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Trust - trust liquidatorio

Trust
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La recente Sentenza del Tribunale di Cremona del 9 gennaio 2015, si segnala per l’accurata  analisi dell’atto di trust posta in essere dall’estensore. In realtà la sentenza non cede alla suggestione, alimentata dai molti negativi esempi in tema di trust liquidatorio, di guardare  con diffidenza a questi strumenti troppo spesso messi in piedi con sfrontata disinvoltura e con un chiaro intento fraudolento.

E il merito è in questo caso ancor maggiore, se vogliamo, perché il trust  poteva in certo senso fornire spunti per un atteggiamento di diffidenza: si pensi infatti che il trustee è inizialmente lo stesso disponente e che beneficiari finali sono le sue figlie.

I fatti, per come risultano ricostruiti nella sentenza, muovono dal sequestro preventivo che il Gip aveva disposto sui beni che costituivano il fondo di un trust in precedenza istituito. Per inciso si osserva che nella sentenza la proprietà viene erroneamente riferita al trust in quanto tale e non al trustee, ma non appare questo il punto su cui ora doversi soffermare.

Il provvedimento era stato deciso per la contestata violazione dell’articolo 2 del Decreto Legislativo n. 74 del 10 marzo 2000 recante “Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti

Non risultano, dalla sentenza, elementi tali che ci possano far conoscere l’atto di trust. Si conosce invece la data in cui il trust è stato istituito, il 2009,  nonché l’arco temporale in cui gli stessi sono stati acquistati che va dal 2003 al 2011, ma non risulta se i beni siano stati apportati, ovvero in tutto o in parte acquistati con la liquidità del trust. Non sappiamo inoltre a quando risalgono i fatti contestati, mentre, dal raffronto fra questi elementi si sarebbe potuto trarre un utile indizio circa una eventuale intenzione fraudolenta del disponente. Non è superfluo ricordare che i più sfacciati trust liquidatori che incorrono nella censura della giustizia sono per lo più posti in essere quando la società si trovava in uno stato già avanzato di insolvenza e il ricorso al trust, indipendentemente dalla finalità che asseriva di voler perseguire (il vantaggio dei creditori) costituiva invece l’ultimo espediente per cercar di sottrarre beni al fallimento imminente coinvolgendo nei diversi ruoli, tutti i componenti della famiglia.

La sentenza in commento, nell’accogliere il ricorso promosso dal trustee premette opportunamente che “il sindacato del giudice del riesame, pur non potendo spingersi fino a verificare la fondatezza nel merito delle contestazioni oggetto del processo, deve riguardare la corrispondenza fra il fatto materiale imputato e la fattispecie (legale) criminosa ipotizzata”. E il Collegio, dopo aver osservato che non è stata messa in discussione l’astratta configurabilità dei fatti per cui si procede, nelle memorie depositate dai difensori, rileva che queste si fondano (solo) sulla pretesa indisponibilità dei beni da parte dell’indagato e sulla presunta estraneità dell’indagata  ai fatti in esame.

Queste premesse rilevano ove si consideri che il sequestro preventivo può essere dato (articolo 321 del codice di procedura penale). “Quando vi è pericolo che la libera disponibilità di una cosa pertinente al reato possa aggravare o protrarre le conseguenze di esso ovvero agevolare la commissione di altri reati,”

Quanto poi alla legittimazione alla richiesta di riesame (articolo 322 del codice di procedura penale) questa spetta all’imputato e al suo difensore, alla persona alla quale le cose sono state sequestrate e a  quella che avrebbe diritto alla loro restituzione.

A ben vedere è lo stesso provvedimento (sequestro preventivo) che detta la linea del Gip che lo ha assunto. Questi infatti è costretto ad assumere che

colui che riveste la qualifica di disponente e di trustee abbia la libera, e quindi la piena, disponibilità della cosa pertinente al reato, perché ciò costituisce il presupposto fattuale del provvedimento adottato.

Ora effettivamente il disponente era, inizialmente, lo stesso trustee e siccome le figlie risultavano le uniche beneficiarie non poteva escludersi a priori che fosse stato messo in piedi un sistema truffaldino attraverso il quale, a conoscenza dei rischi che potevano incombere su di lui, il titolare della società aveva creato un meccanismo per mettere al riparo i beni da eventuali aggressioni  sia pur perdendone la formale titolarità, ma trasferendola a beneficio delle figlie secondo uno schema tipico dei trust liquidatori fasulli. Per questo, ripeto, sarebbe stato utile poter disporre di maggiori dati e conoscere il ricorrere di situazioni potenzialmente rischiose a carico della società.

