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Una lunga estate calda, fallimentare

Tramonto, Riomaggiore, agosto 2019
Ph. Francesca Russo / Tramonto, Riomaggiore, agosto 2019

Il fragore delle grida d’allarme elevatesi da ogni parte del mondo produttivo, economico, lavorativo, accademico e non solo avrebbe destato dal sonno anche il più appesantito plantigrado rifugiatosi in letargo nell’antro più recondito. Di contro non ha prodotto nemmeno un lieve acufene, un ronzio, un sibilo, seppur flebile, da destare la curiosità del legislatore a chiedersi “cos’è? Chi è che grida? Ma dove…?”.

Allarmanti sono le Proiezioni Macroeconomiche per l’Economia Italiana per il 2020 pubblicate dalla Banca d’Italia ([1]): il fatturato delle imprese, con particolare riguardo al commercio, turismo e tessile-abbigliamento, a fine anno 2020 vedrà un calo del 7%, con una flessione concentrata nel primo trimestre al -25,8%.

Per due terzi delle imprese pesa e peserà fortemente la crisi di liquidità, dovuta primariamente al forte ritardo nei pagamenti da parte dei clienti e per poco meno di un quinto dalle spese correnti. Come anche un ammontare di debiti commerciali, incagliati, della Pubblica Amministrazione per 50 miliardi.

Il Pil italiano viene già indicato con una caduta del 9,2% quest’anno, con innalzamento del deficit e del debito ancora più di quanto il Def di aprile avesse previsto. Sempre secondo la Banca d’Italia un terzo delle famiglie ha riserve solo per tre mesi e quasi il 40% degli indebitati ha difficoltà a far fronte alle rate di mutuo: avendo a riferimento la soglia di povertà 2016, il 55% della popolazione non avrebbe risorse finanziarie per poter restare in assenza di entrate per tre mesi fuori dalla soglia di povertà; e secondo l’OCSE il tasso di disoccupazione a fine 2020 è stimato in un 12,4% ([2]).

L’Ufficio Parlamentare di Bilancio stesso lancia l’allarme, nel proprio Rapporto sulla programmazione 2020 ([3]), sulle ricadute presumibili sul debito delle misure attuate dalla decretazione d’urgenza, quali le garanzie statali concesse ai prestiti bancari (Decreto Liquidità) e le anticipazioni agli enti locali per lo sblocco dei pagamenti. Il medesimo Ufficio formula richieste precise al Governo e al Ministero dell’Economia, avvisando della necessità di un cambio di strategia con previsione di misure maggiormente selettive e strutturali rispetto a quelle sinora disposte.

Viene rilevato, infatti, che la garanzia pubblica introdotta dal Decreto Liquidità determina ovviamente il trasferimento del rischio relativo agli inadempimenti e all’insolvenza delle imprese dai soggetti finanziatori allo Stato: rischiosità resa assai probabili dai danni causati dall’emergenza sanitaria (motivo per cui il Fondo di Garanzia ha visto un incremento di 6 miliardi di accantonamenti per rischio perdite da inadempimento imprese).

Ciò non potrà che determinare la necessità nei prossimi anni di recuperare risorse aggiuntive per fare fronte agli obblighi di garanzia assunti. Criticità attuali e future, dunque, per l’erario, che a propria volta determineranno più che presumibilmente in un futuro non tanto remoto un aumento del prelievo fiscale. Ma non solo, si evidenzia addirittura la resistenza delle imprese a richiedere comunque l’erogazione di tali finanziamenti, pur se garantiti, per il semplicissimo motivo – già messo in luce da più parti – che l’ottenimento di essi altro non costituisce che un gravoso aumento del proprio grado di indebitamento, contratto peraltro quale debito su debito e non in proiezione di recupero delle capacità produttive.

