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Tribunale Milano: assoluzione dell’ente da responsabilità ex 231

Ufficio del Giudice per le indagini preliminari, dott. Manzi

[Sentenza di assoluzione emessa all’esito di giudizio abbreviato nei confronti di (I.) s.p.a., in relazione alla commissione del delitto di aggiotaggio (art 2637 c.c.), commesso dal Presidente del Consiglio di Amministrazione e dall’Amministratore Delegato della società. Si riportano i passi rilevanti in tema di responsabilità dell’ente].

Ciò posto, dato per assodato che la sussistenza dell’illecito amministrativo contestato non discende automaticamente dal riconoscimento della commissione del reato – in quanto tale conclusione equivarrebbe a ritenere operante una sorta di "responsabilità oggettiva" dell’ente per gli illeciti penali commessi dai suoi vertici – occorre valutare se sussista nel caso specifico una o più ipotesi della causa esimente dalla responsabilità amministrativa prevista dall’art. 6 legge 231/01.Omissis.

Nei (rari) precedenti giurisprudenziali di applicazione di tale norma è stato giustamente affermato dalla S.C. che la adozione del "modello organizzativo" è condizione necessaria, ma non sufficiente, per non incorrere nella responsabilità amministrativa regolata dalla legge 231 cit. Ove il modello non sia stato adottato nei termini prescritti, infatti, l’ente risponde dell’illecito collegato al reato presupposto, a meno che non dimostri che il suo esponente apicale abbia agito nell’interesse esclusivo proprio o di terzi (Cass. 36083/09 rv. 244256).

Nel caso in esame, tuttavia, il modello organizzativo era stato adottato da (I.) con delibera del C.d.A. in data 29 gennaio 2003, e quindi, anteriormente alla data di commissione dei reati indicati ai capi c1 e c2. Solo per la ipotesi descritta al capo c3 il reato si sarebbe verificato prima della approvazione del modello organizzativo.

Per quanto riguarda il modello adottato si dà atto che la relativa documentazione è stata integralmente acquisita al fascicolo e che esso risulta minuziosamente descritto nella consulenza difensiva redatta da xxx con relazione 18 gennaio 2006.

Sul piano cronologico risultano i seguenti fatti:

- nel settembre 2001, subito dopo la entrata in vigore della legge 231/01, la società avviava la procedura di implementazione del modello con delibera C.d.A. 11 settembre 2001;

- il 7 marzo 2002 la Confindustria pubblicava le linee guida per la costruzione dei modelli di organizzazione, gestione e controllo e il successivo 3 ottobre 2002 una appendice a dette linee guida;

- il 29 gennaio 2003, sulla base di queste prime indicazioni, (I.) approvava il proprio modello organizzativo e il codice etico interno;

- successivamente a tale approvazione, nel dicembre 2003, il Ministero di Giustizia approvava le citate linee guida – sulla base delle quali era stato adottato il modello - con richieste di precisazioni e nel giugno 2004 le approvava definitivamente.

Sul piano della tempestività e della correttezza formale, pertanto, appare indiscutibile che (I.) aveva fatto proprie le prescrizioni legislative e le direttive della confederazione industriale, anticipando di gran lunga tutte le maggiori imprese italiane del comparto delle costruzioni e delle commesse pubbliche (vedi tabella relazione xxx pag. 11).

La difesa, inoltre, ha documentato che fin dal 2000, e cioè prima della entrata in vigore della nuova normativa sulla responsabilità degli enti per gli illeciti penali commessi dai loro esponenti, (I.) aveva adottato un sistema di controllo interno (c.d. Corporate Governance) basato sui principi del codice di autodisciplina dettato da Borsa Italiana s.p.a.

Sempre sul piano della cronologia dei fatti risulta che in data 27 marzo 2001 il C.d.A. aveva approvato una procedura per la gestione delle informazioni riservate e per la comunicazione al mercato delle informazioni "price sensitive" in base alla quale la gestione sarebbe stata curata dal Presidente, d’intesa con l’amministratore delegato, con la avocazione agli stessi del potere di autorizzare preventivamente ed espressamente ogni rapporto con i media.

Con la approvazione del modello organizzativo la (I.) costituiva l’organo di vigilanza (Compliance Officer: CO), di composizione monocratica, regolato secondo le linee guida di Confindustria.

Tale posizione veniva ricoperta dal Preposto al controllo interno nonché responsabile dell’internal auditing (si trattava perciò di un soggetto di provata esperienza e professionalità nello svolgimento del’incarico di vigilanza).

