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Violenza, bullismo, straining scolastico

Il tema delle relazioni tra ragazzi all’interno dei contesti scolastici è oggi di grande attualità e attira l’attenzione di genitori e insegnanti, inducendo l’esigenza di più approfondite analisi sulle differenti tipologie di conflittualità che possono essere sperimentate dai ragazzi all’interno del gruppo dei pari o più in generale del gruppo scolastico.

Negli ultimi anni si è osservato che alcuni comportamenti prepotenti e vessatori, attuati da uno o più minori su un altro, all’interno del gruppo dei pari, siano riconducibili a un fenomeno assimilabile al mobbing, cui è stato dato il nome di bullismo.

Così, il fenomeno del mobbing che, fino a poco tempo, era riferito esclusivamente a un certo tipo di conflittualità nell’ambito dei rapporti lavorativi, dopo essersi esteso a pieno titolo al diritto di famiglia, facendo parlare di mobbing genitoriale e familiare, si è infine allargato alle relazione dei minori all’interno del gruppo dei pari, con particolare riguardo alla scuola, luogo in cui principalmente tali relazioni si esplicano.

Il concetto di bullismo è, infatti, chiaramente una estensione del concetto di mobbing all’ambito dei minori.

Il termine bullismo, che ricalca quello inglese di “bullying”, comunemente utilizzato nella letteratura internazionale per caratterizzare il fenomeno delle prepotenze tra pari in contesto di gruppo, è entrato, così, nel linguaggio comune e spesso viene utilizzato anche in maniera inadatta per definire comportamenti o situazioni che hanno poco a che fare con il bullismo vero e proprio e che rimandano maggiormente ad azioni di vandalismo o di teppismo nei confronti soprattutto di docenti o strutture scolastiche.

Molti genitori che ritengono che i loro figli siano vittime di bullismo, in realtà sono fuori strada. Vi sono, infatti, genitori e insegnanti, che a volte pensano di aver finalmente individuato nel bullismo un nome per il disagio di un figlio o di un alunno. Ma spesso si tratta non di bullismo, ma di episodi “violenti”, con conflitto fisico tra coetanei, quasi equivalenti per età e forza fisica.

La caratteristica principale che distingue il bullismo da questi episodi di conflittualità e di violenza è la spiccata asimmetria nella relazione tra il bullo e la vittima, nella quale si distinguono chiaramente chi ha un ruolo attivo e chi ha un ruolo passivo, chi aggredisce sempre e chi sempre subisce.

Appare utile, allora, operare delle distinzioni per individuare con chiarezza il bullismo vero e proprio, richiamando la definizione di mobbing, che ci permette di distinguere gli elementi discriminanti che devono essere necessariamente essere presenti per permetterci di parlare di bullismo.

Sulla base della definizione ampiamente diffusa e accettata di mobbing, possiamo definire il bullismo come strategia intenzionale e continuativa di persecuzione psicologica attuata nel gruppo dei pari, in genere in un ambiente scolastico, per costringere un compagno in una posizione di debolezza, mediante comportamenti aggressivi e vessatori ripetuti.

Il primo elemento che emerge da questa definizione è l’intenzionalità del comportamento.

Sappiamo, infatti, che le relazioni sociali, anche quelle tra bambini e ragazzi, sono spesso caratterizzate da una certa quantità di conflittualità interpersonale, che non solo non è nociva per la relazione stessa ma a volte può rivelarsi funzionale ad essa, e contribuire, nel caso dei minori, allo sviluppo di adeguate capacità relazionali e sociali.

Ma il bullismo non ha nulla in comune con tale conflittualità: il bullismo, come ogni forma di mobbing, presuppone, infatti, l’intenzionalità dell’autore o degli autori del comportamento “persecutorio” e definisce un vero e proprio attacco intenzionale da parte di uno o più minori nei confronti di un altro minore appartenente al proprio o a

un altro gruppo di pari.

Si configura così il bullismo non come condotta casuale, ma come strategia comportamentale ben studiata, finalizzata a raggiungere un obiettivo, che, in genere, è la sensazione di dominio su coetanei più deboli e insicuri e la messa in discussione del ruolo della vittima all’interno del gruppo, a volte come rivalsa per una forma di invidia sociale.

