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Un nuovo campo di studi comparativi: i popoli indigeni artici al cospetto delle questioni di sicurezza

popoli indigeni artici
popoli indigeni artici

Un tema ancora poco esplorato è quello della sicurezza dei popoli artici. Se, infatti, le questioni sulla sicurezza nell’Artico sono da tempo studiate, sotto i (tre) profili della sicurezza ecologica, economica e politico-militare[i], e altrettanto lo sono quelle che riguardano la sicurezza delle popolazioni aborigene, non molto si è invece finora detto a proposito del tema specifico relativo alla sicurezza delle comunità indigene artiche; in altri termini, i due temi sopra indicati hanno sinora avuto poche occasioni di intersecarsi. Alcuni casi, però, vi sono stati. Così, in particolare, gli Inuit del Canada, ma anche gli appartenenti alla medesima etnia che operano all’interno dell’Inuit Circumpolar Council (ICC), hanno condotto ricerche in materia di sicurezza, soprattutto sotto il profilo dei complessi rapporti tra uomo, animali, ambiente e cultura, tutti minacciati – in maniera diretta o indiretta – dal peggioramento delle condizioni ambientali, che mette a rischio – quantomeno nella prospettiva di lungo termine – sia l’identità culturale che l’autonomia sociopolitica delle popolazioni Inuit artiche[ii].

Sono almeno tre le principali minacce alla sicurezza dei popoli indigeni artici. In primo luogo, l’inquinamento industriale e i conseguenti danni ambientali. In secondo luogo, le attività estrattive, specialmente di petrolio e gas. In terzo luogo, e in connessione con quanto appena ricordato, il cambiamento climatico. Non soltanto gli Inuit sono esposti a tali minacce, ma anche i Saami dell’Europa settentrionale, tanto è vero che iniziative di contrasto rispetto alle attività predette sono state poste in essere, soprattutto dai Saami della Norvegia[iii].

In questo nuovo settore di studi, meno conosciuta di tutte è la situazione dei popoli indigeni artici della Russia. Eppure occorre prestare attenzione alla loro “voce”, per quanto flebile. Vengono in considerazione le attività estrattive, in particolare degli idrocarburi. Diversi fattori concorrono a determinare la situazione svantaggiata delle comunità aborigene dell’Artico russo, le cui condizioni di vita sono peggiori di quelle degli abitanti non-indigeni della regione polare e circumpolare russa[iv], le quali ultime a loro volta sono comunque deteriori se paragonate agli standards (peraltro non certo elevati) della popolazione della Federazione Russa. Tra di essi, vi è la progressiva contrazione dei poteri delle autorità decentrate, siano esse regionali o di altro livello amministrativo, che rappresenta una costante dei rapporti tra centro e periferia a partire dagli anni novanta del secolo scorso[v]. La diminuita capacità di intervento della autorità locali, infatti, ha inciso in maniera negativa sul benessere delle popolazioni indigene artiche, quando non ne ha messo a repentaglio la stessa sopravvivenza. Non si è trattato, soltanto, di una diminuzione di poteri attribuiti alle autorità periferiche, ma anche di una sottrazione ai loro danni di risorse economiche, convogliate verso le autorità centrali (id est, di Mosca). Ne è derivato, nel complesso, un depauperamento dei servizi sociali degli enti territoriali decentrati, messi nella pratica impossibilità di garantire adeguati livelli di sostegno economico a favore degli strati più vulnerabili della popolazione, tra cui sono abitualmente compresi gli appartenenti alle comunità indigene artiche e sub-artiche.

Le pratiche culturali ed economiche degli aborigeni dell’Artico hanno un indubbio fondamento ecologico. In Russia, la caccia, la pesca e l’allevamento tradizionale delle renne sono sempre convissute con le attività svolte dalla popolazione non-indigena. Questo fatto ha per così dire mascherato una grave minaccia per la sopravvivenza delle comunità indigena. Possiamo distinguere quattro distinti periodi. L’era sovietica, contrassegnata da notevoli danni all’ambiente, provocati all’insegna dello sviluppo industriale. Il periodo della c.d. perestroika, connotato da regolamentazioni lassiste, nonché dalla scarsità di controlli. La fase della liberalizzazione economica, durante gli anni novanta del XX secolo. Le attività estrattive, che sono assai diffuse nella Russia artica e circumpolare del XXI secolo[vi].