Tale figura veniva inoltre sganciata dalla sottoposizione alla Direzione Amministrazione, Finanza e Controllo e posta alle dirette dipendenze del Presidente.

Oltre alla introduzione di specifiche norme che stabilivano i flussi informativi verso il CO, il modello approvato da (I.) stabiliva degli obblighi di verifica annuale per i principali atti societari e per la validità delle procedure di controllo (tale attività era comunque il proseguimento di analoghe operazioni compiute negli anni precedenti dal responsabile dell’internal auditing).

Il modello organizzativo di (I.) prevedeva, ancora, una specifica normativa interna finalizzata alla prevenzione dei diversi reati societari denominata "Parte Speciale B", suddivisa a sua volta in vari capitoli corrispondenti al tipo di reati.

Per quanto riguarda il caso oggetto del presente giudizio, il modello, nella Parte Speciale B, dedicava il paragrafo B.5.5 alle misure di prevenzione del reato di aggiotaggio.

Il modello prevedeva, in particolare, la formalizzazione di:

- procedure interne che prevedevano la partecipazione di due o più soggetti al compimento delle attività a rischio,

- procedure di monitoraggio e controllo con la nomina di un responsabile dell’operazione;

- varie attività di formazione periodica sulla normativa;

- riunioni periodiche fra Collegio Sindacale e CO per la verifica dell’osservanza della normativa;

- procedure autorizzative per comunicati stampa, divulgazione di analisi e studi aventi ad oggetto strumenti finanziari.

La (I.), in merito a tali procedure, fin dal 27 marzo 2001 aveva approvato un regolamento interno per la comunicazione all’esterno di documenti e informazioni "price sensitive", ivi comprese le trattative per acquisti o cessioni di assets significativi.

Secondo tale procedura la gestione delle informazioni concernenti la società e le sue controllate era rimessa al Presidente e all’Amministratore Delegato.

Sempre secondo queste norme di comportamento, ogni rapporto con la stampa e gli altri mezzi di comunicazione doveva avvenire tramite le funzioni aziendali a ciò deputate e in particolare tramite il servizio Relazioni Esterne che – in base ad una disposizione del 12 giugno 2001 – riportava direttamente al Presidente. Allo stesso Presidente e all’amministratore delegato erano affidati i compiti di divulgare le informazioni riservate concernenti la società e le sue controllate, nonché, in generale, tutte le informazioni "price sensitive".

Nel medesimo regolamento, comunque, si stabiliva che la divulgazione doveva avvenire in modo completo, tempestivo, adeguato e non selettivo.

A questo proposito era previsto che la procedura autorizzativa dei comunicati stampa dovesse seguire i seguenti passaggi:

1. la descrizione dell’operazione era predisposta dalle funzioni aziendali direttamente a conoscenza dei fatti oggetto di comunicazione;

2. la bozza del comunicato era redatta dalle Relazioni Esterne;

3. la versione definitiva veniva rivista e approvata dal Presidente e dall’A.D.

4. i comunicati venivano inoltrati alla stampa attraverso il sistema informatico NIS (network information system) a Borsa Italiana, CONSOB e almeno due agenzie di stampa, in ottemperanza all’art. 114 D. Lgs. 58/98 e della Guida per l’informazione al mercato di Borsa Italiana.

Prima di esaminare la questione relativa alla efficacia del modello organizzativo con riferimento al capo C e al rispetto di tale modello nella fattispecie in esame, occorre valutare la sussistenza del reato presupposto e le concrete modalità di consumazione dei fatti contestati in tale capo di imputazione. Omissis.

CONSIDERAZIONI SULL’ILLECITO CONTESTATO AD (I.)

Fin qui si è cercato di ricostruire il quadro dei fatti in cui deve essere inserito l’illecito contestato a (I.) con riferimento al capo c) della originaria imputazione ai vertici della azienda xxx e xxx.

Occorre ora verificare se – pur sussistendo gli estremi per disporre, come è già avvenuto, il rinvio a giudizio degli imputati per il reato di aggiotaggio – possa essere applicata la causa di esenzione dalla responsabilità di cui all’art. 6 legge 231/01.

La prima considerazione da fare è che (A), come si è illustrato in precedenza, aveva tempestivamente adottato il modello organizzativo previsto dalla legge 231/01 nei termini stabiliti e secondo le linee guida indicate da Confindustria.

Il modello, inoltre, è stato adottato prima della commissione degli illeciti contestati agli imputati, tranne che per il comunicato del 31 dicembre 2002, commesso circa un mese prima dell’adozione del modello.

