Cessione "momentanea ed occasionale" di armi da un soggetto munito di porto d’armi ad un altro privo
LA MASSIMA
Consegnare “momentaneamente” un’arma ad un soggetto non munito di porto d’armi anche per permettergli di sparare, in luogo privato ed alla presenza del titolare dell’arma stessa, non configura quella “cessione” tra privati sanzionata dall’art.35, commi IV e VI T.U.L.P.S. ed è, pertanto, perfettamente lecito (così ha deciso la prima sezione penale della Corte d’Appello di Caltanissetta con la sentenza n. 554 Reg. Sent. del 31/5/2007).
La pronuncia in epigrafe costituisce un chiaro riscontro giurisprudenziale a quella dottrina[1] che, conscia del fatto che “la garanzia dell’effettivo controllo sulla circolazione delle armi sia il principale obiettivo che il legislatore abbia tenuto presente nella redazione della normativa che la concerne”[2], già da tempo aveva riservato una particolare attenzione alla disciplina del trasferimento delle armi da un soggetto ad un altro nonché ai limiti entro i quali il passaggio di un’arma tra privati debba potersi considerare lecito.
Al fine di comprendere l’iter argomentativo seguito dalla Corte è opportuna una integrale ricostruzione della vicenda.
LA FATTISPECIE
A seguito di esercizio di azione penale da parte della Procura della Repubblica di Nicosia, A.M. era stato rinviato a giudizio poiché chiamato a rispondere “del reato p.e.p. dall’art.1 della L.895/1967, per aver ceduto in uso ad A.C. un’arma pur sapendo che lo stesso era privo della prescritta licenza di porto d’armi” ed A.C. del reato previsto e punito dagli artt. 4 e 7 L.895/67 “per avere illegalmente portato in luogo pubblico un fucile doppietta”.
Il Tribunale di Nicosia, assolveva A.C. del reato di porto abusivo (stante che dall’istruttoria dibattimentale era emerso che non trattavasi di luogo pubblico, bensì di fondo privato perfettamente recintato) e pronunciava sentenza di condanna nei confronti di A.M., previa riqualificazione del reato originariamente contestatogli in quello di cui all’art. 35 commi IV e VI TULPS, condannandolo alla pena di mesi tre di arresto e ad euro 150 di ammenda, oltre al pagamento delle spese processuali, disponendo il sequestro e la distruzione dell’arma.
In buona sostanza, il Giudice di primo grado, al cui vaglio era stata posta la fattispecie in questione, aveva ritenuto il fatto che l’imputato avesse consegnato il proprio fucile da caccia al di lui figlio (A.C.) -consentendogli di sparare all’interno della proprietà privata degli stessi interamente recintata- integrasse, se non l’ipotesi di cui all’art. 1 L.895/1967[3], sicuramente quella disciplinata e sanzionata dall’art. 35, commi IV e VI del Testo Unico leggi di Pubblica Sicurezza[4].
Su appello dell’imputato il Giudice di secondo grado, accogliendo la tesi difensiva, assolveva l’imputato con la formula “perché il fatto non sussiste”.
LE QUESTIONI GIURIDICHE AFFRONTATE
Il problema che, nella vicenda in esame, si poneva al Giudice di secondo grado era, quindi, quello di valutare se, per come sostenuto dal Giudice di prime cure, il fatto contestato fosse sussumibile nell’ambito dei dettami di cui all’art. 35 del Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza o se, invece, quella la condotta posta in essere dal prevenuto fosse non punibile.
La risoluzione del problema, anche al fine di agevolare una migliore comprensione dell’iter argomentativo seguito dalla Corte Nissena, necessita qualche precisazione ed in particolare l’esame della normativa in questione e della sottesa ratio.
Ora, non v’è dubbio, per come sostenuto da giurisprudenza e dottrina[5] che trattandosi di armi ossia di “strumenti che per naturale destinazione sono in grado di mettere in pericolo l’incolumità delle persone, oggetto della tutela penale sia la salvaguardia della sicurezza individuale e collettiva nonché l’ordine pubblico, realizzata attraverso il divieto di varie condotte aventi ad oggetto le armi onde circoscriverle al massimo [6].
Quelli legati alla circolazione delle armi, infatti, sono reati di pericolo nei quali la disponibilità delle armi stesse costituisce fonte di possibile aggressione di beni giuridici protetti e va, dunque, drasticamente limitata.
Ma anche a voler condividere il tenore dei superiori orientamenti giurisprudenziali e dottrinari, ed anche, quindi, a voler prestare particolare attenzione alla disciplina dei trasferimenti delle armi tra soggetti, non v’è dubbio che non ogni passaggio o consegna di arma da un soggetto ad un altro integri una condotta vietata, penalmente rilevante e come tale da sanzionare.
