Profili di criticità dell’inserimento (parziale) del riciclaggio fra i reati coperti da indulto
2.L’INDULTO PER IL REATO DI RICICLAGGIO
2.1.PRIME CONSIDERAZIONI
3.IL RICICLAGGIO DEI REATI TRIBUTARI
4.PROFILI (PRESUNTI) DI INCOSTITUZIONALITÀ
5.CONCLUSIONI
1. Premessa
La norma, dopo aver disposto la non applicabilità a questo provvedimento di quanto previsto dal 3 comma dell’articolo 151 c.p.[3], al comma 2 elenca i reati per i quali non si applica il beneficio, tra quelli previsti e puniti dal codice penale (articolo 1, comma 2, lettera a), quelli del D.P.R. 309/1990, Testo Unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope (comma 2, lettera b) e le circostanze aggravanti previste da leggi speciali (comma 2, lettere c, d, e).
Da ultimo, la disposizione prevede la revoca del beneficio se chi ne ha usufruito commette, entro cinque anni dalla data di entrata in vigore della legge, un delitto non colposo per il quale riporti condanna a pena detentiva non inferiore a due anni. Il provvedimento, che nelle stime avrebbe dovuto riguardare 12700 detenuti[4] e che, da un primo bilancio, ne ha interessato 23426[5], non si applica alle pene accessorie sia temporanee che permanenti.
2. L’indulto per il reato di riciclaggio
Entrando nel merito della disposizione, al numero 26 del 2 comma dell’articolo 1, la legge 241/2006 specifica che il beneficio dell’indulto non si applica alla fattispecie di cui all’articolo 648bis c.p., che prevede e punisce il reato di riciclaggio, limitatamente all’ipotesi in cui, cita testualmente la norma, “la sostituzione riguardi denaro, beni o altre utilità provenienti dal delitto di sequestro di persona a scopo di estorsione o dai delitti concernenti la produzione o il traffico di sostanze stupefacenti o psicotrope”.
E’ pertanto ad un singolo e determinato comportamento penalmente apprezzabile, la sostituzione, che il legislatore del 2006 ha inteso delimitare la punibilità della condotta per riciclaggio, così come, parimenti, ha limitato il cd. “reato presupposto”, espressione con la quale si intende il comportamento delittuoso che genera i proventi poi “ripuliti” dal riciclatore consapevole dell’origine illecita del denaro, dei beni o di altre utilità.
La “nuova” figura di riciclaggio, delineata dalla legge 241/2006, ha infatti circoscritto le ipotesi di reato presupposto a quelle del sequestro di persona a scopo di estorsione e del traffico di stupefacenti. Restano esclusi da tale limitazione, e pertanto coperti dal beneficio, gli altri reati, inclusi quelli tributari, astrattamente idonei ad essere qualificati quali reati presupposti.
Rimane escluso dalla limitazione, e pertanto parimenti coperto dal beneficio, anche la fattispecie, residuale e affine a quella del riciclaggio, prevista dal 648ter, che punisce il comportamento di chi, al di fuori dei casi di concorso nel reato e dei casi previsti dall’articolo 648 e 648bis, impiega in attività economiche o finanziarie denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto. Esclusione, questa, meritevole di essere stigmatizzata, tanto per l’affinità della fattispecie in esame a quella del riciclaggio, quanto per la considerazione che, nel caso del cd. reimpiego, tutti i delitti, prescindendo dall’elemento soggettivo, possono configurarsi come reati presupposti[6].
2.1 Prime considerazioni
Da una prima, sommaria analisi della norma in questione, può risultare d’interesse evidenziare come il legislatore del 2006 abbia inteso descrivere la fattispecie del riciclaggio in via affine, piuttosto che a quella che costituisce l’attuale norma incriminatrice prevista dal codice penale, per quanto concerne i reati presupposto, alla norma risultante dagli interventi legislativi del 1990 (legge 19 marzo 1990, n. 55) e, per quanto invece attiene alla condotta, del 1978 (D.L. 21 marzo 1978, n. 59, convertito con legge 18 maggio 1978, n. 191).
Quanto al reato presupposto, infatti, la richiamata legge 55/1990, sostituendo il precedente articolo 648bis, puniva chi, fuori dei casi di concorso nel reato, sostituiva ovvero ostacolava l’identificazione della provenienza illecita denaro, beni o altre utilità derivanti dai delitti di rapina aggravata, di estorsione aggravata, di sequestro di persona a scopo di estorsione o dai delitti concernenti la produzione o il traffico di sostanze stupefacenti o psicotrope.
Tale disposizione aveva costituto un primo significativo ampliamento della formulazione del delitto di riciclaggio così come previsto dalla legge 191/1978 che, con il nomen iuris di “sostituzione di beni e valori di origine delittuosa”, poteva essere configurato solo in relazione a tre delitti a monte: l’estorsione aggravata, la rapina aggravata e il sequestro di persona. Come osservato, “”il legislatore del tempo fu fortemente, se non esclusivamente, determinato a introdurre strumenti di contrasto alla dilagante “industria” dei sequestri di persona, che fortemente colpiva la pubblica opinione. L’obiettivo di politica criminale consisteva nell’introdurre una fattispecie idonea a contrastare le proiezioni ulteriori di condotte contro il patrimonio particolarmente gravi ed allarmanti, con lo scopo di conseguire l’obiettivo di eliminare o neutralizzare i gravi fenomeni criminali che avevano generato denaro sporco””[7].
L’ampliamento dei reati presupposti si ha compiutamente con la legge 328/1993 che, in ratifica ed esecuzione della Convenzione di Strasburgo[8], ha in primo luogo esteso il reato presupposto a tutti i delitti non colposi, anticipando di quasi dieci anni, come si vedrà ultra, la cd. seconda Direttiva antiriciclaggio. In secondo luogo, la citata legge ha introdotto modifiche anche in ordine alla condotta che, in virtù del disposto legislativo appena richiamato, si realizza non più solo nella sostituzione ma anche nel trasferimento del denaro, di beni o di altre utilità e nel comportamento del soggetto agente che ponga in essere operazioni in modo da ostacolare l’identificazione della provenienza[9].
In estrema sintesi, risulta chiara la finalità di estendere, nel tempo, la condotta in relazione alla diversa e accresciuta importanza del sistema finanziario e della conseguente possibilità che questo possa essere utilizzato ai fini del riciclaggio del denaro di provenienza illecita. In altri termini, il legislatore, avvertiti la sempre maggiore pericolosità del delitto di riciclaggio ed il sempre maggiore coinvolgimento dei circuiti finanziari, ha provveduto alla modifica del reato presupposto, che, poste tali esigenze ed al termine degli interventi normativi, non viene più ricondotto solo al traffico di sostanze stupefacenti ma, si direbbe, necessariamente ricomprende una quanto più ampia gamma di fattispecie delittuose. Sulla base delle medesime finalità si è intervenuti sulla condotta che non è più limitata alla sostituzione, ma comprende tutte le attività poste in essere dal soggetto attivo dell’articolo 648bis c.p. per ostacolare l’origine illecita delle somme.
Tale disposizione è stata pienamente recepita dalle più recenti pronunce della Corte di Cassazione che ha avuto modo di ricordare come integri il reato di riciclaggio “il compimento di operazioni volte non solo ad impedire in modo definitivo, ma anche a rendere difficile l’accertamento della provenienza del denaro, dei beni o delle altre utilità, attraverso un qualsiasi espediente che consista nell’aggirare la libera e normale esecuzione dell’attività posta in essere”.[10]
3. Il riciclaggio dei proventi dei reati tributari.
Il breve esame dell’evoluzione della norma evidenzia la singolarità delle limitazioni previste per il riciclaggio nel provvedimento di indulto, che segna un’inversione di tendenza nel delineare l’illecita condotta in esame, con particolare riferimento al reato presupposto. Tale scelta normativa, che esclude i reati tributari e quelli finanziari dai delitti a monte della fattispecie del 648bis, si manifesta coerente con l’impostazione complessiva della legge 241/2006 che, in sede di primo commento, ha voluto limitare l’esclusione dalla copertura dei benefici ai reati di maggiore rilevanza, risultando allo stesso tempo non allineata alle più recenti disposizioni internazionali, comunitarie e nazionali emanate in merito.
Riciclaggio ed evasione fiscale sono, come argutamente osservato, due complesse realtà criminali strettamente interconnesse che riguardano l’economia e colpiscono lo Stato, inquinando e manipolando il sistema dei redditi e dei flussi finanziari[11].
