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Velo islamico: il divieto è incostituzionale?

libertà religiosa
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Abstract

Diritto di uguaglianza dinanzi alla legge, di libertà di religione, di uguaglianza di tutte le religioni davanti alla legge, di equidistanza, imparzialità e laicità dello Stato, da un lato e rispetto delle convinzioni religiose dei genitori (articolo 2 Prot. n. 1 CEDU) dall’altro lato, sono stati oggetto di un’accurata valutazione comparativa da parte della Corte costituzionale nella sentenza di cui si parlerà in quest’articolo.

 

Indice:

1. Introduzione

2. Ammissibilità dei ricorsi, deduzioni dei ricorrenti e controricorso del Governo federale

3. Il divieto di cui al § 43 a SchUG (Legge sull’ordinamento scolastico), principi di diritto interno e di diritto sopranazionale

4. Disparità di trattamento

 

1. Introduzione

Recentemente la Corte costituzionale austriaca si è pronunziata sulla legittimità del § 43 a dello “Schulorganistionsgesetz – SchUG” (Legge che disciplina l’organizzazione dell’attività didattica), dichiarando l’illegittimità di questa norma.

Prevedeva, il citato paragrafo, il divieto, per le alunne, di portare – fino al termine dell’anno scolastico, in cui avevano compiuto il 10.mo anno di età- indumenti, di carattere religioso, che comportano la velatura del capo.

In caso di ripetuta violazione di questo divieto, era prevista la sanzione amministrativa pecuniaria fino a 440 Euro, sostituita dalla pena detentiva fino a due settimane, qualora l’importo non fosse stato pagato.

I genitori di due alunne, ritenendo di essere stati lesi nei loro diritti dalla citata norma, in particolare, nel diritto all’istruzione religiosa delle loro figlie, si erano rivolte al “Verfassungsgerichtshof”, deducendo, che il § 43 a SchUG è in contrasto con: l’articolo 9 CEDU, l’articolo 14 dello “Staatsgrundgesetz – StGG”, l’articolo 63, c. 2, del Trattato di St. Germain, l’articolo 7 del “Bundesverfassungsgesetz – B-VG” (che contiene le principali norme della Costituzione federale), l’articolo 2 StGG, l’articolo 10 CEDU nonché con l’articolo 18 B-VG.

Prima di passare a illustrare la motivazione adottata dalla Corte costituzionale, pare opportuno accennare al contenuto delle norme, la cui violazione ha indotto questa Corte all’“Aufhebung” del § 43 a SchUG, vale dire, a dichiararne l’illegittimità costituzionale.

 L’articolo 7 B-VG, comma 1, sancendo la parità di tutti dinanzi alla legge, esclude privilegi dovuti alla nascita, al sesso, alla classe o allo stato sociale o al credo religioso. Il comma 2 prevede l’effettiva parità tra uomo e donna e obbliga gli enti pubblici, a realizzare e a favorire questa parità di genere nonché a eliminare le disparità esistenti.

Articolo 2 dello “Staatsgrundgesetz – StGG” del 1867: La parità di tutti (i cittadini) dinanzi alla legge, era già prevista dal citato articolo. Questo principio è stato sempre ritenuto vincolante – anche per il legislatore – dalla Corte costituzionale, sin dalla sentenza 1451 e consente unicamente “sachlich gerechtfertigte Differenzierungen”.

“Die volle Glaubens-und Gewissensfreiheit ist Jedermann gewährleistet“ (la piena libertà di religione e di coscienza, è garantita a tutti). Questo lo dispone l’articolo 14, comma 1, StGG, mentre il comma 2 della citata norma, ha statuito, che il godimento dei diritti civili e politici, non può dipendere dal credo religioso, anche se quest’ultimo non deve essere di ostacolo all’adempimento dei doveri, che il cittadino ha nei confronti dello Stato.

Molto più specifica, in materia di libertà di religione, è il comma 1 dell’articolo 9 CEDU. “Ogni persona ha diritto alla libertà di religione” (oltre a quella di pensiero e di coscienza); questo diritto include pure la libertà di manifestare la propria religione o il proprio credo, individualmente o collettivamente, in pubblico o in privato, mediante il culto, l’insegnamento, le pratiche e l’osservanza dei riti.