I problemi, naturalmente, sono complicati dalla constatazione che, in certi casi, le popolazioni indigene artiche sembrano accogliere con un certo favore le attività estrattive, dal momento che pensano di trarre da esse vantaggi di ordine materiale, quali occasioni di lavoro e, in generale, maggiore circolazione della ricchezza e degli investimenti. Ciò avviene sia pure nella consapevolezza dei rischi che, dal degrado ambientale, derivano tanto per la salute dei singoli e della collettività quanto per la sicurezza personale[vii]. Del resto, autorevole dottrina ha evidenziato la problematica (ma auspicata) composizione/compatibilità dei valori «ambiente» e «sviluppo», una volta superata la fase della mera contrapposizione, fermo restando che a dichiarazioni solenni (ed enunciazioni enfatiche) non seguono sempre le concretizzazioni[viii]. Le relazioni tra natura, società ed economia sono complesse, nell’Artico e non solo, come dimostrano inter alia le più recenti ricerche in tema di social-ecological system (SES) resilience[ix], che evidenziano l’importanza dei processi di adattamento dinamico, finalizzati a bilanciare il benessere attuale con la sostenibilità a lungo termine.

Un esempio dimostra in modo molto chiaro la situazione difficile degli indigeni e delle loro associazioni nella Federazione Russa, relativamente alla (eventuale) opposizione rispetto ai progetti di attività estrattiva. In primo luogo, le organizzazioni degli indigeni sono finanziate essenzialmente dai governi regionali, che hanno sempre meno risorse da dedicare a queste finalità. In secondo luogo, la più importante organizzazione degli indigeni della Russia, ossia RAIPON (sigla per Russian Association of the Indigenous Peoples of the North), è stata fortemente impedita nell’esercizio delle sue funzioni, proprio in relazione alle attività estrattive. RAIPON, infatti, nell’agosto del 2012 si è unita alla protesta di altre organizzazioni indigene contro l’estrazione del petrolio nelle aree di tradizionale insediamento delle comunità aborigene, incluse quelle dove viene esercitata la pesca. L’associazione RAIPON, membro (recte: partecipante) permanente del Consiglio artico[x], aveva altresì manifestato l’intenzione di portare la questione all’attenzione del Consiglio medesimo nella riunione programmata per maggio 2013. La reazione delle autorità centrali non si fece attendere; da novembre 2012 ad aprile 2013 le attività di RAIPON furono sospese, sulla base di una asserita «mancanza di corrispondenza» tra lo statuto dell’associazione e la legislazione federale. Le prese di posizione critiche[xi], anche da parte del Consiglio artico, hanno infine indotto le autorità russe a rivedere e, quindi, revocare il provvedimento di sospensione; resta, però, il fatto che – come ha dimostrato in maniera paradigmatica il caso di RAIPON – non è agevole per le associazioni degli indigeni ricevere dalle autorità pubbliche la dovuta attenzione sui security issues che li riguardano, sotto i profili della conservazione degi stili di vita tradizionale, del benessere e della stessa sopravvivenza.

 

[i] Cfr., da ultimo, T. Koivurova, The legal landscape in the Arctic – implications for the governance and security of the region, in D. Zandee, K. Kruijver, A. Stoetman (Eds.), The future of Arctic security. The geopolitical pressure cooker and the consequences for the Netherlands, The Hague, Clingendael – Netherlands Institute of International Relations, 2020, p. 64 ss.; F. Lasserre, P. Pic, Un paradigma di sicurezza artico? Per una lettura geopolitica del complesso regionale di sicurezza, in Il Polo, 2020, n. 4, p. 9 ss.

[ii] V., per esempio, W. Greaves, Environment, Identity, Autonomy: Inuit Perspectives on Arctic Security, in K. Hossain, A. Petrétei (Eds.), Understanding the Many Faces of Human Security. Perspectives of Northern Indigenous Peoples, Leiden, Brill, 2016, p. 35 ss.

[iii] Cfr. K. Hossain, Securitizing the Arctic indigenous peoples: A community security perspective with special reference to the Sámi of the European high north, in Polar Science, 2016, p. 415 ss.