In merito a questo fatto, comunque, si osserva che a quella data era già stata avviata la procedura di adozione del modello e che in ogni caso la società aveva già autonomamente adottato un proprio codice di autodisciplina sulla base dei principi dettati da Borsa Italiana s.p.a.

Oltre a ciò si deve considerare che il CO nominato il 29 gennaio 2003 in base al modello organizzativo era lo stesso soggetto già in precedenza nominato come responsabile dell’internal auditing.

Queste considerazioni evidenziano la volontà della società – giustificata dalla sua dimensione internazionale e dalla delicatezza dei servizi trattati – di adeguarsi alla nuova normativa con una tempestività quasi senza precedenti nel panorama delle aziende italiane del settore costruzioni (sul punto vedi relazione xxx pag. 11).

In merito alla efficacia del modello organizzativo va tenuto conto che non vi erano praticamente precedenti in materia – se non forse a livello di multinazionali straniere – e che la nuova normativa era una novità assoluta per la giurisprudenza e la dottrina nazionali, posto che la novella del 2001 aveva introdotto per la prima volta nell’ordinamento dello Stato il concetto di responsabilità diretta degli enti per gli illeciti penali commessi dai loro dirigenti e amministratori.

Questa considerazione appare doverosa in quanto – pur trattandosi indiscutibilmente di valutazioni relative a illeciti amministrativi e non a illeciti penali commessi da persone fisiche – è evidente che anche nel giudicare la responsabilità della società, per non cadere in una sorta di "responsabilità oggettiva" degli enti, occorre verificare la efficacia del modello con valutazione "ex ante" e non "ex post", rispetto agli illeciti commessi dagli amministratori.

Del resto, non avrebbe senso ritenere inefficace un modello organizzativo per il solo fatto che siano stati commessi degli illeciti da parte dei vertici della persona giuridica, in quanto ciò comporterebbe, ovviamente, la pratica inapplicabilità della norma contenuta nell’art. 6 legge 231/01.

Occorre, in altre parole, stabilire se, prima della commissione del fatto, fosse stato adottato un corretto modello organizzativo e se tale modello, con valutazione ex ante, potesse considerarsi efficace per prevenire gli illeciti societari oggetto di prevenzione.

Nel gennaio del 2003 gli unici modelli noti erano quelli derivanti dalla esperienza dei codici di autodisciplina e, come si è detto, (I.) aveva da tempo già fatto proprio il codice suggerito da Borsa Italiana: ne consegue che l’ente non poteva ritenere inefficace, ai fini della prevenzione, ciò che era stato suggerito dalla maggiore istituzione finanziaria del paese.

Un altro dato da valutare è quello relativo alla efficacia del modello rispetto al reato di aggiotaggio.

Nel modello di (I.), come si è detto, la responsabilità delle comunicazioni "price sensitive" era attribuita al presidente e all’amministratore delegato, e cioè, proprio agli ipotetici autori del reato per cui si procede con rinvio a giudizio.

Tale scelta non appare discutibile sul piano della efficacia in quanto adottata, come si è detto, in base alle linee guida di Confindustria.

A prescindere da questa considerazione si osserva, tuttavia, che non appare ipotizzabile un modello diverso in quanto non si vede come fosse possibile attribuire ad altre persone il compito di manifestare all’esterno dell’ente le notizie relative allo stato della società.

Il modello, del resto, prevedeva che i rapporti con la stampa e i mezzi di comunicazione fossero comunque gestiti da uno specifico reparto e che la divulgazione dovesse essere in ogni caso completa, tempestiva, adeguata e non selettiva.

La questione, in realtà, non era quella di attribuire ad un qualche organo interno, diverso dai dirigenti, il controllo delle informazioni perché tali notizie, per la loro natura riservata, non potevano non essere demandate ai soggetti che avevano la responsabilità strategica della gestione della società.

Il modello, invece, ribadiva con forza l’essenziale dovere, per gli organi di vertice, di rispettare la più rigorosa deontologia professionale nel diffondere notizie destinate al pubblico degli investitori e agli altri operatori del mercato: completezza, tempestività, adeguatezza e non selettività dei dati da comunicare. Il procedimento interno di formazione dei comunicati stampa, prevedeva, comunque:

- la predisposizione da parte delle funzioni aziendali coinvolte;

- la formazione di una "bozza" da parte delle Relazioni Esterne

- la approvazione da parte del presidente e dell’A.D.

Come si vede, era comunque prevista un procedura che coinvolgeva più soggetti e nell’ambito della quale spettava ai vertici la approvazione finale dei comunicati.