L’assunto di partenza, infatti, è che la criminalità organizzata, al fine di riciclare il denaro di provenienza illecita e legittimarne il possesso, utilizza lo strumento societario per giustificare i flussi monetari in entrata e in uscita, ponendo in essere quindi negozi giuridici apparentemente leciti, viziati da una realtà negoziale illecita, attraverso la predisposizione di documentazione fiscale e contabile di supporto falsa. Le imprese, così inquinate da capitali di provenienza illegale, adottano metodi di evasione fiscale che ne incrementano esponenzialmente i profitti, provocando effetti distorsivi sul mercato.
La patologia dell’illecito fiscale collegata al riciclaggio si accentua in misura ancora maggiore se si pensa alle pratiche di interposizione fittizia di enti e di persone fisiche, volte ad evitare l’evidenziazione di capacità contributiva in capo a soggetti appartenenti alle organizzazioni criminali. In questo modo, le violazioni alle norme tributarie divengono strumento per coprire l’immissione nel circuito economico di proventi da reato, consentendo nel contempo il conseguimento di ulteriori vantaggi sul piano del pagamento delle imposte[12].
Tanto premesso, ripercorrendo anche in sintesi l’evoluzione del reato presupposto del delitto di riciclaggio, si vede come, nel preambolo alla 2001/97/Ce, cd. “seconda Direttiva antiriciclaggio”, il legislatore comunitario abbia preso cognizione della inadeguatezza della previsione, contenuta nella Direttiva 91/308/CEE, di combattere il riciclaggio dei proventi dei reati connessi al traffico di stupefacenti. Si ricorda infatti nella citata 2001/97 che la prima Direttiva obbligava “gli Stati membri a combattere unicamente il riciclaggio dei proventi di reati connessi al traffico di stupefacenti”, laddove negli anni più recenti, dice ancora la disposizione “è emersa la tendenza ad una definizione molto più ampia del riciclaggio, fondata su una gamma più vasta di reati «base» o «presupposto», tendenza manifestatasi ad esempio nel 1996 con la revisione delle 40 raccomandazioni del GAFI (Gruppo di azione finanziaria internazionale) ossia del più importante organismo internazionale per la lotta contro il riciclaggio”.
Preoccupazione analoga è stata manifestata nel preambolo alla Direttiva 2005/60/Ce, laddove si riporta che “sebbene la definizione di riciclaggio fosse inizialmente ristretta ai proventi dei reati connessi agli stupefacenti, negli anni più recenti è emersa la tendenza ad una definizione molto più ampia, fondata su una gamma più vasta di reati base”. L’ampliamento della gamma dei reati base, secondo questa disposizione, agevola la segnalazione delle operazioni sospette e la cooperazione internazionale nel settore e pertanto, conclude la Direttiva, “è opportuno allineare la definizione di «reato grave» a quella contenuta nella decisione quadro 2001/500/GAI del Consiglio, del 26 giugno 2001, concernente il riciclaggio di denaro, l’individuazione, il rintracciamento, il congelamento o sequestro e la confisca degli strumenti e dei proventi di reato”. L’articolo 1, lettera b) della citata Decisione quadro, in riferimento all’articolo 6 della Convenzione di Vienna, qualifica “gravi” quei reati che includono, in ogni caso, i reati punibili con una pena privativa della libertà o con una misura di sicurezza privativa della libertà di durata massima superiore ad un anno ovvero, per gli Stati il cui ordinamento giuridico prevede un a soglia minima per i reati, i reati punibili con una pena privativa della libertà o con una misura di sicurezza privativa della libertà di durata minima superiore a sei mesi.[13]
Per concludere su questo punto, giova infine ricordare come il preambolo della citata Direttiva 2006/60 si richiama implicitamente alla revisione, avvenuta nel 2001[14], delle 40 raccomandazioni del GAFI[15] che ha inteso, tra le altre finalità, estendere la gamma dei reati presupposti del riciclaggio.
L’esame delle disposizioni internazionali e comunitarie sopra riportate non sembra presentare particolari difficoltà interpretative, essendosi manifestata chiara la volontà di rendere ampio il novero dei reati presupposti al fine di un più incisivo contrasto al reato di riciclaggio.
Da ultimo, si ricorda come l’ultimo aggiornamento del provvedimento UIC del 24 febbraio 2004 per i professionisti, ha chiarito che, in merito alla rilevanza come reati presupposto degli illeciti tributari previsti dagli articoli 2, 3 e 4 del D. Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, le fattispecie oggetto di segnalazione ex articolo 3 della legge 197/1991 sono quelle per cui il professionista abbia maturato il sospetto che il denaro, i beni o altre utilità oggetto dell’operazione richiesta dal cliente possano provenire dai delitti di cui all’articolo 648bis e ter c.p. Nel dettaglio, il provvedimento dell’UIC spiega che l’articolo 2 del D. Lgs. 74/2000 prevede come fattispecie delittuosa la dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture e altri documenti per operazioni inesistenti che, pertanto, “può integrare reato presupposto a quello di riciclaggio”[16]. Tale illecito può rientrare tra le casistiche oggetto di segnalazione come operazione sospetta. Gli articoli 3 e 4 del citato decreto legge contemplano fattispecie che assumono rilevanza penale al di sopra di una certa soglia, al di sotto della quale l’illecito perpetrato non costituendo reato, non è idoneo ad assumere connotato di presupposto al delitto di riciclaggio.
Ferma restando la coerenza dell’impostazione generale che ha presieduto alla legge sull’indulto, per cui i reati tributari non sono stati inseriti, autonomamente, fra i delitti per cui il beneficio viene escluso, né, in via mediata, tra i reati presupposti del riciclaggio per cui lo sconto di pena non viene concesso, risulta però singolare che, da una parte, si richieda ai professionisti di collaborare attivamente nel dispositivo antiriciclaggio, segnalando, a maggior ragione in considerazione della loro attività, quelle operazioni sospette che attengano ai reati tributari, mentre, dall’altra, si esclude rilievo a questa tipologia di reati, determinando la considerazione che non abbiano una valenza negativa tanto da meritare la copertura dell’indulto, sia in quanto tali sia quali reato presupposto del delitto di riciclaggio.
4. Profili (presunti) di incostituzionalità.
La proposta del legislatore di escludere dal novero dei reati per i quali si applica l’indulto il delitto di riciclaggio, almeno limitatamente alle ipotesi per cui la sostituzione riguardi denaro, beni o altre utilità provenienti dal delitto di sequestro di persona a scopo di estorsione o dai delitti concernenti la produzione o il traffico di sostanze stupefacenti o psicotrope, da un lato, come detto, risponde all’esigenza dell’organo legislativo di differenziare i reati, in ragione della loro (ritenuta) maggiore gravità e/o sensibilità per l’ordine sociale, mentre determina, dall’altro, contestualmente, profili di incertezza, rectius di presunta incostituzionalità, per quanto concerne il principio di non discriminazione di fatti uguali, che invece vengono trattati in maniera differente.
In primo luogo, occorre infatti chiedersi in cosa consista commettere un illecito di riciclaggio o, più semplicemente, cosa sia il riciclaggio.
Secondo un’accezione lata del termine, esso è costituito dalle condotte afferenti alla circolazione e all’occultamento dei beni provenienti da delitti, essendo teso ad impedire che gli autori di fatti di reato possano far fruttare i capitali illegalmente acquisiti; il reato di riciclaggio colpisce dunque qualsiasi forma di ripulitura, comunque realizzata, dei profitti illeciti, qualunque sia il delitto – doloso – da cui essi provengono.[17]
Le disposizioni dell’articolo 648 bis c.p. si applicano anche quando l’autore del delitto presupposto non è imputabile, non è punibile, ovvero manca una condizione di procedibilità riferita a tale delitto. Come sostenuto in dottrina[18], “il rapporto di accessorietà […] si esprime nel far dipendere la punibilità della prima (incriminazione, ovvero il riciclaggio) dalla seconda (il reato presupposto)”.
Come accennato nei paragrafi che precedono, l’elemento oggettivo per la realizzazione del reato consta di due condotte tipiche, individuate dalla norma incriminatrice, ovvero la sostituzione / il trasferimento e il compimento di altre operazioni, in modo da ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa dell’oggetto materiale del reato.