[iv] Sulla necessità di tenere distinte le comunità indigene da quelle locali formate da non-indigeni, al fine di tutelare i diritti e lo status dei popoli indigeni, v. ex multis il recente Policy Paper on the Matter of “Local Communities”, elaborato a cura dell’Inuit Circumpolar Council (ICC) e datato 12 ottobre 2020 (disponibile nel sito Internet www.inuitcircumpolar.com). Ivi, a p. 6, si legge che «The legal status of Indigenous peoples is premised on our collective right to self-determination as peoples. Indigenous peoples are therefore distinct from minority populations or other civil society stakeholders. Inuit have worked alongside other Indigenous peoples to secure recognition of our distinct rights and legal status from States and intergovernmental organizations as a means of addressing the specific circumstances facing Inuit. Grouping and conflating Inuit and other Indigenous peoples with local communities suggests a false equivalency of rights between Indigenous peoples and local communities».

[v] Cfr. soprattutto C. Filippini, Dall’Impero russo alla Federazione di Russia. Elementi di continuità nell’evoluzione dei rapporti centro-periferia, Milano, Giuffré, 2004; Id., Autonomie e autogoverno locale in Russia. Dall’unità del potere statale all’unità del potere pubblico: ricostruzione di un modello, Torino, Giappichelli, 2020. Per la comparazione tra i Paesi dell’est, v. altresì A. Angeli, Il decentramento territoriale, in A. Di Gregorio (cur.), I sistemi costituzionali dei paesi dell’Europa centro-orientale, baltica e balcanica (Trattato di Diritto Pubblico Comparato, fondato e diretto da G.F. Ferrari), Milano, Wolters Kluwer, 2019, p. 243 ss.

[vi] Vedasi G. Fondahl, A. Sirina, Oil Pipeline Development and Indigenous Rights in Eastern Siberia, in Indigenous Affairs, 2006, n. 3, p. 58 ss.

[vii] Una ricerca approfondita su questi aspetti è stata effettuata da K. Stuvøy, Human Security, Oil and People: An Actor-Based Security Analysis of the Impacts of oil Activity in the Komi Republic, Ruissia, in Journal of Human Security, 2011, n. 2, p. 5 ss.

[viii] Cfr. E. Rossi, Dallo sviluppo sostenibile all’ambiente per lo sviluppo, in Rivista quadrimestrale di diritto ambientale, 2020, n. 1, p. 4 ss., il quale osserva che «È un atteggiamento frequente fra i politici quello di constatare alcune esigenze, di ribadire in modo deciso la volontà di risolverle e poi di lasciare le cose come stanno. Avviene tutte le volte in cui alla soluzione dei problemi si oppongono interessi che dovrebbero essere sacrificati per risolverli», aggiungendo subito dopo che «Anche nel caso dell’ambiente il bisogno di tutela ha dei costi. Non si tratta solo degli effetti negativi che si possono indurre in certe attività economiche, ma anche di costi sociali importanti, come quelli che si possono determinare, almeno nel breve periodo, sull’occupazione». (v. ivi, p. 7).

[ix] V. T. Li, Y. Dong, Z. Liu, A review of social-ecological system resilience: Mechanism, assessment and management, in Science of The Total Environment, vol. 723, 25 giugno 2020; in particolare, per la regione polare artica, cfr. T. Koivurova, Resilient socio-ecological systems, in Integrated European Polar Research Programme, Bremerhaven (Germany), Alfred-Wegener-Institut (AWI) – Helmholtz Centre for Polar and Marine Research/ EU-PolarNet, 2020, p. 36 ss.

[x] Sul Consiglio artico v., da ultimo, O.S. Stokke, Arctic Council, J.-F. Morin, A. Orsini (Eds.), Essential Concepts of Global Environmental Governance, London-New York, Routledge, 2021, ad vocem. I Permanent participants dell’Arctic Council sono: Aleut International Association; Arctic Athabaskan Council; Gwich’in Council International; Inuit Circumpolar Council; Russian Association of Indigenous Peoples of the North; Saami Council.

[xi] V. M. Bennett, Why did Putin Suspend Key Russian Indigenous Group?, in Alaska Dispatch, 24-11-2012 (www.alaskadispatch.com).