Il Fondo Monetario Internazionale a giugno ha revisionato le stime sul crollo del Pil italiano indicandolo in calo da un -9,1% ad un -12,8%, prevedendo in generale una recessione più acuta e una ripresa più lenta di quanto precedentemente ipotizzato. A giugno 2020 i livelli di produzione industriale sono inferiori del 18,9% rispetto a quelli dell’anno scorso, con un crollo in questo secondo trimestre del -21,6% rispetto al -8,4% del primo ([4]). La domanda nel mercato interno italiano è totalmente incerta proporzionalmente alla estrema incapacità di attuazione di piani effettivi in previsione di una futura progressiva uscita dalla crisi. I consumi e gli investimenti sono crollati, con un tasso di fiducia da parte delle famiglie nelle imprese franato di 33 punti percentuali rispetto a gennaio, a segnalare un aumento del risparmio e un blocco delle domande, di molto inferiori alle attese, con un conseguente aumento delle scorte di produzione, ferme nei magazzini.

Senza che fossero necessarie le statistiche drammatiche e le funeste previsioni, di per sé sin dall’inizio del lockdown, se non anche prima, la quasi totalità degli operatori del diritto concorsuale, comprendendo immediatamente le ripercussioni che esso avrebbe determinato su un sostrato economico già in difficoltà, ha profuso ogni possibile sforzo e consumato litri d’inchiostro giudicando con aspre critiche l’operato in sede emergenziale dell’esecutivo e del legislatore, quasi sempre asservito al voto di fiducia, segnalando in ogni maniera - financo proponendo con adeguate e articolate ipotesi normative - la necessità di predisporre una legislazione concorsuale emergenziale, temporanea, finalizzata alla salvaguardia dei valori aziendali, dei livelli occupazionali, del sostrato imprenditoriale del Paese, il tutto al fine di evitare il verificarsi del paventato scenario prodotto dal più drammatico fallimento sistematico dell’economia italiana ([5]).

Addirittura è stata segnalata la necessità di intervenire sulla legge 3/2012 con la quale si introdusse la procedura di composizione della crisi delle situazioni da sovraindebitamento non soggette né assoggettabili alle procedure concorsuali (il c.d. “piano del consumatore” o più volgarmente “legge anti suicidi”) che hanno visto una scarsa applicazione ([6]).

In tutta risposta, il bradipismo del legislatore ha prodotto unicamente la premura di convertire in legge il D.L. 8 aprile 2020 n. 23, ossia del c.d. “Decreto Liquidità” a ridosso dello spirare del termine di conversione. Invero, in sede di votazione alla Camera dei Deputati il testo è stato approvato con emendamenti e in tal guisa trasmesso al Senato al quale, per evitar il ricorso all’effetto navetta col rischio che un ulteriore passaggio alla Camera potesse produrre la decadenza del termine di conversione, è stata chiesta l’approvazione con voto di fiducia. La rincorsa dunque ha prodotto la Legge di conversione n. 40 del 5 giugno 2020, pubblicata in G.U. n. 143 del 6 giugno 2020.

La portata dell’art. 10, comma 1, di tale norma è ad oggi già completamente priva di qualsiasi valore. Tale disposizione ha posto la declaratoria di improcedibilità per tutti i ricorsi per la dichiarazione di fallimento proposti tra il periodo del 9 marzo 2020 e il 30 giugno 2020. Orbene, l’insensibilità alle grida d’allarme determina così che dal 1° luglio 2020 sono procedibili tutte le istanze per la declaratoria di fallimento.

Eppure, sin dall’immediatezza del Decreto Liquidità – e anche prima – oltre alle molteplici istanze di apprestare in tempi rapidi una legislazione ad hoc in tema di procedure concorsuali “emergenziali”, vari autorevoli studiosi hanno correttamente segnalato la esistenza nel nostro ordinamento di una procedura già articolata e ben collaudata per più di sessant’anni, abrogata con il D.Lgs. 5/2006, ma che alla bisogna forse avrebbe potuto – e potrebbe – essere reintrodotta con lievi modifiche. In sostanza, è stato giustamente segnalato che vi sarebbe già un abito che necessiterebbe al massimo solo di una “ritoccatina” per esser cucito addosso. Da più parti è infatti suggerita l’opportunità di riprendere la normativa dedicata al procedimento di amministrazione controllata di cui alla legge fallimentare del ’42: una disciplina snella e declinata in pochi articoli (artt. 187-193 l.fall.). Una procedura che negli anni successivi venne definita quale dedicata all’imprenditore “onesto, sì, ma sfortunato” ([7]).