Più critica, ai fini della disamina della norma sull’indulto, è la definizione dell’elemento soggettivo del reato di riciclaggio: il dolo richiesto dalla norma è generico, ovvero consiste nella volontà di compiere l’attività di sostituzione, di trasferimento o di ostacolo, nonché (e prioritariamente) la consapevolezza che i capitali da riciclare provengano da un delitto non colposo. Importante è segnalare che il soggetto che funge da ripulitore del denaro sporco non è tenuto (la norma non lo chiede) a conoscere il delitto presupposto, ma deve essere solo “cosciente” del fatto che si tratti di proventi illeciti. Come accettato dalla letteratura penalistica,[19] “ci si chiede, innanzitutto, quanto ampia debba essere la conoscenza del carattere delittuoso della provenienza del denaro o della cosa: non è ovviamente necessario che il soggetto abbia una conoscenza specifica, e cioè che si rappresenti il fatto nella sua completa materialità e nella sua qualificazione giuridica[20]. È invece sufficiente che egli abbia una conoscenza degli aspetti essenziali secondo una valutazione parallela propria della sfera laica, tale cioè da riconoscere il carattere antigiuridico del fatto[21]”.
Concorde, sul punto, è anche la giurisprudenza: “in tema di riciclaggio ( art. 648-bis cod. pen.) la scienza dell’agente in ordine alla provenienza dei beni da determinati delitti può essere desunta da qualsiasi elemento e sussiste quando gli indizi in proposito siano così gravi ed univoci da autorizzare la logica conclusione della certezza che i beni ricevuti per la sostituzione siano di derivazione delittuosa specifica, anche mediata”[22].
Su tale precisazione nascono i dubbi circa la bontà (legislativa e giuridica) della scelta circa la limitazione del reato di riciclaggio dal beneficio dell’indulto, solo quando la sostituzione riguardi denaro, beni o altre utilità provenienti dal delitto di sequestro di persona a scopo di estorsione o dai delitti concernenti la produzione o il traffico di sostanze stupefacenti o psicotrope.
Come visto, il riciclatore sarà condannato (ovvero è stato condannato) perché ha favorito il godimento dei proventi provenienti da un delitto attraverso la sua opera di ripulitura. La sua azione, tuttavia, sarebbe comunque uguale, se il suo “committente” fosse un colpevole di omicidio, un evasore fiscale ovvero si trattasse, invece, di un trafficante internazionale di sostanze stupefacenti. Il riciclatore non sa, o non dovrebbe sapere, quale reato sia la fonte degli illeciti guadagni; egli ha la percezione, la consapevolezza (questo sì richiesto dall’incriminazione) di maneggiare “soldi sporchi”, ma non è tenuto a conoscere la esatta configurazione del reato che li ha prodotti.
Di qui le conseguenze pratiche: perché sussiste, dunque, una tale discriminazione fra chi ricicla denaro proveniente da sequestro di persona e chi ripulisce il denaro di una rapina? La condotta, verosimilmente, sarà sempre la medesima, cambiando esclusivamente il reato presupposto, un fatto antigiuridico su cui il reo del delitto di riciclaggio non può intervenire, in alcun modo. Egli si limita (si perdoni l’eufemismo) a ricevere il denaro e, attraverso tecniche finanziarie più o meno complesse, a farlo ricomparire pulito.
D’altronde, la ricostruzione giuridica testè espressa viene confermata, ancora una volta, dalla struttura stessa della norma, la quale prevede, quale incipit iniziale, un clausola di riserva espressa, ove afferma che il riciclaggio si può configurare “fuori dai casi di concorso nel reato”. Dottrina e giurisprudenza risolvono, infatti, così il ruolo della citata clausola: essi riconducono sotto la disciplina del concorso tutti i comportamenti tenuti prima dalla consumazione del delitto presupposto[23], mentre vengono qualificati come ipotesi di riciclaggio tutte le condotte tipiche poste in essere dopo la consumazione del reato da cui provengono i soldi sporchi.
Pertanto, l’essersi accordato con un criminale per coprire e mascherare l’origine delittuosa dei proventi illecitamente raccolti integra la fattispecie di reato, ma non determina, di per sé, a conoscenza (certa e puntuale) del reato che è stato commesso.
Ai fini della configurabilità del delitto di ricettazione (ma gli stessi principi, oggi, valgono per le ipotesi di riciclaggio, atteso che le due norme, a seguito dell’evoluzione legislativa, sono ora costruite in maniera similare[24]), secondo i dettami della giurisprudenza di legittimità, è necessaria la prova che l’agente abbia ricevuto, acquistato od occultato denaro o cose provenienti da reato con la consapevolezza di tale illecita provenienza, che deve tradursi nella certezza, desunta anche da elementi gravi, univoci e concordanti, che il danaro o le cose ricevute od occultate siano il prezzo, il prodotto o il profitto di un reato commesso da altri. A tal fine il giudice di merito è tenuto ad indagare se, date le particolari modalità del fatto, l’agente poteva, allorché ricevette, acquistò od occultò il danaro o le cose, aver raggiunto quella certezza, oppure se, per leggerezza, superficialità o disattenzione, omise di accertarsi della loro legittima provenienza, pur dovendo, con l’ordinaria diligenza, nutrire il sospetto che esse provenissero da reato.[25] Inoltre, più in dettaglio, il Supremo Collegio su questo punto ha statuito, nel 1983, che, ai fini della sussistenza del dolo nel reato di ricettazione, non è rilevante l’erroneo convincimento da parte dell’imputato che il fatto oggettivamente presupposto integri un reato diverso da quello in effetti commesso, in quanto basta la certezza di acquistare, ricevere ed occultare cose provenienti da un qualsiasi reato[26].
Giurisprudenza costante, pertanto, sanziona il comportamento del ricettatore, e quindi del riciclatore (almeno per le condotte poste in essere a partire dall’entrata in vigore della legge 328/93), in assenza di un’esatta qualificazione giuridica, quindi per quanto attiene all’elemento soggettivo, del delitto presupposto.[27]
5. Conclusioni
L’indulto, come noto, si applica per tutti i fatti costituenti reato commessi anteriormente alla data del 2 maggio 2006; ciò, ovviamente, determina una rimodulazione delle pene concretamente inflitte dai giudici, ad oggi passate in giudicato. Pertanto, l’Autorità giudiziaria competente sarà tenuta ad applicare la norma, che presenta i profili critici evidenziati nei paragrafi che precedono, a seguito delle istanze che i condannati presenteranno.
Ebbene, cosa decideranno se a richiedere la riduzione della pena sarà un soggetto condannato per riciclaggio di denaro sporco derivante dal traffico di droga (entrambi i reati sono stati accertati del giudice)? Stante la lettera della norma, occorrerà negare lo sconto di pena, non ritenendo accettabile la concessione del beneficio viste le tassative limitazioni dell’efficacia previste dall’articolo 2 della disposizione.
Ma qui intervengono due profili critici: se il condannato richiede l’ambita riduzione sostenendo che egli era a conoscenza, genericamente, di traffici illeciti commessi dai suoi committenti, ma di non conoscerli nel dettaglio?
E, ancora, quid iuris nel caso in cui un’organizzazione si dedichi ordinariamente al compimento di più fatti di reato, magari diversi rispetto all’elencazione della legge 241/2006: cosa succederà alla richiesta di beneficio del condannato per riciclaggio? In maniera più chiara: se un’associazione criminale, oltre al traffico di droga, tragga proventi anche dal furto di opere d’arte, e, successivamente al compimento di tali delitti, si avvalga della collaborazione di uno o più ripulitori di tali somme di denaro, scatta per questi ultimi il beneficio oppure no?
A parere di chi scrive, stante il principio base del favor rei, senza dubbio la richiesta di riduzione di pena dovrebbe essere accolta.
Infine, cosa verrà deciso se la condotta materiale commessa dal reo non sia consistita nella “sostituzione” di denaro, beni o altre utilità, ma invece siano state compiute altre operazioni tese ad ostacolare l’identificazione della loro provenienza delittuosa?[28]
Come visto, la norma, che pure si pone quale obiettivo la risoluzione (in tempi brevi) di un problema (annoso) di sovraffollamento delle carceri, introduce, almeno con riguardo allo specifico aspetto oggetto del presente lavoro, alcuni elementi di incertezza e di criticità, che male si raccordano con gli sforzi fino ad oggi compiuti dal legislatore stesso per individuare la strada più efficace per affrontare e contrastare il fenomeno illecito del riciclaggio, uno dei più gravi vulnus del sistema economico legale.
[2] Lina Palmerini, Sì del Senato: l’indulto è legge, Il Sole-24Ore del 30 luglio 2006, pag. 5
[3] Articolo 151 codice penale
[4] Lina Palmerini, cit.
[5] Fonte Affari italiani su dati comunicati dal Ministero della Salute.
