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Accertamenti fiscali e tributari in materia antimafia.

Le variazioni patrimoniali e gli obblighi di comunicazione di cui all’articolo 30 della Legge 13 settembre 1982, n. 646.
INDICE

1. PREMESSA

2. L’ESAME DELLA SENTENZA

3. LA NORMA NELLA GIURISPRUDENZA DELLA CORTE DI CASSAZIONE

1. Premessa

Una recente sentenza della Corte di Cassazione in materia di misure di prevenzione patrimoniale consente di fare un punto di situazione sul disposto degli articoli 30 e 31 della legge 13 dicembre 1982, n. 646 [1] che, in sintesi, ha previsto un obbligo di comunicazione delle variazioni patrimoniali in capo ai soggetti condannati per il reato di cui al 416bis c.p. o sottoposti a misura di prevenzione [2], con la finalità di prevedere un sistema di controllo decennale del patrimonio, allo scopo di accertare il tipo e seguire lo sviluppo dell’attività economica svolta dal mafioso e di individuare le persone che intrattengono con questi rapporti di affari [3].

La norma ha determinato una certa produzione giurisprudenziale e parimenti un vivace dibattito dottrinale in ordine, per limitarsi ai profili di maggior rilievo, alla individuazione dei soggetti destinatari dell’obbligo [4], al trattamento sanzionatorio previsto [5] ed alla configurabilità del reato, cui è dedicata la seconda parte della trattazione.

2. L’esame della sentenza

La sentenza 35670/2005 della Corte di Cassazione [6] ha ribadito che la norma di cui all’articolo 30 della legge 646/1982 contiene due distinti obblighi di comunicazione al Nucleo di Polizia Tributaria delle variazioni patrimoniali, la cui omissione è come visto sanzionata dall’articolo 31.

Il primo obbligo attiene le variazioni nell’entità e nella composizione del patrimonio concernenti elementi di valore non inferiore a euro 10.329, da comunicare entro 30 giorni dal fatto. Il secondo obbligo concerne le variazioni intervenute nell’anno precedente, quando riguardano elementi di valore non inferiore alla somma predetta, da comunicare entro il 31 gennaio di ciascun anno.

La sentenza specifica che i due obblighi non hanno il medesimo oggetto, riguardando il secondo le variazioni patrimoniali avvenute nell’anno precedente che, pur non raggiungendo ciascuna il limite sopra indicato, lo raggiungano nell’anno solare al fine di impedire l’elusione dell’obbligo e del controllo con acquisti frazionati per tempo e per valore.

Nella medesima sentenza, la Corte individua la configurabilità del reato di cui all’articolo 30 della L. 646/1982 e quello previsto dall’articolo 12-quinquies del decreto legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito dalla legge 7 agosto 1992, n. 306, avente ad oggetto il trasferimento fraudolento di valori [7].

La Cassazione, in particolare, ha escluso che, invocando la clausola di riserva – salvo che il fatto costituisca più grave reato – si possa sostenere l’assorbimento di tale reato in quello, più grave, di cui alla legge 646/1982. Questo perché difetta tra le due norme incriminatici il presupposto del disciplinare la stessa materia, che possa consentire di fare ricorso al principio di specialità di cui all’articolo 15 del codice penale ed alle relative eccezioni poste appunto con l’introduzione di specifiche clausole di riserva [8].

3. La norma nella Giurisprudenza della Corte di Cassazione.

Come sopra riportato, non è la prima volta che la Corte di Cassazione è chiamata a pronunciarsi su questa norma, inserita nel Capo III della legge 646/1982 quale norma di chiusura delle disposizioni fiscali e tributarie in tema di misure di prevenzione di carattere patrimoniale nei confronti dei soggetti condannati per il reato di cui all’articolo 416 bis del c.p.