Il tanto bistrattato legislatore del 1942, infatti, aveva predisposto nella legge fallimentare la procedura di amministrazione controllata, ossia di un “istituto nuovo nel nostro ordinamento giuridico” individuato quale utile strumento allorquando

accade infatti che nella vita dell’impresa, per riflesso di avvenimenti generali più forti di ogni individuale volontà, si determini una temporanea crisi che rende impossibile l’immediato e regolare soddisfacimento delle obbligazioni, senza che tuttavia si possa parlare d’insolvenza, e soprattutto di incapacità obbiettiva dell’impresa a riacquistare il suo normale equilibrio”.

Una procedura “volutamente contenuta in poche e semplici disposizioni, per lasciare in questa materia il più largo campo all’iniziativa degli interessati e alla prudente valutazione delle circostanze da parte del giudice” ([8]). Veniva distinta dalla procedura di concordato preventivo, rappresentando l’amministrazione controllata quale “la medicina rispetto alla operazione chirurgica, che non può guarire l’ammalato senza lederne in maggiore o minore misura la integrità”.

Durante tale procedura, il debitore conservava la titolarità e l’amministrazione dell’impresa, ma sotto il controllo di un commissario giudiziale, a sua volta assistito da un comitato di creditori, salvo l’affidamento da parte del tribunale dell’amministrazione in tutto o in parte al commissario. I criteri di amministrazione naturalmente non vennero stabiliti dalla legge, che si limitava a disporre che l’amministrazione potesse essere in ogni momento revocata qualora fosse risultato che non avrebbe avuto luogo la sua utile continuazione. Oppure per iniziativa del debitore stesso allorquando avesse dimostrato di poter essere finalmente in grado di soddisfare le proprie obbligazioni. Peraltro, in caso di revoca, o al termine del periodo prefissato, qualora l’impresa non fosse stata in grado di adempiere, il giudice dava corso alla dichiarazione di fallimento, non escludendosi, tuttavia, che il debitore potesse proporre ai creditori il concordato preventivo alle condizioni stabilite dalla legge.

Si prevedeva dunque che l’imprenditore non ancora in stato di insolvenza bensì in temporanea difficoltà, ricorrendo il medesimo presupposto oggettivo per l’ammissione alla procedura di concordato preventivo, previa verifica della sussistenza anche di comprovate possibilità di risanamento dell’impresa ([9]), potesse accedere per un periodo limitato (due anni) all’amministrazione controllata disposta con decreto dal Tribunale cui doveva seguire, poi, l’approvazione della maggioranza dei creditori che rappresentassero anche la maggioranza dei crediti. Una volta aperta la procedura, si determinavano i medesimi effetti di cui agli artt. 167 e 168 l.fall., ossia l’inefficacia di atti compiuti dall’imprenditore eccedenti l’ordinaria amministrazione privi di autorizzazione del giudice delegato (art. 167 l.fall.) e il divieto per i creditori per titolo o causa anteriore all’ammissione di iniziare o proseguire azioni esecutive sul patrimonio del debitore ammesso alla procedura, la sospensione delle prescrizioni e delle decadenze e il divieto di acquisizione di diritti di prelazione con efficacia rispetto ai creditori concorrenti, se non previa autorizzazione del giudice delegato (art. 168 l.fall.).

Se ricorrevano le condizioni di legge, dunque, il tribunale ammetteva il ricorrente alla procedura con decreto non soggetto a reclamo e con il quale, delegava il giudice alla procedura, ordinava la convocazione dei creditori non oltre trenta giorni, nominava il commissario giudiziale, stabiliva un termine non superiore a otto giorni entro il quale il debitore avrebbe dovuto depositare in cancelleria le somme necessarie per l’intera procedura (vecchio art. 188 l.fall. – abrogato).

