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Suicidio assistito

Sentenza della Corte Costituzionale Federale di data 26.2.2020 - RTF
suicidio assistito
suicidio assistito

Abstract

Chi ha avuto in famiglia un malato allo stadio terminale comprenderà quali sono state le sofferenze, non soltanto del malato, ma anche di chi gli è stato vicino, che ha dovuto assistere al lento spegnersi della vita di un prossimo congiunto. Rendere lecite cure adeguate a queste persone, al fine di rendere possibile alle stesse una fine dignitosa (senza atroci dolori, che magari si protraggono per mesi e mesi), sembra essere quel minimo di pietà, che motivi di umanità dovrebbero imporre.

 

Indice:

1. Principi costituzionali e il § 217 StGB  

2. Motivazione della sentenza del “Bundesverfassungsgericht”

3. La sentenza del 2017 del “Bundesverwaltungsgericht”

4. Commenti e prese di posizione sulla sentenza del BVerfGE

 

1. Principi costituzionali e il § 217 StGB

Il diritto sancito dall’articolo 2, 1° comma, in relazione all’articolo 1, 1° comma, del Grundgesetz – GG – Costituzione Federale, comprende anche il “Recht auf selbstbestimmtes Sterben” (diritto di decidere autonomamente sulla propria morte). Questo diritto è comprensivo della libertà non soltanto di porre fine alla propria vita, ma anche di fare ricorso – in tale evenienza – all’assistenza di terzi, purché la prestino volontariamente.

Così si poterebbe riassumere, a grandi linee, il contenuto della sentenza pronunciata dalla Corte Costituzionale Federale – Bundesverfassungsgericht (BVerfGE) – il 26.02.2020, con la quale la Corte di Karlsruhe ha dichiarato non soltanto l’illegittimità costituzionale del § 217 StGB (Codice Penale), ma ne è stata dichiarata pure la “Nichtigkeit” (nullità), vale a dire, la non applicabilità della norma de qua, sin dalla data di entrata in vigore della stessa (che era coincisa con il 10.12. 2015). La decisione del BVerfGE, come ha detto chi ha presieduto questo consesso, “ist uns nicht leicht gefallen” (in altre parole, è stata sofferta).

Per effetto del disposto di cui, al § testé citato, veniva punito con pena detentiva fino a tre anni o con pena pecuniaria (multa) chi, con l’intenzione di agevolare il suicidio di altra persona, procura alla stessa “geschäftsmäßig” l’occasione oppure svolge attività di intermediazione a tal fine.

Non era invece punibile il concorrente nel reato che non abbia agito “geschäftsmäßig” oppure è un prossimo congiunto o comunque una “nahestehende Person”. Per “geschäftsmäßig” non s’intende per fine di lucro, ma “auf Wiederholung angelegt” (con atti ripetuti).

Con la norma de qua, il legislatore ha voluto arginare l’attività di associazioni con sede nella RFT e in Svizzera, che offrivano a persone sofferenti di patologie gravi e irreversibili, cioè a malati in stato terminale, la possibilità di condurli in Svizzera per ivi porre fine alle loro atroci sofferenze e alla vita.

Avevano inoltrato ricorso al BVerfGE non soltanto persone allo stadio terminale della loro malattia, ma anche medici, che si ritenevano “limitati” nell’assistenza e nella cura dei loro pazienti, i quali chiedevano di poter morire senza dover patire gravi e, non di rado, lunghissime sofferenze, sino all’ultimo respiro.

 

2.   Motivazione della sentenza del “Bundesverfassungsgericht”

Motivava, la Corte Costituzionale Federale, la propria sentenza, osservando che dalle norme del GG sopra citate discende il diritto della persona “auf sebstbestimmtes Sterben”, anche chiedendo, a tal fine, assistenza ad altra persona e di accettare la stessa, se offerta volontariamente.

Il diritto alla personalità (“Persönlichkeitsrecht”) implica che ogni persona fisica ha diritto di prendere decisioni, autonomamente, ivi compresa quella di porre fine alla propria vita, con propria libera determinazione.

