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Silent night

Perugino, natività, collegio del cambio, Perugia
Perugino, natività, collegio del cambio, Perugia

Le quiete dei tre

Com’è assordante il silenzio, e quanto varie le sue sfumature! Ciò che una mente piccola chiamerebbe semplice assenza, è in realtà tesa presenza di qualcosa che trascende il percettibile, degli stati dell’anima che riecheggiano nello spirito nutriti dall’inerzia dei sensi. Tali sono le varie specie del silenzio, che con rigogliosa libertà s’intrecciano nella notte di Natale, dando vita ad un groviglio d’umanità che solo la presenza del Salvatore può sbrogliare.

Troviamo prima di tutto il silenzio dei pastori, «che, pernottando all'aperto, vegliavano tutta la notte facendo la guardia al loro gregge»[1]. Si tratta della quiete del semplice, che non ricerca ciò che brama, ma si pone in attenta attesa d’un segno anche minimo, di un messaggio che gli dica dove andare. Quanti di noi vivono questo silenzio e quanti, a differenza di questi felici pochi, attendono invano l’evidenza d’un richiamo che sovente sceglie più soffuse vie!

Forse non è questo il sottile respiro che percepiamo in noi, o forse la superbia v’ha posto lo zampino; oggi infatti tutti sono dottori, tutti sono complessi, misteri insondabili a se stessi: chi mai ammetterebbe che ciò che più gli si confà è la vigile attesa d’una parola che indichi la via?

Meglio volgersi al secondo tipo di silenzio, quello dei Magi, che venendo da oriente dissero a sapienti e tiranni: «Dov'è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo»[2]. La loro non è quiete dell’intimo ma fervente lavorio del cuore e della mente, che cerca di silenziare il chiassoso giardino del mondo. Alcuni di noi, forse meno di quanti pensiamo, cercano attivamente l’Unica Via, studiano i più alti cieli dell’uomo custodendo un silenzio prezioso, simile a ricche vesti, che consente loro di distinguere i segni dell’Altissimo dal chiacchiericcio della realtà.

Chissà se è questo il suono del nostro battito o se ci appare alieno come un impercettibile difetto. Faticoso è il cammino dei Magi, che come premio ha l’umiliazione d’un intelletto che studiando segni ed astri giunge all’unico sole che può solo amare. La loro via è nel deserto e le mondane ricchezze, splendido segno della potenza dell’uomo, non s’accrescono ma svaniscono lungo il cammino, spese in libertà per l’acquisto dello splendido gioiello[3].

Potrebbe forse il nostro silenzio essere quello dell’albergatore, per la cui durezza «[…] per loro non c'era posto nell'alloggio»[4]? Quale terribile nemico è questo vuoto, abile nel rendere gli uomini simili a sorde bestie, incapaci d’udire le armonie di questa notte! Quanto vasta è, allora come oggi, la tristezza di questa bovina quiete, di fronte alla quale la grandezza ha il volto anonimo d’un forestiero e merita il calore d’una fredda stalla!

Rifuggiamo con terrore il silenzio di questo sonno, che ci rende simili a quelle pecore per le quali il vagito del Salvatore non fu diverso dall’impertinente frinire d’un attardato grillo! Cela infatti una quiete tremenda, fatta d’un dimenarsi immobile che, disperando della Meta, gesticola con futile vigore invocando l’affrettarsi della morte.

 

Il quarto silenzio

Freddo ci appare ora il silenzio della notte, estraneo come viscide carezze, terribile come inappagata fame. Che davvero non vi sia altro da trovare? Che siano terminate le forme della quiete e condannati i nostri cuori a struggersi in quest’inespresso desiderio? Eppure stanotte l’anima nostra suona e non v’è dubbio che sia melodia ciò che scaturisce e non caotico arpeggio.

Ciò dona speranza, ma questa non ci appare come un benevolo tepore, bensì simile a freddo vento che flagella la carne derubandoci anche del risibile conforto della disperazione. È per questo che non possiamo smettere di vagare, di strada in strada, di silenzio in silenzio, sapendo di dover cercare una quiete senza nome che non riusciamo a dire introvabile.