Ancora alcune considerazioni in merito alla norma applicata e al ragionamento logico seguito dal giudice che ha evidentemente ipotizzato di trovarsi in presenza di una situazione simulata come accade quando il trust si rivela un mero schermo per consentire al disponente di continuare a gestire la cosa a suo piacimento dietro la protezione offerta da uno spossessamento solo formale. Che questo sia stato il percorso logico seguito appare abbastanza evidente anche perché  il trustee non ha la piena disponibilità dei beni che gli sono fiduciariamente trasferiti[1], ma è titolare di una proprietà funzionalizzata al conseguimento delle finalità che con il trust si vogliono perseguire. In ogni caso, anche quando gli fosse riconosciuta la massima estensione di poteri e potesse vendere i beni, acquistarne altri o investire i proventi, il discorso non muterebbe in modo sostanziale laddove si consideri che i beni apportati e le loro trasformazioni  non escono dal patrimonio del trust e devono essere  gestiti e amministrati nell’interesse dei beneficiari. Quindi, a mio sommesso avviso, nel caso di specie mancava un presupposto, per l’adozione del provvedimento, rappresentato dalla mancanza dello stato di pericolo. Pericolo che semmai, sarebbe potuto derivare, ma dubito che sia stato questo il profilo colto,  più che dalla libera disponibilità - che non c’era -  dal rischio che il trustee ponesse in essere investimenti rischiosi o alienazioni spregiudicate tali da mettere a repentaglio la consistenza patrimoniale del trust. A ben vedere però anche questo rischio non si appalesa come significativo intanto perché il trust è essenzialmente immobiliare, formato quindi da beni di non semplice alienazione, poi perché il trustee non ha interesse a depauperare il patrimonio che è destinato alle figlie, poi infine perché una condotta men che accorta lo avrebbe esposto a un’azione di responsabilità per breach of trust. Se questo è vero non si comprende come mai non sia stato indicato anche questo fra i motivi della domanda inoltrata al giudice del riesame.

Un’ultima considerazione sul ricorso. Abbiamo visto che ha titolo per inoltrarlo l’imputato, il suo difensore, la persona alla quale le cose sono state sequestrate e a quella che avrebbe diritto alla loro restituzione. Pertanto se non vi sono dubbi circa la legittimazione del trustee, ci si domanda, laddove fossimo in presenza di un trust retto dalla legge inglese o da quella di Jersey, con beneficiari fissi, identificati quindi e maggiorenni e tali da esaurire l’ambito delle posizioni beneficiarie, se non si dovrebbe riconoscere anche a questi la legittimazione a ricorrere considerato che essi, in ogni momento, possono chiedere al trustee la consegna dei beni. Sembra che quantomeno in via di surroga questa possibilità non possa ritenersi esclusa anche se è inutile addentrarsi troppo in disquisizioni che non sono supportate da un riferimento testuale certo. La sentenza continua poi escludendo la possibilità di far ricorso a sequestro preventivo “a meno che non esistano elementi indiziari sintomatici del fatto che l’indagato trustee continui ad amministrarli conservandone la piena disponibilità, ovvero che tale disponibilità “uti dominus” persista indipendentemente dalla titolarità apparente del diritto in capo a terzi che assumano la veste formale di trustee”.

Il giudice del riesame si chiede quindi, premesso che l’originario disponente è cessato dalle funzioni di trustee e che il trustee oggi è un soggetto diverso dal disponente “se la nomina di un nuovo trustee rivesta carattere truffaldino così che la perdita di disponibilità da parte dei proprietari degli immobili conferiti debba ritenersi solo apparente”.

Varie sono le ragioni che hanno fatto ritenere al Gip di trovarsi di fronte a una situazione fraudolentemente posta in essere.

Da un lato il fatto che il disponente che ha assunto anche il ruolo di Guardiano avrebbe mantenuto, anche dopo la modifica, poteri di controllo dell’attività del trustee e di conseguenza dei beni conferiti nel trust”, e questo perché, secondo l’atto istitutivo, in mancanza di una designazione formale, le funzioni di Guardiano sono esercitate dai disponenti; poi il fatto che il trust sia stato istituito con il fine di mantenere il patrimonio intatto per gli eredi diretti del disponente, risultando essere beneficiari le figlie o, in mancanza, i discendenti diretti delle stesse. Questa costruzione sarebbe a dimostrare che la disposizione dei beni a un terzo sia solo apparente e che quindi la segregazione operata con il trust non corrisponda ad alcuna segregazione sostanziale; da ultimo il fatto che alcuni dei beni conferiti  fossero ancora di fatto utilizzati dai membri della famiglia.

