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Telecamere al nido?

Scuola infanzia
Scuola infanzia

Spesso leggiamo sui giornali di maltrattamenti verso i bambini nei nidi, conseguenza forse, ma non solo, di un elevato livello di stress. Solitamente le insegnanti e le educatrici in questione vengono “incastrate” da telecamere messe di nascosto, a seguito di denunce fatte da qualche genitore. A tutti sarà capitato di vedere questi terribili video che ci lasciano attoniti al pensiero che si possa arrivare a tanto.

Il moltiplicarsi purtroppo di tali eventi ha iniziato a porre il problema se installare o meno le telecamere nei nidi e nei servizi per l’infanzia, non solo sporadicamente per accertare la colpevolezza delle persone coinvolte, ma anche in modo permanente per prevenire questi maltrattamenti.

Ed è su quest’ultimo aspetto preventivo e sulle telecamere fisse che vorrei soffermarmi, in quanto ritengo che le telecamere messe per accertare la colpevolezza, laddove ci sia stata una effettiva denuncia, siano lecite oltre che estremamente utili al raggiungimento della verità sui fatti.

Il discorso cambia e diventa però più delicato se pensiamo a una struttura dove le telecamere sono sempre attive. Si vorrebbe in pratica controllare l’operato quotidiano delle educatrici e indurle a una buona condotta, evitando così che si arrivi al misfatto.

Spesso quando lavoro noto che il mio agire cambia se sono in presenza di un’altra persona, come ad esempio un genitore, una nuova collega o il pedagogista. Ho sempre cercato di essere il più naturale possibile lavorando alla presenza di altri, ma ho dovuto ammettere che essere guardati, osservati, ci fa in un certo senso lavorare meglio, diamo il meglio di noi, perché in poche parole e ad essere sinceri, ci compiacciamo di fare bella figura davanti agli altri e di averne il consenso. Credo che sia una cosa molto umana e normale.

Creare una bella immagine di sé, sicuramente è anche un elemento essenziale per guadagnarsi la fiducia dei genitori che affidano un bambino al nido. Ma avere il consenso degli altri non può mai essere il fine ultimo del mio lavoro. Quello che più mi deve stare a cuore è il bene del bambino. Sarebbe opportuno arrivare ad avere la consapevolezza di agire o meno per quel bene, e potermi eventualmente correggere. Questo non vuol dire non commettere mai errori, ma avere per così dire una luce dentro di noi (identificabile in fondo solo con la nostra coscienza) che si accende per far chiarezza sul gesto che stiamo compiendo: ho esagerato a sgridare così quel bambino? Sono stata troppo dura? Come posso fare la prossima volta?

Credo che sia più nobile e più degno di un essere umano libero, raggiungere la consapevolezza delle proprie azioni e arrivare di conseguenza a fare ciò che è bene, senza una forma di controllo come lo sarebbero le telecamere.

Il punto cruciale allora è identificare tutti quegli strumenti che potrebbero aiutare in tale percorso di consapevolezza. Trattare bene i bambini, agire con delicatezza, fingere pazienza solo perché qualcuno mi controlla, non renderebbe autentica l’azione. Saremmo tutti costretti a controllarci ma non desiderosi di imparare a farlo: c’è infatti una bella differenza tra essere costretto a fare il bene (a causa di un controllo), e abituarsi in modo libero ad avere padronanza di sé. E allora il tema sarà: cosa mi aiuta ad avere padronanza di me? A non lasciarmi andare all’istinto? Inoltre essere sempre sotto controllo, a mio parere, creerebbe ancor più uno stress represso, che in qualche modo finirebbe comunque per sfogarsi, e probabilmente con danni anche maggiori.

Fiducia e controllo non sembrano andare a braccetto. Se mi fido di una persona non mi sfiora nemmeno il pensiero di doverla sempre controllare. Certamente si pone qui il problema della affidabilità di alcune educatrici, che per certi aspetti non potrà mai essere testata al 100 % : quando si assume personale nuovo non basta un colloquio, non basta un bel curriculum, o l’aver superato un concorso, talvolta non bastano neanche gli anni di esperienza lavorativa.

 Le persone, si sa, si rivelano sul campo, ma poi l’ultima parola non è mai detta perché nessuno coinciderà mai con l’azione che compie: molto può fare una buona formazione, un buon pedagogista affiancato anche in certi casi da uno psicologo. Perché una brava educatrice, potrebbe anche attraversare momenti di difficoltà e allora avrebbe diritto ad essere sostenuta per meglio gestire il suo stress. Occorre accorgersi dei limiti che non si devono superare, essere aiutati a riconoscere questi limiti, occorre soprattutto che nel gruppo di lavoro non ci sia omertà. Perché laddove si ha a cuore il bene dei bambini, non si può giustificare né tantomeno nascondere alcun misfatto.

Purtroppo però al giorno d’oggi sembra che il controllo offra garanzie maggiori rispetto a una fiducia cieca. Perché? Ha preso il sopravvento la sfiducia nelle persone e nelle relazioni umane, in particolare rispetto alle brutte azioni che si arrivano a compiere. Sfiducia e delusione, e quasi un certo cinismo circa le possibilità di fare il bene, di comportarsi sempre in modo retto soprattutto verso i più deboli e indifesi come i bambini (ma anche gli anziani). Di conseguenza l’unica soluzione possibile, per alcuni, sembra essere quella del controllo per evitare il peggio.

Se esistesse poi un nido dove, ad esempio, venisse data ai genitori la possibilità di connettersi in diretta e osservare cosa fa il proprio figlio, credo che quel nido avrebbe molte richieste! Sicuramente sarebbe un elemento di documentazione interessante e originale, ma anche una forma di controllo nociva alle relazioni tra la scuola e le famiglie, dove un genitore avrebbe senz’altro da ridire sui vari atteggiamenti delle educatrici. E non si instaurerebbe più quel fondamentale rapporto di fiducia genitore/educatrice, indispensabile per la continuità nido/famiglia.

Quindi l’installazione delle telecamere, che peraltro ha dei costi molto alti, non la ritengo una buona soluzione per prevenire i maltrattamenti. Occorre infatti distinguere gli scopi per cui potrebbe aver senso installarle: andrebbero a mio parere considerate per accertare una colpevolezza già denunciata, oppure come forma di documentazione e anche auto – osservazione del personale (a scopo quindi pedagogico). Ma come strumento di controllo e “spionaggio”, non le ritengo assolutamente concepibili e nemmeno utili a prevenire i maltrattamenti verso i bambini.

Arrivare a prevenire questi episodi è un grosso lavoro che deve essere fatto da chi ha la responsabilità dei nidi, elaborando un tipo di formazione ad hoc: così sarebbe bello investire soldi per prendersi cura di chi educa e per far raggiungere alle educatrici quella consapevolezza delle proprie azioni indispensabile al raggiungimento di un equilibrio emotivo e al conseguente benessere nella vita quotidiana di un nido.