Alla stregua, dunque, della previsione normativa di cui al contestato art. 35 TULPS bisognava in primo luogo chiarire (così come ha fatto la Corte d’Appello nella sentenza annotata) quando in effetti la consegna di arma da un soggetto privato ad un altro integri quella cessione di cui al TULPS e costituisca, pertanto, condotta illecita e sanzionabile.
Occorreva, quindi, partire da un ragionamento con metodo deduttivo per giungere alla trattazione delle vicenda in esame.
E così, procedendo per gradi, nella pronuncia in commento è stato dapprima chiarito che “presupposto imprescindibile perché sia configurabile anche l’ipotesi contravvenzionale è ..quello dell’intervenuta vendita o comunque cessione dell’arma e cioè del passaggio di disponibilità della stessa a titolo di trasferimento di proprietà o comunque per costruzione di altro diritto di godimento o d’uso da parte del cedente al cessionario od anche per semplice comodato, non potendo, invece, essere configurata neppure la più lieve ipotesi contravvenzionale nel caso in cui non sia configurabile alcuna cessione è cioè un trasferimento concreto della disponibilità del bene”.
Posto ciò, e considerato che, per come pacificamente già sostenuto dalla giurisprudenza di legittimità “perché si abbia cessione è necessario che si instauri tra il cessionario e l’arma un rapporto autonomo di disponibilità[7] ed inoltre che in seguito alla cessione “il detentore (alias cessionario) abbia il potere di ripristinare il rapporto diretto con l’arma quale effetto di un proprio autonomo atto di volontà”[8] non può residuare alcun dubbio in merito al fatto che la cessione momentanea di un’arma non integri gli estremi di cui all’art. 35 T.U.L.P.S.
Alla luce delle superiori considerazioni, non può non condividersi quanto statuito dalla Corte d’Appello di Caltanissetta che, nel riformare la sentenza di primo grado, ha testualmente stabilito che “nell’ipotesi di consegna di arma dal proprietario ad altro soggetto che avvenga al solo scopo di permettere a quest’ultimo l’uso temporaneo ed isolato, alla presenza del titolare della stessa, non può configurarsi una cessione tra privati poiché tale atto comporta un trasferimento della disponibilità in forza di un accordo tra le parti viceversa non configurabile nel caso di mera consegna momentanea ed occasionale finalizzata all’analisi dell’arma od anche all’uso isolato della stessa in luogo privato”.
Tutto ciò posto, appare opportuno segnalare, la irreprensibilità del ragionamento della Corte anche nel cenno che è dato leggere in sentenza al “luogo privato”.
Essendo avvenuta, infatti, la momentanea cessione dell’arma all’interno di una proprietà privata interamente recintata, non avrebbe potuto essere ignorato dal primo Giudice anche il difetto, nel caso di specie, della prescritta pubblicità del luogo. Anche sotto tale aspetto la consegna dell’arma dall’imputato ad altro soggetto non intaccava la ratio della norma, non venendo in alcun modo lese quelle esigenze di controllo sulla circolazione delle armi, ossia la ratio della norma volta a reprimerne la indebita circolazione.
[2] Cfr. Le leggi penali speciali, La disciplina di armi, munizioni ed esplosivi, II^ edizione CEDAM (pagg. 141 e ss.)
[3] Chiunque senza licenza dell’autorità fabbrica o introduce nello Stato o pone in vendita o cede a qualsiasi titolo armi da guerra o tipo guerra, o parti di esse, atte all’impiego, munizioni da guerra, esplosivi di ogni genere, aggressivi chimici o altri congegni micidiali, ovvero ne fa raccolta, è punito con la reclusione da tre a dodici anni e con la multa da €. 413,00 a €. 2.065 (1) (2).
(1) La multa è stata così elevata dall’art. 113, quarto comma, l. 24 novembre 1981, n. 689. La sanzione è esclusa dalla depenalizzazione in virtù dell’art. 32, secondo comma, della citata l. 689/1981.
(2) Articolo così sostituito dall’art. 9, l. 14 ottobre 1974, n. 497.
[4] È vietato vendere o in qualsiasi altro modo cedere armi a privati che non siano muniti di permesso di porto d’armi …. Il contravventore è punito con l’arresto da tre mesi ad u anno e con l’ammenda non inferiore a lire 250.000.
[5] Cfr. Leggi Penali d’Udienza a cura di Tullio Padovani, parte III Ordine Pubblico, pagg. 1521 e ss, Ed. CEDAM.
[6] Ex multis cass. pen. I, 25/6/1986; Cass. pen. I, 24/10/1994.
[7] Cfr. cass. Pen. 3/5/1985 in Giust. Pen. 1987, 106.
