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Un caso particolare nel quale il giudice monocratico può convertire il rito sommario in ordinario

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Ph. Paolo Panzacchi / Vista

Abstract:

L’articolo tratta della recente sentenza n. 253/2020, con la quale la Suprema Corte Costituzionale ha dichiarato costituzionalmente illegittima la norma di cui all’articolo 702-ter, comma 2 ult. per. codice procedura civile, nella parte in cui non prevede che in caso di domanda riconvenzionale rientrante nella competenza del Tribunale in composizione collegiale e pregiudicante rispetto alla domanda principale, il giudice può disporre la conversione del rito da sommario ad ordinario, fissando l’udienza di cui all’articolo 183 codice procedura civile

         

Indice:

1. Premessa sul rito sommario

2. Il caso e la (presunta) questione di incostituzionalità

3. La decisone della Corte Costituzionale

 

1. Premessa sul rito sommario

Recentemente, la Corte Costituzionale è stata chiamata a decidere della legittimità costituzionale dell’articolo 702-ter, co. 2 ult. per. codice procedura civile (“Nello stesso modo provvede sulla domanda riconvenzionale”).

La questione di incostituzionalità è stata sollevata dal Tribunale di Termini Imerese, il quale nell’occasione lamenta che la norma censurata, a fronte di una domanda riconvenzionale il cui oggetto rientri nella competenza del Tribunale in composizione collegiale e sia pregiudicante rispetto alla domanda principale, non accorda al Giudice monocratico alcun altro potere ma solo l’obbligo di dichiarare inammissibile la riconvenzionale.

Tuttavia, prima di procedere alla disamina della statuizione della Corte Costituzionale e della vicenda che l’ha generata, occorre soffermarsi preliminarmente e brevemente sulle caratteristiche del procedimento sommario di cognizione.

Il rito sommario di cognizione è stato introdotto nel codice di rito dall’articolo 51 della Legge n. 69/2009, con l’intento di rendere più spedito e semplice il contenzioso civile, senza tuttavia intaccare la pienezza dell’istruttoria. Si tratta di un rito speciale, in quanto non soggiace alle regole previste per il rito ordinario e la sua attivazione rientra nelle facoltà della parte attrice, che può preferirlo al rito ordinario esclusivamente ogniqualvolta l’oggetto della controversia rientri nella competenza del Tribunale in composizione monocratica.

Il rito in parola si attiva mediante ricorso, che deve contenere tutti i requisiti all’uopo richiesti dall’articolo 163 codice procedura civile, fatta salva l’indicazione della data di prima udienza che è incompatibile con la natura dell’atto. Il predetto ricorso, poi, viene inserito in un fascicolo d’ufficio all’uopo formato dal cancelliere e trasmesso al Presidente del Tribunale affinché con decreto designi l’Autorità Giudiziaria che istruirà e deciderà la causa e fissi la data di prima udienza.

In seguito, a cura della parte attrice il ricorso unitamente al decreto del Presidente del Tribunale deve essere notificato al convenuto entro 40 gg. dalla prima udienza, perché quest’ultimo possa costituirsi tempestivamente, ovvero entro 10 gg. dalla prima udienza. Anche qui la costituzione del convenuto avviene mediante comparsa di risposta, nella quale sono indicate le difese, i mezzi di prova, i documenti che si intende produrre e le conclusioni che egli intende avanzare. Inoltre, se la costituzione è tardiva, il convenuto decade dal potere di sollevare le eccezioni non rilevabili d’ufficio, nonché di chiamare in causa un terzo e di proporre domanda riconvenzionale. Qualora l’oggetto della domanda principale e della domanda riconvenzionale non rientrino in alcuna delle materie elencate dall’articolo 702-bis codice procedura civile, accade che l’Autorità Giudiziaria adita nelle forme del rito sommario dovrà dichiararle inammissibili.