Il diritto alla libertà è comprensivo di quello alla propria individualità, identità e integrità e fa sì che ognuno possa disporre di se stesso “nach eigenen Maßstäben” (secondo criteri propri). La decisione di porre fine alla propria vita è un’estrinsecazione essenziale della personalità di ognuno di noi.

“Recht auf selbstbestimmtes Sterben” non vuol dire soltanto diritto di rifiutare trattamenti sanitari salvavita e deve essere riconosciuto non soltanto in situazioni di malattia gravissima e irreversibile, vale a dire senza prospettiva di guarigione. Questo diritto “entzieht sich einer Bewertung anhand allgemeiner Wertvorstellungen” (non dipende da valori comunemente condivisi/riconosciuti).

Il disposto del § 217 StGB interferisce sul diritto alla personalità. Quest’interferenza, per essere conforme ai dettami della Costituzione Federale, deve essere giustificata. Attualmente, ha osservato la Corte Costituzionale Federale, la disponibilità dei medici a prescrivere medicinali atti a porre fine alla vita, è pressoché inesistente o costituisce, comunque, una rara eccezione. La medicina cosiddetta palliativa non può essere considerata un valido “correttivo” alle sofferenze che patiscono certi pazienti allo stato terminale della malattia. La stessa cosa vale per la possibilità di recarsi all’estero per il suicidio assistito. Lo Stato ha infatti l’obbligo di garantire i diritti fondamentali nell’ambito dell’“eigenen Rechtsordnung” (del proprio ordinamento); ciò, ai sensi dell’articolo 1, 3° comma, GG e in conformità alle statuizioni pattizie (articolo 8) della CEDU e dell’articolo 2 dei diritti fondamentali dell’UE.

Per quanto concerne l’articolo 8 della CEDU, la C.edu si è pronunziata nel senso della determinazione autonoma nelle scelte inerenti alla propria vita privata. Quest’articolo protegge il diritto all’autonomia personale. Secondo la C.edu, il diritto al rispetto della vita privata include il diritto di decidere come e in quale momento porre fine alla propria vita, a condizione che l’interessato sia in grado di determinarsi liberamente in tal senso e di agire di conseguenza (ved. C.edu – Haas c. Svizzera, 20.01.2011, § 51). Ha parlato del diritto di praticare un suicidio dignitoso, ossia sicura e non doloroso.

L’articolo 2 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE tutela la vita quale esistenza fisica-biologica del “Grundrechtsträger” (titolare del diritto fondamentale). Finora non vi sono state statuizioni se la formulazione adottata nell’articolo 2 autorizza anche la decisione contro la vita, vale a dire il suicidio. Un’interpretazione dogmatica sarebbe in senso affermativo, mentre quella letterale, stante le espressioni adottate (“to life/à la vie”), deporrebbe in senso contrario. Vedremo quale sarà il responso della Corte UE (la C.edu, nel caso Pretty/Inghilterra, ha negato che dall’articolo 2 CEDU possa dedursi un diritto “auf Sterbehilfe”).

Il § 217 StGB, ad avviso del BVerfGE, viola anche diritti fondamentali di persone fisiche e giuridiche disposte ad assistere chi intende porre fine ai suoi giorni.  A questi “Suizidhelfer”, che sono i diretti “Normadressaten” (destinatari diretti della norma de qua), viene impedito di esercitare il loro diritto di libertà sancito dall’articolo 2,  2° comma, 2^ parte, GG, in relazione all’articolo 104, 1° comma, GG; l’agevolazione del suicidio altrui, se attuata “geschäftsmäßig”, era infatti sanzionata dal § 217 StGB, prima dell’intervento del BVerfGE.

Ciò premesso, la Corte Costituzionale Federale, tenuto conto delle suesposte violazioni dei precetti del GG, ha dichiarato la nullità del § 217 StGB (“ist für nichtig zu erkläen”).

Ha osservato il BVerfGE, altresì, che un “einschränkende, verfassungskonforme Auslegung” del citato paragrafo non è possibile, per cui non resta che dichiararne la nullità (ai sensi del § 78 BVerfGG – Bundesverfassungsgerichtsgesetz –, legge che disciplina il procedimento dinanzi alla Corte Costituzionale Federale).

