Tribunale Pinerolo: le associazioni automatiche su Google non costituiscono diffamazione
Particolare interesse suscita la recente ordinanza emessa dal Tribunale di Pinerolo, con la quale il Giudice designato respinge il ricorso promosso contro Google INC. per presunta diffamazione del soggetto ricorrente, al cui nome, digitato nel motore di ricerca Internet gestito da Google, il software “suggest search” (funzionalità che in modo del tutto automatico visualizza le parole più frequentemente digitate nella stringa di ricerca) associava i termini “arrestato” e “indagato”.
Con l’ordinanza in esame, in sede cautelare, il Tribunale adito esclude che la circostanza denunciata sia lesiva della reputazione del ricorrente.
In particolare, l’organo giudicante ritiene che le espressioni associate al nome del ricorrente, in considerazione del contesto in cui le stesse sono utilizzate e del fatto che il funzionamento del software usato da Google “è compiutamente e chiaramente spiegato su una pagina Web predisposta dalla resistente e liberamente accessibile”, non sono lesive dell’onore e della reputazione del medesimo. È immediatamente chiaro - quanto meno per un utente Internet informato - quale sia il significato da attribuirsi all’accostamento in questione: la descritta associazione significa che “un certo numero di utenti ha in tempi recenti interrogato il motore di ricerca per sapere se il ricorrente fosse (o fosse stato) indagato oppure arrestato. Il riferimento, in termini di mera ricerca di informazioni, all’eventuale coinvolgimento di una persona in indagini penali, tuttavia, non è di per sé diffamatorio”
Al riguardo, la sentenza chiarisce che “il reato di diffamazione, in relazione alla diffusione di notizie concernenti il coinvolgimento di taluno in procedimenti penali, è stato ritenuto integrato quando si trattava di affermazioni, di regola circostanziate, contrarie al vero e relative all’attribuzione della qualifica di indagato o di destinatario di atti processuali penali concernenti fatti di reato in concreto idonei ad infangare la reputazione della persona”.
È pertanto evidente che, nel caso di specie, il reato non è integrato, posto che:
- “le parole in questione non sono per loro natura epiteti offensivi, sicché la loro associazione al nome di una persona non vale, per ciò solo, a lederne la reputazione;
- la mera associazione dei termini in una stringa di ricerca non è un’affermazione, dovendo piuttosto essere paragonata ad una domanda;
- la domanda se taluno sia (o sia stato) indagato o arrestato non è, di per sé, lesiva della reputazione, potendo assumere detti connotati soltanto se, non essendo fondata su fatti veri, trattasi di una domanda retorica, oppure quando essa sia maliziosamente posta da chi sappia che la risposta sia negativa e voglia tuttavia insinuare che il soggetto in questione sia implicato in fatti di rilevanza penale;
- il contesto in cui l’associazione di termini in questione appare sulla stringa di ricerca di Google esclude in radice che si tratta di una domanda retorica …;
- del resto, anche per gli utenti Internet meno informati, non v’è possibilità di cadere in equivoco, posto che l’esito delle ricerche che siano effettuate con la combinazione dei termini in esame per mezzo dello stesso motore di ricerca porta chiaramente ad escludere che il ricorrente risulti essere stato indagato o arrestato”;
- Google svolge con neutralità un semplice servizio di I.S.P. e non è responsabile a meno che l’informazione ospitata sia illecita ed il prestatore sia consapevole di tale illiceità.
In conclusione, non è di per sé diffamatorio rendere noto che un certo numero di utenti si interroghi sul fatto se una persona sia o meno stata coinvolto in vicenda penale e voglia verificare se su Internet ci siano informazioni al riguardo. L’attività così realizzata da Google rappresenta pertanto una “mera diffusione” di una notizia mediante uno strumento di comunicazione di massa.