All’udienza di comparizione delle parti, inoltre, il Giudice valuta la complessità dell’istruttoria, nel senso che valuta se la causa può essere decisa sulla base degli elementi di prova addotti dalle parti, cioè non richiede l’assunzione di prova di lunga durata. In tal caso, si procederà nelle forme del rito sommario. In caso contrario, il Giudice potrà convertire la procedura in ordinaria con ordinanza non impugnabile e trattare la causa secondo le regole dell’ordinario contenzioso civile. Se la causa principale potrà essere trattata col rito sommario, mentre la domanda riconvenzionale richiederà un’istruttoria più approfondita, allora il Giudice dichiarerà la separazione delle cause e disporrà che la riconvenzionale venga trattata nelle modalità del rito ordinario.

Ancora, bisogna evidenziare che con la Legge n. 162/2014 è stato attribuito al Giudice monocratico che sia adito con le modalità del rito ordinario, il potere di convertire il rito in sommario allorché ritenga che la causa possa essere istruita e decisa sulla base degli elementi di prova addotti dalle parti. A tal proposito, su richiesta delle parti il Giudice potrà concedere alle stesse un termine di 15 gg. per l’indicazione delle prove e dei documenti che intendono produrre; nonché, un ulteriore termine di 10 gg. per l’indicazione di controprova.

Il rito sommario si conclude con una decisione dell’Autorità Giudiziaria che viene assunta con ordinanza, e non sentenza, perché trattasi di un atto più semplice. Tale ordinanza è appellabile entro 30 gg. dalla pubblicazione o notificazione e nel relativo giudizio d’appello non potrà assumersi nuova prova, se non nei casi in cui la parte dimostri di non averla potuta produrre in primo grado per cause a lui non imputabili; nonché qualora il Giudice dell’appello ritenga l’assunzione di nuova prova indispensabile per la decisione della causa.

Un’ultima chiosa. Sopra si diceva che il rito sommario può essere attivato solo quando il Tribunale giudica in composizione monocratica. Tuttavia, in alcuni casi è possibile attivare il rito sommario anche quando il Tribunale giudica in composizione collegiale, allorquando, ad es., si controverta sulla eleggibilità o meno di un candidato alle amministrative.

 

2. Il caso e la (presunta) questione di incostituzionalità

La vicenda da cui prende le mosse la sentenza n. 253/2020 della Corte Costituzionale vede come protagonisti soggetti legati da rapporto di fratellanza, i quali propongono ricorso per rito sommario contro il proprio genitore. Con l’atto principale, i ricorrenti esigono la restituzione di una serie di beni indebitamente in possesso del convenuto loro genitore, in quanto essi li avrebbero ereditati in virtù di un testamento olografo.

Il convenuto, dal canto suo, si costituisce tempestivamente e propone domanda riconvenzionale nella quale legittima il proprio possesso dei beni rivendicati dai ricorrenti, asserendo di essere a sua volta erede in virtù di un precedente testamento pubblico e, allo stesso tempo, eccepisce la nullità del testamento olografo posto dai ricorrenti a fondamento della propria domanda. Ed è proprio su quest’ultimo punto che la questione diventa complessa ed intrigante.

Orbene, è noto che le controversie relative alla validità di un testamento rientrano, ex articolo 50-bis, comma 1 n. 6) codice procedura civile, nella competenza del Tribunale in composizione collegiale e, come è stato più volte ribadito sopra, il rito sommario, salvo qualche piccola eccezione, è attivabile esclusivamente quando la controversia è di competenza del tribunale in composizione monocratica.

Stante così le cose, il tenore letterale dell’articolo 702-ter, comma 2 ult. per. codice procedura civile non lascia scampo ad equivoci: va dichiarata inammissibile, sic et simpliciter, la domanda riconvenzionale proposta dal convenuto nel caso de quo, in quanto l’oggetto della stessa non è incluso nelle materie elencate dall’articolo 702-bis codice procedura civile Per tanto, il Giudice adito avrebbe dovuto seguire la trattazione della domanda principale e dichiarare inammissibile la riconvenzionale, non fosse altro che, anziché seguire tutto quanto sancito dalla menzionata disposizione, egli solleva questione di incostituzionalità della stessa per contrasto con gli articoli 3 e 24 Costituzione.

