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Tre lezioni dalle elezioni parlamentari russe

Sergej Šojgu
Sergej Šojgu

109 milioni di elettori chiamati alle urne, attraverso undici fusi orari diversi, per un totale di 450 seggi parlamentari in ballo. L’epigrafico riassunto delle elezioni legislative russe, appena conclusesi dopo una incessante tre-giorni, testimonia ancora una volta la grandezza mastodontica della macchina democratica del Paese più grande al mondo. Come largamente previsto, a conquistare la maggioranza relativa è stato il partito “Russia Unita” (Edinaja Rossija) – pacificamente considerato “il partito dei governanti”, il quale, al di là del nomen juris, è da considerarsi più come un sindacato della classe dirigente che una vera e propria formazione politica con un’ideologia definita (elemento che lo differenzia dal PCUS).

A vincere, si diceva, è stata Russia Unita, con il suo nuovo leader di fatto, Sergej Šojgu – ministro della Difesa annoverato tra i più fidati e potenti collaboratori del presidente Vladimir Putin (assieme al ministro degli Esteri Sergej Lavrov). A prescindere dal risultato, ampiamente attendibile (e atteso), e dell’affluenza (45%), relativamente bassa considerando la spalmatura su più giorni, la votazione di metà settembre acquisisce particolare rilevanza per tre ordini di ragioni:

1) Russia Unita continua, quasi senza soluzione di continuità, la sua lenta discesa in materia di gradimento: le ultime elezioni hanno fatto registrare un dato di consenso (pochi decimali sotto il 50%) simbolicamente inferiore rispetto alle ultime elezioni parlamentari del 2016 – dove RU aveva guadagnato una maggioranza assoluta del 54,2%. Non è frutto del caso, infatti, che del “partito dei governanti” non faccia più parte da tempo il governante per antonomasia, Putin, che è ufficialmente un politico indipendente – e come tale si è candidato alle elezioni presidenziali del 2018 (stravincendole). Pertanto: se Putin rimane stabilmente la figura più popolare del Paese, Russia Unita non se la passa esattamente benissimo. E Putin non sembra avere alcuna intenzione di far sì che una (pressoché inutile) affiliazione formale a RU funga da vaso comunicante per minare la sua popolarità. Tuttavia, il presidente sta spendendosi molto per il suo ex partito, forse più per timore di un fiasco che come segno di un riavvicinamento formale[1]. Momento topico della discesa del partito è stato il 2018, anno in cui i parlamentari di RU, con l’imprescindibile appoggio presidenziale, hanno introdotto una controversa riforma che ha innalzato l’età pensionabile – seguita da manifestazioni di piazza e parziali rassicurazioni del Cremlino (che però non ha fatto passi indietro significativi).

2) Proprio il fatale declino di RU fa sì che l’attenzione dell’establishment moscovita sia sempre più concentrata sulle insidie provenienti dall’opposizione: anche l’ultima tornata elettorale si è svolta in un clima tutt’altro che sereno, con accuse di brogli, compilazione abusiva di schede e pratiche non esattamente da galantuomini. La più curiosa è quella dello spoiler o doppelgänger: ad esempio, gli elettori del collegio di San Pietroburgo si sono visti comparire sulla scheda elettorale tre facce praticamente uguali, con la stessa barba canuta e con lo stesso identico nome (Boris Višnevskis). Come nel gioco delle tre carte, compito dell’elettore è stato scoprire chi fosse il Boris Višnevskis “originale” – esponente del partito d’opposizione “Jabloko” – e chi fossero invece i due sosia piazzati da Russia Unita[2]. Metodi molto meno creativi sono stati invece utilizzati nei confronti del “Movimento Anti-Corruzione” guidato dall’attivista carcerato Aleksej Naval’nyj: ad inizio giugno il gruppo è stato etichettato come entità terrorista, ragion per cui qualsiasi membro o collaboratore è stato escluso ipso jure da ogni forma di elettorato passivo[3] (alcuni di loro si sono rifugiati all’estero). Tra gli esclusi eccellenti c’è anche il comunista Pavel Grudinin, ex candidato presidente nel 2018, che in base alla nuova legge elettorale non è risultato candidabile poiché presunto socio di minoranza in una società estera in Belize[4] (non è infatti consentito agli eletti di possedere beni all’estero). Più che dettata da timore per l’attuale opposizione, la stretta del Cremlino sembra piuttosto indirizzata a ostacolare l’emersione di un candidato che riunisca le varie anime dell’opposizione e risulti soprattutto credibile agli occhi della popolazione generale (che peraltro simpatizza con Naval’nyj quale attivista da pars destruens, non come politico da pars construens).

3) Ultimo ma non in ordine d’importanza, l’elezione potrebbe aver indirettamente rischiarato le tenebre sull’eventuale successore di Putin nel 2024: il nuovo leader di fatto di RU, Šojgu, ha il carisma e l’influenza per subentrare in futuro al “presidentissimo” – certamente più del capo del Governo attuale Michail Mišustin, il fiscalista che sta traghettando il Paese dopo la premiership Medvedev, e che si è trovato a fare i conti con una crisi pandemica epocale. L’unica incognita è legata al dato anagrafico: Šojgu è sì più giovane di Putin, ma di soli tre anni (essendo nato nel 1955 lui e nel 1952 Putin), il che significherebbe di fatto abbandonare piani di presidenza a lungo termine come quelli pluriventennali sperimentati da Putin a partire dal 1999.

Prima di dilungarsi in illazioni su un proprio futuro presidenziale, però, Šojgu non può permettersi di fare i conti senza l’oste: se i russi nutrono ancora un “debito di riconoscenza” dei confronti di Putin per aver riportato la Russia sui binari della crescita e della stabilità dopo il caos post-sovietico, c’è da giurare che non saranno altrettanto clementi a giudicare l’operato del partito e dei suoi pezzi grossi.

 

[1] Vitali Shkliarov, “‘United Russia Is Dead,” Foreign Policy Research Institute, 9 dicembre 2019, https://www.fpri.org/article/2019/12/united-russia-is-dead/.  

[2] Andrew Roth, “‘Three Near-Identical Boris Vishnevskys on St Petersburg Election Ballot,” Guardian, 6 settembre 2021, https://www.theguardian.com/world/2021/sep/06/three-near-identical-boris-vishnevskys-on-st-petersburg-election-ballot

[3] Pjotr Sauer, “'End of an Era': Russia Adds Navalny Political Network to ‘Terrorist and Extremist’ List,” Moscow Times, 30 aprile 2021, https://www.themoscowtimes.com/2021/04/30/end-of-an-era-russia-adds-navalny-political-network-to-terrorist-and-extremist-list-a73796.

[4] “Russia: Communist Grudinin Barred from Parliamentary Election,” Deutsche Welle, 24 luglio 2021, https://www.dw.com/en/russia-communist-grudinin-barred-from-parliamentary-election/a-58626095.