[8] Cfr. cass. Pen. 19/12/1984.
LA MASSIMA
Consegnare “momentaneamente” un’arma ad un soggetto non munito di porto d’armi anche per permettergli di sparare, in luogo privato ed alla presenza del titolare dell’arma stessa, non configura quella “cessione” tra privati sanzionata dall’art.35, commi IV e VI T.U.L.P.S. ed è, pertanto, perfettamente lecito (così ha deciso la prima sezione penale della Corte d’Appello di Caltanissetta con la sentenza n. 554 Reg. Sent. del 31/5/2007).
La pronuncia in epigrafe costituisce un chiaro riscontro giurisprudenziale a quella dottrina[1] che, conscia del fatto che “la garanzia dell’effettivo controllo sulla circolazione delle armi sia il principale obiettivo che il legislatore abbia tenuto presente nella redazione della normativa che la concerne”[2], già da tempo aveva riservato una particolare attenzione alla disciplina del trasferimento delle armi da un soggetto ad un altro nonché ai limiti entro i quali il passaggio di un’arma tra privati debba potersi considerare lecito.
Al fine di comprendere l’iter argomentativo seguito dalla Corte è opportuna una integrale ricostruzione della vicenda.
LA FATTISPECIE
A seguito di esercizio di azione penale da parte della Procura della Repubblica di Nicosia, A.M. era stato rinviato a giudizio poiché chiamato a rispondere “del reato p.e.p. dall’art.1 della L.895/1967, per aver ceduto in uso ad A.C. un’arma pur sapendo che lo stesso era privo della prescritta licenza di porto d’armi” ed A.C. del reato previsto e punito dagli artt. 4 e 7 L.895/67 “per avere illegalmente portato in luogo pubblico un fucile doppietta”.
Il Tribunale di Nicosia, assolveva A.C. del reato di porto abusivo (stante che dall’istruttoria dibattimentale era emerso che non trattavasi di luogo pubblico, bensì di fondo privato perfettamente recintato) e pronunciava sentenza di condanna nei confronti di A.M., previa riqualificazione del reato originariamente contestatogli in quello di cui all’art. 35 commi IV e VI TULPS, condannandolo alla pena di mesi tre di arresto e ad euro 150 di ammenda, oltre al pagamento delle spese processuali, disponendo il sequestro e la distruzione dell’arma.
In buona sostanza, il Giudice di primo grado, al cui vaglio era stata posta la fattispecie in questione, aveva ritenuto il fatto che l’imputato avesse consegnato il proprio fucile da caccia al di lui figlio (A.C.) -consentendogli di sparare all’interno della proprietà privata degli stessi interamente recintata- integrasse, se non l’ipotesi di cui all’art. 1 L.895/1967[3], sicuramente quella disciplinata e sanzionata dall’art. 35, commi IV e VI del Testo Unico leggi di Pubblica Sicurezza[4].
Su appello dell’imputato il Giudice di secondo grado, accogliendo la tesi difensiva, assolveva l’imputato con la formula “perché il fatto non sussiste”.
LE QUESTIONI GIURIDICHE AFFRONTATE
Il problema che, nella vicenda in esame, si poneva al Giudice di secondo grado era, quindi, quello di valutare se, per come sostenuto dal Giudice di prime cure, il fatto contestato fosse sussumibile nell’ambito dei dettami di cui all’art. 35 del Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza o se, invece, quella la condotta posta in essere dal prevenuto fosse non punibile.
La risoluzione del problema, anche al fine di agevolare una migliore comprensione dell’iter argomentativo seguito dalla Corte Nissena, necessita qualche precisazione ed in particolare l’esame della normativa in questione e della sottesa ratio.
Ora, non v’è dubbio, per come sostenuto da giurisprudenza e dottrina[5] che trattandosi di armi ossia di “strumenti che per naturale destinazione sono in grado di mettere in pericolo l’incolumità delle persone, oggetto della tutela penale sia la salvaguardia della sicurezza individuale e collettiva nonché l’ordine pubblico, realizzata attraverso il divieto di varie condotte aventi ad oggetto le armi onde circoscriverle al massimo [6].
Quelli legati alla circolazione delle armi, infatti, sono reati di pericolo nei quali la disponibilità delle armi stesse costituisce fonte di possibile aggressione di beni giuridici protetti e va, dunque, drasticamente limitata.
Ma anche a voler condividere il tenore dei superiori orientamenti giurisprudenziali e dottrinari, ed anche, quindi, a voler prestare particolare attenzione alla disciplina dei trasferimenti delle armi tra soggetti, non v’è dubbio che non ogni passaggio o consegna di arma da un soggetto ad un altro integri una condotta vietata, penalmente rilevante e come tale da sanzionare.