Tali argomenti vengono smontati in modo convincente dal giudice del riesame che non ha difficoltà a far rilevare, quanto al ruolo di guardiano, primo che si tratta di un organo collegiale, formato cioè da tutti i disponenti e non solo da colui che aveva assunto il ruolo di trustee e che l’atto istitutivo riconosce al guardiano la titolarità di un mero diritto di informativa sull’attività del trustee  e che il guardiano inoltre non ha potere di revocare il trustee.

Quanto alle finalità per cui il trust è stato istituito, rileva il giudice come queste siano tipiche di un certo tipo di trust - quello attraverso cui si attua il passaggio generazionale - e aggiungiamo anche, come l’esclusione dei coniugi dei figli dal godimento dei beni conferiti, che scaturisce direttamente in caso di successione come legittimari, e a favore dei nipoti (discendenti diretti delle figlie) costituisca un elemento differenziale che motiva il ricorso al trust in luogo di una successione testamentaria.

Di scarso pregio si rileva infine il fatto che alcuni membri della famiglia utilizzassero beni apportati al trust  atteso che questo utilizzo, oltre a non essere vietato in tema di trust risultava derivante dalla risalente stipula di contratti di locazione per i quali veniva corrisposto il relativo canone.

Accanto a quelli evidenziati, il giudice individua inoltre altri elementi a favore del carattere non simulato della successione nella qualifica di trustee quali:

la variazione di alcune clausole dell’atto  istitutivo di trust apportate in sede di modifica quali:

  • introduzione del regime di irrevocabilità del trust ;
  • riconoscimento della piena discrezionalità del trustee nell’esercizio delle sue funzioni, ivi comprese le alienazioni;
  • previsione di un compenso a favore del trustee;
  • potere di revoca del trustee attribuito ai beneficiari del reddito e solo per giusta causa.

Si fa rilevare inoltre che il nuovo trustee ha effettuato la voltura dei contratti a suo nome, variato l’anagrafica del conto corrente e ad attivarsi fattivamente per la gestione dei beni facenti parte del fondo.

Nel condividere pienamente la decisione assunta circa l’accoglimento del ricorso avverso il decreto di sequestro, ci sia consentito osservare che se è vero che l’esame dei presupposti deve essere effettuato ratione temporis, al momento in cui si deve decidere, è pur vero che da quanto si può apprendere dalla sentenza, questo trust avrebbe potuto generare non poche perplessità circa la sua meritevolezza. Infatti il disponente (o uno di essi) rimane trustee per quasi cinque anni (2009-2014); si trattava di un trust revocabile e essendo le figlie beneficiarie, i beni restavano in ambito familiare. Lasciando da parte i poteri del trustee ante modifica, sembrerebbe quasi che si sia corsi ai ripari rendendo presentabile un atto sul quale almeno nella sua stesura originaria potevano sussistere non pochi dubbi. L’ultima notazione riguarda la modifica di questo atto in ordine alla quale è lecito chiedersi come sia stato possibile stravolgere in modo così radicale l’originario strumento.

Il trust revocabile è infatti specchio di una situazione in cui il disponente continua a mantenere un pieno controllo sul trust cosicché la sanzione può essere quella della nullità per simulazione assoluta salvo che si possa qualificare, nella migliore delle ipotesi, come un mandato con rappresentanza.

Per quanto riguarda le altre modifiche ci limitiamo a osservare, in linea molto generale, che il potere di modifica, di per sé non vietato può attuarsi o col consenso dei beneficiari o con quello del giudice  in casi  di urgenza a fronte di situazioni non previste, ovvero per il mantenimento di beneficiari minorenni non contemplato nell’atto istitutivo. In ogni caso ci sembra che in questo caso si sia inciso sull’atto originale in modo assai penetrante e non abbiamo elementi per affermare che ciò si avvenuto nel rispetto della normativa vigente.

 

[1] Non si deve dimenticare infatti che questa limitazione può spingersi financo al divieto di alienare i beni apportati al trust. Per la validità di questa clausola al di la della mera obbligatorietà, si rinvia a S.Bartoli, D.Muritano, Le clausole del trusts interni, Torino, 2008.