Circa il comportamento dei vertici di (I.) nelle vicende oggetto di giudizio occorre premettere una osservazione di fondo che vale come constatazione di un modo di operare assolutamente censurabile.

Come si è potuto constatare in relazione ai fatti di cui al capo d), il Presidente xxx aveva inviato un promemoria al xxx chiedendogli di reperire un dato migliore per l’indice di bilancio già predisposto, così inducendolo a "forzare" gli elementi di valutazione a sua disposizione per migliorare, con una operazione cosmetica, l’andamento della società.

La vicenda, pur irrilevante sul piano penale, evidenzia un metodo interno di formazione delle informazioni del tutto contrario ai principi stabiliti nel modello organizzativo in quanto il dato da comunicare non era quello elaborato dagli uffici preposti, ma quello, non veritiero, "imposto" dal vertice al funzionario.

La procedura seguita costituisce pertanto una palese elusione del modello e appare dettata proprio dalle finalità che si volevano evitare con il modello, e cioè, la creazione di notizie false.

Omissis.

Ciò dimostra che i comunicati indicati nel capo d’accusa, e in particolare quello del 25 febbraio 2003, sono stati frutto della iniziativa unilaterale dei vertici societari, senza seguire la corretta procedura di formulazione del giudizio attraverso la necessaria istruttoria tecnica da affidare agli organi addetti alla gestione della società.

Omissis.

Come è facile constatare, la informazione esterna non tiene in alcun conto del vero dato "interno": lo trasforma, lo manipola, diventa frutto di un "desiderio" e non di un riscontro ed oggettivo, nel rispetto delle regole del mercato e della trasparenza verso i risparmiatori.

Al contrario, a dimostrazione del fatto che il modello organizzativo era conosciuto e osservato dai funzionari interni, si può citare la testimonianza del xxx, direttore finanziario dal novembre 2004, che ha riferito di avere sempre trasmesso alla società di revisione la lettere di attestazione di completezza e veridicità sui dati di bilancio trattati (verbale deposizione al p.m. del 2 settembre 2005).

La elusione del modello è evidente nella scelta di non seguire il corretto iter di formazione delle valutazioni, "by-passando" l’attività e gli studi degli uffici.

Il fatto emerge ancora, in tutta la sua chiarezza, nella citata vicenda del carteggio fra il Presidente xxx e Borsa Italiana, con la precisazione del Presidente che i ricavi indicati dall’A.D. erano in realtà "ballerini" e che gli uffici non erano stati in grado di fornire le precisazioni richieste.

La vicenda dimostra che il modello organizzativo era corretto nel prevedere il concorso degli uffici nella predisposizione di informazioni delicate, quali quelle relative ai ricavi futuri prevedibili, ma che era stato eluso dai vertici della società i quali – come nel caso in esame – avevamo fornito informazioni alla stampa seguendo un iter anomalo e comunque contrario al regolamento CONSOB, salvo poi ammettere a posteriori che era stato un "errore" non tenere conto di determinati fattori (quali i ritardi dello Stato nei pagamenti) nella formazione dei ricavi.

Per quanto riguarda il capo c3, risulta palesemente provata la elusione delle norme di comportamento contenute nel modello organizzativo in quanto il comunicato emesso dagli imputati era certamente incompleto, non contenendo alcun accenno:

- alle effettiva finalità della cessione,

- alla situazione finanziaria del gruppo che richiedeva l’urgenza di "fare cassa" per pagare le banche;

- alla opportunità di inserire una plusvalenza nel bilancio della capo gruppo.

Si tratta di informazioni incomplete e del tutto superficiali non corrispondenti alla realtà dei fatti.

Anche in questo caso la violazione di una delle norme del modello (l’obbligo di fornire informazioni complete e veritiere) è la conseguenza del mancato rispetto delle procedure interne – consacrate nel modello – che affidavano agli uffici della società preposti alle valutazioni finanziarie e allo studio delle operazioni di mercato la elaborazione dei comunicati da sottoporre ad approvazione dei vertici societari.

Se si fosse seguita la procedura prevista dal modello sarebbe stato impossibile per gli imputati attuare il loro proposito di "rassicurare" il mercato e di "abbellire" il bilancio della (I.) in danno degli investitori.

Per tutti questi motivi si ritiene che i comportamenti illeciti oggetto di imputazione non siano frutto di un errato modello organizzativo, ma siano da addebitare al comportamento dei vertici della società che risultano in contrasto con le regole interne del modello organizzativo regolarmente adottato.

La società deve essere pertanto dichiarata non punibile ex art. 6 legge 231/2001.