È tale tormentato vagare che ci conduce infine ad una stalla, poco più calda della notte, ed alla giovane famiglia che lì cerca conforto. Vediamo un uomo, forte e stanco, intento a chiamar casa quel misero riparo; scorgiamo un bimbo, piccolo e sereno, apparentemente insignificante come una stella lontana; ammiriamo infine una donna, giovane ed antica, che con materno sguardo abbraccia il figlioletto. Percepiamo sgorgare da lei una maternità strana, unica ed ordinaria al contempo, ed una stanchezza che non è sfinimento ma pace.

A quel punto l’udiamo, il quarto silenzio, suonato dai suoi occhi, dallo spontaneo sorgere del suo sorriso, dal vagare attento del suo sguardo su quel mondo senza suoni. Si tratta d’una quiete nuova, che non cerca né s’arrende ma «[…] custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore»[5].

Quale bellezza in quel silenzio e quale sapienza in esso custodita! La donna che lo vive non attende passivamente un messaggio, poiché conserva ciò che scorge, né indaga attivamente la risposta, poiché medita non con l’intelletto ma con il cuore.

Ella non cerca la Via, poiché il suo sguardo già ne ama il Principio, ma si prepara ad amare ciò che non comprende, ad ospitare ciò che non attende, a pazientare di fronte ai più freddi silenzi. La sua è la quiete di chi affida al Signore i tempi della comprensione d’una Salvezza che si dispiega negli spazi della vita un poco alla volta, senza fretta né riserve.

Ora lo so, è questo il mio silenzio, è con la Vergine che condivido il canto. Con gioia mi pongo al suo fianco ed osservo: scorgo giungere quei bravi pastori, lieti d’aver ricevuto lo sperato messaggio; ammiro l’incedere dei Magi, fieri d’aver speso ogni dono per trovare il solo Bene; mi rattristo all’indifferenza dei passanti che, non riconoscendo la Bellezza appena giunta, mi chiedo come possano mai scoprirne alcuna. Nel far ciò taccio assieme all’umile Madre, senza temere le domande generate da questi silenzi: come lei infatti sono lieto di sapere che quel placido Bimbo, nel Suo mistero, reca in sé non solo risposte, ma anche un senso che già posso amare.

 

Carni inferme

Sei confuso, caro lettore? Forse ti chiedi quale sia il tuo silenzio; non so risponderti, ma posso sperare e pregare che tu non viva mai da passante, bensì sempre da protagonista di questa storia. Per il resto, non v’è giusto o sbagliato, poiché un’anima che canti è sempre lode a Dio, a prescindere dalla complessità della melodia. Che tu sia in placida attesa, in attiva ricerca o in amorosa meditazione, sappi che il tuo silenzio sarà sempre fertile, poiché la Parola cui dai spazio è giunta per assumerlo e dargli compimento.

Non a caso san Giovanni scrisse «E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; […]»[6]; pregne sono queste parole, cariche d’un desiderio di comunione e di vicinanza che ci sconvolge e ci sfugge. Forse può aiutarci a capire il caro san Tommaso d’Aquino che, magari sbalordito come noi dalla loro complessità, così scrisse: «L’uomo infatti era reso infermo dalla carne; perciò l’Evangelista, per mostrarci che la venuta del Verbo era adatta a redimerci, menziona precisamente la carne, mostrando quindi che la carne inferma fu risanata dalla carne del Verbo»[7].

Quella carne inferma di cui parla il santo Dottore altro non è che la nostra condizione umana, afflitta da un peccato che la rende pesante, fragile, pigra e confusa nell’incedere. I silenzi di cui s’avvolge il Natale scaturiscono proprio da queste fragilità, che ci rendono bisognosi d’una Parola che ne accompagni le note, che renda fertile e gravida la nostra infermità. Quando perciò contempliamo quello stesso Infante, quel Bambino per il quale il mondo trattenne il fiato, rammentiamo che in Lui quei vaghi silenzi trovano non solo senso ma compimento, divenendo premessa d’una lode che nasce da una ferita non celata o subita, ma guarita da chi non ne ha rigettato il dolore.

 

[1] Lc 2, 8b.

[2] Mt 2, 2.

[3] Cf Mt 13, 46.

[4] Lc 2, 7b.

[5] Lc 2, 19.

[6] Gv 1, 14.

[7] San Tommaso d’Aquino, Commento al Vangelo secondo Giovanni, Capitoli 1-9 (trad. fra Tito Sante Centi Op e fra Roberto Coggi Op), ESD e ESC, Bologna 2019, n. 169, p. 255.

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