(Tribunale ordinario di Pinerolo, Ordinanza 2 maggio 2012)
[Dott.ssa Luciana Di Vito - Iusgate]
Particolare interesse suscita la recente ordinanza emessa dal Tribunale di Pinerolo, con la quale il Giudice designato respinge il ricorso promosso contro Google INC. per presunta diffamazione del soggetto ricorrente, al cui nome, digitato nel motore di ricerca Internet gestito da Google, il software “suggest search” (funzionalità che in modo del tutto automatico visualizza le parole più frequentemente digitate nella stringa di ricerca) associava i termini “arrestato” e “indagato”.
Con l’ordinanza in esame, in sede cautelare, il Tribunale adito esclude che la circostanza denunciata sia lesiva della reputazione del ricorrente.
In particolare, l’organo giudicante ritiene che le espressioni associate al nome del ricorrente, in considerazione del contesto in cui le stesse sono utilizzate e del fatto che il funzionamento del software usato da Google “è compiutamente e chiaramente spiegato su una pagina Web predisposta dalla resistente e liberamente accessibile”, non sono lesive dell’onore e della reputazione del medesimo. È immediatamente chiaro - quanto meno per un utente Internet informato - quale sia il significato da attribuirsi all’accostamento in questione: la descritta associazione significa che “un certo numero di utenti ha in tempi recenti interrogato il motore di ricerca per sapere se il ricorrente fosse (o fosse stato) indagato oppure arrestato. Il riferimento, in termini di mera ricerca di informazioni, all’eventuale coinvolgimento di una persona in indagini penali, tuttavia, non è di per sé diffamatorio”
Al riguardo, la sentenza chiarisce che “il reato di diffamazione, in relazione alla diffusione di notizie concernenti il coinvolgimento di taluno in procedimenti penali, è stato ritenuto integrato quando si trattava di affermazioni, di regola circostanziate, contrarie al vero e relative all’attribuzione della qualifica di indagato o di destinatario di atti processuali penali concernenti fatti di reato in concreto idonei ad infangare la reputazione della persona”.
È pertanto evidente che, nel caso di specie, il reato non è integrato, posto che:
- “le parole in questione non sono per loro natura epiteti offensivi, sicché la loro associazione al nome di una persona non vale, per ciò solo, a lederne la reputazione;
- la mera associazione dei termini in una stringa di ricerca non è un’affermazione, dovendo piuttosto essere paragonata ad una domanda;
- la domanda se taluno sia (o sia stato) indagato o arrestato non è, di per sé, lesiva della reputazione, potendo assumere detti connotati soltanto se, non essendo fondata su fatti veri, trattasi di una domanda retorica, oppure quando essa sia maliziosamente posta da chi sappia che la risposta sia negativa e voglia tuttavia insinuare che il soggetto in questione sia implicato in fatti di rilevanza penale;
- il contesto in cui l’associazione di termini in questione appare sulla stringa di ricerca di Google esclude in radice che si tratta di una domanda retorica …;
- del resto, anche per gli utenti Internet meno informati, non v’è possibilità di cadere in equivoco, posto che l’esito delle ricerche che siano effettuate con la combinazione dei termini in esame per mezzo dello stesso motore di ricerca porta chiaramente ad escludere che il ricorrente risulti essere stato indagato o arrestato”;
- Google svolge con neutralità un semplice servizio di I.S.P. e non è responsabile a meno che l’informazione ospitata sia illecita ed il prestatore sia consapevole di tale illiceità.
In conclusione, non è di per sé diffamatorio rendere noto che un certo numero di utenti si interroghi sul fatto se una persona sia o meno stata coinvolto in vicenda penale e voglia verificare se su Internet ci siano informazioni al riguardo. L’attività così realizzata da Google rappresenta pertanto una “mera diffusione” di una notizia mediante uno strumento di comunicazione di massa.
(Tribunale ordinario di Pinerolo, Ordinanza 2 maggio 2012)
[Dott.ssa Luciana Di Vito - Iusgate]