Sì, viaggiare… ma poi anche accelerare

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Indice:

1. Percorsi di supporto

2. Incubatori e acceleratori: differenze

3. Soluzioni per l’ecosistema delle startup in Italia

 

1. Percorsi di supporto

Le startup nelle fasi precoci della loro attività hanno bisogno, sì, di risorse finanziarie, ma anche, molto, di supporto ad avviare al meglio la loro attività. In realtà molte tendono a sovrastimare il fabbisogno finanziario iniziale e a sottostimare la necessità di essere affiancate e consigliate nel percorrere efficacemente il primo tratto di strada del viaggio che le porterà (forse) a diventare aziende.

A questo scopo, negli ecosistemi più sviluppati si sono affermati da tempo percorsi di supporto all’attività di startup che vanno sotto il nome di incubatori, acceleratori e percorsi vari di mentorship e consulenza.

Alcuni di questi soggetti sono diventati famosi, come l’acceleratore Y Combinator che ha sede in California e che è considerato il più importante soggetto americano (e di conseguenza mondiale) che svolge questo lavoro e che ha supportato nella loro fase iniziale realtà importanti come AirBnB e Dropbox per citare solo le più conosciute (il valore stimato delle società “accelerate” da Y Combinator si aggira oggi sui 155 miliardi di dollari).

 

2. Incubatori e acceleratori: differenze

Per spiegare meglio cosa sono incubatori e acceleratori vorrei utilizzare un approccio più pragmatico che non teorico. In rete si trovano diverse definizioni che distinguono l’attività di incubatori e acceleratori in base al ciclo di vita della startup nel quale intervengono, oltre ad altri elementi.

Nella pratica ci sono quattro cose che differenziano sostanzialmente questi due modelli, almeno nell’esperienza italiana.

  • Gli incubatori sono luoghi nei quali si accolgono le startup che hanno così un posto di lavoro e alcune facilities tecniche che consentono di svolgere l’attività. Il supporto di tipo consulenziale è molto variabile e spesso resta in secondo piano.
  • La permanenza delle startup negli incubatori è molto lunga, in genere anche più anni
  • In Italia gli incubatori sono di emanazione pubblica o para pubblica (università, fondazioni etc.) e hanno in genere finalità diverse da quelle di creare imprese di successo. Di solito le motivazioni principali sono legate allo sviluppo del territorio o allo sfruttamento di brevetti ed idee nate in ambito di ricerca.
  • Non richiedono quote in cambio dei servizi offerti e non danno finanziamenti in denaro oltre ai servizi citati in precedenza.

Gli acceleratori invece:

  • Sono focalizzati sulla formazione e sulla mentorship, non tutti offrono anche l’ospitalità in spazi fisici, ma i migliori sì.
  • I percorsi di accelerazione hanno una durata di pochi mesi, in genere al massimo sei mesi.
  • Sono principalmente privati e hanno una finalità di investimento da parte del soggetto organizzatore (anche qui, quelli di maggiore qualità almeno).
  • Oltre ai servizi offrono un primo investimento in denaro alle startup che selezionano nell’ordine delle decine di migliaia di euro ed in cambio di denaro e servizi richiedono quote di partecipazione della società come fa qualsiasi investitore

A questi due soggetti principali si aggiungono poi numerosi soggetti che svolgono attività di consulenza e supporto, meno formalizzata in termini di modello operativo, ma che hanno sempre lo scopo di aiutare le startup ad accelerare il loro processo di crescita.

In genere questi servizi di consulenza sono erogati a fronte di pagamenti o in denaro oppure in quote delle società servite, col modello spesso del work for equity.

Si sono ultimamente sviluppati anche alcuni casi di programmi di accelerazione a pagamento che promettono soprattutto la preparazione e l’assistenza nella raccolta fondi da investitori terzi.

Questo modello è quello più pericoloso per le startup perché è a rischio quantomeno di giocare sulla ingenuità delle startup più improvvisate (e ce ne sono molte).

In tutto il mondo, le startup non pagano per questi servizi di accelerazione vera e propria, perché vengono selezionate in base a caratteristiche distintive, ed è proprio questo elemento di selezione che dà valore all’iniziativa, anche per gli investitori successivi.