Conviene qui soffermarsi su una tematiche di primario rilievo, quale quella della configurabilità del reato, in più occasioni, e con pronunce discordanti, oggetto dell’attenzione della Cassazione. In prima analisi, la problematica risiede nella individuazione del bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice. Senza per ora addentrasi funditus nell’esame del dispositivo, risulta evidente, anche in sentenze chiamate a pronunciarsi incidentalmente sulla tematica, il contrasto sul bene tutelato, individuato ora nell’ordine pubblico, ora in un generico interesse dell’Erario alla comunicazione di cui all’articolo 30, venendosi così a determinare una situazione, di fatto, speculare.

Ed infatti, nel primo caso, il reato si configura anche per l’omessa comunicazione nell’ipotesi di compravendita effettuata per atto pubblico laddove nel secondo caso, quello di un’interpretazione che sottende l’interesse dell’Erario alla comunicazione, non viene ritenuto sufficiente il comportamento omissivo, a maggior ragione in quegli atti che prevedono una forma di pubblicità.

Proprio per ciò che attiene la tematica in questione, risulta di un certo interesse la sentenza 10024/2002 [9] che richiede, ai fini della configurabilità del reato, un’indagine specifica sull’effettiva e consapevole volontà di omettere la prescritta comunicazione, non potendosi presumere nella fattispecie di un dolo in re ipsa desunto dalla mera condotta omissiva, specie nel caso in cui la variazione patrimoniale sia realizzata con un atto di compravendita immobiliare stipulato a mezzo di atto pubblico notarile il quale, di per sé, assicura le forme di pubblicità legale che avrebbero consentito all’autorità competente di conoscere i dati ai quali si riferisce l’obbligo di comunicazione.

Con la sentenza in esame, la Corte ha voluto specificare che l’elemento soggettivo del reato di inosservanza dell’obbligo di comunicare le variazioni patrimoniali a carico delle persone sottoposte ad una misura di prevenzione non può essere ritenuto implicito nell’oggettiva realizzazione della mera condotta omissiva e va escluso quando le relative operazioni patrimoniali risultino sottoposte alle forme di pubblicità legali, sicché sia di per sé impossibile l’occultamento degli atti soggetti a comunicazione. Pertanto, ove l’indagine processuale non consenta di rinvenire, oltre la realizzazione dell’omissione tipica, alcun elemento della deliberata volontà di occultare l’incremento patrimoniale, che anzi risulta smentita dalle forme di pubblicità prescelte dall’autore per la formazione del relativo negozio, la Cassazione conclde che non appare lecito configurare la fattispecie criminosa di cui agli articoli 30 e 31 della legge 646/1982, mediante un’operazione ricostruttiva dell’elemento psicologico che presuma il dolo in re ipsa, in palese violazione dei precetti costituzionali in tema di colpevolezza e responsabilità penale dell’imputato.

Tale impostazione risulta in contrasto con un precedente orientamento della Cassazione [10] che, chiamata a pronunciarsi ai fini della competenza sulla esclusione del reato in questione nella previsione di cui all’articolo 29 della legge 646/1982 [11], aveva chiaramente indicato nella tutela dell’ordine pubblico il bene giuridico protetto dalla norma.

Nella sentenza, la Corte indica espressamente che il reato di cui agli articoli 30 e 31 della 646/1982 non ha carattere finanziario, atteso che il bene giuridico protetto da detta norma incriminatrice non si identifica nella tutela, sia pure indiretta, degli interessi fiscali dello Stato bensì nella tutela dell’ordine pubblico [12], trattandosi di norma diretta a consentire l’esercizio di un controllo patrimoniale più penetrante da parte della guardia di finanza nei confronti di soggetti ritenuti particolarmente pericolosi, al fine di accertare tempestivamente se le variazioni patrimoniali dipendano dallo svolgimento di attività illecite.

Pur all’interno di una pronuncia sulla competenza per materia, la massima di cui si tratta apporta una differente prospettiva nell’interpretazione della norma, chiaramente enunciandone la finalità, quella della tutela dell’ordine pubblico, che non può essere salvaguardata dalla pubblicità (l’atto pubblico notarile) derivante dalla compravendita immobiliare.