In genere la strategia comportamentale è costituita da atteggiamenti offensivi e insultanti, percosse fisiche (calci, pugni, spinte) provocazioni sistematiche, imposizione della propria volontà nelle scelte che riguardano il gruppo, sottrazione di beni personali, minacce, insulti, offese.

A volte, però, la strategia dei bulli si traduce in una forma di persecuzione più subdola, fatta di piccoli gesti, ostilità, rifiuto della comunicazione, continue critiche, assoluta indifferenza, esclusione dal gruppo dei pari, gesti volgari all’indirizzo della vittima, diffusione di calunnie o amplificazione di pregiudizi sul suo conto, boicottaggio delle sue relazioni di amicizia.

Il secondo elemento che risalta dalla definizione è la continuità del comportamento di bullismo nel tempo, che come per il mobbing nelle situazioni lavorative e familiari, deve ripetersi per essere letto come strategia persecutoria.

Se, però, in genere il bullismo è riconducibile a diverse azioni ostili distanziate nel tempo, in alcuni casi le vittime subiscono una sola azione ostile isolata, per esempio, una calunnia, un’aggressione fisica, un furto di beni personali. L’esempio tipico è quello di un ragazzino tristemente “dimenticato” o ignorato dal gruppo, che da tale condizione ricava gravi conseguenze per il suo sviluppo psichico.

Non possiamo allora ignorare questa realtà che a volte si manifesta chiaramente a insegnanti, genitori, ragazzi, ipotizzando che accanto al bullismo esista un fenomeno sociale simile ma differente, capace di determinare nella vittima gli effetti stessi del bullismo.

Questo fenomeno che quando si verifica nei contesti lavorativi viene oggi definito “straining” (Oltre il mobbing. Harald Ege, ed. Franco Angeli, Milano, 2005) può essere parallelamente definito “straining scolastico”, come situazione in cui la vittima subisce almeno un’azione che ha come conseguenza un effetto negativo nell’ambiente scolastico (calunnia, insulto, prepotenza, aggressione verbale o fisica, furto di beni personali) che determina un effetto duraturo nel tempo.

Così lo straining scolastico viene a collocarsi a metà strada tra il bullismo e lo stress legato alla gestione delle relazioni con il gruppo dei pari. Non è bullismo vero e proprio, giacché manca la sistematicità e la frequenza delle azioni ostili, ma è qualcosa di più della semplice conflittualità caratteristica delle relazioni tra pari.

Le vittime di questo fenomeno, infatti, sono oggetto di uno stress forzato, diretto nei loro confronti in maniera intenzionale e discriminante: in sostanza solo a loro viene riservato quel tipo di trattamento aggressivo e ingiusto.

In una situazione tipica di straining scolastico l’aggressore diffonde una calunnia o informazioni pregiudizievoli sulla vittima, che da quel momento è messo alla berlina, isolata o insultata dal gruppo dei pari, cadendo in una condizione cronica di stress.

Per accertare una situazione di straining scolastico deve essere presente e attestata almeno un’azione ostile, che abbia una conseguenza duratura e costante a livello scolastico e un carattere intenzionale e discriminatorio.

Tali comportamenti possono inficiare l’autostima delle vittime, che spesso finiscono per vedersi esattamente come il bullo di turno li disegna e, a causa di questo perverso meccanismo di autosvalutazione e di colpevolizzazione giustificano anche per anni i comportamenti dei compagni “bulli”, attribuendoli, in qualche misura, ai propri presunti limiti personali.

In alcuni casi i ragazzi vittime di bullismo o di straining scolastico reagiscono con un caratteristico meccanismo difensivo di distacco emozionale, nel tentativo di proteggersi dalla dolorosa esperienza di essere rifiutati, insultati, ingannati, da compagni cui hanno offerto la propria fiducia, fino a quando questo sistema di difesa non è messo in crisi da un evento che li pone dinanzi all’impossibilità di continuare a negare l’evidenza dei fatti.