A detta del tribunale rimettente, il contrasto della norma censurata con l’articolo 3 Costituzione, nell’accezione di principio di proporzionalità, deriva dal fatto che la (obbligatoria) declaratoria di inammissibilità della domanda riconvenzionale, pregiudicante rispetto alla domanda principale, comporterebbe l’ipotesi, tutt’altro che remota, di un possibile contrasto di giudicati.

Infatti, seguendo la lettera della legge, nella vicenda de qua la domanda principale verrebbe trattata con il rito sommario, mentre per ottenere le ragioni di quanto rivendicato nella domanda riconvenzionale il convenuto dovrebbe incardinare un separato ordinario processo civile. Quindi, la trattazione in giudizi separati della domanda principale e della domanda riconvenzionale, stante il rapporto di pregiudizialità tra le stesse, potrebbe maturare la nascita di due giudicati completamente contrastanti fra loro.

A tal uopo, il Giudice rimettente evidenzia che il dubbio d’incostituzionalità di cui sopra non potrebbe essere risolto con l’espediente dell’articolo 34 codice procedura civile Detta disposizione, infatti, prevede la norma secondo cui la domanda riconvenzionale che rientri nella competenza, per materia o valore, di altra Autorità Giudiziaria superiore a quella adita con la domanda principale, determina lo spostamento di tutta la controversia (quindi anche della domanda principale) alla cognizione del Giudice gerarchicamente superiore. Epperò, osserva il Giudice rimettente che l’articolo 34 codice procedura civile è inapplicabile nel caso che ci occupa, atteso che domanda principale e domanda riconvenzionale rientrano non già nella competenza di due Autorità Giudiziarie gerarchicamente distinte, ma bensì nella competenza dello stesso ufficio giudiziario ancorché in diversa composizione.

Il contrasto con l’articolo 24 Costituzione, invece, scaturisce dal fatto che stante il tenore letterale della norma censurata, essa dischiuderebbe le porte all’abuso (del diritto processuale) del ricorrente. Questi, infatti, sarebbe incentivato ad azionare il rito sommario di cognizione per ottenere una decisione più celermente rispetto a quella che otterrebbe il convenuto che, di contro, dovrebbe incardinare un ordinario e separato giudizio civile per far valere le ragioni rivendicate nella riconvenzionale dichiarata inammissibile nel rito sommario.

In ultima istanza, il rimettente rileva che, in casi come quello che si tratta, il tenore letterale della norma impugnata non riconosce al Giudice il potere di poter convertire il rito sommario a rito ordinario, affinché causa pregiudicata e causa pregiudicante possano essere trattate congiuntamente.

 

3. La decisone della Corte Costituzionale

Il giudice delle leggi ha ritenuto fondate le questioni d’incostituzionalità sollevate dal Tribunale rimettente. A tal uopo, preliminarmente la Consulta rileva che nel caso in esame le due cause, principale e riconvenzionale, sono avvinte da nesso di pregiudizialità-dipendenza. Tale nesso, secondo il periodare della Suprema Corte di Cassazione, sussiste allorché l’oggetto della domanda pregiudicante sia l’elemento costitutivo del rapporto processuale nella causa pregiudicata.

Per tanto, il contrasto della norma censurata con l’articolo 3 Costituzione è fondato non già perché il legislatore o la giurisprudenza non abbiano escogitato istituti o soluzioni atte a favorire la trattazione congiunta di cause avvinte da pregiudizialità-dipendenza. Infatti, al di là di quanto previsto dal menzionato articolo 34 codice procedura civile, vi è pure l’istituto di cui all’articolo 274 codice procedura civile, che sancisce la riunione di procedimenti relativi a cause connesse.