[6] L’articolo 648ter c.p., nel disciplinare il cd. “reimpiego”, prevede infatti la punibilità di chiunque, fuori dai casi di concorso nel reato e dei casi previsti dagli articoli 648 e 648bis, impiega in attività economiche o finanziarie denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto.
[7] Antonina Giordano, Le operazioni sospettate di riciclaggio: bilanci e prospettive d’intervento, in Rivista della Guardia di Finanza, 4/2005, pag. 1246
[8] Convenzione sul riciclaggio, la ricerca, il sequestro e la confisca dei proventi di reato firmata a Strasburgo in data 8 novembre 1990
[9] Per una disamina dell’evoluzione della norma, si può consultare Antolisei, Manuale di diritto Penale. Parte speciale – I, Giuffrè, Milano
[10] Sezione II, sentenza nr. 2818 del 24 gennaio 2006. Si ricorda incidentalmente anche la massima contenuta nella sentenza n. 13448 del 12 aprile 2005 per cui “il delitto di riciclaggio non è distinguibile dal reato di ricettazione di cui all’art. 648 c.p. sulla base dei delitti presupposti, ma la differenza deve essere ricercata con riferimento agli elementi strutturali, quali l’elemento soggettivo, che fa riferimento al dolo specifico dello scopo di lucro nella ricettazione e al dolo generico nel delitto di riciclaggio, e nell’elemento materiale, e in particolare nella idoneità ad ostacolare l’identificazione della provenienza del bene, che è elemento caratterizzante le condotte previste dall’art. 648-bis c.p.”
[11] Agostino Nuzzolo, Riciclaggio ed evasione fiscale: connessioni normative e sinergie nell’azione di contrasto, in Notiziario della Scuola di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza, n. 5 – settembre/ottobre 2003
[12] Agostino Nuzzolo, cit.
[13] Nella medesima Decisione 2001/500, il Consiglio europeo ha raccomandato il ravvicinamento delle normative e delle procedure penali relative al riciclaggio dei capitali, precisando che la sfera delle attività criminose che si configurano come reati principali nel settore del riciclaggio di denaro deve essere uniforme e sufficientemente ampia in tutti gli stati membri.
[14] Approvata nella Riunione plenaria del GAFI, Berlino 18-20 giugno 2003
[15] GAFI (Group d’action financière sur le blanchiment de capitaux), altrimenti denominato FATF (Financial Action Task Force on money laundering) è un gruppo di azione, a carattere intergovernativo, costituito nel 1989 a Parigi e composto da esperti di 29 Stati, in Claudio Di Gregorio, Giovanni Mainolfi, Le transazioni finanziarie sospette: controlli e adempimenti, Bancaria editrice, Roma 2004, pag. 121
[16] Provvedimento UIC 24 febbraio 2006 per i Professionisti – Chiarimenti vari, 21 giugno 2006
[17] Lo scopo della norma in esame è quello di impedire che, una volta verificatosi un delitto, persone diverse da coloro che le hanno commesso o hanno concorso a commetterlo possano, con la loro attività, trarre vantaggio dal delitto medesimo o aiutare gli autori di tale delitto ad assicurarsene il profitto e, comunque, ostacolare con l’attività di riciclaggio del denaro o dei valori, l’attività della polizia giudiziaria tesa a scoprire gli autori del delitto. La fattispecie in esame è, quindi, plurioffensiva, in quanto è posta a tutela del bene giuridico del patrimonio ma anche dell’amministrazione della giustizia e dell’ordine pubblico.
[18] A proposito, però, del reato di ricettazione, Fiandaca – Musco, Diritto Penale, parte speciale, volume II, i delitti contro il patrimonio, seconda edizione, Bologna, 1996, p. 227.
[19] Fiandaca – Musco, Diritto Penale, parte speciale, volume II, i delitti contro il patrimonio, op. cit.
[20] Ex multis, cfr. Cassaz. 22 settembre 1998, in Rivista Penale, 1990, 795; Cassaz. 23 maggio 1988, in Giustizia Penale, 1989, II, 629, Cassaz. 21 febbraio 1980.
[21] Cassaz. 21 gennaio 1956 – 22 febbraio 1954.
[22] Cassaz. sez. VI, sent. n. 9090 del 25-08-1995.
[23] Sul punto, cfr. cassaz. 22 settembre 1988, in Rivista Panale, 1990, 795, ove si sostiene che viene definita concorso l’attività di determinazione o di rafforzamento dell’altrui proposito criminale e di partecipazione materiale al fatto di reato. Ma è tale anche l’attività di chi, in base ad un accordo preventivo, abbia acquistato, ricevuto od occultato cose provenienti da un delitto. Pertanto, sono considerate rientrare nella fattispecie di riciclaggio (e di ricettazione) tutte la attività che costituiscono un posterius rispetto a delitto presupposto. Così Fiandaca – Musco, op. cit., 229.
[24] Sul punto, cfr. Cassazione Penale Sent. n. 23396 del 21-06-2005: “Va inoltre considerato che presupposto comune di tutte e tre le fattispecie incriminatrici previste dagli artt. 648, 648 bis e 648 ter cod. pen. è quello costituito dalla provenienza da delitto del denaro e dell’altra utilità di cui l’agente è venuto a disporre, distinguendosi le predette fattispecie, sotto il profilo soggettivo, per il fatto che la prima di esse richiede, oltre alla consapevolezza dell’indicata provenienza, necessaria anche per le altre, solo una generica finalità di profitto, mentre la seconda e la terza richiedono la specifica finalità di far perdere le tracce dell’origine illecita, con l’ulteriore peculiarità, quanto alla terza, che detta finalità debba essere perseguita mediante l’impiego delle risorse in attività economiche o finanziarie”.
[25] Cass. Penale, Sez. II, sent. n. 9042 del 23-10-1984
[26] Sez. II, sent. n. 10023 del 22-11-1983
[27] Cass. pen., 23 maggio 1988: la conoscenza della provenienza delittuosa delle cose non è necessario che si estenda alla precisa e completa consapevolezza delle circostanze di tempo, di modo e di luogo del reato presupposto, essendo sufficiente la certezza di acquistare cose provenienti da delitto; tale conoscenza, può essere desunta anche da prove indirette, pur se corrispondenti agli elementi indicati in tema di incauto acquisto, così gravi ed univoche da generare in qualsiasi persona di media levatura intellettuale e secondo la comune esperienza la certezza che non possa trattarsi di cose legittimamente possedute da colui che le offre; Cass. pen. Sez. IV, 7 novembre 1997, n. 11303: per l’affermazione della responsabilità non è necessario l’accertamento giudiziale della commissione del delitto presupposto, nè dei suoi autori, nè dell’esatta tipologia del reato, potendo il giudice della ricettazione affermarne l’esistenza attraverso prove logiche; Cass. pen. Sez. II, 12 febbraio 1998, n. 3783: è ravvisabile il dolo eventuale quando la situazione fattuale - nella valutazione operata dal giudice di merito in conformità alle regole della logica e dell’esperienza- sia tale da far ragionevolmente ritenere che non vi sia stata una semplice mancanza di diligenza nel verificare la provenienza della res, ma una consapevole accettazione del rischio che la cosa acquistata o ricevuta fosse di illecita provenienza; Cass. pen. Sez. VI, 31 maggio 1993: la consapevolezza della provenienza illecita del denaro o delle altre cose da parte del soggetto agente deve ritenersi sussistente anche quando nella mente di costui si sia affacciato il dubbio della provenienza delittuosa e nonostante ciò egli abbia agito accettandone il rischio; Cass. pen. Sez. II, sent. n. 7570 del 26-09-1984: la scienza dell’agente in ordine alla provenienza delittuosa della cosa, che non richiede una precisa e completa cognizione di tutte le circostanze del reato presupposto, può desumersi da qualsiasi elemento e la relativa indagine costituisce accertamento di fatto che si sottrae, se congruamente motivato, al sindacato di legittimità.
[28] Come osservato dalla dottrina penalistica, infatti, l’originaria formulazione della struttura del reato poneva dinanzi agli interpreti difetti tecnici evidenti: subordinare la punibilità, come nella versione del 1978, al solo intervento materiale sul bene (la sostituzione), faceva sì che restassero sottratte al controllo penale forme di riciclaggio realizzate mediante un intervento giuridico, come ad esempio nei casi di estinzione di un debito o accensione di un credito. Sul punto, cfr. Fiandaca – Musco, op. cit., 235, Dalia, L’attentato agli impianti e il delitto di riciclaggio, Milano, 1982, 60 ss., Colombo, Il riciclaggio, 1990, 79 ss.