La scoperta, ad esempio, da parte di un genitore o di un insegnante, di segni di percosse fisiche o di furti, porta spesso la vittima a una sorta di “insight”, a una riorganizzazione dei numerosi elementi raccolti nel tempo che acquistano un nuovo significato.

Se da una parte il ruolo passivo della vittima di bullismo può portare in questa ultima l’insorgere di fenomeni di ansia, perdita di autostima, tendenza alla vittimizzazione, dall’altro anche la tendenza degli autori delle azioni di bullismo a mettere in atto comportamenti antisociali può far ipotizzare uno sviluppo evolutivo con tendenze antisociali e difficoltà di integrazione sociale.

Possiamo allora elencare, alla luce di alcune considerazioni, alcuni segnali tipici del bullismo:

- esternazione reiterata di giudizi offensivi e atteggiamenti irriguardosi ed espulsivi nei confronti di una vittima designata,

- atteggiamenti di disistima e di critica aperti e teatrali,

- provocazioni continue e sistematiche,

- tentativi di sminuire il ruolo della vittima nel gruppo dei pari,

- pressioni per indurre la vittima all’isolamento e all’autoesclusione,

- continue imposizioni della propria volontà relativamente alle scelte che si rendono necessarie nel corso della convivenza scolastica,

- azioni volte a sottrarre beni di proprietà del minore vittima,

- mancato supporto alla vittima nel rapporto con gli altri compagni o con gli insegnanti,

- coinvolgimento continuo di terzi nelle liti con la vittima.

Ciò premesso, appare evidente che per prevenire e contrastare efficacemente fenomeni di bullismo, di violenza fisica o psicologica che vedono protagonisti una parte dei bambini e degli adolescenti, si deve sostenere e valorizzare il ruolo degli insegnanti, dei dirigenti scolastici e di tutto il personale tecnico ed ausiliario che, quotidianamente e senza “fare notizia”, svolgono un’azione meritoria ed impegnativa per la realizzazione della funzione educativa che ciascuna istituzione scolastica autonoma è chiamata ad assolvere nel tessuto sociale in coerenza ai principi ed ai valori comuni della Costituzione italiana.

Il tema delle relazioni tra ragazzi all’interno dei contesti scolastici è oggi di grande attualità e attira l’attenzione di genitori e insegnanti, inducendo l’esigenza di più approfondite analisi sulle differenti tipologie di conflittualità che possono essere sperimentate dai ragazzi all’interno del gruppo dei pari o più in generale del gruppo scolastico.

Negli ultimi anni si è osservato che alcuni comportamenti prepotenti e vessatori, attuati da uno o più minori su un altro, all’interno del gruppo dei pari, siano riconducibili a un fenomeno assimilabile al mobbing, cui è stato dato il nome di bullismo.

Così, il fenomeno del mobbing che, fino a poco tempo, era riferito esclusivamente a un certo tipo di conflittualità nell’ambito dei rapporti lavorativi, dopo essersi esteso a pieno titolo al diritto di famiglia, facendo parlare di mobbing genitoriale e familiare, si è infine allargato alle relazione dei minori all’interno del gruppo dei pari, con particolare riguardo alla scuola, luogo in cui principalmente tali relazioni si esplicano.

Il concetto di bullismo è, infatti, chiaramente una estensione del concetto di mobbing all’ambito dei minori.

Il termine bullismo, che ricalca quello inglese di “bullying”, comunemente utilizzato nella letteratura internazionale per caratterizzare il fenomeno delle prepotenze tra pari in contesto di gruppo, è entrato, così, nel linguaggio comune e spesso viene utilizzato anche in maniera inadatta per definire comportamenti o situazioni che hanno poco a che fare con il bullismo vero e proprio e che rimandano maggiormente ad azioni di vandalismo o di teppismo nei confronti soprattutto di docenti o strutture scolastiche.

Molti genitori che ritengono che i loro figli siano vittime di bullismo, in realtà sono fuori strada. Vi sono, infatti, genitori e insegnanti, che a volte pensano di aver finalmente individuato nel bullismo un nome per il disagio di un figlio o di un alunno. Ma spesso si tratta non di bullismo, ma di episodi “violenti”, con conflitto fisico tra coetanei, quasi equivalenti per età e forza fisica.