Ufficio del Giudice per le indagini preliminari, dott. Manzi

[Sentenza di assoluzione emessa all’esito di giudizio abbreviato nei confronti di (I.) s.p.a., in relazione alla commissione del delitto di aggiotaggio (art 2637 c.c.), commesso dal Presidente del Consiglio di Amministrazione e dall’Amministratore Delegato della società. Si riportano i passi rilevanti in tema di responsabilità dell’ente].

Ciò posto, dato per assodato che la sussistenza dell’illecito amministrativo contestato non discende automaticamente dal riconoscimento della commissione del reato – in quanto tale conclusione equivarrebbe a ritenere operante una sorta di "responsabilità oggettiva" dell’ente per gli illeciti penali commessi dai suoi vertici – occorre valutare se sussista nel caso specifico una o più ipotesi della causa esimente dalla responsabilità amministrativa prevista dall’art. 6 legge 231/01.Omissis.

Nei (rari) precedenti giurisprudenziali di applicazione di tale norma è stato giustamente affermato dalla S.C. che la adozione del "modello organizzativo" è condizione necessaria, ma non sufficiente, per non incorrere nella responsabilità amministrativa regolata dalla legge 231 cit. Ove il modello non sia stato adottato nei termini prescritti, infatti, l’ente risponde dell’illecito collegato al reato presupposto, a meno che non dimostri che il suo esponente apicale abbia agito nell’interesse esclusivo proprio o di terzi (Cass. 36083/09 rv. 244256).

Nel caso in esame, tuttavia, il modello organizzativo era stato adottato da (I.) con delibera del C.d.A. in data 29 gennaio 2003, e quindi, anteriormente alla data di commissione dei reati indicati ai capi c1 e c2. Solo per la ipotesi descritta al capo c3 il reato si sarebbe verificato prima della approvazione del modello organizzativo.

Per quanto riguarda il modello adottato si dà atto che la relativa documentazione è stata integralmente acquisita al fascicolo e che esso risulta minuziosamente descritto nella consulenza difensiva redatta da xxx con relazione 18 gennaio 2006.

Sul piano cronologico risultano i seguenti fatti:

- nel settembre 2001, subito dopo la entrata in vigore della legge 231/01, la società avviava la procedura di implementazione del modello con delibera C.d.A. 11 settembre 2001;

- il 7 marzo 2002 la Confindustria pubblicava le linee guida per la costruzione dei modelli di organizzazione, gestione e controllo e il successivo 3 ottobre 2002 una appendice a dette linee guida;

- il 29 gennaio 2003, sulla base di queste prime indicazioni, (I.) approvava il proprio modello organizzativo e il codice etico interno;

- successivamente a tale approvazione, nel dicembre 2003, il Ministero di Giustizia approvava le citate linee guida – sulla base delle quali era stato adottato il modello - con richieste di precisazioni e nel giugno 2004 le approvava definitivamente.

Sul piano della tempestività e della correttezza formale, pertanto, appare indiscutibile che (I.) aveva fatto proprie le prescrizioni legislative e le direttive della confederazione industriale, anticipando di gran lunga tutte le maggiori imprese italiane del comparto delle costruzioni e delle commesse pubbliche (vedi tabella relazione xxx pag. 11).

La difesa, inoltre, ha documentato che fin dal 2000, e cioè prima della entrata in vigore della nuova normativa sulla responsabilità degli enti per gli illeciti penali commessi dai loro esponenti, (I.) aveva adottato un sistema di controllo interno (c.d. Corporate Governance) basato sui principi del codice di autodisciplina dettato da Borsa Italiana s.p.a.

Sempre sul piano della cronologia dei fatti risulta che in data 27 marzo 2001 il C.d.A. aveva approvato una procedura per la gestione delle informazioni riservate e per la comunicazione al mercato delle informazioni "price sensitive" in base alla quale la gestione sarebbe stata curata dal Presidente, d’intesa con l’amministratore delegato, con la avocazione agli stessi del potere di autorizzare preventivamente ed espressamente ogni rapporto con i media.

Con la approvazione del modello organizzativo la (I.) costituiva l’organo di vigilanza (Compliance Officer: CO), di composizione monocratica, regolato secondo le linee guida di Confindustria.

Tale posizione veniva ricoperta dal Preposto al controllo interno nonché responsabile dell’internal auditing (si trattava perciò di un soggetto di provata esperienza e professionalità nello svolgimento del’incarico di vigilanza).

