione del principio solidaristico e del principio di uguaglianza. In particolare, la violazione del principio solidaristico potrebbe ravvisarsi nella parte in cui la norma consente al coniuge, beneficiario dell’assegno, di percepire somme superiori a qualsiasi lavoratore, così eccedendo la possibilità di godere di un’esistenza libera e dignitosa, privilegiando in tal modo uno status sociale che consente al coniuge beneficiario di sottrarsi al dovere di contribuire al progresso sociale per il tramite della propria attività lavorativa. Dall’altro lato, la violazione del principio di uguaglianza si ravviserebbe nel porre gli obblighi sanciti da detta norma soltanto a carico del coniuge onerato.

Per rispondere a questa eccezione di illegittimità costituzionale, la Corte ha precisato che la norma, nell’interpretazione costantemente esposta dalla Cassazione stessa, non è intesa a promuovere una colpevole inerzia del beneficiario, in quanto si ritiene che, in relazione all’assegno di mantenimento in esame, si debba tener in considerazione l’attitudine del coniuge al lavoro, intesa come effettiva possibilità di svolgimento di un’attività lavorativa retributiva, in considerazione di ogni concreto fattore individuale ed ambientale (cfr. Cass., 13 febbraio 2013, n. 3502; Cass., 25 agosto 2006, n. 18547; Cass., 2 luglio 2004, n. 12121).

In ordine alla violazione del principio di uguaglianza, gli ermellini ribadiscono che l’attribuzione di un assegno di mantenimento al coniuge che non abbia adeguati redditi propri trova la sua fonte nel rilevante ruolo che l’articolo 29 della Costituzione attribuisce alla famiglia nell’ambito dell’ordinamento.

Alla luce di ciò la Suprema Corte afferma che “la determinazione dell’assegno di mantenimento sulla base del tenore di vita dei coniugi, tenuto conto delle altre circostanze e dei redditi dell’obbligato, costituisce l’espressione di quei valori costituzionali sopra richiamati che, secondo criteri di proporzionalità e ragionevolezza, si trovano in rapporto di integrazione reciproca con gli altri principi e diritti fondamentali affermati dalla Costituzione”. A tal proposito è utile richiamare il principio della Corte Costituzionale secondo cui “tutti i diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione si trovano in rapporto di integrazione reciproca e non è possibile pertanto individuare uno di essi che abbia la prevalenza assoluta sugli altri. La tutela deve essere sempre sistemica e non frazionata in una serie di norme non coordinate ed in potenziale conflitto tra loro”.

 

La decisione della Cassazione

Chiarito ciò, la Corte di Cassazione, in definitiva, ha confermato e avvalorato che il tenore di vita goduto dai coniugi durante il matrimonio rimane uno degli elementi da prendere in considerazione per la quantificazione dell’assegno di mantenimento a favore del coniuge separato. In particolare, benché la separazione determini normalmente la cessazione di una serie di benefici e consuetudini di vita e anche il diretto godimento di beni, “il tenore di vita goduto in costanza della convivenza va identificato avendo riguardo allo standard di vita reso oggettivamente possibile dal complesso delle risorse economiche dei coniugi, tenendo quindi conto di tutte le potenzialità derivanti dalla titolarità del patrimonio in termini di redditività, di capacità di spesa, di garanzie di elevato benessere e di fondate aspettative per il futuro. Inoltre, al fine della determinazione del “quantum” dell’assegno di mantenimento, la valutazione delle condizioni economiche delle parti non richiede necessariamente l’accertamento dei redditi nel loro esatto ammontare, essendo sufficiente un’attendibile ricostruzione delle complessive situazioni patrimoniali e reddituali dei coniugi” (così anche Cass., 22 febbraio 2008, n. 4540; Cass., 7 dicembre 2007, n. 25618; Cass., 12 giugno 2006, n. 13592; Cass., 19 marzo 2002, n. 3974).