Alla stregua, dunque, della previsione normativa di cui al contestato art. 35 TULPS bisognava in primo luogo chiarire (così come ha fatto la Corte d’Appello nella sentenza annotata) quando in effetti la consegna di arma da un soggetto privato ad un altro integri quella cessione di cui al TULPS e costituisca, pertanto, condotta illecita e sanzionabile.
Occorreva, quindi, partire da un ragionamento con metodo deduttivo per giungere alla trattazione delle vicenda in esame.
E così, procedendo per gradi, nella pronuncia in commento è stato dapprima chiarito che “presupposto imprescindibile perché sia configurabile anche l’ipotesi contravvenzionale è ..quello dell’intervenuta vendita o comunque cessione dell’arma e cioè del passaggio di disponibilità della stessa a titolo di trasferimento di proprietà o comunque per costruzione di altro diritto di godimento o d’uso da parte del cedente al cessionario od anche per semplice comodato, non potendo, invece, essere configurata neppure la più lieve ipotesi contravvenzionale nel caso in cui non sia configurabile alcuna cessione è cioè un trasferimento concreto della disponibilità del bene”.
Posto ciò, e considerato che, per come pacificamente già sostenuto dalla giurisprudenza di legittimità “perché si abbia cessione è necessario che si instauri tra il cessionario e l’arma un rapporto autonomo di disponibilità[7] ed inoltre che in seguito alla cessione “il detentore (alias cessionario) abbia il potere di ripristinare il rapporto diretto con l’arma quale effetto di un proprio autonomo atto di volontà”[8] non può residuare alcun dubbio in merito al fatto che la cessione momentanea di un’arma non integri gli estremi di cui all’art. 35 T.U.L.P.S.
Alla luce delle superiori considerazioni, non può non condividersi quanto statuito dalla Corte d’Appello di Caltanissetta che, nel riformare la sentenza di primo grado, ha testualmente stabilito che “nell’ipotesi di consegna di arma dal proprietario ad altro soggetto che avvenga al solo scopo di permettere a quest’ultimo l’uso temporaneo ed isolato, alla presenza del titolare della stessa, non può configurarsi una cessione tra privati poiché tale atto comporta un trasferimento della disponibilità in forza di un accordo tra le parti viceversa non configurabile nel caso di mera consegna momentanea ed occasionale finalizzata all’analisi dell’arma od anche all’uso isolato della stessa in luogo privato”.
Tutto ciò posto, appare opportuno segnalare, la irreprensibilità del ragionamento della Corte anche nel cenno che è dato leggere in sentenza al “luogo privato”.
Essendo avvenuta, infatti, la momentanea cessione dell’arma all’interno di una proprietà privata interamente recintata, non avrebbe potuto essere ignorato dal primo Giudice anche il difetto, nel caso di specie, della prescritta pubblicità del luogo. Anche sotto tale aspetto la consegna dell’arma dall’imputato ad altro soggetto non intaccava la ratio della norma, non venendo in alcun modo lese quelle esigenze di controllo sulla circolazione delle armi, ossia la ratio della norma volta a reprimerne la indebita circolazione.
[2] Cfr. Le leggi penali speciali, La disciplina di armi, munizioni ed esplosivi, II^ edizione CEDAM (pagg. 141 e ss.)
[3] Chiunque senza licenza dell’autorità fabbrica o introduce nello Stato o pone in vendita o cede a qualsiasi titolo armi da guerra o tipo guerra, o parti di esse, atte all’impiego, munizioni da guerra, esplosivi di ogni genere, aggressivi chimici o altri congegni micidiali, ovvero ne fa raccolta, è punito con la reclusione da tre a dodici anni e con la multa da €. 413,00 a €. 2.065 (1) (2).
(1) La multa è stata così elevata dall’art. 113, quarto comma, l. 24 novembre 1981, n. 689. La sanzione è esclusa dalla depenalizzazione in virtù dell’art. 32, secondo comma, della citata l. 689/1981.
(2) Articolo così sostituito dall’art. 9, l. 14 ottobre 1974, n. 497.
[4] È vietato vendere o in qualsiasi altro modo cedere armi a privati che non siano muniti di permesso di porto d’armi …. Il contravventore è punito con l’arresto da tre mesi ad u anno e con l’ammenda non inferiore a lire 250.000.
[5] Cfr. Leggi Penali d’Udienza a cura di Tullio Padovani, parte III Ordine Pubblico, pagg. 1521 e ss, Ed. CEDAM.
[6] Ex multis cass. pen. I, 25/6/1986; Cass. pen. I, 24/10/1994.
[7] Cfr. cass. Pen. 3/5/1985 in Giust. Pen. 1987, 106.
[8] Cfr. cass. Pen. 19/12/1984.