Sarah Kane e la sua psicosi

ovvero come scrivere della propria morte
Sarah Kane
Sarah Kane

Sarah Kane e la sua psicosi (ovvero scrivere della propria morte)

Se c’è qualcuno nel mondo della scrittura che con il suo lavoro ha rivoluzionato, sconvolto, sconcertato e scandalizzato il pubblico dei teatri di mezzo mondo, quella è stata Sarah Kane.

Nata in Gran Bretagna nel 1971, Sarah Kane  (Brentwood, 3 febbraio 1971 – Londra, 20 febbraio 1999) è stata autrice di cinque fondamentali testi teatrali, lavori che, per i temi trattati, hanno creato scompiglio ovunque siano stati messi in scena.

Queste le opere di Sarah Kane:

Sarah Kane era capace di rappresentare stupri, atti di mutilazione, amori omosessuali estremi, violenze crudeli, malattie mentali, cannibalismo, incesto, con una tecnica e una poetica desolante che l’hanno resta celebre in tutte le parti del mondo.

Malata di depressione, Sarah Kane scrisse la sua ultima opera “4.48 Psychosis” nel 1999, un chiaro riferimento nel titolo all’ora della notte in cui, secondo le statistiche, avverrebbero più suicidi.

Il lavoro teatrale andò in scena postumo il 23 giugno 2000 al Royal Court Theatre, lasciando gli spettatori sgomenti, stavolta più del solito.
 

Sarah Kane, 4.48 Psycosis

 

Sarah Kane, infatti, mette in scena un lungo monologo sulla solitudine, un’apologia della depressione che non può che sfociare nel suicidio. La donna, attraverso un testo veloce, ricco di numeri e parole vomitate in fretta sull’impotente spettatore, conclude il testo con il suo suicidio.

Per favore non tagliatemi tutta per scoprire come sono morta ve lo dico io come sono morta. Cento di Lofepramina, quarantacinque di Zoplicone, venticinque di Temazepam e venti di Mellerin

Un elenco allucinato e impietoso di quello che prenderà realmente per togliersi la vita, con tanto di indicazione delle molecole letali e di dosaggi necessari per abbandonare questo molto nel torpore più assoluto.

Tre giorni dopo la fine della stesura, cercherà la morte allo stesso modo, ingerendo circa 150 pasticche.

Verrà ricoverata con urgenza al King’s College Hospital, dove morirà il 20 febbraio del 1999, impiccandosi con i lacci delle sue stesse scarpe.

“Controllo costante, 24 ore su 24, per evitare recidive”, avevano sentenziato i medici.

E invece, viene lasciata sola per novanta sciagurati minuti, pochi per vivere, sufficienti per trovare la morte.

Di seguito una parte significativa del testo di Sarah Kane che continua a sconvolgerci per freddezza, esattezza e lucida follia suicida.
 

La lucidità si trova nel centro di convulsione, lì dove la folla viene consumata dall’anima spaccata in due.

Mi conosco.

Mi vedo.

La mia anima è presa in una ragnatela di ragioni
tessuta da un dottore per aumentare il numero dei sani.

Alle 4 e 48 dormirò.

Sono venuta da e per essere guarita.

Tu sei il mio dottore, il mio salvatore, il mio giudice onnipotente, il mio prete, il mio Dio, il chirurgo della mia anima.

Ed io sono la tua discepola verso la lucidità.

 

Sarah Kane avrebbe compiuto quest'anno 50 anni.

E invece se n'è andata a 28, lasciandoci orfani di un vero genio.