2.L’INDULTO PER IL REATO DI RICICLAGGIO
2.1.PRIME CONSIDERAZIONI
3.IL RICICLAGGIO DEI REATI TRIBUTARI
4.PROFILI (PRESUNTI) DI INCOSTITUZIONALITÀ
5.CONCLUSIONI
1. Premessa
La norma, dopo aver disposto la non applicabilità a questo provvedimento di quanto previsto dal 3 comma dell’articolo 151 c.p.[3], al comma 2 elenca i reati per i quali non si applica il beneficio, tra quelli previsti e puniti dal codice penale (articolo 1, comma 2, lettera a), quelli del D.P.R. 309/1990, Testo Unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope (comma 2, lettera b) e le circostanze aggravanti previste da leggi speciali (comma 2, lettere c, d, e).
Da ultimo, la disposizione prevede la revoca del beneficio se chi ne ha usufruito commette, entro cinque anni dalla data di entrata in vigore della legge, un delitto non colposo per il quale riporti condanna a pena detentiva non inferiore a due anni. Il provvedimento, che nelle stime avrebbe dovuto riguardare 12700 detenuti[4] e che, da un primo bilancio, ne ha interessato 23426[5], non si applica alle pene accessorie sia temporanee che permanenti.
2. L’indulto per il reato di riciclaggio
Entrando nel merito della disposizione, al numero 26 del 2 comma dell’articolo 1, la legge 241/2006 specifica che il beneficio dell’indulto non si applica alla fattispecie di cui all’articolo 648bis c.p., che prevede e punisce il reato di riciclaggio, limitatamente all’ipotesi in cui, cita testualmente la norma, “la sostituzione riguardi denaro, beni o altre utilità provenienti dal delitto di sequestro di persona a scopo di estorsione o dai delitti concernenti la produzione o il traffico di sostanze stupefacenti o psicotrope”.
E’ pertanto ad un singolo e determinato comportamento penalmente apprezzabile, la sostituzione, che il legislatore del 2006 ha inteso delimitare la punibilità della condotta per riciclaggio, così come, parimenti, ha limitato il cd. “reato presupposto”, espressione con la quale si intende il comportamento delittuoso che genera i proventi poi “ripuliti” dal riciclatore consapevole dell’origine illecita del denaro, dei beni o di altre utilità.
La “nuova” figura di riciclaggio, delineata dalla legge 241/2006, ha infatti circoscritto le ipotesi di reato presupposto a quelle del sequestro di persona a scopo di estorsione e del traffico di stupefacenti. Restano esclusi da tale limitazione, e pertanto coperti dal beneficio, gli altri reati, inclusi quelli tributari, astrattamente idonei ad essere qualificati quali reati presupposti.
Rimane escluso dalla limitazione, e pertanto parimenti coperto dal beneficio, anche la fattispecie, residuale e affine a quella del riciclaggio, prevista dal 648ter, che punisce il comportamento di chi, al di fuori dei casi di concorso nel reato e dei casi previsti dall’articolo 648 e 648bis, impiega in attività economiche o finanziarie denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto. Esclusione, questa, meritevole di essere stigmatizzata, tanto per l’affinità della fattispecie in esame a quella del riciclaggio, quanto per la considerazione che, nel caso del cd. reimpiego, tutti i delitti, prescindendo dall’elemento soggettivo, possono configurarsi come reati presupposti[6].
2.1 Prime considerazioni
Da una prima, sommaria analisi della norma in questione, può risultare d’interesse evidenziare come il legislatore del 2006 abbia inteso descrivere la fattispecie del riciclaggio in via affine, piuttosto che a quella che costituisce l’attuale norma incriminatrice prevista dal codice penale, per quanto concerne i reati presupposto, alla norma risultante dagli interventi legislativi del 1990 (legge 19 marzo 1990, n. 55) e, per quanto invece attiene alla condotta, del 1978 (D.L. 21 marzo 1978, n. 59, convertito con legge 18 maggio 1978, n. 191).
Quanto al reato presupposto, infatti, la richiamata legge 55/1990, sostituendo il precedente articolo 648bis, puniva chi, fuori dei casi di concorso nel reato, sostituiva ovvero ostacolava l’identificazione della provenienza illecita denaro, beni o altre utilità derivanti dai delitti di rapina aggravata, di estorsione aggravata, di sequestro di persona a scopo di estorsione o dai delitti concernenti la produzione o il traffico di sostanze stupefacenti o psicotrope.
Tale disposizione aveva costituto un primo significativo ampliamento della formulazione del delitto di riciclaggio così come previsto dalla legge 191/1978 che, con il nomen iuris di “sostituzione di beni e valori di origine delittuosa”, poteva essere configurato solo in relazione a tre delitti a monte: l’estorsione aggravata, la rapina aggravata e il sequestro di persona. Come osservato, “”il legislatore del tempo fu fortemente, se non esclusivamente, determinato a introdurre strumenti di contrasto alla dilagante “industria” dei sequestri di persona, che fortemente colpiva la pubblica opinione. L’obiettivo di politica criminale consisteva nell’introdurre una fattispecie idonea a contrastare le proiezioni ulteriori di condotte contro il patrimonio particolarmente gravi ed allarmanti, con lo scopo di conseguire l’obiettivo di eliminare o neutralizzare i gravi fenomeni criminali che avevano generato denaro sporco””[7].
L’ampliamento dei reati presupposti si ha compiutamente con la legge 328/1993 che, in ratifica ed esecuzione della Convenzione di Strasburgo[8], ha in primo luogo esteso il reato presupposto a tutti i delitti non colposi, anticipando di quasi dieci anni, come si vedrà ultra, la cd. seconda Direttiva antiriciclaggio. In secondo luogo, la citata legge ha introdotto modifiche anche in ordine alla condotta che, in virtù del disposto legislativo appena richiamato, si realizza non più solo nella sostituzione ma anche nel trasferimento del denaro, di beni o di altre utilità e nel comportamento del soggetto agente che ponga in essere operazioni in modo da ostacolare l’identificazione della provenienza[9].
In estrema sintesi, risulta chiara la finalità di estendere, nel tempo, la condotta in relazione alla diversa e accresciuta importanza del sistema finanziario e della conseguente possibilità che questo possa essere utilizzato ai fini del riciclaggio del denaro di provenienza illecita. In altri termini, il legislatore, avvertiti la sempre maggiore pericolosità del delitto di riciclaggio ed il sempre maggiore coinvolgimento dei circuiti finanziari, ha provveduto alla modifica del reato presupposto, che, poste tali esigenze ed al termine degli interventi normativi, non viene più ricondotto solo al traffico di sostanze stupefacenti ma, si direbbe, necessariamente ricomprende una quanto più ampia gamma di fattispecie delittuose. Sulla base delle medesime finalità si è intervenuti sulla condotta che non è più limitata alla sostituzione, ma comprende tutte le attività poste in essere dal soggetto attivo dell’articolo 648bis c.p. per ostacolare l’origine illecita delle somme.
Tale disposizione è stata pienamente recepita dalle più recenti pronunce della Corte di Cassazione che ha avuto modo di ricordare come integri il reato di riciclaggio “il compimento di operazioni volte non solo ad impedire in modo definitivo, ma anche a rendere difficile l’accertamento della provenienza del denaro, dei beni o delle altre utilità, attraverso un qualsiasi espediente che consista nell’aggirare la libera e normale esecuzione dell’attività posta in essere”.[10]
3. Il riciclaggio dei proventi dei reati tributari.
Il breve esame dell’evoluzione della norma evidenzia la singolarità delle limitazioni previste per il riciclaggio nel provvedimento di indulto, che segna un’inversione di tendenza nel delineare l’illecita condotta in esame, con particolare riferimento al reato presupposto. Tale scelta normativa, che esclude i reati tributari e quelli finanziari dai delitti a monte della fattispecie del 648bis, si manifesta coerente con l’impostazione complessiva della legge 241/2006 che, in sede di primo commento, ha voluto limitare l’esclusione dalla copertura dei benefici ai reati di maggiore rilevanza, risultando allo stesso tempo non allineata alle più recenti disposizioni internazionali, comunitarie e nazionali emanate in merito.
Riciclaggio ed evasione fiscale sono, come argutamente osservato, due complesse realtà criminali strettamente interconnesse che riguardano l’economia e colpiscono lo Stato, inquinando e manipolando il sistema dei redditi e dei flussi finanziari[11].