(Corte Suprema di Cassazione - Sezione Prima Civile, Presidente Di Palma - Relatore Campanile, Sentenza 16 maggio 2017, n. 12196)

L’obbligo di assistenza materiale trova, di regola, attuazione nel riconoscimento di un assegno di mantenimento in favore del coniuge che versa in una posizione economica deteriore e non è in grado, con i propri redditi, di mantenere un tenore di vita analogo a quello offerto dalle potenzialità economiche dei coniugi.

Dopo soli due giorni, la Suprema Corte torna a statuire in merito ai contributi da corrispondere in favore dell’ex coniuge. Il 10 maggio ha rivisto i criteri per la determinazione del diritto all’assegno di divorzio, il 16 maggio analizza l’assegno di mantenimento in favore del coniuge separato.

Il 10 maggio gli ermellini stabiliscono che per determinare il quantum dell’assegno divorzile non deve essere preso in considerazione il tenore di vita goduto dai coniugi durante il matrimonio; al contrario, il 16 maggio riconoscono nel tenore di vita uno degli elementi da valutare per la determinazione dell’assegno di mantenimento da corrispondere al coniuge separato.

 

Le differenze dell’assegno nella separazione e nel divorzio

La diversità di criteri adoperati per verificare l’esistenza o meno del diritto all’assegno di mantenimento / divorzio e per determinare la sua quantificazione, è giustificata da una profonda differenza fra queste due tipologie di assegno.

Innanzitutto la loro fonte normativa è diversa: l’articolo 156 del codice civile per l’assegno a favore del coniuge separato, l’articolo 5 comma 6 della legge n. 898 del 1970 per l’assegno di divorzio. In secondo luogo è, altresì, diverso il presupposto sui cui si basa il dovere di assistenza materiale fra i coniugi nell’ambito della separazione personale, da un lato, e gli obblighi correlati alla cosiddetta “solidarietà post-coniugale” nel giudizio di divorzio, dall’altro.

Nel primo caso, invero, il rapporto coniugale non viene meno, atteso che si verifica soltanto una sospensione dei doveri di natura personale, quali la convivenza, la fedeltà e la collaborazione; gli aspetti patrimoniali, invece, rimangono invariati pur assumendone forme confacenti alla nuova statuizione.

Nel caso della sentenza che pronuncia lo scioglimento del matrimonio o la cessazione dei suoi effetti civili, invece, il rapporto matrimoniale si estingue completamente, sia sul piano personale, sia sul piano economico-patrimoniale.

 

Le motivazioni della Cassazione

La Suprema Corte inizia il suo ragionamento proprio da questa profonda differenza fra i due istituti. Gli ermellini affermano infatti che “l’obbligo di assistenza materiale trova di regola attuazione nel riconoscimento di un assegno di mantenimento in favore del coniuge che versa in una posizione economica deteriore e non è in grado, con i propri redditi, di mantenere un tenore di vita analogo a quello offerto dalle potenzialità economiche dei coniugi”.

In altre parole, con il termine “redditi adeguati”, l’articolo 156 del codice civile ha inteso riferirsi al tenore di vita consentito dalle possibilità economiche dei coniugi (così Cass. 24 aprile 2007 n. 9915).

In sostanza il giudice di merito, per verificare il diritto all’assegno di mantenimento, dovrà appurare se i mezzi economici di cui dispone il coniuge richiedente l’assegno, gli consentano o meno di conservare tale tenore di vita; all’esito di tale verifica, per la determinazione dell’assegno, occorrerà procedere ad una valutazione comparativa dei mezzi di cui dispone ciascun coniuge, valutati anche sulla base di particolari circostanze, come ad esempio la durata della convivenza.