La caratteristica principale che distingue il bullismo da questi episodi di conflittualità e di violenza è la spiccata asimmetria nella relazione tra il bullo e la vittima, nella quale si distinguono chiaramente chi ha un ruolo attivo e chi ha un ruolo passivo, chi aggredisce sempre e chi sempre subisce.

Appare utile, allora, operare delle distinzioni per individuare con chiarezza il bullismo vero e proprio, richiamando la definizione di mobbing, che ci permette di distinguere gli elementi discriminanti che devono essere necessariamente essere presenti per permetterci di parlare di bullismo.

Sulla base della definizione ampiamente diffusa e accettata di mobbing, possiamo definire il bullismo come strategia intenzionale e continuativa di persecuzione psicologica attuata nel gruppo dei pari, in genere in un ambiente scolastico, per costringere un compagno in una posizione di debolezza, mediante comportamenti aggressivi e vessatori ripetuti.

Il primo elemento che emerge da questa definizione è l’intenzionalità del comportamento.

Sappiamo, infatti, che le relazioni sociali, anche quelle tra bambini e ragazzi, sono spesso caratterizzate da una certa quantità di conflittualità interpersonale, che non solo non è nociva per la relazione stessa ma a volte può rivelarsi funzionale ad essa, e contribuire, nel caso dei minori, allo sviluppo di adeguate capacità relazionali e sociali.

Ma il bullismo non ha nulla in comune con tale conflittualità: il bullismo, come ogni forma di mobbing, presuppone, infatti, l’intenzionalità dell’autore o degli autori del comportamento “persecutorio” e definisce un vero e proprio attacco intenzionale da parte di uno o più minori nei confronti di un altro minore appartenente al proprio o a

un altro gruppo di pari.

Si configura così il bullismo non come condotta casuale, ma come strategia comportamentale ben studiata, finalizzata a raggiungere un obiettivo, che, in genere, è la sensazione di dominio su coetanei più deboli e insicuri e la messa in discussione del ruolo della vittima all’interno del gruppo, a volte come rivalsa per una forma di invidia sociale.

In genere la strategia comportamentale è costituita da atteggiamenti offensivi e insultanti, percosse fisiche (calci, pugni, spinte) provocazioni sistematiche, imposizione della propria volontà nelle scelte che riguardano il gruppo, sottrazione di beni personali, minacce, insulti, offese.

A volte, però, la strategia dei bulli si traduce in una forma di persecuzione più subdola, fatta di piccoli gesti, ostilità, rifiuto della comunicazione, continue critiche, assoluta indifferenza, esclusione dal gruppo dei pari, gesti volgari all’indirizzo della vittima, diffusione di calunnie o amplificazione di pregiudizi sul suo conto, boicottaggio delle sue relazioni di amicizia.

Il secondo elemento che risalta dalla definizione è la continuità del comportamento di bullismo nel tempo, che come per il mobbing nelle situazioni lavorative e familiari, deve ripetersi per essere letto come strategia persecutoria.

Se, però, in genere il bullismo è riconducibile a diverse azioni ostili distanziate nel tempo, in alcuni casi le vittime subiscono una sola azione ostile isolata, per esempio, una calunnia, un’aggressione fisica, un furto di beni personali. L’esempio tipico è quello di un ragazzino tristemente “dimenticato” o ignorato dal gruppo, che da tale condizione ricava gravi conseguenze per il suo sviluppo psichico.

Non possiamo allora ignorare questa realtà che a volte si manifesta chiaramente a insegnanti, genitori, ragazzi, ipotizzando che accanto al bullismo esista un fenomeno sociale simile ma differente, capace di determinare nella vittima gli effetti stessi del bullismo.

Questo fenomeno che quando si verifica nei contesti lavorativi viene oggi definito “straining” (Oltre il mobbing. Harald Ege, ed. Franco Angeli, Milano, 2005) può essere parallelamente definito “straining scolastico”, come situazione in cui la vittima subisce almeno un’azione che ha come conseguenza un effetto negativo nell’ambiente scolastico (calunnia, insulto, prepotenza, aggressione verbale o fisica, furto di beni personali) che determina un effetto duraturo nel tempo.