L’assunto di partenza, infatti, è che la criminalità organizzata, al fine di riciclare il denaro di provenienza illecita e legittimarne il possesso, utilizza lo strumento societario per giustificare i flussi monetari in entrata e in uscita, ponendo in essere quindi negozi giuridici apparentemente leciti, viziati da una realtà negoziale illecita, attraverso la predisposizione di documentazione fiscale e contabile di supporto falsa. Le imprese, così inquinate da capitali di provenienza illegale, adottano metodi di evasione fiscale che ne incrementano esponenzialmente i profitti, provocando effetti distorsivi sul mercato.
La patologia dell’illecito fiscale collegata al riciclaggio si accentua in misura ancora maggiore se si pensa alle pratiche di interposizione fittizia di enti e di persone fisiche, volte ad evitare l’evidenziazione di capacità contributiva in capo a soggetti appartenenti alle organizzazioni criminali. In questo modo, le violazioni alle norme tributarie divengono strumento per coprire l’immissione nel circuito economico di proventi da reato, consentendo nel contempo il conseguimento di ulteriori vantaggi sul piano del pagamento delle imposte[12].
Tanto premesso, ripercorrendo anche in sintesi l’evoluzione del reato presupposto del delitto di riciclaggio, si vede come, nel preambolo alla 2001/97/Ce, cd. “seconda Direttiva antiriciclaggio”, il legislatore comunitario abbia preso cognizione della inadeguatezza della previsione, contenuta nella Direttiva 91/308/CEE, di combattere il riciclaggio dei proventi dei reati connessi al traffico di stupefacenti. Si ricorda infatti nella citata 2001/97 che la prima Direttiva obbligava “gli Stati membri a combattere unicamente il riciclaggio dei proventi di reati connessi al traffico di stupefacenti”, laddove negli anni più recenti, dice ancora la disposizione “è emersa la tendenza ad una definizione molto più ampia del riciclaggio, fondata su una gamma più vasta di reati «base» o «presupposto», tendenza manifestatasi ad esempio nel 1996 con la revisione delle 40 raccomandazioni del GAFI (Gruppo di azione finanziaria internazionale) ossia del più importante organismo internazionale per la lotta contro il riciclaggio”.
Preoccupazione analoga è stata manifestata nel preambolo alla Direttiva 2005/60/Ce, laddove si riporta che “sebbene la definizione di riciclaggio fosse inizialmente ristretta ai proventi dei reati connessi agli stupefacenti, negli anni più recenti è emersa la tendenza ad una definizione molto più ampia, fondata su una gamma più vasta di reati base”. L’ampliamento della gamma dei reati base, secondo questa disposizione, agevola la segnalazione delle operazioni sospette e la cooperazione internazionale nel settore e pertanto, conclude la Direttiva, “è opportuno allineare la definizione di «reato grave» a quella contenuta nella decisione quadro 2001/500/GAI del Consiglio, del 26 giugno 2001, concernente il riciclaggio di denaro, l’individuazione, il rintracciamento, il congelamento o sequestro e la confisca degli strumenti e dei proventi di reato”. L’articolo 1, lettera b) della citata Decisione quadro, in riferimento all’articolo 6 della Convenzione di Vienna, qualifica “gravi” quei reati che includono, in ogni caso, i reati punibili con una pena privativa della libertà o con una misura di sicurezza privativa della libertà di durata massima superiore ad un anno ovvero, per gli Stati il cui ordinamento giuridico prevede un a soglia minima per i reati, i reati punibili con una pena privativa della libertà o con una misura di sicurezza privativa della libertà di durata minima superiore a sei mesi.[13]
Per concludere su questo punto, giova infine ricordare come il preambolo della citata Direttiva 2006/60 si richiama implicitamente alla revisione, avvenuta nel 2001[14], delle 40 raccomandazioni del GAFI[15] che ha inteso, tra le altre finalità, estendere la gamma dei reati presupposti del riciclaggio.
L’esame delle disposizioni internazionali e comunitarie sopra riportate non sembra presentare particolari difficoltà interpretative, essendosi manifestata chiara la volontà di rendere ampio il novero dei reati presupposti al fine di un più incisivo contrasto al reato di riciclaggio.
Da ultimo, si ricorda come l’ultimo aggiornamento del provvedimento UIC del 24 febbraio 2004 per i professionisti, ha chiarito che, in merito alla rilevanza come reati presupposto degli illeciti tributari previsti dagli articoli 2, 3 e 4 del D. Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, le fattispecie oggetto di segnalazione ex articolo 3 della legge 197/1991 sono quelle per cui il professionista abbia maturato il sospetto che il denaro, i beni o altre utilità oggetto dell’operazione richiesta dal cliente possano provenire dai delitti di cui all’articolo 648bis e ter c.p. Nel dettaglio, il provvedimento dell’UIC spiega che l’articolo 2 del D. Lgs. 74/2000 prevede come fattispecie delittuosa la dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture e altri documenti per operazioni inesistenti che, pertanto, “può integrare reato presupposto a quello di riciclaggio”[16]. Tale illecito può rientrare tra le casistiche oggetto di segnalazione come operazione sospetta. Gli articoli 3 e 4 del citato decreto legge contemplano fattispecie che assumono rilevanza penale al di sopra di una certa soglia, al di sotto della quale l’illecito perpetrato non costituendo reato, non è idoneo ad assumere connotato di presupposto al delitto di riciclaggio.
Ferma restando la coerenza dell’impostazione generale che ha presieduto alla legge sull’indulto, per cui i reati tributari non sono stati inseriti, autonomamente, fra i delitti per cui il beneficio viene escluso, né, in via mediata, tra i reati presupposti del riciclaggio per cui lo sconto di pena non viene concesso, risulta però singolare che, da una parte, si richieda ai professionisti di collaborare attivamente nel dispositivo antiriciclaggio, segnalando, a maggior ragione in considerazione della loro attività, quelle operazioni sospette che attengano ai reati tributari, mentre, dall’altra, si esclude rilievo a questa tipologia di reati, determinando la considerazione che non abbiano una valenza negativa tanto da meritare la copertura dell’indulto, sia in quanto tali sia quali reato presupposto del delitto di riciclaggio.
4. Profili (presunti) di incostituzionalità.
La proposta del legislatore di escludere dal novero dei reati per i quali si applica l’indulto il delitto di riciclaggio, almeno limitatamente alle ipotesi per cui la sostituzione riguardi denaro, beni o altre utilità provenienti dal delitto di sequestro di persona a scopo di estorsione o dai delitti concernenti la produzione o il traffico di sostanze stupefacenti o psicotrope, da un lato, come detto, risponde all’esigenza dell’organo legislativo di differenziare i reati, in ragione della loro (ritenuta) maggiore gravità e/o sensibilità per l’ordine sociale, mentre determina, dall’altro, contestualmente, profili di incertezza, rectius di presunta incostituzionalità, per quanto concerne il principio di non discriminazione di fatti uguali, che invece vengono trattati in maniera differente.
In primo luogo, occorre infatti chiedersi in cosa consista commettere un illecito di riciclaggio o, più semplicemente, cosa sia il riciclaggio.
Secondo un’accezione lata del termine, esso è costituito dalle condotte afferenti alla circolazione e all’occultamento dei beni provenienti da delitti, essendo teso ad impedire che gli autori di fatti di reato possano far fruttare i capitali illegalmente acquisiti; il reato di riciclaggio colpisce dunque qualsiasi forma di ripulitura, comunque realizzata, dei profitti illeciti, qualunque sia il delitto – doloso – da cui essi provengono.[17]
Le disposizioni dell’articolo 648 bis c.p. si applicano anche quando l’autore del delitto presupposto non è imputabile, non è punibile, ovvero manca una condizione di procedibilità riferita a tale delitto. Come sostenuto in dottrina[18], “il rapporto di accessorietà […] si esprime nel far dipendere la punibilità della prima (incriminazione, ovvero il riciclaggio) dalla seconda (il reato presupposto)”.
Come accennato nei paragrafi che precedono, l’elemento oggettivo per la realizzazione del reato consta di due condotte tipiche, individuate dalla norma incriminatrice, ovvero la sostituzione / il trasferimento e il compimento di altre operazioni, in modo da ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa dell’oggetto materiale del reato.