In altri termini, come anche sopra ricordato, dovendo la polizia tributaria sottoporre a controllo la situazione patrimoniale di un soggetto condannato per mafia o destinatario di misura di prevenzione, non risulta elemento sufficiente l’astratta conoscibilità dell’atto di compravendita, data dalla trascrizione nei pubblici registri, ma è necessaria una specifica comunicazione, di cui è destinataria, altro elemento a sostegno della tesi, non genericamente l’Amministrazione finanziaria ma il nucleo di polizia tributaria della guardia di finanza.

Tale impostazione viene fatta propria da un’altra sentenza della Corte che, nella sentenza 15220/2003 [13], specifica che il reato di cui all’ art. 31 della 646/1982 è configurabile anche nel caso in cui l’omissione abbia ad oggetto una compravendita immobiliare effettuata per atto pubblico e, pertanto, soggetta a trascrizione nei registri immobiliari. Questo perché, secondo la Cassazione, la conoscibilità dell’avvenuto trasferimento derivante dall’adempimento delle formalità connesse alla trascrizione non garantisce all’Amministrazione finanziaria (rectius, alla polizia tributaria) la reale conoscenza dei mutamenti dello stato patrimoniale dell’interessato, assicurata invece dalla segnalazione eseguita ai sensi dell’articolo 30 della citata legge.



[1] Articolo 30 L. 646/1982 - 1. Le persone condannate con sentenza definitiva per il reato di cui all’articolo 416- bis del codice penale o già sottoposte, con provvedimento definitivo, ad una misura di prevenzione ai sensi della legge 31 maggio 1965, n. 575, in quanto indiziate di appartenere alle associazioni previste dall’articolo 1 di tale legge, sono tenute a comunicare per dieci anni, ed entro trenta giorni dal fatto, al nucleo di polizia tributaria del luogo di dimora abituale, tutte le variazioni nella entità e nella composizione del patrimonio concernenti elementi di valore non inferiori ai venti milioni di lire. Entro il 31 gennaio di ciascun anno sono altresì tenuti a comunicare le variazioni intervenute nell’anno precedente, quando concernono elementi di valore non inferiore ai venti milioni di lire. Sono esclusi i beni destinati al soddisfacimento dei bisogni quotidiani. 2. Il termine di dieci anni decorre dalla data del decreto ovvero dalla data della sentenza definitiva di condanna. 3. Gli obblighi previsti nel primo comma cessano quando la misura di prevenzione è revocata a seguito di ricorso in appello o in cassazione.

Articolo 31 L. 646/1982 - 1. Chiunque, essendovi tenuto, omette di comunicare entro i termini stabiliti dalla legge le variazioni patrimoniali indicate nell’articolo precedente è punito con la reclusione da due a sei anni e con la multa da lire 20 milioni a lire 40 milioni. 2. Alla condanna segue la confisca dei beni a qualunque titolo acquistati nonché del corrispettivo dei beni a qualunque titolo alienati.

[2] Una bibliografia minima ricomprende Cerami, Legge antimafia e controlli tributari, in Foro italiano, 1984, V, p. 271; Curi, Commenti articolo per articolo l. 19/3/1990, n. 55 antimafia, art. 11 in Leg. pen, 1991, pag. 442; Gaito, Gli accertamenti fiscali e patrimoniali per i fatti di mafia, Giuffrè, Milano 1983; Gaito, Commenti articolo per articolo l. 13/9/1982, n. 646, norme antimafia, art. 30, in Leg. pen., 1983; Guerrini, Mazza, Le misure di prevenzione, profili sostanziali e processuali, Cedam, Padova 1996; Macrì, La legge antimafia, Jovene, Napoli 1983; Miletto, Le misure di prevenzione, Utet, Torino 1989; Molinari, La revoca ex tunc della misura di prevenzione ed il delitto di omessa comunicazione delle variazioni patrimoniali, in Cass. Pen. 2001, pag. 1632; Molinari, Papadia, Le misure di prevenzione, Giuffrè, Milano 2002, Nicolò Pollari, Tecniche di inchiesta patrimoniale sulla criminalità organizzata, Laurus Rebuffo, Roma.