Così lo straining scolastico viene a collocarsi a metà strada tra il bullismo e lo stress legato alla gestione delle relazioni con il gruppo dei pari. Non è bullismo vero e proprio, giacché manca la sistematicità e la frequenza delle azioni ostili, ma è qualcosa di più della semplice conflittualità caratteristica delle relazioni tra pari.

Le vittime di questo fenomeno, infatti, sono oggetto di uno stress forzato, diretto nei loro confronti in maniera intenzionale e discriminante: in sostanza solo a loro viene riservato quel tipo di trattamento aggressivo e ingiusto.

In una situazione tipica di straining scolastico l’aggressore diffonde una calunnia o informazioni pregiudizievoli sulla vittima, che da quel momento è messo alla berlina, isolata o insultata dal gruppo dei pari, cadendo in una condizione cronica di stress.

Per accertare una situazione di straining scolastico deve essere presente e attestata almeno un’azione ostile, che abbia una conseguenza duratura e costante a livello scolastico e un carattere intenzionale e discriminatorio.

Tali comportamenti possono inficiare l’autostima delle vittime, che spesso finiscono per vedersi esattamente come il bullo di turno li disegna e, a causa di questo perverso meccanismo di autosvalutazione e di colpevolizzazione giustificano anche per anni i comportamenti dei compagni “bulli”, attribuendoli, in qualche misura, ai propri presunti limiti personali.

In alcuni casi i ragazzi vittime di bullismo o di straining scolastico reagiscono con un caratteristico meccanismo difensivo di distacco emozionale, nel tentativo di proteggersi dalla dolorosa esperienza di essere rifiutati, insultati, ingannati, da compagni cui hanno offerto la propria fiducia, fino a quando questo sistema di difesa non è messo in crisi da un evento che li pone dinanzi all’impossibilità di continuare a negare l’evidenza dei fatti.

La scoperta, ad esempio, da parte di un genitore o di un insegnante, di segni di percosse fisiche o di furti, porta spesso la vittima a una sorta di “insight”, a una riorganizzazione dei numerosi elementi raccolti nel tempo che acquistano un nuovo significato.

Se da una parte il ruolo passivo della vittima di bullismo può portare in questa ultima l’insorgere di fenomeni di ansia, perdita di autostima, tendenza alla vittimizzazione, dall’altro anche la tendenza degli autori delle azioni di bullismo a mettere in atto comportamenti antisociali può far ipotizzare uno sviluppo evolutivo con tendenze antisociali e difficoltà di integrazione sociale.

Possiamo allora elencare, alla luce di alcune considerazioni, alcuni segnali tipici del bullismo:

- esternazione reiterata di giudizi offensivi e atteggiamenti irriguardosi ed espulsivi nei confronti di una vittima designata,

- atteggiamenti di disistima e di critica aperti e teatrali,

- provocazioni continue e sistematiche,

- tentativi di sminuire il ruolo della vittima nel gruppo dei pari,

- pressioni per indurre la vittima all’isolamento e all’autoesclusione,

- continue imposizioni della propria volontà relativamente alle scelte che si rendono necessarie nel corso della convivenza scolastica,

- azioni volte a sottrarre beni di proprietà del minore vittima,

- mancato supporto alla vittima nel rapporto con gli altri compagni o con gli insegnanti,

- coinvolgimento continuo di terzi nelle liti con la vittima.

Ciò premesso, appare evidente che per prevenire e contrastare efficacemente fenomeni di bullismo, di violenza fisica o psicologica che vedono protagonisti una parte dei bambini e degli adolescenti, si deve sostenere e valorizzare il ruolo degli insegnanti, dei dirigenti scolastici e di tutto il personale tecnico ed ausiliario che, quotidianamente e senza “fare notizia”, svolgono un’azione meritoria ed impegnativa per la realizzazione della funzione educativa che ciascuna istituzione scolastica autonoma è chiamata ad assolvere nel tessuto sociale in coerenza ai principi ed ai valori comuni della Costituzione italiana.