Tale figura veniva inoltre sganciata dalla sottoposizione alla Direzione Amministrazione, Finanza e Controllo e posta alle dirette dipendenze del Presidente.

Oltre alla introduzione di specifiche norme che stabilivano i flussi informativi verso il CO, il modello approvato da (I.) stabiliva degli obblighi di verifica annuale per i principali atti societari e per la validità delle procedure di controllo (tale attività era comunque il proseguimento di analoghe operazioni compiute negli anni precedenti dal responsabile dell’internal auditing).

Il modello organizzativo di (I.) prevedeva, ancora, una specifica normativa interna finalizzata alla prevenzione dei diversi reati societari denominata "Parte Speciale B", suddivisa a sua volta in vari capitoli corrispondenti al tipo di reati.

Per quanto riguarda il caso oggetto del presente giudizio, il modello, nella Parte Speciale B, dedicava il paragrafo B.5.5 alle misure di prevenzione del reato di aggiotaggio.

Il modello prevedeva, in particolare, la formalizzazione di:

- procedure interne che prevedevano la partecipazione di due o più soggetti al compimento delle attività a rischio,

- procedure di monitoraggio e controllo con la nomina di un responsabile dell’operazione;

- varie attività di formazione periodica sulla normativa;

- riunioni periodiche fra Collegio Sindacale e CO per la verifica dell’osservanza della normativa;

- procedure autorizzative per comunicati stampa, divulgazione di analisi e studi aventi ad oggetto strumenti finanziari.

La (I.), in merito a tali procedure, fin dal 27 marzo 2001 aveva approvato un regolamento interno per la comunicazione all’esterno di documenti e informazioni "price sensitive", ivi comprese le trattative per acquisti o cessioni di assets significativi.

Secondo tale procedura la gestione delle informazioni concernenti la società e le sue controllate era rimessa al Presidente e all’Amministratore Delegato.

Sempre secondo queste norme di comportamento, ogni rapporto con la stampa e gli altri mezzi di comunicazione doveva avvenire tramite le funzioni aziendali a ciò deputate e in particolare tramite il servizio Relazioni Esterne che – in base ad una disposizione del 12 giugno 2001 – riportava direttamente al Presidente. Allo stesso Presidente e all’amministratore delegato erano affidati i compiti di divulgare le informazioni riservate concernenti la società e le sue controllate, nonché, in generale, tutte le informazioni "price sensitive".

Nel medesimo regolamento, comunque, si stabiliva che la divulgazione doveva avvenire in modo completo, tempestivo, adeguato e non selettivo.

A questo proposito era previsto che la procedura autorizzativa dei comunicati stampa dovesse seguire i seguenti passaggi:

1. la descrizione dell’operazione era predisposta dalle funzioni aziendali direttamente a conoscenza dei fatti oggetto di comunicazione;

2. la bozza del comunicato era redatta dalle Relazioni Esterne;

3. la versione definitiva veniva rivista e approvata dal Presidente e dall’A.D.

4. i comunicati venivano inoltrati alla stampa attraverso il sistema informatico NIS (network information system) a Borsa Italiana, CONSOB e almeno due agenzie di stampa, in ottemperanza all’art. 114 D. Lgs. 58/98 e della Guida per l’informazione al mercato di Borsa Italiana.

Prima di esaminare la questione relativa alla efficacia del modello organizzativo con riferimento al capo C e al rispetto di tale modello nella fattispecie in esame, occorre valutare la sussistenza del reato presupposto e le concrete modalità di consumazione dei fatti contestati in tale capo di imputazione. Omissis.

CONSIDERAZIONI SULL’ILLECITO CONTESTATO AD (I.)

Fin qui si è cercato di ricostruire il quadro dei fatti in cui deve essere inserito l’illecito contestato a (I.) con riferimento al capo c) della originaria imputazione ai vertici della azienda xxx e xxx.

Occorre ora verificare se – pur sussistendo gli estremi per disporre, come è già avvenuto, il rinvio a giudizio degli imputati per il reato di aggiotaggio – possa essere applicata la causa di esenzione dalla responsabilità di cui all’art. 6 legge 231/01.

La prima considerazione da fare è che (A), come si è illustrato in precedenza, aveva tempestivamente adottato il modello organizzativo previsto dalla legge 231/01 nei termini stabiliti e secondo le linee guida indicate da Confindustria.

Il modello, inoltre, è stato adottato prima della commissione degli illeciti contestati agli imputati, tranne che per il comunicato del 31 dicembre 2002, commesso circa un mese prima dell’adozione del modello.