Più critica, ai fini della disamina della norma sull’indulto, è la definizione dell’elemento soggettivo del reato di riciclaggio: il dolo richiesto dalla norma è generico, ovvero consiste nella volontà di compiere l’attività di sostituzione, di trasferimento o di ostacolo, nonché (e prioritariamente) la consapevolezza che i capitali da riciclare provengano da un delitto non colposo. Importante è segnalare che il soggetto che funge da ripulitore del denaro sporco non è tenuto (la norma non lo chiede) a conoscere il delitto presupposto, ma deve essere solo “cosciente” del fatto che si tratti di proventi illeciti. Come accettato dalla letteratura penalistica,[19] “ci si chiede, innanzitutto, quanto ampia debba essere la conoscenza del carattere delittuoso della provenienza del denaro o della cosa: non è ovviamente necessario che il soggetto abbia una conoscenza specifica, e cioè che si rappresenti il fatto nella sua completa materialità e nella sua qualificazione giuridica[20]. È invece sufficiente che egli abbia una conoscenza degli aspetti essenziali secondo una valutazione parallela propria della sfera laica, tale cioè da riconoscere il carattere antigiuridico del fatto[21]”.
Concorde, sul punto, è anche la giurisprudenza: “in tema di riciclaggio ( art. 648-bis cod. pen.) la scienza dell’agente in ordine alla provenienza dei beni da determinati delitti può essere desunta da qualsiasi elemento e sussiste quando gli indizi in proposito siano così gravi ed univoci da autorizzare la logica conclusione della certezza che i beni ricevuti per la sostituzione siano di derivazione delittuosa specifica, anche mediata”[22].
Su tale precisazione nascono i dubbi circa la bontà (legislativa e giuridica) della scelta circa la limitazione del reato di riciclaggio dal beneficio dell’indulto, solo quando la sostituzione riguardi denaro, beni o altre utilità provenienti dal delitto di sequestro di persona a scopo di estorsione o dai delitti concernenti la produzione o il traffico di sostanze stupefacenti o psicotrope.
Come visto, il riciclatore sarà condannato (ovvero è stato condannato) perché ha favorito il godimento dei proventi provenienti da un delitto attraverso la sua opera di ripulitura. La sua azione, tuttavia, sarebbe comunque uguale, se il suo “committente” fosse un colpevole di omicidio, un evasore fiscale ovvero si trattasse, invece, di un trafficante internazionale di sostanze stupefacenti. Il riciclatore non sa, o non dovrebbe sapere, quale reato sia la fonte degli illeciti guadagni; egli ha la percezione, la consapevolezza (questo sì richiesto dall’incriminazione) di maneggiare “soldi sporchi”, ma non è tenuto a conoscere la esatta configurazione del reato che li ha prodotti.
Di qui le conseguenze pratiche: perché sussiste, dunque, una tale discriminazione fra chi ricicla denaro proveniente da sequestro di persona e chi ripulisce il denaro di una rapina? La condotta, verosimilmente, sarà sempre la medesima, cambiando esclusivamente il reato presupposto, un fatto antigiuridico su cui il reo del delitto di riciclaggio non può intervenire, in alcun modo. Egli si limita (si perdoni l’eufemismo) a ricevere il denaro e, attraverso tecniche finanziarie più o meno complesse, a farlo ricomparire pulito.
D’altronde, la ricostruzione giuridica testè espressa viene confermata, ancora una volta, dalla struttura stessa della norma, la quale prevede, quale incipit iniziale, un clausola di riserva espressa, ove afferma che il riciclaggio si può configurare “fuori dai casi di concorso nel reato”. Dottrina e giurisprudenza risolvono, infatti, così il ruolo della citata clausola: essi riconducono sotto la disciplina del concorso tutti i comportamenti tenuti prima dalla consumazione del delitto presupposto[23], mentre vengono qualificati come ipotesi di riciclaggio tutte le condotte tipiche poste in essere dopo la consumazione del reato da cui provengono i soldi sporchi.
Pertanto, l’essersi accordato con un criminale per coprire e mascherare l’origine delittuosa dei proventi illecitamente raccolti integra la fattispecie di reato, ma non determina, di per sé, a conoscenza (certa e puntuale) del reato che è stato commesso.
Ai fini della configurabilità del delitto di ricettazione (ma gli stessi principi, oggi, valgono per le ipotesi di riciclaggio, atteso che le due norme, a seguito dell’evoluzione legislativa, sono ora costruite in maniera similare[24]), secondo i dettami della giurisprudenza di legittimità, è necessaria la prova che l’agente abbia ricevuto, acquistato od occultato denaro o cose provenienti da reato con la consapevolezza di tale illecita provenienza, che deve tradursi nella certezza, desunta anche da elementi gravi, univoci e concordanti, che il danaro o le cose ricevute od occultate siano il prezzo, il prodotto o il profitto di un reato commesso da altri. A tal fine il giudice di merito è tenuto ad indagare se, date le particolari modalità del fatto, l’agente poteva, allorché ricevette, acquistò od occultò il danaro o le cose, aver raggiunto quella certezza, oppure se, per leggerezza, superficialità o disattenzione, omise di accertarsi della loro legittima provenienza, pur dovendo, con l’ordinaria diligenza, nutrire il sospetto che esse provenissero da reato.[25] Inoltre, più in dettaglio, il Supremo Collegio su questo punto ha statuito, nel 1983, che, ai fini della sussistenza del dolo nel reato di ricettazione, non è rilevante l’erroneo convincimento da parte dell’imputato che il fatto oggettivamente presupposto integri un reato diverso da quello in effetti commesso, in quanto basta la certezza di acquistare, ricevere ed occultare cose provenienti da un qualsiasi reato[26].
Giurisprudenza costante, pertanto, sanziona il comportamento del ricettatore, e quindi del riciclatore (almeno per le condotte poste in essere a partire dall’entrata in vigore della legge 328/93), in assenza di un’esatta qualificazione giuridica, quindi per quanto attiene all’elemento soggettivo, del delitto presupposto.[27]
5. Conclusioni
L’indulto, come noto, si applica per tutti i fatti costituenti reato commessi anteriormente alla data del 2 maggio 2006; ciò, ovviamente, determina una rimodulazione delle pene concretamente inflitte dai giudici, ad oggi passate in giudicato. Pertanto, l’Autorità giudiziaria competente sarà tenuta ad applicare la norma, che presenta i profili critici evidenziati nei paragrafi che precedono, a seguito delle istanze che i condannati presenteranno.
Ebbene, cosa decideranno se a richiedere la riduzione della pena sarà un soggetto condannato per riciclaggio di denaro sporco derivante dal traffico di droga (entrambi i reati sono stati accertati del giudice)? Stante la lettera della norma, occorrerà negare lo sconto di pena, non ritenendo accettabile la concessione del beneficio viste le tassative limitazioni dell’efficacia previste dall’articolo 2 della disposizione.
Ma qui intervengono due profili critici: se il condannato richiede l’ambita riduzione sostenendo che egli era a conoscenza, genericamente, di traffici illeciti commessi dai suoi committenti, ma di non conoscerli nel dettaglio?
E, ancora, quid iuris nel caso in cui un’organizzazione si dedichi ordinariamente al compimento di più fatti di reato, magari diversi rispetto all’elencazione della legge 241/2006: cosa succederà alla richiesta di beneficio del condannato per riciclaggio? In maniera più chiara: se un’associazione criminale, oltre al traffico di droga, tragga proventi anche dal furto di opere d’arte, e, successivamente al compimento di tali delitti, si avvalga della collaborazione di uno o più ripulitori di tali somme di denaro, scatta per questi ultimi il beneficio oppure no?
A parere di chi scrive, stante il principio base del favor rei, senza dubbio la richiesta di riduzione di pena dovrebbe essere accolta.
Infine, cosa verrà deciso se la condotta materiale commessa dal reo non sia consistita nella “sostituzione” di denaro, beni o altre utilità, ma invece siano state compiute altre operazioni tese ad ostacolare l’identificazione della loro provenienza delittuosa?[28]
Come visto, la norma, che pure si pone quale obiettivo la risoluzione (in tempi brevi) di un problema (annoso) di sovraffollamento delle carceri, introduce, almeno con riguardo allo specifico aspetto oggetto del presente lavoro, alcuni elementi di incertezza e di criticità, che male si raccordano con gli sforzi fino ad oggi compiuti dal legislatore stesso per individuare la strada più efficace per affrontare e contrastare il fenomeno illecito del riciclaggio, uno dei più gravi vulnus del sistema economico legale.
[2] Lina Palmerini, Sì del Senato: l’indulto è legge, Il Sole-24Ore del 30 luglio 2006, pag. 5
[3] Articolo 151 codice penale
[4] Lina Palmerini, cit.
[5] Fonte Affari italiani su dati comunicati dal Ministero della Salute.