[3] Cerami, Legge antimafia e controlli tributari, cit.

[4] Sezione I, sentenza 29 febbraio 1996, n. 2205; Sezione I, sentenza 30 gennaio 2004, n. 2894. Macrì, La legge antimafia, cit.; Miletto, Le misure di prevenzione, cit.; Gaito, Gli accertamenti fiscali e patrimoniali per i fatti di mafia, cit.

[5] Sul tema è stata, ripetutamente, proposta la questione di legittimità costituzionale dal G.u.p. di Trapani con ordinanze del 7 e 21 febbraio ed ancora 3 e 18 aprile 2001, in riferimento all’articolo 27 della Costituzione. La Corte Costituzionale è intervenuta con tre ordinanze(28 dicembre 2001, n. 442; 24 aprile 2002, n. 143; 18 luglio 2002, nr. 362) nelle quali, in intesi, ha dichiarato infondate le questioni proposte ed in particolare, dopo aver rilevato che le censure sollevate si risolvono in critiche sull’opportunità della norma che non si traducono in vizi di legittimità costituzionale, ha sottolineato che la previsione sanzionatoria consente al giudice una graduazione secondo le particolarità del caso, conforme ad un non arbitrario esercizio della discrezionalità amministrativa.

[6] Sezione VI, sentenza 12 maggio-4 ottobre 200, n. 35670 in Guida al Diritto, n. 45, 26 novembre 2005, pag. 59-60

[7] Articolo 12-quinquies decreto legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito dalla legge 7 agosto 1992, n. 306 – Trasferimento fraudolento di valori – 1. Salvo che il fatto non costituisca più grave reato, chiunque attribuisce fittiziamente ad altri la titolarità o la disponibilità di denaro, beni o altre utilità al fine di eludere le disposizioni di legge in materia di prevenzione patrimoniale o di contrabbando, ovvero di agevolare la commissione di uno dei delitti di cui agli articoli 648, 648bis e 648ter del codice penale, è punito con la reclusione da due a sei anni.

[8] Articolo 15 c.p. – Materia regolata da più leggi penali o da più disposizioni della medesima legge penale. – Quando più leggi penali o più disposizioni della medesima legge penale regolano la stessa materia, la legge o la disposizione di legge speciale deroga alla legge o alla disposizione di legge generale, salvo che sia altrimenti stabilito.

[9] Sezione I, sentenza nr. 10024 del 11 marzo 2003.

[10] Sezione I, sentenza nr. 45798 del 22 novembre 2001.

[11] Articolo 29 legge 13 settembre 1982, n. 646 – Se un reato finanziario, valutario o societario contestato a persona sottoposta con provvedimento definitivo a misura di prevenzione a norma della legge 31 maggio 1965, n. 575 o a persona condannata con sentenza definitiva per il delitto di associazione di tipo mafioso, è connesso con altri diversi reati, non si fa luogo alla riunione del procedimento.

La competenza per i reati finanziari, valutari o societari contestati ad una delle persone indicate nel comma precedente appartiene in ogni caso al tribunale che ha applicato la misura di prevenzione o che è stato competente per l’associazione mafiosa. […]

[12] Contra, Tribunale Crotone, sentenza 2 marzo 2000, in Cass. Pen. 2001, con nota critica di Molinari, cit, riportata anche in Molinari, Papadia, Le misure di prevenzione, cit. Nella sentenza la previsione di cui all’articolo 30 viene qualificato come obbligo imposto dalla legge a tutela del bene primario dell’erario.