In merito a questo fatto, comunque, si osserva che a quella data era già stata avviata la procedura di adozione del modello e che in ogni caso la società aveva già autonomamente adottato un proprio codice di autodisciplina sulla base dei principi dettati da Borsa Italiana s.p.a.

Oltre a ciò si deve considerare che il CO nominato il 29 gennaio 2003 in base al modello organizzativo era lo stesso soggetto già in precedenza nominato come responsabile dell’internal auditing.

Queste considerazioni evidenziano la volontà della società – giustificata dalla sua dimensione internazionale e dalla delicatezza dei servizi trattati – di adeguarsi alla nuova normativa con una tempestività quasi senza precedenti nel panorama delle aziende italiane del settore costruzioni (sul punto vedi relazione xxx pag. 11).

In merito alla efficacia del modello organizzativo va tenuto conto che non vi erano praticamente precedenti in materia – se non forse a livello di multinazionali straniere – e che la nuova normativa era una novità assoluta per la giurisprudenza e la dottrina nazionali, posto che la novella del 2001 aveva introdotto per la prima volta nell’ordinamento dello Stato il concetto di responsabilità diretta degli enti per gli illeciti penali commessi dai loro dirigenti e amministratori.

Questa considerazione appare doverosa in quanto – pur trattandosi indiscutibilmente di valutazioni relative a illeciti amministrativi e non a illeciti penali commessi da persone fisiche – è evidente che anche nel giudicare la responsabilità della società, per non cadere in una sorta di "responsabilità oggettiva" degli enti, occorre verificare la efficacia del modello con valutazione "ex ante" e non "ex post", rispetto agli illeciti commessi dagli amministratori.

Del resto, non avrebbe senso ritenere inefficace un modello organizzativo per il solo fatto che siano stati commessi degli illeciti da parte dei vertici della persona giuridica, in quanto ciò comporterebbe, ovviamente, la pratica inapplicabilità della norma contenuta nell’art. 6 legge 231/01.

Occorre, in altre parole, stabilire se, prima della commissione del fatto, fosse stato adottato un corretto modello organizzativo e se tale modello, con valutazione ex ante, potesse considerarsi efficace per prevenire gli illeciti societari oggetto di prevenzione.

Nel gennaio del 2003 gli unici modelli noti erano quelli derivanti dalla esperienza dei codici di autodisciplina e, come si è detto, (I.) aveva da tempo già fatto proprio il codice suggerito da Borsa Italiana: ne consegue che l’ente non poteva ritenere inefficace, ai fini della prevenzione, ciò che era stato suggerito dalla maggiore istituzione finanziaria del paese.

Un altro dato da valutare è quello relativo alla efficacia del modello rispetto al reato di aggiotaggio.

Nel modello di (I.), come si è detto, la responsabilità delle comunicazioni "price sensitive" era attribuita al presidente e all’amministratore delegato, e cioè, proprio agli ipotetici autori del reato per cui si procede con rinvio a giudizio.

Tale scelta non appare discutibile sul piano della efficacia in quanto adottata, come si è detto, in base alle linee guida di Confindustria.

A prescindere da questa considerazione si osserva, tuttavia, che non appare ipotizzabile un modello diverso in quanto non si vede come fosse possibile attribuire ad altre persone il compito di manifestare all’esterno dell’ente le notizie relative allo stato della società.

Il modello, del resto, prevedeva che i rapporti con la stampa e i mezzi di comunicazione fossero comunque gestiti da uno specifico reparto e che la divulgazione dovesse essere in ogni caso completa, tempestiva, adeguata e non selettiva.

La questione, in realtà, non era quella di attribuire ad un qualche organo interno, diverso dai dirigenti, il controllo delle informazioni perché tali notizie, per la loro natura riservata, non potevano non essere demandate ai soggetti che avevano la responsabilità strategica della gestione della società.

Il modello, invece, ribadiva con forza l’essenziale dovere, per gli organi di vertice, di rispettare la più rigorosa deontologia professionale nel diffondere notizie destinate al pubblico degli investitori e agli altri operatori del mercato: completezza, tempestività, adeguatezza e non selettività dei dati da comunicare. Il procedimento interno di formazione dei comunicati stampa, prevedeva, comunque:

- la predisposizione da parte delle funzioni aziendali coinvolte;

- la formazione di una "bozza" da parte delle Relazioni Esterne

- la approvazione da parte del presidente e dell’A.D.

Come si vede, era comunque prevista un procedura che coinvolgeva più soggetti e nell’ambito della quale spettava ai vertici la approvazione finale dei comunicati.