A questa lettura della norma si potrebbe obiettare sostenendo l’incostituzionalità dell’articolo 156 del codice civile per la violazione del principio solidaristico e del principio di uguaglianza. In particolare, la violazione del principio solidaristico potrebbe ravvisarsi nella parte in cui la norma consente al coniuge, beneficiario dell’assegno, di percepire somme superiori a qualsiasi lavoratore, così eccedendo la possibilità di godere di un’esistenza libera e dignitosa, privilegiando in tal modo uno status sociale che consente al coniuge beneficiario di sottrarsi al dovere di contribuire al progresso sociale per il tramite della propria attività lavorativa. Dall’altro lato, la violazione del principio di uguaglianza si ravviserebbe nel porre gli obblighi sanciti da detta norma soltanto a carico del coniuge onerato.

Per rispondere a questa eccezione di illegittimità costituzionale, la Corte ha precisato che la norma, nell’interpretazione costantemente esposta dalla Cassazione stessa, non è intesa a promuovere una colpevole inerzia del beneficiario, in quanto si ritiene che, in relazione all’assegno di mantenimento in esame, si debba tener in considerazione l’attitudine del coniuge al lavoro, intesa come effettiva possibilità di svolgimento di un’attività lavorativa retributiva, in considerazione di ogni concreto fattore individuale ed ambientale (cfr. Cass., 13 febbraio 2013, n. 3502; Cass., 25 agosto 2006, n. 18547; Cass., 2 luglio 2004, n. 12121).

In ordine alla violazione del principio di uguaglianza, gli ermellini ribadiscono che l’attribuzione di un assegno di mantenimento al coniuge che non abbia adeguati redditi propri trova la sua fonte nel rilevante ruolo che l’articolo 29 della Costituzione attribuisce alla famiglia nell’ambito dell’ordinamento.

Alla luce di ciò la Suprema Corte afferma che “la determinazione dell’assegno di mantenimento sulla base del tenore di vita dei coniugi, tenuto conto delle altre circostanze e dei redditi dell’obbligato, costituisce l’espressione di quei valori costituzionali sopra richiamati che, secondo criteri di proporzionalità e ragionevolezza, si trovano in rapporto di integrazione reciproca con gli altri principi e diritti fondamentali affermati dalla Costituzione”. A tal proposito è utile richiamare il principio della Corte Costituzionale secondo cui “tutti i diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione si trovano in rapporto di integrazione reciproca e non è possibile pertanto individuare uno di essi che abbia la prevalenza assoluta sugli altri. La tutela deve essere sempre sistemica e non frazionata in una serie di norme non coordinate ed in potenziale conflitto tra loro”.

 

La decisione della Cassazione

Chiarito ciò, la Corte di Cassazione, in definitiva, ha confermato e avvalorato che il tenore di vita goduto dai coniugi durante il matrimonio rimane uno degli elementi da prendere in considerazione per la quantificazione dell’assegno di mantenimento a favore del coniuge separato. In particolare, benché la separazione determini normalmente la cessazione di una serie di benefici e consuetudini di vita e anche il diretto godimento di beni, “il tenore di vita goduto in costanza della convivenza va identificato avendo riguardo allo standard di vita reso oggettivamente possibile dal complesso delle risorse economiche dei coniugi, tenendo quindi conto di tutte le potenzialità derivanti dalla titolarità del patrimonio in termini di redditività, di capacità di spesa, di garanzie di elevato benessere e di fondate aspettative per il futuro. Inoltre, al fine della determinazione del “quantum” dell’assegno di mantenimento, la valutazione delle condizioni economiche delle parti non richiede necessariamente l’accertamento dei redditi nel loro esatto ammontare, essendo sufficiente un’attendibile ricostruzione delle complessive situazioni patrimoniali e reddituali dei coniugi” (così anche Cass., 22 febbraio 2008, n. 4540; Cass., 7 dicembre 2007, n. 25618; Cass., 12 giugno 2006, n. 13592; Cass., 19 marzo 2002, n. 3974).

(Corte Suprema di Cassazione - Sezione Prima Civile, Presidente Di Palma - Relatore Campanile, Sentenza 16 maggio 2017, n. 12196)