[6] L’articolo 648ter c.p., nel disciplinare il cd. “reimpiego”, prevede infatti la punibilità di chiunque, fuori dai casi di concorso nel reato e dei casi previsti dagli articoli 648 e 648bis, impiega in attività economiche o finanziarie denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto.
[7] Antonina Giordano, Le operazioni sospettate di riciclaggio: bilanci e prospettive d’intervento, in Rivista della Guardia di Finanza, 4/2005, pag. 1246
[8] Convenzione sul riciclaggio, la ricerca, il sequestro e la confisca dei proventi di reato firmata a Strasburgo in data 8 novembre 1990
[9] Per una disamina dell’evoluzione della norma, si può consultare Antolisei, Manuale di diritto Penale. Parte speciale – I, Giuffrè, Milano
[10] Sezione II, sentenza nr. 2818 del 24 gennaio 2006. Si ricorda incidentalmente anche la massima contenuta nella sentenza n. 13448 del 12 aprile 2005 per cui “il delitto di riciclaggio non è distinguibile dal reato di ricettazione di cui all’art. 648 c.p. sulla base dei delitti presupposti, ma la differenza deve essere ricercata con riferimento agli elementi strutturali, quali l’elemento soggettivo, che fa riferimento al dolo specifico dello scopo di lucro nella ricettazione e al dolo generico nel delitto di riciclaggio, e nell’elemento materiale, e in particolare nella idoneità ad ostacolare l’identificazione della provenienza del bene, che è elemento caratterizzante le condotte previste dall’art. 648-bis c.p.”
[11] Agostino Nuzzolo, Riciclaggio ed evasione fiscale: connessioni normative e sinergie nell’azione di contrasto, in Notiziario della Scuola di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza, n. 5 – settembre/ottobre 2003
[12] Agostino Nuzzolo, cit.
[13] Nella medesima Decisione 2001/500, il Consiglio europeo ha raccomandato il ravvicinamento delle normative e delle procedure penali relative al riciclaggio dei capitali, precisando che la sfera delle attività criminose che si configurano come reati principali nel settore del riciclaggio di denaro deve essere uniforme e sufficientemente ampia in tutti gli stati membri.
[14] Approvata nella Riunione plenaria del GAFI, Berlino 18-20 giugno 2003
[15] GAFI (Group d’action financière sur le blanchiment de capitaux), altrimenti denominato FATF (Financial Action Task Force on money laundering) è un gruppo di azione, a carattere intergovernativo, costituito nel 1989 a Parigi e composto da esperti di 29 Stati, in Claudio Di Gregorio, Giovanni Mainolfi, Le transazioni finanziarie sospette: controlli e adempimenti, Bancaria editrice, Roma 2004, pag. 121
[16] Provvedimento UIC 24 febbraio 2006 per i Professionisti – Chiarimenti vari, 21 giugno 2006
[17] Lo scopo della norma in esame è quello di impedire che, una volta verificatosi un delitto, persone diverse da coloro che le hanno commesso o hanno concorso a commetterlo possano, con la loro attività, trarre vantaggio dal delitto medesimo o aiutare gli autori di tale delitto ad assicurarsene il profitto e, comunque, ostacolare con l’attività di riciclaggio del denaro o dei valori, l’attività della polizia giudiziaria tesa a scoprire gli autori del delitto. La fattispecie in esame è, quindi, plurioffensiva, in quanto è posta a tutela del bene giuridico del patrimonio ma anche dell’amministrazione della giustizia e dell’ordine pubblico.
[18] A proposito, però, del reato di ricettazione, Fiandaca – Musco, Diritto Penale, parte speciale, volume II, i delitti contro il patrimonio, seconda edizione, Bologna, 1996, p. 227.
[19] Fiandaca – Musco, Diritto Penale, parte speciale, volume II, i delitti contro il patrimonio, op. cit.
[20] Ex multis, cfr. Cassaz. 22 settembre 1998, in Rivista Penale, 1990, 795; Cassaz. 23 maggio 1988, in Giustizia Penale, 1989, II, 629, Cassaz. 21 febbraio 1980.
[21] Cassaz. 21 gennaio 1956 – 22 febbraio 1954.
[22] Cassaz. sez. VI, sent. n. 9090 del 25-08-1995.
[23] Sul punto, cfr. cassaz. 22 settembre 1988, in Rivista Panale, 1990, 795, ove si sostiene che viene definita concorso l’attività di determinazione o di rafforzamento dell’altrui proposito criminale e di partecipazione materiale al fatto di reato. Ma è tale anche l’attività di chi, in base ad un accordo preventivo, abbia acquistato, ricevuto od occultato cose provenienti da un delitto. Pertanto, sono considerate rientrare nella fattispecie di riciclaggio (e di ricettazione) tutte la attività che costituiscono un posterius rispetto a delitto presupposto. Così Fiandaca – Musco, op. cit., 229.
[24] Sul punto, cfr. Cassazione Penale Sent. n. 23396 del 21-06-2005: “Va inoltre considerato che presupposto comune di tutte e tre le fattispecie incriminatrici previste dagli artt. 648, 648 bis e 648 ter cod. pen. è quello costituito dalla provenienza da delitto del denaro e dell’altra utilità di cui l’agente è venuto a disporre, distinguendosi le predette fattispecie, sotto il profilo soggettivo, per il fatto che la prima di esse richiede, oltre alla consapevolezza dell’indicata provenienza, necessaria anche per le altre, solo una generica finalità di profitto, mentre la seconda e la terza richiedono la specifica finalità di far perdere le tracce dell’origine illecita, con l’ulteriore peculiarità, quanto alla terza, che detta finalità debba essere perseguita mediante l’impiego delle risorse in attività economiche o finanziarie”.
[25] Cass. Penale, Sez. II, sent. n. 9042 del 23-10-1984
[26] Sez. II, sent. n. 10023 del 22-11-1983
[27] Cass. pen., 23 maggio 1988: la conoscenza della provenienza delittuosa delle cose non è necessario che si estenda alla precisa e completa consapevolezza delle circostanze di tempo, di modo e di luogo del reato presupposto, essendo sufficiente la certezza di acquistare cose provenienti da delitto; tale conoscenza, può essere desunta anche da prove indirette, pur se corrispondenti agli elementi indicati in tema di incauto acquisto, così gravi ed univoche da generare in qualsiasi persona di media levatura intellettuale e secondo la comune esperienza la certezza che non possa trattarsi di cose legittimamente possedute da colui che le offre; Cass. pen. Sez. IV, 7 novembre 1997, n. 11303: per l’affermazione della responsabilità non è necessario l’accertamento giudiziale della commissione del delitto presupposto, nè dei suoi autori, nè dell’esatta tipologia del reato, potendo il giudice della ricettazione affermarne l’esistenza attraverso prove logiche; Cass. pen. Sez. II, 12 febbraio 1998, n. 3783: è ravvisabile il dolo eventuale quando la situazione fattuale - nella valutazione operata dal giudice di merito in conformità alle regole della logica e dell’esperienza- sia tale da far ragionevolmente ritenere che non vi sia stata una semplice mancanza di diligenza nel verificare la provenienza della res, ma una consapevole accettazione del rischio che la cosa acquistata o ricevuta fosse di illecita provenienza; Cass. pen. Sez. VI, 31 maggio 1993: la consapevolezza della provenienza illecita del denaro o delle altre cose da parte del soggetto agente deve ritenersi sussistente anche quando nella mente di costui si sia affacciato il dubbio della provenienza delittuosa e nonostante ciò egli abbia agito accettandone il rischio; Cass. pen. Sez. II, sent. n. 7570 del 26-09-1984: la scienza dell’agente in ordine alla provenienza delittuosa della cosa, che non richiede una precisa e completa cognizione di tutte le circostanze del reato presupposto, può desumersi da qualsiasi elemento e la relativa indagine costituisce accertamento di fatto che si sottrae, se congruamente motivato, al sindacato di legittimità.
[28] Come osservato dalla dottrina penalistica, infatti, l’originaria formulazione della struttura del reato poneva dinanzi agli interpreti difetti tecnici evidenti: subordinare la punibilità, come nella versione del 1978, al solo intervento materiale sul bene (la sostituzione), faceva sì che restassero sottratte al controllo penale forme di riciclaggio realizzate mediante un intervento giuridico, come ad esempio nei casi di estinzione di un debito o accensione di un credito. Sul punto, cfr. Fiandaca – Musco, op. cit., 235, Dalia, L’attentato agli impianti e il delitto di riciclaggio, Milano, 1982, 60 ss., Colombo, Il riciclaggio, 1990, 79 ss.