Circa il comportamento dei vertici di (I.) nelle vicende oggetto di giudizio occorre premettere una osservazione di fondo che vale come constatazione di un modo di operare assolutamente censurabile.

Come si è potuto constatare in relazione ai fatti di cui al capo d), il Presidente xxx aveva inviato un promemoria al xxx chiedendogli di reperire un dato migliore per l’indice di bilancio già predisposto, così inducendolo a "forzare" gli elementi di valutazione a sua disposizione per migliorare, con una operazione cosmetica, l’andamento della società.

La vicenda, pur irrilevante sul piano penale, evidenzia un metodo interno di formazione delle informazioni del tutto contrario ai principi stabiliti nel modello organizzativo in quanto il dato da comunicare non era quello elaborato dagli uffici preposti, ma quello, non veritiero, "imposto" dal vertice al funzionario.

La procedura seguita costituisce pertanto una palese elusione del modello e appare dettata proprio dalle finalità che si volevano evitare con il modello, e cioè, la creazione di notizie false.

Omissis.

Ciò dimostra che i comunicati indicati nel capo d’accusa, e in particolare quello del 25 febbraio 2003, sono stati frutto della iniziativa unilaterale dei vertici societari, senza seguire la corretta procedura di formulazione del giudizio attraverso la necessaria istruttoria tecnica da affidare agli organi addetti alla gestione della società.

Omissis.

Come è facile constatare, la informazione esterna non tiene in alcun conto del vero dato "interno": lo trasforma, lo manipola, diventa frutto di un "desiderio" e non di un riscontro ed oggettivo, nel rispetto delle regole del mercato e della trasparenza verso i risparmiatori.

Al contrario, a dimostrazione del fatto che il modello organizzativo era conosciuto e osservato dai funzionari interni, si può citare la testimonianza del xxx, direttore finanziario dal novembre 2004, che ha riferito di avere sempre trasmesso alla società di revisione la lettere di attestazione di completezza e veridicità sui dati di bilancio trattati (verbale deposizione al p.m. del 2 settembre 2005).

La elusione del modello è evidente nella scelta di non seguire il corretto iter di formazione delle valutazioni, "by-passando" l’attività e gli studi degli uffici.

Il fatto emerge ancora, in tutta la sua chiarezza, nella citata vicenda del carteggio fra il Presidente xxx e Borsa Italiana, con la precisazione del Presidente che i ricavi indicati dall’A.D. erano in realtà "ballerini" e che gli uffici non erano stati in grado di fornire le precisazioni richieste.

La vicenda dimostra che il modello organizzativo era corretto nel prevedere il concorso degli uffici nella predisposizione di informazioni delicate, quali quelle relative ai ricavi futuri prevedibili, ma che era stato eluso dai vertici della società i quali – come nel caso in esame – avevamo fornito informazioni alla stampa seguendo un iter anomalo e comunque contrario al regolamento CONSOB, salvo poi ammettere a posteriori che era stato un "errore" non tenere conto di determinati fattori (quali i ritardi dello Stato nei pagamenti) nella formazione dei ricavi.

Per quanto riguarda il capo c3, risulta palesemente provata la elusione delle norme di comportamento contenute nel modello organizzativo in quanto il comunicato emesso dagli imputati era certamente incompleto, non contenendo alcun accenno:

- alle effettiva finalità della cessione,

- alla situazione finanziaria del gruppo che richiedeva l’urgenza di "fare cassa" per pagare le banche;

- alla opportunità di inserire una plusvalenza nel bilancio della capo gruppo.

Si tratta di informazioni incomplete e del tutto superficiali non corrispondenti alla realtà dei fatti.

Anche in questo caso la violazione di una delle norme del modello (l’obbligo di fornire informazioni complete e veritiere) è la conseguenza del mancato rispetto delle procedure interne – consacrate nel modello – che affidavano agli uffici della società preposti alle valutazioni finanziarie e allo studio delle operazioni di mercato la elaborazione dei comunicati da sottoporre ad approvazione dei vertici societari.

Se si fosse seguita la procedura prevista dal modello sarebbe stato impossibile per gli imputati attuare il loro proposito di "rassicurare" il mercato e di "abbellire" il bilancio della (I.) in danno degli investitori.

Per tutti questi motivi si ritiene che i comportamenti illeciti oggetto di imputazione non siano frutto di un errato modello organizzativo, ma siano da addebitare al comportamento dei vertici della società che risultano in contrasto con le regole interne del modello organizzativo regolarmente adottato.

La società deve essere pertanto dichiarata non punibile ex art. 6 legge 231/2001.