Una procedura che potrebbe ben essere utile alla luce dei rilievi sollevati in merito al fatto che la scarsità delle risorse finanziarie e di liquidità unitamente alla necessità di una rapida azione di intervento, presumibilmente comporteranno una selezione delle imprese meritevoli di sostegno: merito da misurarsi sulla base di ratio finanziari e industriali oltre che sulla prospettiva di recupero ([10]).

Insomma, pregevole dottrina ha informato, avvisato, financo segnalato ogni possibile e necessario adeguamento della abrogata disciplina mediante espressi richiami alle norme sul concordato preventivo (artt. 167, 168, 169bis e 173 l.fall.), ma nulla è valso. Niente, il suono dell’allarme si andrà disperdendo in un’estate ormai concentrata nel dover districare forse il più importante problema della ripresa del campionato di calcio o della distribuzione dei voucher per le vacanze. In fondo, dopo mesi di stress, di mascherine e guanti, di clausura forzata, è giusto non pensare alle brutte cose e andare tutti un po’ al mare, a godersi il meritato riposo. Ci si penserà a settembre. E visto che tanto in estate, tra una spiaggia e l’altra, tra un mojito e un ballo, può sempre arrivare una bella crisi di governo, nel caso poi ci penserà chi ci sarà dopo un’altra lunga estate calda.

In fondo la scarsa capacità uditiva del legislatore è comprensibile e, anzi, ben giustificabile. Perché è un dato di fatto che viviamo in un Paese che è sempre in una perenne campagna elettorale: da uno “star sereno” a un rimpasto; da una campagna referendaria a una crisi di maggioranza; da una incapacità di formare un governo all’evitare di tornare alle elezioni (buttandosi prima a destra e poi a sinistra, secondo mera convenienza); da una propaganda per la tornata delle amministrative nella premura di evitare la crisi di governo, al “salvacondotto emergenziale” della pandemia che rinsalda tutto e consente il rinvio dell’ultimo giro di amministrative cui dedicarsi. Il tutto condito con “sane” liti interne nello sgomitar del valzer delle poltrone. E il Paese che resta a guardare, o peggio ancora a tifare come allo stadio, che magari arriva un’altra crisi estiva e altre elezioni politiche in autunno ([11]). Sempre pronti, sempre sulla cresta, in bilico, sempre in campagna elettorale: non c’è proprio tempo di pensare ad altro, diamine!

Una perenne campagna elettorale che grazie ai social network opera quotidianamente e invasiva come un martello pneumatico, che è più fragoroso dei nugoli degli avventori al bar dello sport. Non si deve attendere la tribuna politica con Jacobelli sul primo canale; non si deve attendere di essere a ridosso di un richiamo “naturale” alle urne per assistere al montaggio delle tribune nelle piazze, per allungare orecchio agli annunci dei megafoni montati sui tettucci dei furgoncini in giro per le vie, per lamentarsi della selvaggia affissione dei manifesti elettorali, dell’esortazione ad accorrere numerosi.

No, visto che oggi il potere del politico è “precario” a seconda di come tira il vento e vale più di quella del Paese che sarebbe chiamato a servire, per fare propaganda elettorale basta avere la semplice destrezza di un primate dotato di pollici opponibili armato di uno smartphone. Oggi la propaganda vive minuto per minuto, in una guerra combattuta nelle trincee dei like, che vede un susseguirsi di battaglie via tweet, che procede al passo di leopardo sui social, che attende l’appoggio della contraerea degli influencer, in un continuo fuoco di mortai caricati di post, di tag, di spot e tiktok, per lo sbalzo finale a suon della mitraglia degli slogan, rapidi, diretti, che gli esperti di comunicazione chiamano “facilmente fruibili”, per arrivare al posizionamento di una diretta facebook a vantarsi delle manovre eseguite.