Il comma 2 prevede, che la libertà di manifestare la propria religione o il proprio credo, non può essere oggetto di restrizioni, diverse da quelle, che sono stabilite dalla legge e che costituiscono misure necessarie, in una società democratica, per la pubblica sicurezza, per la protezione dell’ordine, della salute o della morale pubblica oppure per la protezione dei diritti e delle libertà altrui.

Di particolare importanza è pure il Protocollo N. 1 aggiunto alla CEDU, concernente il diritto all’istruzione, diritto, che non può essere rifiutato a nessuno. Lo Stato, nell’esercizio delle funzioni, che assume nel campo dell’educazione e dell’insegnamento, deve rispettare il diritto dei genitori, di provvedere a tale educazione e a tale insegnamento, secondo le loro convinzioni religiose o filosofiche.

 

2. Ammissibilità dei ricorsi, deduzioni dei ricorrenti e controricorso del Governo federale

Preliminarmente il “Verfassungsgerichtshof” ha osservato, che il ricorso è ammissibile (ai sensi dell’articolo 140, c. 1, n. 1, lett. c, del B-VG), in quanto spetta a essa Corte, pronunziarsi su questioni di costituzionalità di leggi, se il ricorrente asserisce di essere stato leso direttamente nei suoi diritti per effetto dell’impugnata legge (federale) nel senso che  quest’ultima ha effetti sfavorevoli (non soltanto potenziali, ma attuali) concernenti la propria sfera giuridica e se il ricorrente non ha a disposizione altro “mezzo” per ovviare all’intervento (legislativo) asseritamente illegittimo (vedasi VfSlg  14.260/1995, 19.954 e 20.191/2017). Non si poteva pretendere dai ricorrenti, che provocassero un “verwaltungs- behördliches Strafverfahren” (un procedimento sanzionatorio amministrativo) per poi, nell’ambito dello stesso, sollevare la questione di legittimità costituzionale del § 43 a SchUG (vedasi VfSlg 14.260/1995, 19.954/2015 e 20.191/2017).

Il fatto di portare un copricapo di tradizione islamica, non influirebbe minimamente sull’andamento dell’attività didattica. Si sono richiamati, i ricorrenti, a una precedente decisione della Corte costituzionale, secondo la quale (vedasi VfSlg 19.349/2011), portare simboli religiosi nelle istituzioni scolastiche, è ammissibile. Il principio di partità delle religioni e il pari trattamento delle stesse, giustificherebbe l’uso di quest’indumento nelle scuole.

Il § 43 a SchUG, violerebbe il diritto di educare i propri figli secondo il proprio credo religioso, diritto sancito dalla Costituzione federale. Il legislatore del 2019 ha giustitficato la propria scelta di introdurre il § 43 a SchUG, con motivi inerenti al principio (costituzionale) di parità di trattamento tra alunni/e di sesso maschile e femminile. In sede di discussione sul disegno di legge de quo, era emerso, che il divieto del copricapo, non è applicabile (e, di fatto, non è stato applicato), né alla “kippah”, né alla “patka”. É stata, quindi, operata una differenziazione non giustificata da criteri oggettivi – tra diversi indumenti caratterizzanti l’aderenza a un determinato credo religioso.

Se il “Gesetzgeber”, con la norma de qua, avesse effettivamente voluto assicurare la libertà di scelta per quanto concerne l’esercizio del credo religioso (e favorire, in tal modo, l’integrazione di chi appartiene a spazi religiosi e culturali diversi), avrebbe dovuto proibire pure altri simboli religiosi, come, per esempio, la “kippah” e la “patka”, indumenti, anch’essi, atti a identificare (e a “testimoniare”) l’aderenza a una determinata fede religiosa.

Nel proprio controricorso, il Governo federale ha dedotto, che la norma di cui al § 43 a SchUG, è necessaria al fine di garantire, nell’ambito dell’attività didattica, i diritti soggettivi degli alunni, di assicurarne la libertà di religione (anche nel senso di non aderire ad alcuna confessione religiosa) e di prevenire disparità di trattamento, fondate sul sesso (disparità, che sarebbero contrarie all’integrazione sociale, che non è, di certo, uno scopo secondario perseguito dalla pubblica istruzione).

Ha osservato la Corte costituzionale, che il “Gleichheitsgrundsatz” (principio di parità di trattamento), vieta “eine unsachliche Gleichbehandlung von Ungleichem” (VfSlg 17.315/2004 e 17.500/2005), di dettare norme, che implicano differenze/diversità di trattamento, senza che le stesse siano basate su differenze oggettivamente esistenti.