A questo proposito, la Cassazione ritiene che la trattazione congiunta di cause avvinte da pregiudizialità-dipendenza, come quella in parola, potrebbe aversi allorché il giudice adito con rito sommario converta il rito in ordinario, sì da favorire la riunione delle cause ex articolo 274 codice procedura civile Tuttavia, la summenzionata soluzione è improponibile nel caso di specie, in quanto il tenore letterale della norma censurata non riconosce al giudice del rito sommario che l’obbligo di dichiarare inammissibili domande principali e riconvenzionali il cui oggetto non rientri nelle materie elencate all’articolo 702-bis codice procedura civile

Infatti, la contraddizione della norma censurata con l’articolo 3 Costituzione deriva dal fatto che il tenore letterale della stessa non consente un’interpretazione adeguatrice (e, tra l’altro, distonica rispetto al tenore letterale della stessa norma censurata), tale da dischiudere al potere del giudice monocratico di convertire il rito da sommario ad ordinario per la trattazione congiunta di cause pregiudiziali.

La Corte Costituzionale ritiene fondato finanche il contrasto fra la norma impugnata e l’articolo 24 Costituzione, non tanto perché viene corroso il diritto, non garantito dalla Costituzione, del convenuto al simultaneus processus. Quanto, piuttosto, perché, come lamentava il rimettente, la norma censurata, obbligando il giudice a dichiarare inammissibile la riconvenzionale di competenza del Tribunale in composizione collegiale, “privilegia” la parte ricorrente, la quale ultima potrà ottenere una decisione in tempi più rapidi rispetto al convenuto. Quest’ultimo, infatti, per ottenere tutela delle pretese avanzate nella riconvenzionale, dovrebbe incardinare un ordinario contenzioso civile, con l’inesorabile conseguenza di poter ottenere una decisione in tempi più lunghi stante anche il procrastinarsi nel tempo delle cause successorie. Il che arreca un pregiudizio esiziale alla parte convenuta, anche perché in questa sede non potrebbe ricorrersi all’escamotage dell’articolo 295 codice procedura civile e, quindi, sospendere la causa pregiudicata in attesa della decisione della causa pregiudicante. E ciò sia perché il testo della norma censurata non accorda questo potere al giudice; sia perché è possibile che il convenuto subisca la decisione della causa pregiudicata ancor prima di aver instaurato il contraddittorio per la causa pregiudicante.

Tutto quanto sopra, quindi, dischiude all’abuso del diritto processuale della parte ricorrente e rende la norma censurata incostituzionale per contrasto con l’articolo 24 Costituzione.

Tutto ciò premesso, la Consulta ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 702-ter, comma 2 ult. per. nella parte in cui non riconosce all’Autorità Giudiziaria il potere di convertire il rito sommario in ordinario, qualora vi sia rapporto di pregiudizialità-dipendenza tra domanda principale e domanda riconvenzionale e quest’ultima rientri nella competenza del Tribunale in composizione collegiale.

Effetti della summenzionata sentenza additiva possono essere i seguenti. Stante la pregiudizialità- dipendenza tra domanda principale e domanda riconvenzionale e il fatto che quest’ultima rientri nella competenza del giudice collegiale, il giudice monocratico può convertire il rito in ordinario e rimettere la trattazione congiunta delle due cause al Tribunale collegiale ex articolo 274 codice procedura civile Oppure, il giudice monocratico rimette la questione pregiudiziale all’attenzione del giudice collegiale e in attesa della decisione di questa sospende il giudizio della causa principale.

Letture Consigliate:

  • Compendio di diritto processuale civile, SIMONE EDITORE, 2020
  • Corte Costituzionale, sent. n. 253/2020
  • Commento all’articolo 702- ter codice procedura civile Codice di procedura civile, CEDAM EDITORE, 2019