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Trust e patto di famiglia: implicazioni fiscali vecchie e nuove

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1. Cenni sul patto di famiglia

Il patto di famiglia (cfr. artt. 768-bis e ss. c.c., introdotti nell’anno 2006) è un contratto (da stipularsi per atto pubblico) con cui l’imprenditore trasferisce, in tutto o in parte, l’azienda, e il titolare di partecipazioni societarie trasferisce, in tutto o in parte, tali partecipazioni (purché le stesse siano idonee ad acquisire il controllo della società: per riferimenti cfr. Delle Monache, Commento agli artt. 768-bis e ss., in Aa.Vv., Commentario breve al codice civile, Milano 2020, IV, 2) ad uno o più suoi discendenti, detti “assegnatari” (su tale istituto cfr. ad esempio Aa.Vv., Patti di famiglia per l’impresa – Quaderni della Fondazione Italiana del Notariato, Milano 2006; Aa.Vv., Il patto di famiglia, a cura di La Porta, Torino 2007; Amadio, Profili funzionali del patto di famiglia, in Riv Dir Civ. 2007, 3, II, 345 e ss.; Bonilini, Patto di famiglia e diritto delle successioni mortis causa, in Fam Per Succ 2007, 5, 390 ss.; Caccavale, Appunti per uno studio sul patto di famiglia: profili strutturali e funzionali della fattispecie, in Not. 2006, 3, 289 ss.; Delfini, Struttura e patologia del “patto di famiglia”, in Av.Vv., Studi in onore di Giorgio Cian, Padova 2010, I, 749 ss.; Lupetti, Le assegnazioni dell’imprenditore o del titolare di partecipazioni sociali nei patti di famiglia, in Soc. 2007, 2, 143 ss.; Oberto, Il patto di famiglia, Padova 2006; Petrelli, La nuova disciplina del “patto di famiglia”, in Riv Not 2006, 2, 401 ss.; Rizzi, I patti di famiglia, Padova 2006; Zoppini, Profili sistematici della successione “anticipata” (note sul patto di famiglia), in Riv Dir Civ 2007 , 3, II, 273 ss.; Volpe, Patto di famiglia, Milano 2012).

L’art. 768-quater primo comma c.c., prevede che a tale contratto debbano, altresì, partecipare il coniuge dell’autore del suddetto trasferimento (d’ora in avanti: il “disponente”; a costui va equiparato l’unito civilmente, ex art. 1 comma ventunesimo legge n° 76 del 2016) e tutti coloro che sarebbero suoi legittimari ove in quel momento si aprisse la sua successione (d’ora in avanti: “non assegnatari”).

Secondo Cass. 29506/2020 tale partecipazione è necessaria (e non facoltativa), poiché altrimenti il patto è inopponibile ai legittimari assenti (così anche Petrelli, op. cit., 432 ss.; nel senso, invece della nullità del negozio cfr. Delle Monache, op. cit., II, 1, ove ulteriori riferimenti).

Il secondo comma della norma citata dispone che gli assegnatari debbano corrispondere ai non assegnatari (salvo che costoro vi rinunzino in tutto od in parte) una somma di denaro ovvero beni di valore corrispondente a quello della quota di legittima che a costoro spetterebbe sull’azienda o sulle partecipazioni societarie assegnate dal disponente se la sua successione si aprisse al momento della stipula: si tratta, in sostanza, della liquidazione delle loro spettanze (secondo taluno, però, potrebbe provvedere a soddisfare le loro pretese anche lo stesso disponente, come si potrebbe desumere dal riferimento alla possibile presenza di “beni assegnati” ai non assegnatari: cfr. Delle Monache, op. cit., III).

Per Cass. 32823/2018 e Cass. 29506/2020, tale obbligo di “liquidazione” posto a carico degli assegnatari e gravante sulla donazione che essi hanno ricevuto dal disponente è analogo – quanto agli effetti – ad un modus, con la differenza però che esso è previsto dalla legge (e non costituisce dunque, come accade invece nel caso regolato dagli artt. 793 e 794 c.c., una clausola frutto dell’autonomia negoziale, cioè liberamente inserita nel contratto).

Tale inquadramento giustifica, secondo le due sentenze citate, l’applicazione al patto di famiglia della disciplina fiscale dettata per la donazione modale (cfr. art. 58 primo comma D.Lgs. n° 346 del 1990) e quindi la soggezione all’imposta di donazione (esenzioni e franchigie permettendo) non solo dell’attribuzione effettuata dal disponente all’assegnatario, ma anche di quella effettuata da quest’ultimo per “liquidare” il non assegnatario.

Quanto alla prima attribuzione, essa potrà inoltre andare esente dall’imposta di donazione – visto quanto prevede l’art. 3 comma 4-ter del D.Lgs. cit. – a condizione che gli assegnatati “proseguano l’esercizio dell’attività d’impresa o detengano il controllo per un periodo non inferiore a cinque anni dalla data del trasferimento, rendendo, contestualmente alla presentazione della dichiarazione di successione o all’atto di donazione, apposita dichiarazione in tal senso”.

Quanto poi alla seconda attribuzione (cioè la “liquidazione”), le due sentenze citate concordano nell’individuazione del soggetto donatario (trattasi del non assegnatario), ma giungono a conclusioni diverse in tema di soggetto donante: mentre per la prima, infatti, tale qualifica compete all’assegnatario, la seconda ritiene – condivisibilmente – che essa spetti al disponente (sarà dunque al rapporto fra costui ed il non assegnatario che dovrà guardarsi per individuare le relative aliquote e franchigie).

Cass. 29506/2020, inoltre, ha precisato che tale “liquidazione” non può profittare della summenzionata esenzione ex art. 3 comma 4-ter D.Lgs. cit.

A seguito della stipula del patto di famiglia, quando si aprirà la successione del disponente non sarà più possibile impugnare per lesione di legittima le attribuzioni da egli effettuate nel medesimo, salvo che in epoca successiva vengano ad esistenza ulteriori suoi legittimari (si pensi all’ipotesi in cui il disponente, dopo la stipula, si sposi ovvero abbia un ulteriore figlio), i quali potranno quindi pretendere anch’essi la liquidazione delle loro spettanze sull’azienda o sulle partecipazioni societarie assegnate.

Secondo Cass. 29506/2020 l’istituto costituisce una deroga al divieto dei patti successori sancito dall’art. 458 c.c., – come suggerisce anche l’incipit di tale norma – “non tanto perché con esso vengono trasferiti per spirito di liberalità determinati beni dell’imprenditore prima dell’apertura della successione (in vista del passaggio generazionale nella gestione dell’impresa), ma perché, affianco a tale attribuzione, la legge prevede necessariamente la soddisfazione dei legittimari non assegnatari, mediante liquidazione di un conguaglio (anche in natura) da parte del beneficiario dell’attribuzione, anticipando gli effetti dell’apertura della successione tra legittimari ed anche della divisone ereditaria, limitatamente ai beni oggetto di trasferimento, tenendo conto delle quote di legittima, e rafforzando la definitività delle attribuzioni tutte con l’esclusione dalla collazione e dalla riduzione” (ma in dottrina la questione relativa agli esatti termini del rapporto fra patto di famiglia e divieto dei patti successori è assai controversa: per riferimenti cfr. Delle Monache, Note introduttive al commento agli artt. 768-bis e segg. c.c., in Aa.Vv., Commentario breve al codice civile cit., 745).

 

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