[13] Sezione V, sentenza 18 febbraio 2003, n. 15220, in Rivista Penale, 2004.

INDICE

1. PREMESSA

2. L’ESAME DELLA SENTENZA

3. LA NORMA NELLA GIURISPRUDENZA DELLA CORTE DI CASSAZIONE

1. Premessa

Una recente sentenza della Corte di Cassazione in materia di misure di prevenzione patrimoniale consente di fare un punto di situazione sul disposto degli articoli 30 e 31 della legge 13 dicembre 1982, n. 646 [1] che, in sintesi, ha previsto un obbligo di comunicazione delle variazioni patrimoniali in capo ai soggetti condannati per il reato di cui al 416bis c.p. o sottoposti a misura di prevenzione [2], con la finalità di prevedere un sistema di controllo decennale del patrimonio, allo scopo di accertare il tipo e seguire lo sviluppo dell’attività economica svolta dal mafioso e di individuare le persone che intrattengono con questi rapporti di affari [3].

La norma ha determinato una certa produzione giurisprudenziale e parimenti un vivace dibattito dottrinale in ordine, per limitarsi ai profili di maggior rilievo, alla individuazione dei soggetti destinatari dell’obbligo [4], al trattamento sanzionatorio previsto [5] ed alla configurabilità del reato, cui è dedicata la seconda parte della trattazione.

2. L’esame della sentenza

La sentenza 35670/2005 della Corte di Cassazione [6] ha ribadito che la norma di cui all’articolo 30 della legge 646/1982 contiene due distinti obblighi di comunicazione al Nucleo di Polizia Tributaria delle variazioni patrimoniali, la cui omissione è come visto sanzionata dall’articolo 31.

Il primo obbligo attiene le variazioni nell’entità e nella composizione del patrimonio concernenti elementi di valore non inferiore a euro 10.329, da comunicare entro 30 giorni dal fatto. Il secondo obbligo concerne le variazioni intervenute nell’anno precedente, quando riguardano elementi di valore non inferiore alla somma predetta, da comunicare entro il 31 gennaio di ciascun anno.

La sentenza specifica che i due obblighi non hanno il medesimo oggetto, riguardando il secondo le variazioni patrimoniali avvenute nell’anno precedente che, pur non raggiungendo ciascuna il limite sopra indicato, lo raggiungano nell’anno solare al fine di impedire l’elusione dell’obbligo e del controllo con acquisti frazionati per tempo e per valore.

Nella medesima sentenza, la Corte individua la configurabilità del reato di cui all’articolo 30 della L. 646/1982 e quello previsto dall’articolo 12-quinquies del decreto legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito dalla legge 7 agosto 1992, n. 306, avente ad oggetto il trasferimento fraudolento di valori [7].

La Cassazione, in particolare, ha escluso che, invocando la clausola di riserva – salvo che il fatto costituisca più grave reato – si possa sostenere l’assorbimento di tale reato in quello, più grave, di cui alla legge 646/1982. Questo perché difetta tra le due norme incriminatici il presupposto del disciplinare la stessa materia, che possa consentire di fare ricorso al principio di specialità di cui all’articolo 15 del codice penale ed alle relative eccezioni poste appunto con l’introduzione di specifiche clausole di riserva [8].

3. La norma nella Giurisprudenza della Corte di Cassazione.

Come sopra riportato, non è la prima volta che la Corte di Cassazione è chiamata a pronunciarsi su questa norma, inserita nel Capo III della legge 646/1982 quale norma di chiusura delle disposizioni fiscali e tributarie in tema di misure di prevenzione di carattere patrimoniale nei confronti dei soggetti condannati per il reato di cui all’articolo 416 bis del c.p.