Ogni anno un numero non trascurabile di cittadini della RFT (perlopiù persone affette da mali incurabili) si è recato in Svizzera (per non parlare dell’Olanda) ai fini del suicidio assistito. Sono stati migliaia.

 

3.   La sentenza del 2017 del “Bundesverwaltungsgericht”

La sentenza del 26.02.2020 del BVerfGE è stata preceduta da un “Urteil” del 2017 del “Bundesverwaltungsgericht” (che corrisponde, grosso modo, al Consiglio di Stato), che ha fatto intravedere una certa “apertura” e che, allora, aveva destato sorpresa in certi ambienti. In casi estremi, aveva sentenziato il Supremo Giudice Amministrativo della RFT, è lecito che lo Stato non impedisca la somministrazione di medicinali – a effetto altamente sedativo – per consentire, a chi è affetto da malattia incurabile, una morte dignitosa, senza dolori.

Questa sentenza, finora, è stata ignorata dal ministro della Sanità, che ha rigettato circa un centinaio di richieste avanzate da pazienti incurabili. Resta da vedere quale sarà l’atteggiamento di questo ministro a seguito della suddetta sentenza del BVerfGE, che ha riconosciuto il “Recht auf selbstbestimmtes Sterben”. Probabilmente, il legislatore dovrà emanare un nuovo “Sterbehilfegesetz”.

 

4.   Commenti e prese di posizione sulla sentenza del BVerfGE

La sentenza del 26.02.2020 del BVerfGE è stata accolta, da gran parte dei medici, con sollievo (“Erleichterung”). Alcuni hanno dichiarato che è “ein gutes Urteil” per le persone in situazioni disperate, che ora possono nuovamente (dopo la dichiarazione di nullità della legge del 2015), assistere i loro pazienti secondo coscienza, prescrivendo agli stessi analgesici (oppioidi) atti a lenire i dolori (con il rischio della morte), senza dover temere di essere processati se il paziente muore.

Prese di posizione molto diverse (e non certo favorevoli) provengono dalle due Chiese maggiormente rappresentative che, di fronte alla sentenza della Corte Costituzionale Federale, hanno manifestato delusione e sconcerto.

Ironia della sorte vuole che molti di coloro che hanno proposto ricorso al BVerfGE, nel frattempo, sono deceduti. Ma vi sono stati anche non pochi medici che si erano rivolti al BVerfGE perché avevano ritenuto di essere stati lesi nella loro “Berufsfreiheit” (libertà di esercitare la professione) dal § 217 StGB.

Va osservato che da indagini demoscopiche è risultato che la maggioranza dei cittadini della RFT è favorevole all’ammissibilità della “Sterbehilfe”. In questo senso, si può dire che la Corte Costituzionale Federale si è rivelata “einmal mehr auch als Medium der Zeitströmungen” (una volta di più, si potrebbe dire, all’avanguardia).

Dopo l’entrata in vigore della legge del 2015, che ha inserito il § 217 nello StGB, non erano stati pochi i medici che – per paura di sanzioni penali – avevano sospeso l’assistenza ai malati in stadio terminale e hanno parlato di “Grauzone zwischen Strafrecht und Barmherzigkeit” (zona grigia tra diritto penale e misericordia).

Anche i limiti di liceità della medicina palliativa erano diventati incerti a seguito della legge del 2015. Coloro che hanno criticato la sentenza del BVerfGE hanno deplorato il fatto che la Corte Costituzionale Federale ha affermato la liceità dell’assistenza al suicidio non soltanto nei casi di malattie allo stato terminale, mentre i favorevoli alla sentenza de qua hanno fatto presente che, in base ad un’indagine demoscopica, oltre il 50% degli abitanti della RFT preferirebbero il suicidio assistito al ricovero in una struttura di assistenza (“Pflegeheim”).

Un certo scalpore ha suscitato la dichiarazione, rilasciata subito dopo la lettura del dispositivo della sentenza del 26.02.2020 dal presidente del BVerfGE, secondo il quale la “Strafbarkeit der Sterbehilfe steht nicht zur freien Disposition des Gesetzgebers”. Ha aggiunto poi che la sentenza non obbliga in alcun modo medici a prestare “Sterbehilfe”.