Di fatto, per un investitore, il segnale che una startup è disposta a pagare per ottenere quello che si ottiene normalmente per una selezione in base al merito (validità dell’idea e del team), è un pessimo segnale sulle capacità e la qualità del progetto e dei suoi proponenti, quindi l’idea di poter raggiungere in questo modo gli investitori e ricevere finanziamenti è sbagliata in partenza.

Togliendo quindi dal campo questi soggetti che non danno valore aggiunto alle startup e all’ecosistema, cosa serve agli incubatori e acceleratori italiani per dare quel contributo che in altri paesi ha permesso agli ecosistemi di svilupparsi favorendo la crescita delle startup migliori?

 

3. Soluzioni per l’ecosistema delle startup in Italia

Come per altre situazioni che riguardano e hanno riguardato il nostro paese, manca anche in questo caso quella che definirei una politica industriale. Manca cioè la visione di come la nascita e soprattutto la crescita, sul nostro territorio, di nuove aziende innovative (quelle che diventeranno le startup di domani), richieda un coordinamento profondo ed intelligente di tutti gli sforzi che oggi vengono profusi a tutti i livelli.

Di fatto anche in questo campo ci distinguiamo per il nostro individualismo e particolarismo. Non solo ogni provincia, ma ogni singolo paese deve avere il suo incubatore/acceleratore. Soprattutto in ambito pubblico, le risorse si sprecano per fare sì che ogni università, centro di ricerca, territorio comunale abbia il suo piccolo centro di supporto alle startup per poter dire che sta facendo qualcosa per l’innovazione e per il territorio. Col risultato che tutte le funzioni si moltiplicano in varie realtà, senza una specializzazione specifica e senza un processo di selezione strutturato che è fondamentale per far emergere le eccellenze necessarie in questo campo.

Dall’altra parte i soggetti privati si sono via via resi conto che il modello d’investimento è difficilmente sostenibile nel lungo periodo e tranne rarissime eccezioni, ad un certo punto lo hanno modificato in un modello di interfaccia tra aziende e startup che porta loro ricavi ma che ha un limitato impatto sul processo di crescita delle startup stesse (o dell’open innovation, come sostenevo nel mio precedente articolo).

Quale potrebbe essere quindi una soluzione?

Ci sono dei settori sui quali possiamo vantare eccellenze a livello internazionale e distretti o ecosistemi già consolidati ed affermati come tessuto produttivo. Capire quali di questi possano esprimere un vero potenziale di innovazione e generazione di nuove imprese in relazione all’emergere di nuove tecnologie sarebbe il primo passo e a ognuno dovrebbe poi corrispondere la creazione di un polo di innovazione localizzato sul territorio più fertile.

Non ne vedo più di due o tre in Italia sinceramente al momento.

Questi poli, nei quali insediare acceleratori specializzati e in rete con aziende e centri di ricerca del territorio (università comprese ovviamente) dovrebbero poi attrarre le migliori realtà, non solo nazionali ma anche internazionali alle quali fornire selezione e formazione imprenditoriale (oltre che tecnica) di primo livello.

Il modello di gestione andrebbe affidato ai privati che dovrebbero continuare ad investire il proprio denaro in ottica di ritorno d’investimento, ma a questo si dovrebbero affiancare finanziamenti pubblici da attribuire con la stessa logica meritocratica e quindi tipicamente in matching con gli investimenti privati. Ovviamente questo modello richiede scelte che possono essere meno popolari nel breve periodo che non dare un po’ di supporto diffuso puntando sulla quantità e non sulla qualità dei processi formativi e delle realtà da servire.

Ma guardando al futuro, come dovrebbe fare chiunque governa un paese e si occupa oltretutto di realtà che sono proiettate nel futuro come le startup, solo l’eccellenza nelle attività di supporto e nella selezione dei migliori può dare risultati concreti per permettere all’Italia di competere con i poli di innovazione che si sono creati in molti altri paesi economicamente sviluppati e che, se non faremo nulla, continueranno ad attrarre sui loro territori le migliori idee imprenditoriali anche del nostro paese.