Conviene qui soffermarsi su una tematiche di primario rilievo, quale quella della configurabilità del reato, in più occasioni, e con pronunce discordanti, oggetto dell’attenzione della Cassazione. In prima analisi, la problematica risiede nella individuazione del bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice. Senza per ora addentrasi funditus nell’esame del dispositivo, risulta evidente, anche in sentenze chiamate a pronunciarsi incidentalmente sulla tematica, il contrasto sul bene tutelato, individuato ora nell’ordine pubblico, ora in un generico interesse dell’Erario alla comunicazione di cui all’articolo 30, venendosi così a determinare una situazione, di fatto, speculare.

Ed infatti, nel primo caso, il reato si configura anche per l’omessa comunicazione nell’ipotesi di compravendita effettuata per atto pubblico laddove nel secondo caso, quello di un’interpretazione che sottende l’interesse dell’Erario alla comunicazione, non viene ritenuto sufficiente il comportamento omissivo, a maggior ragione in quegli atti che prevedono una forma di pubblicità.

Proprio per ciò che attiene la tematica in questione, risulta di un certo interesse la sentenza 10024/2002 [9] che richiede, ai fini della configurabilità del reato, un’indagine specifica sull’effettiva e consapevole volontà di omettere la prescritta comunicazione, non potendosi presumere nella fattispecie di un dolo in re ipsa desunto dalla mera condotta omissiva, specie nel caso in cui la variazione patrimoniale sia realizzata con un atto di compravendita immobiliare stipulato a mezzo di atto pubblico notarile il quale, di per sé, assicura le forme di pubblicità legale che avrebbero consentito all’autorità competente di conoscere i dati ai quali si riferisce l’obbligo di comunicazione.

Con la sentenza in esame, la Corte ha voluto specificare che l’elemento soggettivo del reato di inosservanza dell’obbligo di comunicare le variazioni patrimoniali a carico delle persone sottoposte ad una misura di prevenzione non può essere ritenuto implicito nell’oggettiva realizzazione della mera condotta omissiva e va escluso quando le relative operazioni patrimoniali risultino sottoposte alle forme di pubblicità legali, sicché sia di per sé impossibile l’occultamento degli atti soggetti a comunicazione. Pertanto, ove l’indagine processuale non consenta di rinvenire, oltre la realizzazione dell’omissione tipica, alcun elemento della deliberata volontà di occultare l’incremento patrimoniale, che anzi risulta smentita dalle forme di pubblicità prescelte dall’autore per la formazione del relativo negozio, la Cassazione conclde che non appare lecito configurare la fattispecie criminosa di cui agli articoli 30 e 31 della legge 646/1982, mediante un’operazione ricostruttiva dell’elemento psicologico che presuma il dolo in re ipsa, in palese violazione dei precetti costituzionali in tema di colpevolezza e responsabilità penale dell’imputato.

Tale impostazione risulta in contrasto con un precedente orientamento della Cassazione [10] che, chiamata a pronunciarsi ai fini della competenza sulla esclusione del reato in questione nella previsione di cui all’articolo 29 della legge 646/1982 [11], aveva chiaramente indicato nella tutela dell’ordine pubblico il bene giuridico protetto dalla norma.

Nella sentenza, la Corte indica espressamente che il reato di cui agli articoli 30 e 31 della 646/1982 non ha carattere finanziario, atteso che il bene giuridico protetto da detta norma incriminatrice non si identifica nella tutela, sia pure indiretta, degli interessi fiscali dello Stato bensì nella tutela dell’ordine pubblico [12], trattandosi di norma diretta a consentire l’esercizio di un controllo patrimoniale più penetrante da parte della guardia di finanza nei confronti di soggetti ritenuti particolarmente pericolosi, al fine di accertare tempestivamente se le variazioni patrimoniali dipendano dallo svolgimento di attività illecite.

Pur all’interno di una pronuncia sulla competenza per materia, la massima di cui si tratta apporta una differente prospettiva nell’interpretazione della norma, chiaramente enunciandone la finalità, quella della tutela dell’ordine pubblico, che non può essere salvaguardata dalla pubblicità (l’atto pubblico notarile) derivante dalla compravendita immobiliare.