 

3. Il divieto di cui al § 43 a SchUG (Legge sull’ordinamento scolastico), principi di diritto interno e di diritto sopranazionale

L’articolo 9, c. 1, CEDU, garantisce a ogni persona la libertà di pensiero, di coscienza e di religione e questa norma tutela ogni azione o comportamento ispirato a motivi religiosi. Il “Gleichheitsgrundsatz”, previsto dall’articolo 7 B-VG e dall’articolo 2 StGG in relazione all’articolo 9, c. 1, CEDU e all’articolo 14,  c. 2, StGG, sancisce l’obbligo della neutralità dello Stato in materia di religione/i.

Questo principio deve essere rispettato anche nel settore dell’insegnamento, che dovrebbe educare le giovani generazioni anche a tolleranza nei confronti di chi professa un’altra religione, diversa dalla propria. Eventuali limitazioni dei diritti di cui all’articolo 9 EDU, devono però, in ogni caso, rispettare il principio di proporzionalità ed essere di carattere oggettivo. Norme che privilegino o svantaggino selettivamente un determinato credo religioso, esigono una particolare giustificazione.

Il divieto sancito dal § 43 a SchUG, secondo il quale, alle alunne – fino alla fine dell’anno scolastico, nel quale compiono il 10.mo anno di età- è vietato, nei luoghi di insegnamento, l’uso di indumenti, che comportano la velatura del capo secondo la tradizione islamica, costituisce una limitazione dei diritti – sanciti dall’articolo 9 CEDU – delle alunne e dei loro genitori.

 

4. Disparità di trattamento

Il § 43 a SchUG proibisce specificamente di velare il capo secondo la tradizione islamica e, in particolare, il velo islamico (il cosiddetto Hidschab). Questo copricapo costituisce una “religiös oder weltanschaulich konnotierte Bekleidung” (un indumento caratteristico per una determinata religione o ideologia) ed è senz’altro paragonabile ad altri indumenti di questo tipo, non vietati (per esempio, alla “kippah” o alla “patka”); il divieto del velo islamico esige, pertanto, una particolare giustificazione (basata su motivi di carattere oggettivo).

Non ha condiviso, la Corte costituzionale, l’argomentazione del Governo federale, secondo la quale  questo “Verbot” sarebbe stato dettato al fine di favorire l’integrazione sociale dei giovani con riferimento alle usanze e i costumi locali, al rispetto dei valori fondamentali sanciti dalla Costituzione federale nonché alla parità tra uomo e donna. Indossare l’“Hidschab”, ha osservato il “Verfassungsgerichtshof”, può avere significati assai diversi, come “attestare” l’appartenenza alla religione islamica o anche mantenere i legami con le tradizioni proprie della società di provenienza.

É da osservare poi, che l’applicazione del  § 43 a SchUG è circoscritta agli istituti scolastici pubblici e alle scuole parificate.

Dalla relazione accompagnatoria alla legge, che ha introdotto il § 43 a SchUG, risulta, che il divieto contenuto nello stesso, avrebbe anche lo scopo di tutelare alunne di fede islamica, che, per propria scelta, non portano il velo e di assicurare la libera scelta delle modalità di professare la propria religione.

Un assunto del genere, non è stato condiviso dalla Corte costituzionale. Il divieto de quo, di carattere selettivo, non è “sachlich begründbar” (suscettibile di motivazione oggettiva) e colpisce soltanto alunne di religione musulmana, operando cosí una discriminazione delle stesse. É contrario al principio di neutralità dello Stato (al quale sopra abbiamo accennato), statuire un divieto, operante nei confronti di una determinata fede religiosa, di indossare un certo tipo di indumento, che è espressione della fede stessa.

Ciò premesso, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del § 43 a SchUG, in quanto in contrasto con l’articolo 7 B-VG e con l’articolo 2 StGG in relazione all’articolo 9,  c. 1, CEDU e all’articolo 14,  c. 2,  StGG.

La Corte ha dichiarato altresí, che non entrerà più in vigore la normativa antecedente a quella dichiarata illegittima.

Le spese del procedimento – dinanzi ad essa Corte – quantificate in Euro 3.640, 80, sono state liquidate in favore dei ricorrenti e poste a carico del ministero federale dell’Educazione, Ricerca e Scienza.