Oggi la propaganda deve essere ficcante!  Metafora per dire che la propaganda deve essere priva di qualsiasi contenuto, nel dilagare dell’analfabetismo funzionale, perché altrimenti non riesce sorprendere e conquistare un elettore alla volta. Il politico non deve convincere, deve piacere. Non deve avere una idea (figuriamoci un’ideologia, giammai!!), ma una risposta secca, rapida, convincente, e subito e su tutto, a nulla importa quale sia la domanda posta. Il politico deve essere un tuttologo, uno che deve avere un’opinione su qualsiasi cosa. Lui è il Mr. Wolfe che risolve problemi. Ha un gran fascino, sì è anche brusco, ma solo perché il tempo è a suo sfavore: egli “deve” allora pensare in fretta, deve parlare in fretta come pure deve dispensare in fretta le “soluzioni migliori” ai problemi impossibili: saranno poi gli altri a seguirli e ad agire in fretta, sempre se vogliono cavarsela.

Il candidato politico d’oggi deve avere proprio una bella faccia (tosta) da ammaliare! Deve mostrare sicurezza e presenza (prepotenza), deve mostrarsi sicuro di sé senza alcun dubbio soprattutto sulla “giusta” rotta da percorrere e se poi ha anche lo “sguardo piacionico”, come direbbe Proietti, il gioco è fatto: dimostrerebbe di esserci nato per quel mestiere. Sì, perché caporali si nasce, non si diventa, direbbe il Principe de’ Curtis, che, capita l’antifona, anche questa volta probabilmente andrebbe subito alla finestra impugnando un imbuto a mo’ di megafono e si metterebbe, perentoreo, ad esortare ancora: “Italiani! Inquilini! Coinquilini! Casigliani! Quando sarete chiamati alle urne per compiere il vostro dovere, ricordatevi un nome solo: Antonio La Trippa!!” […] Italiano! Vota La Trippa!!”.

 

([1]) Proiezioni macroeconomiche per l’economia italiana (esercizio coordinato dell’Eurosistema), consultabile sul sito di Banca d’Italia all’indirizzo web: https://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/proiezioni-macroeconomiche/2020/Proiezioni-Macroeconomiche-Italia-Giugno-2020.pdf.

([2]) Come riportato ne IlSole24Ore dell’8 luglio 2020, Bankitalia: colpito il reddito di metà della popolazione.

([3]) Pubblicato il 1° luglio 2020 il Rapporto sulla programmazione di bilancio 2020, consultabile sul sito dell’Ufficio Parlamentare di Bilancio all’indirizzo web http://www.upbilancio.it/pubblicato-il-rapporto-sulla-programmazione-di-bilancio-2020/.

([4]) Centro Studi Confindustria, riportato in IlSole24Ore del 2 luglio 2020.

([5]) Per l’indicazione delle proposte, mi permetto di rimandare ai precedenti articoli di questa Rubrica, Lettere di credito, su Filodiritto.

([6]) Crisi dei privati e risparmio: commercialisti in campo, in IlSole24Ore del 6 luglio 2020.

([7]) Censoni, La gestione delle crisi sistemiche delle imprese da Covid-19 fra legge fallimentare e codice della crisi e dell’insolvenza: il ritorno dell’amministrazione controllata?, in Crisi d’Impresa e Insolvenza, 3 giugno 2020;  Galletti, Il diritto della crisi sospeso e la legislazione concorsuale in tempo di guerra, in Ilfallimentarista.it, 15 aprile 2020.

([8]) Così la Relazione Ministeriale di accompagnamento al Regio Decreto 16 marzo 1942, n. 267 in G.U. 6 aprile 1942 n. 81.

([9]) Presupposto introdotto dalla L. 391/1978, che aumentò peraltro da uno a due anni il periodo di durata della procedura.

([10]) Papa, Il ruolo chiave delle PMI per la crescita, in Sole24Ore, 3 luglio 2020.

([11])  Si veda Bonomi, intervento del Presidente di Confindustria alla digital convention dei Giovani Imprenditori “3R: Ripartenza – Responsabilità – Resilienza” del 4 luglio 2020, il quale, giustamente, segnala che non si governa con gli annunci.