In altri termini, come anche sopra ricordato, dovendo la polizia tributaria sottoporre a controllo la situazione patrimoniale di un soggetto condannato per mafia o destinatario di misura di prevenzione, non risulta elemento sufficiente l’astratta conoscibilità dell’atto di compravendita, data dalla trascrizione nei pubblici registri, ma è necessaria una specifica comunicazione, di cui è destinataria, altro elemento a sostegno della tesi, non genericamente l’Amministrazione finanziaria ma il nucleo di polizia tributaria della guardia di finanza.

Tale impostazione viene fatta propria da un’altra sentenza della Corte che, nella sentenza 15220/2003 [13], specifica che il reato di cui all’ art. 31 della 646/1982 è configurabile anche nel caso in cui l’omissione abbia ad oggetto una compravendita immobiliare effettuata per atto pubblico e, pertanto, soggetta a trascrizione nei registri immobiliari. Questo perché, secondo la Cassazione, la conoscibilità dell’avvenuto trasferimento derivante dall’adempimento delle formalità connesse alla trascrizione non garantisce all’Amministrazione finanziaria (rectius, alla polizia tributaria) la reale conoscenza dei mutamenti dello stato patrimoniale dell’interessato, assicurata invece dalla segnalazione eseguita ai sensi dell’articolo 30 della citata legge.



[1] Articolo 30 L. 646/1982 - 1. Le persone condannate con sentenza definitiva per il reato di cui all’articolo 416- bis del codice penale o già sottoposte, con provvedimento definitivo, ad una misura di prevenzione ai sensi della legge 31 maggio 1965, n. 575, in quanto indiziate di appartenere alle associazioni previste dall’articolo 1 di tale legge, sono tenute a comunicare per dieci anni, ed entro trenta giorni dal fatto, al nucleo di polizia tributaria del luogo di dimora abituale, tutte le variazioni nella entità e nella composizione del patrimonio concernenti elementi di valore non inferiori ai venti milioni di lire. Entro il 31 gennaio di ciascun anno sono altresì tenuti a comunicare le variazioni intervenute nell’anno precedente, quando concernono elementi di valore non inferiore ai venti milioni di lire. Sono esclusi i beni destinati al soddisfacimento dei bisogni quotidiani. 2. Il termine di dieci anni decorre dalla data del decreto ovvero dalla data della sentenza definitiva di condanna. 3. Gli obblighi previsti nel primo comma cessano quando la misura di prevenzione è revocata a seguito di ricorso in appello o in cassazione.

Articolo 31 L. 646/1982 - 1. Chiunque, essendovi tenuto, omette di comunicare entro i termini stabiliti dalla legge le variazioni patrimoniali indicate nell’articolo precedente è punito con la reclusione da due a sei anni e con la multa da lire 20 milioni a lire 40 milioni. 2. Alla condanna segue la confisca dei beni a qualunque titolo acquistati nonché del corrispettivo dei beni a qualunque titolo alienati.

[2] Una bibliografia minima ricomprende Cerami, Legge antimafia e controlli tributari, in Foro italiano, 1984, V, p. 271; Curi, Commenti articolo per articolo l. 19/3/1990, n. 55 antimafia, art. 11 in Leg. pen, 1991, pag. 442; Gaito, Gli accertamenti fiscali e patrimoniali per i fatti di mafia, Giuffrè, Milano 1983; Gaito, Commenti articolo per articolo l. 13/9/1982, n. 646, norme antimafia, art. 30, in Leg. pen., 1983; Guerrini, Mazza, Le misure di prevenzione, profili sostanziali e processuali, Cedam, Padova 1996; Macrì, La legge antimafia, Jovene, Napoli 1983; Miletto, Le misure di prevenzione, Utet, Torino 1989; Molinari, La revoca ex tunc della misura di prevenzione ed il delitto di omessa comunicazione delle variazioni patrimoniali, in Cass. Pen. 2001, pag. 1632; Molinari, Papadia, Le misure di prevenzione, Giuffrè, Milano 2002, Nicolò Pollari, Tecniche di inchiesta patrimoniale sulla criminalità organizzata, Laurus Rebuffo, Roma.

[3] Cerami, Legge antimafia e controlli tributari, cit.

[4] Sezione I, sentenza 29 febbraio 1996, n. 2205; Sezione I, sentenza 30 gennaio 2004, n. 2894. Macrì, La legge antimafia, cit.; Miletto, Le misure di prevenzione, cit.; Gaito, Gli accertamenti fiscali e patrimoniali per i fatti di mafia, cit.

[5] Sul tema è stata, ripetutamente, proposta la questione di legittimità costituzionale dal G.u.p. di Trapani con ordinanze del 7 e 21 febbraio ed ancora 3 e 18 aprile 2001, in riferimento all’articolo 27 della Costituzione. La Corte Costituzionale è intervenuta con tre ordinanze(28 dicembre 2001, n. 442; 24 aprile 2002, n. 143; 18 luglio 2002, nr. 362) nelle quali, in intesi, ha dichiarato infondate le questioni proposte ed in particolare, dopo aver rilevato che le censure sollevate si risolvono in critiche sull’opportunità della norma che non si traducono in vizi di legittimità costituzionale, ha sottolineato che la previsione sanzionatoria consente al giudice una graduazione secondo le particolarità del caso, conforme ad un non arbitrario esercizio della discrezionalità amministrativa.

[6] Sezione VI, sentenza 12 maggio-4 ottobre 200, n. 35670 in Guida al Diritto, n. 45, 26 novembre 2005, pag. 59-60

[7] Articolo 12-quinquies decreto legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito dalla legge 7 agosto 1992, n. 306 – Trasferimento fraudolento di valori – 1. Salvo che il fatto non costituisca più grave reato, chiunque attribuisce fittiziamente ad altri la titolarità o la disponibilità di denaro, beni o altre utilità al fine di eludere le disposizioni di legge in materia di prevenzione patrimoniale o di contrabbando, ovvero di agevolare la commissione di uno dei delitti di cui agli articoli 648, 648bis e 648ter del codice penale, è punito con la reclusione da due a sei anni.

[8] Articolo 15 c.p. – Materia regolata da più leggi penali o da più disposizioni della medesima legge penale. – Quando più leggi penali o più disposizioni della medesima legge penale regolano la stessa materia, la legge o la disposizione di legge speciale deroga alla legge o alla disposizione di legge generale, salvo che sia altrimenti stabilito.

[9] Sezione I, sentenza nr. 10024 del 11 marzo 2003.

[10] Sezione I, sentenza nr. 45798 del 22 novembre 2001.

[11] Articolo 29 legge 13 settembre 1982, n. 646 – Se un reato finanziario, valutario o societario contestato a persona sottoposta con provvedimento definitivo a misura di prevenzione a norma della legge 31 maggio 1965, n. 575 o a persona condannata con sentenza definitiva per il delitto di associazione di tipo mafioso, è connesso con altri diversi reati, non si fa luogo alla riunione del procedimento.

La competenza per i reati finanziari, valutari o societari contestati ad una delle persone indicate nel comma precedente appartiene in ogni caso al tribunale che ha applicato la misura di prevenzione o che è stato competente per l’associazione mafiosa. […]

[12] Contra, Tribunale Crotone, sentenza 2 marzo 2000, in Cass. Pen. 2001, con nota critica di Molinari, cit, riportata anche in Molinari, Papadia, Le misure di prevenzione, cit. Nella sentenza la previsione di cui all’articolo 30 viene qualificato come obbligo imposto dalla legge a tutela del bene primario dell’erario.

[13] Sezione V, sentenza 18 febbraio 2003, n. 15220, in Rivista Penale, 2004.